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Circolo di poesia


LETTERA in VERSI

Vico Faggi

editoriale

Profilo bio-bibliografico

Antologia poetica

Intervista

Antologia critica

Antologia critica



[In Quaderno partigiano] Faggi riunisce, con un gruppo esiguo di versi, anche prose di memoria partigiana o del settembre 1943 e i temi danno la misura immediata dell'atmosfera del discorso. Che è nettamente rievocativo e ricostruttivo, con una forte connotazione polemica nei confronti di una situazione attuale giudicata con gli occhi della delusione storica: […] ma Faggi sa andare molto oltre, traducendo nella disposizione turbata e impropria degli oggetti, ad esempio, la difformità dell'entusiasmo e dell'esito, o incardinando nell'esemplarità di disordinate risultanze simboliche, al limite della visionarietà, il senso dell'iato fra esperienza sofferta e presente vacuo e arido. (Giorgio Bárberi Squarotti, «Arte e poesia», nn. 2-3, 1969)

Si tratta di una raccolta [Corno alle scale] che abbraccia un lungo periodo […] Pur trattandosi d'una esperienza così protratta nel tempo, colpisce in essa una fondamentale coerenza di stile, che, partendo da un gusto classico di base, ovunque presente nella esigenza di una forma semplice e nitida, si svolge in movenze e metri modernamente liberi, o nella ricerca di un linguaggio in cui si fondono gli elementi di una cultura composita (dai classici greci e latini) alla lezione dei più autorevoli autori moderni. Tra le caratteristiche principali della poesia di Faggi è il vivo senso del paesaggio, non già in funzione descrittiva o pittorica, bensì rintracciato fra le pieghe dell'anima sulle orme del passato. (Sergio Solmi, Prefazione a Corno alle scale, 1981)

La memoria (intorno ad essa si sviluppano quasi tutte le liriche di Corno alle Scale, monte dei ricordi partigiani ed emblema di una vita), mentre si costituisce come contenuto intrinseco e spinta propulsiva dell'emozione lirica, assolve la funzione di placare, slontanandola, l'immediatezza sentimentale e di ricondurla nell'alveo di un ricordo commosso, ma pacato e sublimato nel dominio estetico. Ciò spiega perché anche le poesie potenzialmente più disponibili ad accendersi dei toni del pathos e della retorica, come quelle della lotta partigiana (retorica da cui è letteralmente alluvionata la maggior parte della produzione resistenziale!), vissuta in prima persona da Faggi, (si veda la sezione all'interno della silloge, intitolata Quaderno partigiano) si presentino come limpide trascrizioni di sentimenti e di accadimenti, ormai filtrati e depurati dal gioco di una memoria che si è fatta parola sapiente, ritmo e suono dell’interiorità. (Graziella Corsinovi, «L’Agave», quad. n. 2, 1984)

Vico Faggi (1922) […] nella sua silloge Corno alle scale del 1981 ha fuso il mondo poetico della memoria e del mito, dello scorrere ineluttabile di Cronos con la rievocazione nitida dell’esperienza resistenziale (Francesco De Nicola, in L’ulivo e la parola, Genova, Sabatelli, 1985)

Quanto alle forme, linguistiche e metriche, è facile desumere […] il loro estremo (ma sempre sorvegliato, mai esibito, mai fine a se stesso) polimorfismo, anche se l'endecasillabo sembra largamente predominare. Un endecasillabo moderno, franto, disatteso: del tutto in armonia con tanta sottile, e attualissima, sperimentazione di parole, strofe, assonanze, ecc. Quel che importa, e va dunque ripetuto, è che l'emozione, filtrata, essenzializzata, vi permane: quella emozione che diciamo poetica, infinitizzante. Il fuoco è forse volutamente un piccolo fuoco, la tenebra degli anni folta, la confusione dei linguaggi più folta ancora; ma il lucore ed il tepore della poesia persistono. (Adriano Guerrini, Prefazione a 7 Poesie da, 1985)

Lo spessore non fittizio del filtro poetico è assicurato all'arte di Faggi dal fondo consistente e sempre attivo della sua sperimentata educazione classica (anche qui si ha la presenza di Platone, Alceo, Pindaro, Seneca ... ) e dalla frequentazione intensa di poeti moderni italiani e stranieri. Tra i primi manifestamente i vociani e lacerbiani (da Sbarbaro a Jahier), soprattutto Montale, da cui Faggi sembra proprio derivare, oltre la lezione etica e l'esemplare asciuttezza del verso, la suggestione del transito dagli autobiografici Ossi al simbolismo delle Occasioni, e anche il lombardo Rebora (e alle spalle forse il Carducci di Odi barbare e di Rime nuove, e qualche echeggiamento dannunziano in talune evocazioni femminili); tra i secondi invece almeno quegli scrittori a cui lo stesso Faggi intitola varie sue liriche esplicitando così il libero ri-uso (come oggi si dice) delle «fonti», e non solo le fonti letterarie (Scève, Baudelaire, Brecht, Hesse, Heym, Pasternak…) ma anche gli stimoli desumibili da pitture e disegni (Covili, Liberti, Cézanne…) (Lanfranco Caretti, Prefazione a Fuga dei versi, 1986)

Percorrendo questa isotopia fonologica e semantica antico moderna Vico Faggi è quanto mai lontano dal citazionismo culto dei poeti professori e tanto più dalla vena neoterica di certi sperimentatori d'avanguardia. Egli non vuole affatto épater les bourgeois col suo plurilinguismo, che si allarga anche al tedesco e al francese. L'origine prima di questo deragliamento verbale è, a mio parere, inconscia, se è vero che l'Es ha una struttura linguistica che rivela-occulta contemporaneamente le pulsioni profonde e rimosse. Si dovrà dire, allora, che il poeta gioca col discorso, assecondando talora sollecitazioni fonico-memoriali riaffiorate per anamnesi, inventandosi accoppiamenti paronomastici («Ariston men hydor / Ristanno mio idolo») e persino pretesti vocabolarieschi («Wánassa ánassa basílissa») lungo i quali rincorrere la figura, l'eidolon, l'archetipo di Afrodite (Angelo Marchese, postfazione a Fuga dei versi, 1986)

