BIBLIOTECA | | EDICOLA | | TEATRO | | CINEMA | | IL MUSEO | | Il BAR DI MOE | | LA CASA DELLA MUSICA | | LA STANZA DELLE MANIFESTAZIONI | | | NOSTRI LUOGHI | | ARSENALE | | L'OSTERIA | | LA GATTERIA | | IL PORTO DEI RAGAZZI |
Vico Faggi |
||||||
Antologia poetica |
Antologia poetica |
Corno alle Scale
ADDIO
Tu sventolasti a lungo
un fazzoletto bianco
e nel petto m'entrasti
perduta nell'uggia del giorno.
Vissi per un istante
schietto nelle tue mani
poi mi riprese l'ansia
del ritorno.
La nebbia d'intorno
cancellava il tuo sembiante.
SESTOLA
Foriamo la nebbia.
L'arcobaleno è come una spada
e le case sul palmo della mano
in un bagno di sole.
Nel cavo del monte
come dentro un'amaca, si riposa
Sestola baciata dalla luce.
E' veleno la guerra, partigiano,
fermenta nel sangue, si rivela
nei monti devastati, nei villaggi
bruciati,
nei compagni caduti.
Non è tempo di sogni, non voltarti
ai tuoi monti, agli anni inconsapevoli.
L'infanzia è bruciata coi villaggi,
nel presente la guerra
- non voltarti! -
il futuro sarà
forse
leggenda.
Lontano, sui tornanti
del sentiero
i partigiani
sembrano
formiche.
RAGAZZO
La morte ti colse all'improvviso
cieca alla tua giovinezza.
Due giorni durò la tua agonia.
Ricordo: dal pagliericcio
stillava il tuo sangue di ragazzo,
misurava il tempo.
Che sa il mondo del tuo sacrificio?
Solo tua madre e i tuoi compagni
ti piangeranno, ragazzo caduto,
e solo per noi, nelle giornate di sole,
i fiori selvatici dei prati
grideranno il tuo nome.
DIMENTICATO RITROVATO
Timorosa esitando mi offrivi
le labbra e il tuo assenso.
Così penetrasti nel silenzio
del mio sonno; ed io fui
per lo spazio di un sogno, felice.
La luna la palma ed il mare:
sei apparsa
una notte di marzo, verso l'alba.
LA COLLINA
Rossa, impregnata di luce
alla sua finestra, sul paese.
La ritrovava all'alba
e ogni volta stupiva.
Sul paese vegliava la collina.
Inutile il tuo viaggio, fermati,
non ritroverai la casa,
la collina non ritroverai.
Nessuno ti ricorda,
nessuno ti chiamerà per nome.
Quegli anni non esistono più.
Ci sono mai stati?
Scorre lungo la terra
vento di polline e d'ansia.
Ma rossa, di luce acerba impregnata,
benevola incombente la collina
veglia sulla mia infanzia.
VIA EMILIA
Della via Emilia, amici,
io vi voglio parlare.
La polvere il sangue la sua gente
il verde che taglia
i casolari e gli anni che cucisce.
Via Emilia è una strada come tante
una striscia di polvere e d'asfalto
arsa dalla canicola.
Le automobili passano rombando.
I ricordi scavano trincee.
La città è calda nei suoi tetti
sorride d'intonachi e di piante.
Dicembre le case quiete
la neve sulle aiuole
e le ragazze liete
per un pugno di sole.
("Si chiudono sul nostro esilio
le grandi vetrate, amico Faggi.
Di là il mondo la luce
le strade la vita che ci sfugge
qui i lettini di ferro e le pareti
imbiancate di calce ")
E' gennaio il treno se ne va
il sole tinge la nebbia
sfiora i pioppi la luce
sorridono i rossi cascinali
terra dei partigiani Emilia.
Ora il parco riveste i tuoi colori
primavera esitante. Si colorano
i getti delle pompe contro il cielo.
I bambini si tengono per mano
un pensionato legge lUnità.
Voglio parlarvi, amici,
della via Emilia, del
sangue della sua gente.
Dove sono le nostre brigate
fiorite dalla neve di due inverni
e dai monti discese
nelle giornate d'aprile?
