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Bush resta Bush. Non basta un sorriso |
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Bush è diventato un amico? E' diventato un interlocutore del quale avere una certa fducia? No. Resta il capo dell'unica superpotenza di questo ventunesimo secolo, e resta l'ideatore di un progetto di assoggettamento del mondo agli interessi delle classi dirigenti americane. Bush è un avversario della sinistra. Perché è un guerriero e perché è il leader di un disegno di riorganizzazione del pianeta che si basa sulla concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi, e affida la salvezza dell'umanità alle miracolose doti del mercato e dello sviluppo capitalista. Per difendere questo disegno, gli aerei americani continuano a bombardare l'Iraq: ieri i CC 130 hanno sorvolato Ramadi e hanno gettato tonnellate di esplosivo e di cluster bombs.
Naturalmente non è sensato negare che il viaggio in Europa del presidente americano abbia offerto un'immagine dell'America e della sua amministrazione diversa da quella truce dei mesi e degli anni scorsi. Bush non è venuto nel vecchio continente per minacciare e mostrare i pugni, ma ha cercato, per la prima volta da quando è presidente, cioè da cinque anni, di fare uso della diplomazia. E' giusto non negare questa novità, capirne il senso e vedere se è possibile farne buon uso. Bush chiede all'Europa una collaborazione e si mostra disposto a ripagarla in qualche modo. La discussione non è sulla legittimità di questa contrattazione: è sul prezzo. L'America capisce che non ce la fa senza l'appoggio dell'Europa? Benissimo. E' saggio che l'Europa offra agli Stati Uniti una via d'uscita. Purché charisca che questa via d'uscita comporta la rinuncia, da parte dell'America, al progetto di egemonia sul mondo. Tutto qui. Per dirla in modo più spiccio: gli Stati Uniti devono porre fine all'occupazione dell'Iraq e devono accettare di vedere messe in discussione alcune delle loro idee sui nuovi assetti economici e politici della terra. Cosa vuol dire? Per esempio che si deve riaprire l'enorme questione della privatizzazione dei servizi, cioè della trasformazione degli "stati sociali" del mondo intero in branche dell'industria e della finanza internazionale a dominio americano. Si deciderà a dicembre su questa materia, alla riunione del Wto di Hong Kong. Nessuno ne parla di questa scadenza, i giornali la ignorano, eppure da come andranno lì le cose si deciderà in parte il destino di questo secolo. Si deciderà chi sarà il padrone dell'acqua, chi sarà il padrone dell'istruzione, chi sarà il padrone della sanità. Cioè da chi dipenderanno le nostre vite. L'Europa è in grado di arrivare a quella scadenza su una posizione autonoma da Washington, e di sostenere soluzioni che impediscano la privatizzazione del pianeta? O deciderà che la sua autonomia si ferma sulla soglia di alcuni grandi fatti simbolici (anche importanti), e poi diventa subalternità, o addirittura condivisione di una logica liberista che assegna all'occidente e al mondo ricco il potere di dominio incontrastato sul resto del pianeta? Se non parliamo di queste cose non parliamo di niente. Ieri Piero Fassino, sul Corriere della sera, ha detto parole persino ragionevoli sulla possibilità di dialogare e di trattare con gli Usa. Certo, ha ragione: si dialoga e si tratta con tutti, perché è questa la via della politica che si contrappone alla via della guerra. Ma cosa si chiede all'interlocutore? Non si possono chiedere solo sorrisi, e farsi ammaliare. Non è antiamericanismo chiedere all'America di stracciare il suo progetto di impero e di accettare il mondo multipolare. E' un suicidio per la sinistra, invece, fare il contrario. Piero Sansonetti LIBERAZIONE 25/02/2005 |
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