Cosa fanno gli
argentini per non essere seppelliti dallo sterco di 55 milioni di
vacche, 34 milioni di capre, 16 milioni di pecore e 3 milioni di
cavalli? Il surplus di escrementi è solo una delle
difficoltà da affrontare per restare a galla dopo il
disastroso rovescio del sistema economico del 2001. Una soluzione
possibile, non solo per smaltire la cacca, si chiama agricoltura
biologica. Una strada da pionieri che si scontra con gli
interessi delle multinazionali straniere del biotech e
dell'agrochimico: l'Argentina è una delle loro principali
terre di conquista. Ne sa qualcosa el turco Samir Kintar,
proprietario di un mattatoio di medie dimensioni (250 capi
macellati alla settimana) nella provincia di Jujuy, profondo
norte, confine con la Bolivia, una delle zone più
povere del paese. Il turco è un tipo scaltro, la sua è
stata una vita di alti e bassi, tra crisi personali e le tante
crisi del suo paese d'adozione. Abituato a cadere e rialzarsi.
Nei suoi primi cinquant'anni ha fatto lo studente contestatore,
ha lavorato alla manutenzione dei ponti delle ferrovie ma poi lo
stato le ha tutte vendute, allora si è messo a fondere
ferro per macchine da pesca da vendere in Cile, ma la
svalutazione della moneta nazionale l'ha fatto fallire. A questo
punto è arrivato nel paesino di Perico, una delle tante
città tur-bo (abitate da immigrati turchi e
boliviani) di Jujuy. Quasi ovvio buttarsi nel mercato della
carne. Gli affari hanno ripreso a funzionare, mucca dopo mucca ma
ogni capo fatto a pezzi fuori dal mattatoio sono cresciute
montagne di sterco mescolato a sangue; le scaricava nel fiume, o
in un campo vicino. Ma più la sua nuova attività
cresceva, suscitando il disappunto dei macelli vicini, più
arrivavano grattacapi: multe per inquinamento dell'ambiente e
mancanza di rispetto delle norme igieniche. Un classico -
sbuffa Samir Kantir - tanti proprietari di mattatoio, specie di
quelli non troppo grandi, vengono assillati per lo smaltimento di
sangue e sterco, come se i grandi proprietari facessero tutto in
regola....
Dalla cacca all'humus
E
così, il nostro uomo d'affari, non proprio sensibile
all'ecologia, incontra un altro tipico personaggio dell'Argentina
post 2001, Jorge el tiburon Juarez, uno studente di
biologia che non sapeva come sbarcare il lunario ma con un'idea
fissa in testa: la lombricoltura. Nasce così la società
Proyajo, el turco ci mette i soldi, il terreno, lo sterco
e il sangue di mucca, el tiburon ci mette i lombrichi.
Sono loro che trasformano la cacca in humus, che poi lui
trasporta sulla puna, l'enorme distesa dell'altipiano
andino che dalla quebrada di Huamuaca, la grande valle che fu
cammino storico degli Incas, si protende verso la Bolivia. Lassù,
poveri agricoltori indigeni, dimenticati dallo stato argentino,
usano l'humus per fertilizzare coltivazioni biologiche di
scalogno, molto ben pagato nei mercati di Buenos Aires per il
consumo e per l'esportazione. ' solo il secondo anno
che coltiviamo - spiega el Tiburon - siamo in attesa di
vendere il primo raccolto consistente, ma l'idea funziona e
stiamo già facendo esperimenti anche per la cooperativa
del tabacco di Jujuy, uno dei più importanti produttori
agricoli della provincia. Tentiamo di collegare mercato
dell'allevamento e mercato agricolo e di unire gli interessi di
produttori, ambiente e comunità indigene. Certo dobbiamo
fare tutto da soli. In Europa la lombricoltura è molto
conosciuta e praticata e c'è un mercato crescente per
l'agricoltura biologica. Qui, per anni mi hanno dato del pazzo e
ancora oggi o ci ostacolano o ci aiutano, ma solo per ripulirsi
l'immagine: tutto bene, finché restiamo piccoli e non
facciamo troppo sul serio.