Io mi fermo guardo intorno cerco
il volto inquieto ardente
dei compagni.
Dove siete finiti? Cosa fate?
Ora i mercanti affollano le piazze
e i partigiani cercano lavoro
nelle miniere del Belgio.
Modena, 1947-48
DALLA CASA PATERNA
Gli scocci i ciappini i ratatuggi,
queste cose
che la polvere stringe, stinge l'abbandono,
buste lacere, volti sconosciuti
su foto sbiadite smangiate,
un libretto di piccolo risparmio,
qualche polizza incendio,
una del monte dei pegni,
queste povere cose,
le fatture strappate, le marche,
gli illeggibili nomi, i vecchi mobili scuri,
queste sono le tracce
di una vita
che fu vostra, fu mia.
Che turbine spazza le carte!
Sono fuggito, basta, ora soltanto
il distacco mi vince.
Padre, madre, è l'addio
a voi, alla vostra, alla nostra
comune esistenza, all'amore
che tanti anni ci strinse.
Soltanto ora capisco
che fu irrevocabile il saluto
sul colle di Monteobizzo
là di fronte al Cimone.
Eppure lo sento, voi siete
vicini, qui presso, qui accanto
e già vi librate, vi sciogliete
dalla vecchiezza triste, dalla stretta
del suo pugno grinzoso.
Ed ecco siete ritornati
ai vostri giovani anni
ai borghi ai paesi che vi dettero
un asilo, un rifugio.
Ed io con voi, nella casa, bambino
indugio nel cerchio di luce,
le mani mi proteggono
di mio padre, di mia madre.
Si allontana il quadro, si riduce.
Infranta la visione
si scompone nel prisma delle lacrime.
Sette poesie
FINE DEL '43
A Giorgio Caproni
Treni di notte, treni in fuga, lanci
di messaggi nel vuoto, per l'ignoto.
L'uomo ramingo esplora
a tentoni la via, e avanza, e ignora
quale che sia la meta.
I lunghi fischi inquietano le tenebre,
sussultano alla voce i penitenti,
i mostri si rintanano nei brevi
sogni dei rari dormienti.
Quid nox ferat, incertum
Io rivedo il mio gesto, che sul vetro
appoggiavo la fronte. Di là il buio,
la pioggia amara, il vento. Lo sgomento
d'una gente tradita. Il treno ansava,
chissà dove portava la mia vita.
Ovidio, Corinna
UT STETIT ANTE OCULOS
Posito velamine, caduto
ogni velo Corinna fu diritta
dinanzi ai tuoi occhi che stupiti
esitando guardavano: perfetta
tutta in ogni parte la figura.
Quam castigato planus
sub pectore venter!
Pura la luce ne fluiva mentre
tremito prendeva
la tua mano.
Sei esule ora, e triste. Addio.
La tua mano cerca e non ricorda.
Tempo, Ovidio, di elegia.
Fuga dei versi
DAL VERBO POIEIN
A Franco Croce
L'atteso, l'imprevisto,
la perdita, l'acquisto,
il pieno, il vuoto, il
tutto che scontra il nihil.
Qualcosa che hai cercato,
qualcosa che è donato.
Qualcosa che si fa, la poesia,
e qualcosa che avviene.
Si fa seguendo l'onda
d'una piccola frase (nella scia
ti lasci, ti riprendi), la visione
d'una valle, di un'eco, dello splendido
corpo amato sognato
(lo evochi, si impone,
lo trattieni, ti tiene);
qualcosa che si fa, che avviene, la
poesia se rispondi
col ritmo, la visione
(la grazia transeunte, la passione)
al nulla che t'invischia, ti attende, ti spia.
DAL CAPODANNO
Attizziamo le braci nel camino.
Sono qui, sono perse, le radici?
E voi, parole antiche?
Notte pura, le nevi, dritte querce
alla casa di Gino. Tonfi lievi
ci giungono da fuori,
e tremiti, sussurri. L'anno muore
un altro gli succede.
La vita procede. Gli occhi azzurri
ha il bambino Matteo.
Battevano piano alla soglia
(ictus, arsi, spoglia trenodia)
della coscienza i cari
scomparsi.
