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CINEMA

Il futuro abita in periferia

Ermano Olmi sta cercando qualcosa nella periferia della sua città. Vuol capire come cambia. Milano è la sua città anche se è nato a Bergamo e ha scoperto il mondo a Treviglio ascoltando i racconti della nonna dai capelli rossi, storia del contadino che ruba un faggio per fare gli zoccoli al figlio: andava a scuola a piedi nudi nel fango. E poi il ricordo di quei giri nei campi sui carri del fieno e del grano, l'ebbrezza dello scuotere le briglie dei cavalli. Gli orti, l'erba bagnata, profumi dell'adolescenza che accompagnano ogni maturità. Abitava a Milano, verso la Bovisa.

Il padre faceva il ferroviere ed aveva perso il posto perché da bravo socialista non voleva la tessera di Mussolini. Giorni di magra, neanche parlare di villeggiatura. Così Olmi tornava ogni estate fra gli amici di una campagna paradiso delle zanzare. Ed era la felicità.


Ormai non è il caso di ricominciare dagli anni sconosciuti la storia di un regista in trionfo a Cannes e Venezia; i suoi film fanno il giro del mondo, e questo passato sembra sepolto sotto gli applausi della critica che accompagna la biografia di un protagonista molto amato. Eppure, solo partendo da quel passato, è possibile fare la domanda che incuriosisce la sociologia della politica. Com'è che i nipoti dell'albero degli zoccoli sono diventati leghisti? Dall'umiltà del povero che soccorre la povertà del vicino, ai padroncini che parlano ad alta voce.


Quel mondo contadino era un mondo di poveri: è diventato il mondo dei ricchi. Vanno a lavorare in fabbrica o hanno messo su piccole fabbriche. Il contadino che alzava gli occhi al cielo per interrogare il tempo non c'è più. Magari fatica altrove - officine o commerci - e affida la terra a società di servizi. Arare, vendemmiare. Nel Veneto succede. Chi vota Lega è diventato ricco e la prima cosa che fa il ricco che è stato povero, è dividersi dai poveri. Alza barriere per difendere il benessere finalmente raggiunto.


E dimentica la fraternità che un tempo respirava nella devozione delle chiese. Il Veneto era bianchissimo e pio: cresce negli affari e si affloscia nella morale. Schei e basta. Via dalla scuola, subito guadagnare. Solidarietà e tolleranza sono spazi meno frequentati dai nipoti di chi tagliava legna in montagna o partiva con la valigia dell'emigrante.


Anche lì: quando andavano in chiesa si rendevano conto di dover lottare ogni giorno con la natura imprevedibile. Secche, alluvioni, gelo. Da chi dipende la natura se non da Dio? I poveri si aggrappavano a Dio.


Forse i ricchi hanno meno bisogno di Dio?


Credono di non averne bisogno anche se lo frequentano nell'ufficialità delle cerimonie. A Messa la domenica. Quasi un rispetto per il folclore. Ma siamo tutti un po' sbandati. La trasformazione degli ultimi cinquant'anni sono state tali da rendere difficile l'adattamento mentre continua la mutazione. È una stagione di transizione e la transizione resta faticosa sia nei percorsi dell'umanità che nell'evoluzione delle persone. Quando il bambino diventa adolescente si sente diverso. Ogni giorno il corpo cambia e cambia lo sguardo nella scoperta delle cose. Per generazioni la povertà delle campagna ha avuto quale unico riferimento solo la terra, e il passare dalla semplicità dei gesti ripetuti ogni anno, ogni stagione, alla rivoluzione della scienza che esplora le profondità segrete della vita, ci angoscerà ancora per molto. Prima o poi arriveremo, anche se la domanda fondamentale non cambia: perché si allarga la distanza tra i ricchi e i poveri?.


Un partito si è organizzato per sacralizzare questa distanza...