Non è difficile
credergli. Gli esperimenti ecofriendly che in Italia ogni
giorno conquistano nuove fette di mercato, in Argentina diventano
imprese avventurose. Chi ci prova è costretto a fare i
conti con il rapporto inquinato tra governo, grandi produttori
agricoli e multinazionali straniere. L'Argentina - 13,9 milioni
di ettari coltivati con organismi geneticamente modificati (21%
della produzione mondiale) - è il secondo produttore
mondiale di prodotti transgenici. Prima della crisi del 2001, gli
ettari destinati alla coltivazione biologica erano appena
238mila. Nelle sterminate pianure, per centinaia di chilometri,
ore e ore di pullman, si vedono solo enormi silos e grandi
cartelli pubblicitari di Monsanto e Syngenta (130 milioni di
dollari di fatturato solo in Argentina). Gli aerei che volano
raso terra spruzzano tonnellate di erbicida: eccolo, è il
famigerato Roundup di Monsanto, che ha fatto di tutto per
inondare l'Argentina con il suo erbicida. Promozioni comprese.
Adesso regala 100 ettari disinfettati ai
suoi clienti affezionati, perché Monsanto Pase lo que
pase està de tu lado (succeda quel che succeda sta
dalla tua parte). E' così vero che Monsanto sta
addirittura minacciando di boicottare le esportazioni di tutti i
prodotti agricoli argentini. Cosa è successo? Dopo aver
permesso che per anni circolassero migliaia di tonnellate di semi
transgenici truchos (non coperti da brevetto) pur di
propagare a tappe forzate il contagio da ogm su tutto il
territorio, ora batte cassa e pretende di farsi pagare i «diritti
d'autore». Nel balletto tra istituzioni e multinazionali,
il segretario nazionale dell'agricoltura argentina, Miguel
Campos, ha già pronto un piano davvero geniale: una tassa
su tutte le vendite agricole (dallo 0,35% allo 0,95%) per
costituire un Fondo de Compensacion Tecnologica. Lo stato
poi devolverà il malloppo direttamente alle casse di
Monsanto, altrimenti la multinazionale minaccia governo e
agricoltori di far scattare l'embargo.
L'epopea
transgenica in Argentina è cominciata nel 1996, in piena
era Menem, e adesso sembra impossibile fare marcia indietro. In
pochi anni l'economia e l'ecosistema dell'intero paese sono stati
sconvolti. Gli agricoltori sono stati spinti a triplicare la
produzione di soia, naturalmente ogm: 30 milioni di tonnellate
l'anno che fanno dell'Argentina il terzo produttore mondiale per
un giro da 10 miliardi di dollari che frutta allo stato 2
preziosissimi miliardi di dollari di tasse sulle esportazioni.
Anche l'esecutivo del presidente Kirchner, che pur si batte con
energia contro la prepotenza del Fmi, sa che i miglioramenti
dell'economia nazionale sono dovuti anche al boom della soia gm e
dunque resta poco margine di manovra fino a quando il governo
sarà costretto a operare sotto il ricatto delle
multinazionali. Eppure, in Argentina è sempre più
chiaro che si tratta di un sistema agroalimentare drogato che ha
illuso molti ma è destinato a scoppiare. L'espandersi di
enormi monoculture e l'abuso di prodotti chimici aumenta ogni
giorno di più la resistenza dei parassiti agli erbicidi.
L'Inta (Instituto Nacional de Agropecuaria) dispensa disperati
consigli per combattere le epidemie delle piante. L'ultima
calamità si chiama la roya asiatica, un fungo che
sta falcidiando le coltivazioni di soia, una questione che in
Argentina è di vitale importanza e che riempie i giornali.
Ma il consiglio è sempre lo stesso: dosi maggiori di
prodotti chimici, con inestimabili danni all'ambiente e alla
salute di animali e uomini.
Come se non bastasse, la soia
pretende sempre nuovi terreni: deforestazioni massicce
specialmente nelle province di Salta e Jujuy, dove si concentra
la parte argentina degli alberi della yunga, il secondo
polmone forestale del latinoamerica dopo l'Amazzonia con
centinaia di animali rari in via di estinzione, come il giaguaro.
