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Domande alla guerra |
Cosa sta succedendo là
fuori? Non si sa, le parole sono opache, delle immagini non ne
parliamo. A volte pare che tutto vada per il meglio, a volte no. A
volte c'è il sorriso di Condoleeza Rice, a volte quello di
Giuliana Sgrena. Si afferma, si argomenta, si dichiara, ci si
interroga. Le elezioni in Iraq, per esempio. Il popolo iracheno - ci
dicono, ci mostrano - è diventato popolo sovrano. Ma a suon di
bombe, dentro confini violati da eserciti stranieri, in un territorio
su cui nessuno ha una vera sovranità e dove non solo è
difficile formarsi liberamente opinioni, ma è rischiosissimo,
come si vede ogni giorno, esprimerle in libertà. Quel voto è
un passo verso la normalizzazione? O il passaggio per più
terribili bagni di sangue?
La guerra è stata fatta,
come tutte le guerre, da eserciti con una tecnologia di morte
avanzatissima che ha annichilito città, uomini, donne, bambini
e paesaggi. Tuttavia - ci pare di capire - è stata appoggiata
ed è sostenuta da signore e signori, negli Stati uniti come
qui da noi, decisamente schierati a difesa della vita umana fin nel
suo stadio di embrione e molto allarmati per come le applicazioni
tecniche della scienza insidiano la creatura e l'ordine del creato.
E' meglio spazzare via all'ingrosso la vita fatta, che lavorare sopra
quella in germe?
L'esercito più potente del mondo,
quello meglio dotato di armi di distruzione di massa, è andato
in Iraq per togliere a Saddam le sue. Lo ha potuto fare, oggi pare
assolutamente certo, solo perché sapeva bene che quel regime
non solo non aveva armi genericamente di distruzione di massa, ma
soprattutto non aveva la bomba atomica. Se l'avesse avuta, non solo
non ci sarebbe andato, ma l'applicazione delle procedure democratiche
in Iraq non avrebbe avuto il carattere di urgenza che poi ha assunto.
Quando, allora, liberare popoli è impellente e quando si può
soprassedere?
A qualche stato, canaglia e non, pare sia venuto
il sospetto, proprio osservando la vicenda irachena, che, per non
trovarsi l'esercito più potente del mondo nel cortile di casa,
fondamentale è avere la bomba.
La conseguenza è
che prima si faceva finta di non pensarci nemmeno, alla bomba, e ora,
dopo l'Iraq, quelli che già ce l'hanno la esibiscono come se
fosse il cartello attenti al cane. Avevano torto, allora, quelli che
dicevano e dicono che dopo Hiroshima e Nagasaki ogni guerra, piccola
o grande, è un rischio che non si può più
correre?
La vicenda irachena - possiamo legittimamente
sospettare - sta diventando esattamente il rovescio di ciò che
ci dicevano i sostenitori del pugno di ferro, della potenza di fuoco,
della tecnologia buona quando distrugge vite in atto e non più
buona quando stuzzica la potenza di vita. L'Iraq, che doveva essere
una lezione per chi ha le armi di distruzione di massa, pare stia
producendo un bisogno urgente e diffuso di testate nucleari. L'Iraq,
che doveva essere una sorta di grande spot in lode dei valori
dell'Occidente, pare stia diventando la dimostrazione di come le
regole del gioco democratico siano certo importanti ma solo regole.
La domanda è quella che conosciamo da sempre: chi gioca, come,
alla pari o in vantaggio, onestamente o barando, in libertà e
in eguaglianza o in stato di costrizione, irreggimentati?
Domande, ipotesi: siamo nel mondo del «pare». Perché, per andar oltre, bisognerebbe spezzare le parole dell'opinionismo da scrivania (nostro e altrui), delle veline dei comandi politici e militari, dei racconti concilianti e sconciliati che ci facciamo ogni giorno per nasconderci il caos del reale o almeno esserne investiti a piccole dosi, senza dolore. Quanto alle immagini, ricordiamoci dei sorrisi dei politici, dei capi militari, di Bush, di Rice. Quanto sorride, Rice, pare molto contenta. Parevano contenti anche gli aguzzini, maschi e femmine, di Abu Ghraib. Tutto pare. Su quel pare ha lavorato fino al giorno del sequestro Giuliana Sgrena. Lei e le persone come lei hanno cercato sempre oltre il pare e questo fa la differenza. Liberano lo sguardo, scavalcano una sorta di muro verbale costruito con le frasi di comodo e quelle abusate. Vanno a vedere e sentire, per farci vedere e sentire con sguardi e parole più veri. Giuliana, da inerme, sa cosa accade alle donne, ai bambini, agli uomini inermi. Sa anche che le uniche parole su cui si può far conto, oggi come sempre, sono quelle degli inermi, degli umiliati, di quelli su cui si esercita la crudeltà. Lo ha saputo, lo sa adesso, ce lo ha raccontato, ce lo racconterà. Nelle foto, per questo, ha un sorriso diverso.
Domenico Starnone IL MANIFESTO 15/02/2005
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