A STURLA. MATTINO
Una luce, un riflesso. Quel barbaglio
ti fulmina, dal vetro, e tutto il borgo
si ridesta, s'arruffa. Che mattino
freddo e festoso! Un gorgo
si smuove di ricordi, se ne sfogliano
i dispersi stupori. Dolce stilla
il frutto della vita. E si fuorvia
nel battere del ciglio, nello spazio
dal riflesso del vetro alla pupilla.
UN QUADRO DI COVILI
Il notturno chiarore, i suoi riflessi
bagnano d'argento le pareti. In cucina
il contadino mangia la sua minestra.
Il cucchiaio si arresta. Tutto è immobile.
Solitudine, il buio ed il silenzio,
quella segreta luce
lo staccano da sé, gli riconducono
i pensieri e i ricordi
che s'erano perduti, che ignorava.
La deserta cucina è un alveare,
parole vi si affollano, le care
voci note, voci sconosciute
s'incontrano, si parlano fidenti
fra le povere mura.
Tutto il dolore di generazioni,
le speranze, l'amore, la vita
della rustica casa
ritornano in quest'ora che è raccolta
nel silente lucore della notte.
SU UNA TAVOLA DI LIBERTI
Nella sera del mondo già si annullano
ombreluci sul mare. Unica voce
è la risacca, e strologa. Seduta
mi rivolge le spalle, mi sconosce
innocente ed ignuda, una fanciulla.
Non si volge. Il suo sguardo
ostinato si perde nell'azzurra
estensione del mare;
ma un alito di vento le sussurra
i miei versi.
CITTA' DI NOTTE. NOTTE SUL GIARDINO
Le luci disegnano la notte,
i bianchi fili sulla sua lavagna
si tendono, si arruffano, dipanano
graffiti e arabeschi
tramando caseggiati, strade, piani.
Un palazzo s'invola, tu l'arresti,
basta un cenno delle tue mani.
Fili di ragno scrivono la notte
nel giardino fatato dove i grilli
le farfalle le piante le libellule
le fanciulle s'incontrano, si chiamano
entro il magico circolo, nel vento
di questo buio misterioso, attento
al cenno della tua mano.
EIDOLON
Gli occhi, le labbra, ed il piede, la mano
di te lodai, e l'anima, il carisma:
svariava la tua immagine nel prisma
degli affetti, dei sogni, ma lontano
recedeva il volere, il tuo: la mano
non s'offerse ed il piede non si volse
verso di me, né mai le labbra sciolsero
l'impietoso sigillo, né un umano
sguardo dagli occhi cadde. Dunque escluso
sono dal cerchio magico, dal vivido
virginale giardino. E nell'astruso
impulso di raggiungerti, nel brivido
d'averti, possederti, qui ti suscito
eidolon, sogno, weidolon, mio idolo:
statua, visione, immagine che abbia
di te il piede, le mani, e gli occhi, labbra...
Poetando cose
O SAISONS, O CHATEAUX
O miei vecchi castelli, mio Frignano,
Ove corsi ragazzo ricercando
l'avventura, l'amore,
forse il bandolo
della mia vita.
miei diruti castelli,
vecchi spalti corrosi, uno straniero
va ricercando sulle vostre mura
la mano del ragazzo, la sua cauta
carezza ed il suo sguardo
sperduto tra i calanchi, nella baita
dispersa tra i pini,
mutilato maniero, vecchia torre
eversa, lo straniero
porta seco per sempre la fantasima
del vostro cotto antico, dell'amico
profilo che s'eterna
contro il cielo, nell'anima
LA NEVE, LE NEVI
Al capitano Toni
Les neiges d'antan? Le nevi di una volta?
No, la neve, una sola, che immensa si snoda
nello spazio, nel tempo, che converte
nel suo silenzio, nelle bianche guglie
senza macula, il suo
incombere di serpe.
Notte, rischio,
il passo ti si affonda, la pattuglia
avanza nella terra di nessuno, si sperde.
Ti può cogliere Morte mentre freme
il silenzio più puro, e la neve è vergine, e
ha brividi la notte e in alto tremano
le stelle che tua madre nominava per te?