Bossi ha avuto la grande intuizione. La pratica del credere che a me spetta più di te, è talmente consolidata da diventare norma. Che va organizzata e difesa. Nel mondo rurale o zappavi o non mangiavi. Impossibile capitalizzare perfino la ricchezza... Era segnata di anno in anno, e, per difenderla, l'anno dopo dovevi lavorare allo stesso modo: dipendeva dalla capacità manuale e intellettuale dell'indovinare le strategie guardando il cielo. Quando semino? Quando raccolgo? Meglio prima o dopo? Adesso la convinzione fondamentale consiste nel collocarsi nei punti strategici del movimento delle ricchezze per approfittarne senza considerarlo un furto verso chi non ha la stessa possibilità.


Furti da godere con la felicità di chi consuma il ben di Dio, invece hanno paura. Non riescono a vivere senza un nemico...


È chiaro che se vedo nel prossimo che frequenta le strade il pericolo della disperazione che la miseria può alimentare, la mia disposizione verso gli altri è già una disposizione che porta allo scontro di forza. Quando esco, esco armato.


Di parole che graffiano o con la pistola in tasca. Nei giorni di Tangentopoli lei era più ottimista. Un cambiamento, ripeteva, senza tirar giù i monumenti. Cambiamento dentro la gente, vittima inconsapevole della grande rapina. In un certo senso compativa gli imbroglioni: “Non erano neppure sfiorati dal sospetto di essere ladri, doppiamente ladri perché hanno arraffato e tradito la nostra fiducia”. Ma sotto le parole tremava un presentimento: che ritornino? Oggi, sono tornati?


Sono tornati e l'abbiamo sotto gli occhi... .


Partiti riciclati. Di certi protagonisti la P2 era il motore. Sono di nuovo in vetrina...


P2 e corporazioni restano modalità, ma la sottrazione per ingordigia di beni e diritti che dovrebbero essere comuni, è un delitto. A parte il ladro che ruba sistematicamente secondo un progetto di furbizia di cui magari è orgoglioso, l'idea che nell'accaparamento dei beni si sentano autorizzati a prendere più del cittadino qualsiasi, è una ladroneria ispirata al concetto distorto di priorità. Chi è qualcuno può, senza provare disagio. La confusione aiuta. Una volta la divisione, diciamo, tra aree politiche era grezza, persino offensiva, ma in qualche modo chiara. Adesso, all'interno di una stessa area politica si è perso il senso di un orientamento che non ha più ragione d'essere perché superato, ma non è stato sostituito da un altro. Ecco le frammentazione nel tentativo di cercare chiarezza. Divisioni che alla fine perdono il rapporto col presente. Piccoli nuclei, partitini, personalismi: fanno capire che non esiste un progetto comune. Ma fuori la realtà è diversa. Lo scopro ogni giorno lavorando al film documentario che sto girando attorno a Milano.


Titolo?


Ancora provvisorio: Periferia.


Olmi torna al passato della prima opera presentata a Venezia nel '59: Il tempo si è fermato, storia del guardiano di una diga nella solitudine di una montagna non incantata. La tecnologia delle turbine l'ha ferita, eppure il silenzio diventa l'incanto che trasforma il protagonista. Ma le periferie non sono silenziose...


È la sola realtà oggi afferrabile perché non si esprime in termini ideologici, si aggrappa alla pratica quotidiana degli umiliati. Il buon senso trova ancora un suo argine nelle classi esposte alle difficoltà della sopravvivenza.


Lo aiutano a capire due ragazze da poco laureate. Abitano nelle case che Olmi sta frugando. “Non sono lì per fare le osservatrici. Sono proprio andate a vivere lì, tra il meridionale mezzo integrato e gli extracomunitari che si meravigliano perché ci sono più palazzi che alberi. All'inizio erano guardate con sospetto: “Cosa venite a fare?”. Dopo un anno le hanno accettate”.


Olmi continua ad esplorare difficoltà e passioni delle persone attraverso le minuzie della quotidianità. Il suo racconto ricorda i racconti di Abraham Yehoshua, scrittore israeliano, anche se lo sfondo è lontanissimo: un mosaico affidato al minimalismo di cose insignificanti che compongono lentamente la grande realtà.


