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L'insensata efficienza della riforma Moratti |
Ha abbandonato le aule nel '96 e con esse quei racconti di ispirazione scolastica sui giornali, in volume, al cinema che hanno sublimato con ironia il dramma esistenziale di una professione amata, calpestata, marginale, centrale. Che la società invoca e ignora. Ora, Domenico Starnone è scrittore e sceneggiatore di successo. Il suo ultimo romanzo, Via Gemito (Feltrinelli ed.), ha vinto tra l'altro il premio Strega 2001.
Da ex professore, come vive l'attuale momento della scuola? Ad esempio, l'annunciata riforma e le proteste che la accolgano?
A me sembra che la nuova riforma, almeno da quel che è dato sapere finora, tenda alla pura e semplice ratifica delle disuguaglianze. Una scuola tutta mirata a un'insensata efficienza, che ha come unico sbocco una collocazione lavorativa più ventilata che reale. Da qui, la scelta precoce dell'indirizzo, e quindi la selezione sulla base della provenienza ambientale. In altri termini, decidiamo presto chi è nato per dirigere e chi per obbedire, in un momento, peraltro, in cui la selezione è molto forte, un'età in cui si è fragili. Credo che sia un ritorno agli anni '50, quando si sbattevano fuori gli individui nella loro fase puberale, tra il tredicesimo e il quindicesimo anno. E' una scuola che può combinare disastri e che oggi non si sa bene neanche a chi può servire, neanche a chi la pensa.
Da che cosa bisognerebbe partire secondo lei?
E' difficile dire. Probabilmente una mentalità come quella della nostra destra non può produrre che una scuola di questo tipo. Una riforma oggi presupporrebbe una visione del mondo, e qui l'unica che sono riusciti a sfoderare è quella delle tre i. Io credo che per cambiare, invece, bisognerebbe coinvolgere il sapere degli insegnanti e degli studenti, e questo non è mai stato fatto. Gli studiosi non bastano. E' una follia pensare che non possano fare da soli. Anche perché non c'è un insegnante che all'origine non abbia cercato di essere un buon insegnante. E' un lavoro che non si può fare senza essere coinvolti, perfino se si va in classe con il totale rifiuto delle ore che seguiranno. L'umanità che si ha di fronte non si può gestire burocraticamente.
Eppure il rimprovero spesso è di non saper insegnare, di non saper comunicare, di non saper appassionare.
Non dovremmo lasciare che l'insegnante sia abbandonato dentro le classi perché in questo modo, chi non ce la fa lentamente si lascia andare, trova un suo modo per tirare a campare, ulteriore elemento di sfascio delle vite individuali e della scuola. Non dimentichiamo che, per quanto si facciano salti mortali trasformando l'istituzione, o perlomeno la sua facciata, il problema di fondo è che cosa accade dentro la classe, nello spazio e nel tempo educativo, formativo.
Forse gli insegnanti dovrebbero diventare attori politici. Lei, per esempio, potrebbe essere un ottimo Ministro della Pubblica Istruzione...
(ride) La capacità di governo presuppone una cultura che non credo di avere. Non ci si improvvisa, alla Berlusconi, politici. Noi possiamo partecipare, gridare, manifestare, discutere, il sangue della vita democratica, ma non penso che uno si alzi una mattina e possa gestire un apparato.
Parliamo dei suoi libri: il suo modo di rappresentare la scuola, con tutti i suoi difetti e vizi, appare ad alcuni nichilista. Una rappresentazione caricaturale.
Mi sono trovato spesso di fronte a questo tipo di accusa, ma io non credo che si debba caricare di ottimismo il proprio lettore e dargli conformisticamente una speranza. Per la scuola c'è stata spesso la tendenza a sinistra a dire che ci sono comunque delle cose molto positive su cui noi possiamo puntare. Ma quello dello scrittore è un lavoro che deve andare fino in fondo, fino all'insostenibile. Via Gemito ha delle parti che si farebbe volentieri a meno di leggere, ma lo scrittore dev'essere assolutamente sincero, deve rispettare fino in fondo il suo modo di vedere i fatti.
Scrivere e insegnare: per molti anni è riuscito a conciliare queste due attività.
Sono andato via proprio perché cominciava ad essere complicato seguitare a fare lo scrittore. Rischiavo di diventare quel tipo di insegnante con il doppio lavoro che quando si presenta dice: io sono un ingegnere e poi faccio anche l'insegnante. Comunque, tra le due attività c'è una relazione: quando si scrive. Ogni mattina, non si sa mai se si riuscirà a portare avanti il lavoro del giorno prima, bisogna come entrare in un canale creativo. La stessa cosa in classe: bisogna trovare la voce giusta.
Intervista di Luigi Galella l'UNITA' 13/20/2002
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