Dalla
crisi del 2001 all'occupazione delle fabbriche fallite. Oggi la
legge di Kirchner prevede la possibilità che i dipendenti
riuniti in cooperativa possano riscattare le aziende e continuare
in autogestione la produzione, con le macchine requisite dallo
stato ai vecchi padroni
L'America Latina sta tornando ad
essere un laboratorio sociale. Le nuove prospettive politiche ed
economiche che si dibattono in questa area nascono da situazioni
di estrema necessità. Se la lunga notte delle dittature
militari è stata formalmente superata nei primi anni
Ottanta, l'ombra del neoliberismo ha continuato a seminare fame e
morte in molti paesi. Oggi non sono pochi i governi che cercano
di allontanarsi dal modello del Fondo monetario e di Washington.
Se la vittoria di Lula in Brasile aveva rappresentato il
consolidamento di questo processo, con Chavez in Venezuela,
Kirchner in Argentina e ora Tabaré Vázquez in
Uruguay, la tendenza al cambiamento delle politiche economiche e
sociali si è rafforzata.
L'esplosione del
dicembre 2001
In questo quadro, il collasso
dell'economia argentina e la conseguente esplosione sociale del
dicembre 2001 sono stati elementi fondamentali. L'Argentina dei
miracoli, allievo prediletto del Fmi, crollava portando la sua
popolazione alla miseria. Il modello economico neoliberista,
iniziato con la dittatura militare di Videla nel 1976 e
continuato con i successivi governi democratici, era fallito in
modo catastrofico. Dopo quattro anni ininterrotti di recessione
economica, l'Argentina è entrata nel fatidico 2001. Ogni
attività era in contrazione, tranne l'attività
finanziaria, quella bancaria e quella delle compagnie straniere
che gestivano i servizi pubblici privatizzati. Il paese era
abbandonato da tutti. I più avvertiti hanno
fatto le valige prima del crollo di dicembre. Solo nel 2001 sono
usciti 26 miliardi di dollari. Quando i cittadini sono andati in
massa a ritirare i loro depositi, le banche hanno risposto che
non avevano più denaro. Il paese perdeva colpo su colpo e
molte fabbriche chiudevano. Le strade di Buenos Aires si
svuotavano, più di 100.000 negozi chiudevano. Solo nel
2001 gli operai hanno perso il 32% del loro potere d'acquisto e
il prodotto interno lordo, ormai al 4° anno negativo, segnava
un -16,3%. Nel 2002 la disoccupazione era 25%. Gli argentini
assistevano increduli al crudele miracolo: nel granaio del mondo,
più della metà della popolazione aveva fame.
Già
nel 2000 il fallimento di alcune fabbriche si trasformò in
occasione di lotta. Gli operai, disperati, non erano più
disposti a entrare nella massa anonima dei disoccupati e alcuni
cominciarono ad occupare le industrie dismesse. La prima fabbrica
recuperata fu la Gipmetal di Avellaneda e in questa esperienza
nacque il Movimiento Nacional de Fábricas Recuperadas
(Mnfrt). Lo stabilimento, chiuso per fallimento, è stato
occupato da 54 operai che hanno formato una cooperativa. Si
producevano tubi di rame e di latta. Oggi la fabbrica espropriata
lavora a buon ritmo, ha assunto altri 30 operai e gli stipendi
sono aumentati.
Il 18 dicembre del 2001, un giorno prima
che in Argentina scoppiasse la sollevazione popolare che ha
riempito le piazze, distrutto le banche, occupato il Congresso e
cacciato via il presidente Fernando de la Rua, gli operai della
Brukman hanno occupato la loro fabbrica. Oggi questa industria
tessile recuperata e in mano agli operai, resta l'emblema della
lotta operaia. Dopo la Brukman e nel clima insurrezionale che
accompagnò il 2002, l'occupazione delle fabbriche si
diffuse in tutto il paese. Col tempo la situazione si è
consolidata e il fenomeno si è andato esaurendo. Anche
perché l'esperienza del Mnfrt è riuscita a
strappare alcune importanti modifiche legislative, non ultima la
riforma della legge che regola il fallimento. Ora non è
più necessario occupare. La legge considera che il
fallimento riguarda l'amministrazione dell'azienda mentre la
fabbrica è un bene sociale e gli operai, se sono in grado
di organizzarsi, possono proporre al magistrato di continuare con
la produzione. Le macchine sono espropriate dall'autorità
governativa e affidate alle cooperative per proseguire
l'attività.
Oggi, le fabbriche che formano il
Movimento sono diventate 80, di cui 65 sono produttive. Le
difficoltà economiche sono comuni a tutte, ma il livello
di attività varia. Ci sono alcune aziende recuperate 5
anni fa, dove il volume di produzione arriva all0'80-90% della
capacità installata. Altre sono state avviate un anno fa e
girano a un 20-30 % delle proprie capacità produttive. Ma
l'altro elemento importante che accomuna queste esperienze è
la continua crescita e ricapitalizzazione, con i proventi genuini
che arrivano dalla propria attività. Contrariamente alla
logica economica, nelle fabbriche recuperate il primo passo non è
l'investimento di capitali. Se fosse così, non potrebbero
mai mettere in moto il sistema produttivo. Il primo elemento di
questa esperienza è la solidarietà tra i
lavoratori.
Cooperative o
statalizzazione?
L'occupazione delle fabbriche ha
aperto un vivace dibattito intorno alla modalità di
gestione. Le proposte sono due: la formazione di cooperative
autogestite o la statalizzazione con controllo operaio.
Quest'ultima è stata la posizione prevalente nel primo
periodo delle occupazioni. Portata avanti dai piccoli gruppi
della sinistra radicale, ha avuto scarsa accettazione tra gli
operai. La proprietà statale è una vecchia idea
della sinistra che certamente è molto difficile da
applicare se non si adegua ai nostri tempi e allo stato da cui si
vuole dipendere. In questo momento, in Argentina, c'è
soltanto una fabbrica, la Zanon di Neuquén, che porta
avanti questo progetto. L'altra proposta, quella della formazione
di cooperative autogestite, riscuote invece il più ampio
consenso, il rapporto è di 80 a 1. Il Movimento delle
fabbriche recuperate pensa sia possibile gestire e far funzionare
le fabbriche, pur all'interno del sistema capitalista, anche con
modalità diverse a quelle tradizionali. Nelle cooperative
autogestite non ci sono privilegi, la direzione e le scelte
escono dall'assemblea e si è creato una rete di
solidarietà tra le fabbriche recuperate del Movimento. Il
loro obiettivo è quello di recuperare il maggior numero
possibile di stabilimenti. Oggi ci sono circa 8000 operai che
lavorano in queste industrie. Noi non vogliamo fare la
rivoluzione, mi dicono, siamo più modesti:
ogni fabbrica recuperata è per noi una rivoluzione.
Claudio Tognonato IL
MANIFESTO 01/02/2005
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