Vestiti da giaguaro, con pelle finta, in agosto gli attivisti di
Greenpeace Argentina sono entrati nella yunga per fermare
le ruspe pronte a sradicare gli alberi. E' una gara contro
il tempo - spiega Emiliano Ezcurra, della campagna sulla
biodiveristà - ogni giorno si distrugge una porzione di
selva grande come un campo di calcio. Ancora più
gravi i danni sociali. La soia gm è completamente assente
dalle abitudini alimentari degli argentini, è totalmente
destinata alle esportazioni e alla mangimistica, impoverisce le
coltivazioni consumate dal popolo argentino, che in alcune aree
del paese è alla fame. Nell'affare della soia si sono
buttati spregiudicati imprenditori cittadini in cerca di facili
guadagni, sono quasi tutti di Buenos Aires, scorrazzano per i
campi con gippone e telefonino. Comprano per quattro soldi le
terre dei piccoli contadini, che scacciati, a volte con la forza,
vanno a ingrossare il popolo dei disperati urbani e suburbani.
Ci hanno costretto a lasciare la nostra terra minacciandoci
con armi da fuoco, dichiara Ramon Ferreyra, ex-contadino
sui monti del Gran Chaco. In pochi anni le piccole e medie
imprese agricole sono diminuite del 30%.
A dicembre la
raccolta
Pur sapendo che questa è la storia
della sua terra, il biologo con la fissa dei lombrichi - El
Tiburon - prende ostinatamente la sua camionetta e
sale alla puna per controllare il suo scalogno bio: Manca
poco al verdetto finale, a dicembre si raccoglie. Vuole far
firmare la richiesta di un finanziamento statale per le piccole
imprese ai suoi coltivatori indios Humauaca. C'è
pure il garante: è el turco Samir Kintar,
quello del mattatoio, l'imprenditore riconvertito bio per
smaltire lo sterco di mucca, un vero uomo d'affari. A quota 2461
metri, a pochi chilometri dai resti archeologici di Tilcara,
all'ombra dei cactus e sotto un cielo troppo azzurro, la famiglia
india Manì osserva lentamente lo scalogno crescere.
Dovete firmare queste carte per ricevere finanziamenti,
si infiamma Jorge. Il vecchio Manì, cappello calato sugli
occhi, il sorriso rinsecchito dal vento e dal sole, nutre una
sana diffidenza per il bianco che porta carte da firmare: Io
prima voglio un cavallo. Il figlio, detto il gordo Manì,
è più moderno: Va bene che siamo indio ma
anche noi dobbiamo investire in tecnologia, ci pensiamo.
A
30 chilometri dal confine con la Bolivia, Carrizzalillo, un
paesino fantasma. Invece ci vive Leonardo, 32 anni, mani nere di
terra e foglie di coca sempre in bocca. Oltre allo scalogno
(bio), coltiva il grano arricchito, il quinua (chicchi molto di
moda in Italia, le signore ipersalutiste per portarsene a casa
una sacchetto a Milano pagano quello che Leonardo guadagna in un
mese). Lui, invece, lassù alleva anche cincillà e
si è appena procurato in Perù semi di quivica.
Cos'è? Meglio del quinua, anche questo coltivavamo
prima che arrivaste voi bianchi, ora proviamo a vendervelo caro.
Suggestivo ma troppo fuori dal mondo e dal mercato per far
marciare un paese enorme come l'Argentina. Forse. Certo però
è che l'agricoltura argentina se non vuole scoppiare dovrà
pur cambiare direzione. E se non bastano le malattie delle
piante, i disastri ambientali e sociali, il niet
dell'Europa agli ogm, forse solo i cinesi potranno essere più
convincenti di Monsanto&Co. Da poche settimane anche la Cina
infatti comincia a chiudere le porte. Sempre più derrate
di partite di soia ogm argentina infatti vengono bloccate alla
frontiera perché - dicono i cinesi - non sono di
buona qualità. In agosto il Centro Nazionale di
Informazione su Semi e Olii cinese ha innalzato gli standard per
i prodotti agroalimentari di importazione. Una sciagura: la Cina
è il primo importatore di prodotti alimentari e di mangimi
transgenici argentini, a cominciare dall'olio di soia. Da solo
rappresenta un mercato da 543.537 tonnellate.
Giorgio Salvetti
IL MANIFESTO 04/12/2004
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