Ha raccontato tante volte Milano a cominciare dal bianco e nero de Il posto. Adesso riparte da fuori: come é cambiata la periferia della città?


Resta la spia sincera di una società in movimento. Suggerisce rimedi ai problemi che la crescita allarga. Anche l'osservatore esterno capisce che dove esistono le infezioni, nello stesso luogo si trovano gli anticorpi. Nuovi, perché tutto è nuovo. Le periferie del Novecento non ci sono più. Da principio, chi abitava in periferia pochi anni prima viveva nelle campagne. Quando l'industria ha cominciato ad assorbire le braccia della campagna, queste braccia avevano una testa contadina e riproducevano nelle case attorno alla città, le case dei loro borghi. Parlo della Bovisa: la diversità fisica dei suoi palazzi non impediva di ricomporre aie contadine nei cortili operai con ringhiera. Attorno coltivavano gli orti. Chi bussava in cerca di fortuna trovava altri contadini già allenati alla fabbrica e alla città senza aver tagliato le radici. Nessun immigrato si sentiva completamente solo. In un certo senso la visione della vita non cambiava. Il circolo affettuoso del borgo continuava dopo l'orario di lavoro ed era debole la coscienza metropolitana. Quando uno della Bovisa si spingeva a Porta Ticinese diventava forestiero.


Poi la guerra e la ricostruzione dopo il fascismo, il boom dell'industria...


La definizione è obsoleta: comincia il degrado. Le periferie diventano dormitori, si rompe il filo della convivenza che aveva legato le generazioni. Quando arrivano a Torino quelli del Sud, il senatore Agnelli si preoccupa del fatto che i torinesi accusano la Fiat di aver distrutto la città con l'invasione dei meridionali. Non era colpa loro. Non è mai colpa di chi arriva da fuori. Non possiamo per interesse prendere in casa la persona che non ci somiglia, pelle e parole diverse, e poi dire: guarda come sono diversi, il cibo, l'odore. Per vivere con noi devono adeguarsi. D'accordo, ma anche noi dobbiamo adeguarci.


Ed è la terza mutazione della periferia: da contadini ad operai, prima i padri poi i nipoti: adesso gli stranieri.


Sono i sussulti della storia a provocare sconvolgimenti come quello che abbiamo sotto gli occhi. Cambiano radicalmente la realtà mandando segnali tragici. La modificano nel tempo lasciando decantare il disagio. La periferia della Milano con la quale il mio film è in relazione, mostra i presupposti di un nuovo equilibrio: sta per concludere la fase di trasformazione che sociologi, architetti, urbanisti e politologi non avevano immaginato. Chi vive la periferia ha elaborato un progetto di sopravvivenza comune; gli espertoni non riescono a vederlo. Il vero medico è colui che sa interrogare il malato, interpretandone l'autodiagnosi. Se nelle periferie del passato le relazioni erano facilitate dalla cultura comune - ci si sentiva meno soli - le periferie di oggi superano la solitudine perché l'emarginazione favorisce le relazioni. È chiaro che se emarginazione, sofferenza e dolore sono l'unica mezzo per stare assieme, il costo da pagare è alto. Può accendere situazioni violente.


Cosa deve cambiare?


L'attenzione della centralità. È il luogo del privilegio, del denaro, dei laboratori intellettuali, del potere in tutti i suoi aspetti, anche positivi. Quando le periferie consolidano questo tipo di realtà, la risposta del centro è il rinchiudersi per conservare la supremazia - Pasolini ripeteva che il padre è il centro della città che comanda, la madre, periferia abbandonata...
Le città medioevali, cinte da mura, raccoglievano all'interno gli stessi poteri. La periferia cresceva fuori dalle porte. Arriva sempre il momento in cui la centralità conservatrice implode. Mangia se stessa. Ha bisogno ogni giorno di spalancare le porte per fare entrare provocazioni e novità. Come può il centro retrogrado risolvere i problemi della periferia? Solo le periferie hanno il potere di stimolare le modificazioni della città. Fleming cercava l'invenzione della penicillina quando si è accorto che attorno al recipiente dove coltivava i batteri, si era formato un confine di muffa. Durante il week end l'infermiere non aveva cambiato l'acqua. Fleming vorrebbe rimproverarlo ma nel cerchio della muffa l'infezione é stata eliminata. Ecco la scoperta per caso. Anche le periferie elaborano le loro difese non secondo un progetto scientifico precostituito, ma con la forza del voler sopravvivere assieme.


