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Lidia Ravera
– L'UNITA' – 28/02/2002

Signori del Governo, non inventate mostri.

Dal popolo di Seattle a quelli del Palavobis, i movimenti prendono il nome dai luoghi. Quelli del girotondo, quelli della tassa Tobin: i movimenti prendono il nome dalla forme di lotta, dagli obiettivi. Ne nascono ogni giorno, a Marx sarebbe venuto il mal di testa, comodi i tempi suoi, quando c'era la lotta di classe. Capitalisti, proletari punto. Il ventunesimo non è un secolo ordinato. Che si può dire: scontenti di tutto il mondo unitevi?

Unitevi tutti voi che non siete disposti ad accettare le regole del gioco monopolistico? Voi che non volete un monopolista al governo, e voi che non volete la globalizzazione del mercato che arricchisce a dismisura i paesi ricchi depredano definitivamente quelli poveri? Gesù, come si fa a fabbricare slogan con la complessità? Tempi semanticamente difficili, tempi inquieti, tempi stimolanti. Un signore sul far della cinquantina dice la sua contro i suoi dirigenti e ne viene fuori un movimento d'opinione, che sviluppi temi fondamentali come il rapporto fra intellettuali e politica, fra pensiero critico e mediazioni reali. Una rivista ponderosa e grigia propone di santificare il decennale del primo atto di malaffare politico smascherato, con un giorno di funerale collettivo, con una festa di resistenza attiva contro le derive del cinismo, dell'indifferenza, dell'immortalità diffusa e ne viene fuori una manifestazione politica spontanea di massa: quarantamila persone. Persone, non le truppe cammellate dei partiti. Tempi imprevedibili, tempi nutrienti. Il corpo sociale di un paese offeso reagisce agli stimoli con grida di dolore. Capisco che la situazione, nella misura in cui (dio, da quanto tempo non lo dicevo!) a noi mette allegria, ai signori del governo, metta paura, lo capisco, e me ne dolgo doverosamente, educatamente. Ma questa comprensibile sindrome ansiosa che ha colpito il centrodestra al potere non deve in nessun caso consentire a ministri (Castelli), presidenti (Berlusconi) e portavoce (Emilio Fede) di rovinare la festa con allusioni disoneste e sinistre: non uno slogan, non una frase, non un gesto, non uno striscione, né bandiera, né un discorso consente di mettere in relazione la gente del Palavobis con il terrorismo, la violenza, la logica che li giustifica e il materiale umano che li nutre. Il veleno che stagna nell'aria non è profumo di folla che protesta (civilmente, dignitosamente), è l'odore della paura di chi si vede smascherato, scopre una riduzione drastica del consenso, teme che si allarghi ancora e le spara sempre più grosse. Signori del governo, consentitemi una supplica, un accorato appello, come se voi mi piaceste, come se io riscuotessi la vostra stima: non difendetevi con la calunnia, non inventate mostri, non evocate fantasmi per non guardare in faccia chi vi critica.

La gente del Palavobis, quelli del girotondo, gli intellettuali risvegliati dal letargo sono persone che hanno vissuto, che hanno una passione per la memoria: non è facile farli fessi, magari sparando una bomba nel mucchio al momento giusto.

Lidia Ravera – L'UNITA' – 28/02/2002


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