Le
banche non dovevano né potevano proporre tango bond alla
clientela. Non si tratta di un divieto etico, di uno
spiacevole danno economico che qualche bancario di buon cuore
avrebbe dovuto risparmiare sua sponte alla ingenua vecchina,
allimprudente commerciante o al giovane male informato. Si
tratta di un divieto vincolante, previsto a chiare lettere da
norme finanziarie, decise ed imposte dallorgano che vigila
sulla borsa italiana: 450mila piccoli investitori italiani sono
incappati irregolarmente nei fallimentari titoli argentini. «Le
obbligazioni non possono essere offerte se non a investitori
professionali». Questo infatti stabilivano i prospetti
della loro emissione, questa era la condizione che la Consob
imponeva per la loro vendita in Italia e che le banche hanno
accettato prima di procedere al loro collocamento sul mercato. Ma
le cose sono andate diversamente e la patata bollente del default
è finita nelle mani di piccoli risparmiatori, sprovveduti
che poco sapevano e poco potevano contro le lusinghe di chi
avrebbe dovuto negare loro lacquisto dei bond argentini. Ma
le banche hanno preferito non scottarsi in proprio e dei rovinosi
titoli si sono fatte entusiasti sponsor e solleciti diffusori. La
violazione operata dagli istituti di credito risulta lampante.
Non solo dai prospetti che lArgentina ha prodotto
allemissione dei bond - dove sono previste dalla Consob
specifiche restrizioni di vendita valide per il territorio
italiano - ma anche dallallegata nota integrativa con le
necessarie avvertenze per linvestitore. Così
vengono definiti i titoli in base al loro rating: «Le
obbligazioni hanno carattere speculativo, il loro futuro non può
ritenersi sicuro - si legge nel documento - spesso la garanzia
dei pagamenti della quota capitale e degli interessi può
essere molto limitata». Ed ancora: «Il debito si
trova di fronte a notevoli incertezze continue o allesposizione
a condizioni commerciali, finanziarie o economiche avverse che
potrebbero determinare uninadeguata capacità di
onorare alla scadenza il pagamento di interessi e
capitale». Eppure i tango bond sono spesso stati
rifilati con tutte le rassicurazioni del caso: si figuri, non
succederà nulla, si tratta di titoli di uno stato sovrano.
Molti di quelli che hanno avviato cause legali contro chi propose
linvestimento - nella maggioranza dei casi con lassistenza
delle associazioni dei consumatori - si sono sentiti ribattere la
loro supposta consapevolezza: lei ha firmato, oppure, lei mi ha
chiesto qualcosa che rendesse più della norma. Risposta
sbagliata: se anche un investitore particolarmente audace avesse
chiesto di propria iniziativa le obbligazioni in questione, il
consulente avrebbe avuto il preciso dovere di dissuaderlo ed, in
caso di eccezionale insistenza, informarlo dei rischi evidenti.
Solo allora (caso possibile ma certo non frequente) si sarebbe
dovuto procedere alla vendita. Qualche esperto consulente
finanziario, dopo il default, si è difeso con
limprevedibilità degli eventi occorsi. Invece la
nota era chiarissima fin dal novembre del 1999, quando fu redatta
a due anni dalla bancarotta. «La struttura del debito
dellArgentina - continua il documento - crea una forte
possibilità che anche il pagamento dei titoli in valuta
estera possa subire ripercussioni negative se si verificassero
seri problemi in relazione al budget». Seguono dati
storici sullindebitamento di Buenos Aires, sulle scadenze
prossime di ingenti obblighi di rimborso, sullindefinito
scenario politico delineato dallallora presidente De la
Rua. Conclusione: «Pertanto le obbligazioni sono adatte
unicamente ad investitori speculativi ed in condizione di
valutare e sostenere rischi speciali». Solo banche e
società dintermediazione mobiliare potevano
permettersi una simile «assenza di garanzie», una
scarsa liquidità «in quanto le richieste di vendita
potrebbero non trovare tempestiva ed adeguata contropartita».
E gli istituti di credito non si sono lasciati scappare le
occasioni per disfarsene. Così il peso della bancarotta
sudamericana viene ora sopportato dalle magre spalle di famiglie
parsimoniose invece che dai cospicui patrimoni societari degli
intemediari finanziari. Così il governo di Buenos Aires
può fare la voce grossa con quello italiano, serenamente
indifferente alle pressioni diplomatiche per una più equa
proposta di rimborso rispetto ad un misero 30% ad anni di
distanza: le obbligazioni non dovevano finire ai piccoli
risparmiatori, nei prospetti cè scritto nero su
bianco, lArgentina ha la coscienza pulita.
Luigina
Venturelli L'UNITA' 15/01/2004
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