A Bagdad la gente vota fra le bombe. Bush promette altre guerre per imporre libertà e democrazia usando ogni mezzo, non importa se consentito o proibito. Ne Il mestiere delle armi lei ha raccontato la storia di Giovanni dei Medici, detto delle Bande Nere: signore della guerra alla testa di mercenari senza tenerezze. Tullio Kezich lo ha battezzato “il mestiere della morte”. Oggi la parola mercenario fa vergogna: si chiamano contractors, body guard, vigilantes. I loro Giovanni delle Bande Nere sono quotati in Borsa, o fanno i ministri di Bush. Che differenza c'é tra questi signori e le bande del suo film?


Cambiano le tecnologie, la realtà è la stessa. C'è un libro di Gabriella Pagliani, docente alla Cattolica, di Milano – Il

mestiere della guerra. Dai mercenari ai manager della sicurezza - dove si racconta come sono organizzate le truppe dei senza bandiera. Giovanni delle Bande Nere assoldava albanesi e balcanici, soldati micidiali. All'interno delle sue attività, imponeva rigore e disciplina esemplari. Non vedo la differenza tra il potente di ieri che affidava la gestione della conquista a uno specialista della paura, e il potente di oggi che paga i signori delle armi per ambizione di conquista o normalizzazione della realtà.


Riprendo il titolo di un bel film del suo passato: camminando, camminando, dove andiamo?


Camminando si vive. Credo sia una bella cosa.


Vero, ma in una vecchia chiacchierata lei si amareggiava ripetendo: siamo tutti nell'incapacità di agire e non siamo ormai capaci di credere a tutto ciò che dall'alto ci dicono i media e i poteri e le metafore berlusconiane. Come uscire dalla vita strana?


Diritto di ogni cittadino sarebbe proporsi ad una responsabilità istituzionale per cambiare la situazione. Illusione. Non è nella possibilità di tutti. Perché se io voglio affrontare l'autocandidatura, devo essere ricco. Più sono ricco, più dispongo di denaro e di mezzi di comunicazione, più ho possibilità di essere votato. Questa è la democrazia che vede l'accesso ai ruoli di potere solo attraverso la modalità della ricchezza e non attraverso la qualità del pensiero, della galantuomeria, della dignità umana.


Allora, camminando, camminando dove arriviamo?


Qualche volta mi chiedono che fine ha fatto il bambino de L'albero degli zoccoli. Quando parte sul carro assieme al padre, alla madre e pochi mobili, nella cartella di pezza porta un quaderno. Quel quaderno lì che cambierà il mondo.
Saranno le periferie in difficoltà a costruire muri di difesa per tutti, anche per il centro delle città quando la pestilenza busserà alla porta. Non tanto la distruzione dei corpi, ma la distruzione di una condizione di vita che l'essere umano si è in qualche modo costruita. Adesso scricchiola. In un bellissimo libro che ho amato - Emigranti per diletto - Stevenson insegue in America la donna della quale è innamorato. E il viaggio continua verso il Far West, sognato, agognato. Ma quando sta per arrivare ai confini dell'eldorado, incontra quelli che tornano indietro. “Dovete credete di andare? Il mondo è tutto uguale”.


L'eldorado non c'era...


Non c'era.


Allora inutile scavalcare le mura per conquistare il cuore delle città. Si può cambiare solo tutti assieme...


Abbiamo queste avvisaglie mentre stiamo tornando indietro.


Maurizio Chierici – L'UNITA' – 13/02/2005

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