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Lidia Ravera
L'UNITA' – 04/04/2002

Annichilita dallo stupore

Una donna esce da un ospedale, le sparano addosso. Si avvicinano per soccorrerla cittadini stranieri, pacifici e pacifisti, anche loro vengono investiti dal fuoco delle pallottole. Ci sono 40 feriti in un edificio, restano lì, in terra, nel loro sangue, perché le ambulanze hanno perso il diritto che tutto il mondo riconosce, quello di accorrere e soccorrere. Si seppelliscono i morti in una fossa scavata da poco, qualche donna piange, qualcuno getta dei teli, qualcuno abbraccia qualcuno. E' un povero rito, tanto più straziante perché frettoloso, senza pompa, addolorato. I morti, dice lo speaker, erano troppi, non ci stavano tutti nell'obitorio, hanno dovuto gettarli qui, nel prato limitrofo. E' una fossa comune, non ci sono né lapidi né fiori. Non ci sarà neanche il tempo di ammorbidire la terra con le lacrime. I cecchini hanno aperto il fuoco sui vivi, la piccola folla si deve disperdere. Pare incredibile che un popolo abbia messo in mora così spudoratamente i doveri della pietà. Chi, come me, ha sempre amato e rispettato Israele, un popolo colto, democratico, unito e benedetto da un senso di appartenenza che soltanto chi è stato perseguitato come gli ebrei può regalare alla sua gente, chi ha sempre pensato ad Israele come ad un avamposto di civiltà, è annichilito dallo stupore, sconcertato. Che cosa è successo? Chi ha nel DNA le stigmate della vittima può diventare aguzzino? A quali nuovi scenari dell'orrore dobbiamo continuare ad abituarci? Siamo incollati allo schermo della televisione da una lunga, lunghissima notte, da una notte incominciata l'11 settembre. Non riusciamo a spegnere, non riusciamo a staccare, non riusciamo a dormire, ci bruciano gli occhi, ci brucia questa posizione terribile di spettatori assoluti, gente ben informata dei fatti e dei misfatti, gente che non può in alcun modo determinarne il corso, provocarne la fine. Impotenza, è questo il sentimento più diffuso. Sharon giustifica l'invasione militare della Palestina e il suo corollario di mostruosità, con la lotta al terrorismo. Bush ha bombardato per mesi un popolo di pastori disfatti dalla miseria, in nome della lotta al terrorismo. Non tutti gli afghani militavano agli ordini di Bin Laden? Pazienza, che ci volete fare. I palestinesi sono gente per bene che vuole soltanto una terra in cui vivere, non sono tutti kamikaze, i kamikaze sono pochi fanatici nutriti di disperazione, non è così? E se anche fosse, dicono gli Israeliani, noi dobbiamo estirpare, distruggere le infrastrutture – Sharon usa le parole di Bush, in cambio, smette di fare il gendarme mondiale della buona società, chiude due occhi, lascia fare. Intanto, nelle prigioni israeliane, ragazzi e ragazze che hanno rifiutato di marciare coi carrarmati contro i loro vicini di casa, marciscono nelle celle. Uccidere non è un optional, da quelle parti, è un obbligo. Fuori dalle carceri, altri ragazzi manifestano la loro solidarietà con i renitenti al macello.

Per come ho sempre immaginato la gente di Israele, leggendo i romanzi di Abraham Yoshua, di David Grossman, di Judith Rotten, forse, i pacifisti, quelli che vorrebbero riconoscere i diritti dei palestinesi, sono la maggioranza. Forse, al di là dello schermo televisivo che mostra e separa, nelle case di Tel Aviv, di Gerusalemme, ci sono uomini e donne spaventati, che vorrebbero soltanto la fine della paura, poter parlare, poter pensare, poter vivere. Come me, e come voi, e come tante donne e uomini di Ramallah o di Betlemme. Siamo dunque tutti ostaggio di Sharon e del suo santo protettore? Non sarebbe sacrosanto e di sinistra unirsi tutti per mandarlo in pensione?

Lidia Ravera – L'UNITA' – 04/04/2002

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