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Lidia Ravera
L'UNITA' – 16/05/2002

L'ora di religione e il crocifisso

Il sorriso con cui Sergio Castellitto si oppone alla deriva mercantile di un “ora di religione” che pervade tutta la società italiana da quando abbiamo memoria rischia di diventare davvero una bandiera. Nel bellissimo film di Marco Bellocchio sta ad indicare l'estraneità attiva del protagonista rispetto ai maneggi dei suoi mediocri famigliari per far santificare sua madre, allo scopo di godere del privilegio della visibilità, condicio sine qua non per avere accesso a qualche fortuna economica (essere invitati in televisione, come miracolati, come figli di qualcuno, chiunque, un satanasso o una santa, basta che conti, che sia o sia stato, speciale). Sta ad indicare, il sorriso di Castellitto, quel malinconico sbigottimento che ci coglie quando misuriamo quanto forte e vincente è il conformismo, quante opinioni di parte (cattolica) vengono spacciate per verità assolute ai nostri figli, quanto esigui sono i margini di libertà di pensiero, quanto è difficile esistere fuori dal coro.

Ho cercato di imitarlo, il sorriso di Castellitto, questa mattina, leggendo sui giornali che il ministro Maroni offre mutui più leggeri e sgravi fiscali soltanto alle coppie sposate, discriminando definitivamente le unioni di fatto, cioè la libertà di chi, non credendo in Dio, non va a sposarsi in Chiesa, e magari non si sposa neanche in Municipio, perché non gli va, o perché pensa che i matrimoni civili sono dei puri riti sociali, come le feste di compleanno o gli onomastici, o se preferite (da quando il divorzio ha reso, saggiamente, ogni unione risolvibile e ogni errore correggibile) una sorta di optional.

Ho cercato di opporre quel sorriso, melanconico, distaccato, timidamente angosciato, al dilagare inquietante di proposte clericocentriche come quella (leghista) di appendere un crocefisso in ogni ufficio pubblico (naturalmente “nel pieno rispetto di tutte le convinzioni religiose, ah ì?), invece di toglierlo, come sarebbe logico, anche dalle scuole.

Ci ho provato, a sorridere, ho fatto anche gli esercizi davanti allo specchio. Mi usciva sempre una smorfia rancida, sono disobbedienti, i muscoli espressivi del viso. Pensavo: adesso tutti correranno a sposarsi, per l'agevolazione fiscale. Pensavo: ma davvero l'icona del Cristo in croce, che già mi turbava da bambina, me la dovrò trovare anche in banca, anche nell'ufficio postale? Invece di aprirci ad una società multietnica, una forza ottusamente, protervamente monoculturale, forza tutte le barriere, mira a occupare ogni spazio. Che privilegio occulto consente ai cattolici di ritenersi rappresentanti unici di spiritualità e valori, moralità e virtù? E che cosa aspettiamo, noi laici, noi coppie di fatto, a contrapporre, con la stessa sicumera, un'altra visione del mondo, altri simboli, altre parole, altri sogni? Che cosa aspettiamo a proporre premi per chi ha bisogno e non per chi è conforme, per esempio, che cosa aspettiamo a combattere perché si aiuti senza ricattare, senza compilare il registro dei buoni e dei cattivi, in base a preconcetti che erano già vecchi quando io ero giovane? Che cosa aspettiamo, di uscire tutti pazzi?

Il protagonista del film di Bellocchio, alla fine, non ci va, dal Papa, e non ci porta suo figlio, regalandogli un futuro da uomo libero e non da furbo al servizio dei vincenti. Il Vaticano, manco a dirlo, ha protestato contro “L'ora di religione” (naturalmente nel piano rispetto della libertà d'espressione di chi non crede in Dio, ah sì?). E noi? Non facciamo uno sforzo collettivo di volontà laica e auguriamoci, tutti insieme, per qualche minuto, ogni giorno, per qualche settimana, che vinca la Palma D'oro a Cannes. Se lo merita. Ce lo meritiamo tutti.

Lidia Ravera – L'UNITA' – 16/05/2002

Intervista a Marco Bellocchio

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