DAL FRIGNANO. MATTINO
Con quella sferzata di luce
il mattino dipinge la facciata
della rustica casa sotto il crinale del monte
ed il suo giallo è un grido
che dagli anni risale
e gridano gli anni furenti
la gioia
di quei colori ritrovati
la pena gridano dei giorni
cancellati
e lo stupore del vecchio
grida l'incanto del fanciullo
accorso un attimo a fronte
del giallo che è esploso sulla casa
arresa sul dorso del monte.
Signora d'Albuison
INSONNIA
Mia compagna l'insonnia,
ancora non albeggia.
Ripercorro i miei giorni, sin da quelli
giovanili e perduti. Quanti sogni
hanno trovato adempimento, quanti
esiliati, caduti,
rimasero per via Ma da domani
il mio viaggio riprende. Sulla scia
troverò nuovi incontri ed il più atteso
avrà il tuo nome, il tuo viso, le tue mani.
Svolte
EPICEDION
La strada di campagna
tra gli spini le razze
ripida rapida ascesa
tra i ciottoli le pietre le boazze
l'odore di pollaio. Ne l'aria sospesa
una gallina chioccia
Fruscia il silenzio, frémita. Se tendi
l'orecchio, se la sorte
ti assiste, se questa
è l'ora propizia,
forse dalla penombra
di quelle siepi magre
per un attimo forse
ti raggiungerà
giovane non velata
non incrinata voce
tua madre.
S'affaccia.
E' ragazza.
Scompare.
Scendi deluso, incontri l'asfalto
sulla strada declive.
Un'insegna uno smalto e già s'adàgita
s'aduggia si rifugia dietro valli di ontani
l'isola delle ville. Tu sai dov'è la casa
di Bellentani: solida
nelle sue pietre quadre
bene scheggiate, ma
sul cancello sono sbocciate
le ragnatele, fiore di Lete. Ignara
la dimora si tace.
Da quanti anni se ne è andato
il vecchio chirurgo che aveva curato
tuo padre?
E il tempo il silenzio ti stringe d'assedio
nell'ora di questo epicedion.
FRIGNANO. SILENZIO
Quanta pace, Friniates, che silenzio,
questo verde più verde lo difende,
lo sguardo si protende
di crinale in crinale
sino al Corno alle Scale
musicale=
mente.
Che vai cercando? Tracce
di affanni, di cacce, di spari,
ansiti dolceamari
del tuo cuore allo sbando
come quando
Thanatos tinseguia.
Bei posti del Frignano, che ironia
la distanza suprema dei monti:
del giovane che fosti
non troverai le impronte
poi che non conti
niente.
(Una luce sorgiva di fonte
perlacea trasparente
inargentiva tutto l'orizzonte).
A CASA
Il cánone il cannone la cannuccia:
compitava il bambino. Piano piano
l'uggia lo catturava. Di lontano
chiamava alla Messa la campana.
Ed è la stessa
che s'immette nel sogno
in quest'ora di notte.
E rintocco a rintocco
si alterna, si eterna.
Nella casa paterna
Si ritrova il bambino,
si ritrova bambino.
Tutto è uguale, e spettrale.
Lo prende l'ansia, sciama
di stanza in stanza, chiama
i suoi cari, li cerca.
La dimora è deserta.
Intra domum
DISCENDEVA LA PACE
Discendeva la pace alla misera terra
e gli uomini nel cielo
ne scrutavano tracce.
In una sede minima, dispersa
nell'universa ecumene,
esperta segreta una mano guidava
i passi di una giovane
e provvida ispirava
la via ad un soldato
poi ch'era decretato
il loro incontro
in quel giorno
30 d'aprile del '45.
Et de nobis fabula narratur.
CASA DI GELLO
Risorge, ca' di Gello, mi carpisce.
Grevi d'anni di ombre di fumo
le sue pietre. Ciascuna
dal passato si sporge.
Il vento che mi torce è nostalgia
di ricordi smarriti,
è grumo
di passione
indecifrato.
Perché qui
tra le mura
ho sostato
sotto il segno
di Thànatos.
Riappare, mi scuote, mi scruta,
col suo grido mi stana
Casa di Gello
suggello
di una stagione, un'anima perduta.
Pavullo,
inverno 1943-44 - estate 2001