Ma della pittura […] questa poesia conserva e ricrea a suo modo il rigore-compositivo, che essa affida al nitido tracciato delle strutture metrico-ritmiche, esemplarmente evidenziate da un fitto, sapientissimo intreccio di rime (rime interne, sdrucciole, assonanze e consonanze, quasi rime… […] Amici, pittori ha le grandi, vive luci dei suoi quadri e in più la memoria e l'amore che essi hanno segnato; il suo linguaggio segue e foggia limpide rime. (Vittorio Coletti, Prefazione a Amici, pittori, 1986)

In Faggi l'esperienza poetica è una delle forme della sua molteplice scrittura: drammaturgica, saggistica, per non dire delle felicissime traduzioni dai classici. Proprio nei confronti di questi ultimi la sua poesia ha più di un legame, nel gusto della variazione letteraria o del rinvio iconografico e immaginativo. Questo ci porta nel particolare uso del linguaggio poetico di Faggi: il suo è un testo leggero - lavorato spesso su rinvii culturali che lo assottigliano nel gioco degli echi - breve e rapido, deliberatamente usato come fuggente, forse effimero per «dirci» lo spazio inevitabilmente esiguo dell'esperienza umana e della sua voce, insidiata com'è da un nulla calmo, ma ineluttabile. Il verso è allora una fioca resistenza, un ritaglio nel silenzio e nello scacco della storia (nei confronti della quale più testi muovono il risentimento morale di un uomo che ha combattuto e ha vissuto la delusione dei propri ideali). Tema centrale della poesia è la rilevazione o affermazione dei segni, siano essi le immagini vivide della personale epica partigiana (Quaderno partigiano), oppure il riscontro con opere figurative (la pittura è alimento costante di questa poesia), infine il segno puro, cioè il nome o la materia linguistica (esibita spesso attraverso giochi e sperimentazioni). (Stefano Verdino, in La poesia in Liguria, Forlì, Forum/Quinta Generazione, 1986)

Davvero la donna è il mito centrale della poesia di Faggi perché in essa si concentra quel nodo di estasi e sofferenza legato al distacco psicologico dell'io dalla realtà, che rappresenta, a mio avviso, la peculiare forma del pathos di questo poeta, e la correlativa spinta all'espressione. La donna in questi versi, e già in quelli giovanili presenti nella prima raccolta, è sempre immagine, visione, sogno, quadro, letteratura, poesia, memoria, mito, nome; essa è Ifigenia, Orsolina la Rossa da Gaiato, Bissula, la ragazza di Alceo, Ofelia, Afrodite. (Elio Gioanola, Prefazione a Sette poesie, 1987)

Uno tra gli elementi più appariscenti del suo fare poetico, che, in evidenza già nella prima raccolta, è ribadito in Fuga dei versi come costante dei procedimenti creativi di Faggi [è] l’interiorizzazione del dato culturale, letterario o pittorico, come memoria profonda, come impulso creativo e suggestione evocatrice di momenti espressivi inediti, entro cui si articola una liricità limpida e ben disegnata. Lontani dal sospetto di un’esibita accademia, il plurilinguismo (è frequente il ricorso a latino, greco, francese, tedesco, inglese), il prestito, il calcolo o la ri-traduzione (cfr. Da Bertold Brecht, - Da Hermann Hesse - Da Pindaro, ecc.) o la traccia ispirativa da quadri (Da un Cézanne, Da un quadro di D. G. Rossetti, ecc.) indicano una precisa cifra di lettura della lirica di Faggi. (Graziella Corsinovi, «L’eco e l’alone»: tecnica e poesia di Vico Faggi, Forlì, Forum/Quinta generazione, nn. 165-166, mar.-apr. 1988)

«Eidolon»: un sonetto caudato (ce ne sono tre nella raccolta) che, con il suo ritmo evoca una presenza magica, vivissima: l’immagine che ne scaturisce risveglia un’emozione che direi sensuale. Ma a poco a poco il sogno si allontana, il desiderio dilegua e rimane l’abbandono alla pura contemplazione della bellezza. (Wilma Bitossi Cerutti, Intervista a Vico Faggi in «Fuga dei versi», Forlì, Forum/Quinta generazione, nn. 165-166, mar.-apr. 1988)

La vergine fanciulla "che nasce ogni anno dal mare" è creatura reale, viva, modernamente dinamica: la sua corsa sulla spiaggia, il tuffo nelle acque spumose, il suo scomparire all'orizzonte lasciandosi dietro il nitido segno di uno sci d'acqua, la sottraggono alla convenzionalità di un classicismo di maniera per presentarcela pulsante di vitalità e di agile bellezza, pur nella sua aura quasi divina. Un'immagine concreta e tuttavia dal contorni indefiniti, sfumati, alonati; occhi, capelli, corpo: il poeta ne disegna i tratti essenziali, ce ne suggerisce lo splendore, ma non si sofferma a descriverne i particolari. L'allusione è più suggestiva. La figura di Corinna è pura luce […] che abbaglia lo sguardo di chi ardisce mirarne le radiose forme. Al suo apparire ella porta con sé il vivido chiarore dell'alba, e all'alba, nel sogno, più insistente, più tentatrice si fa la sua presenza nel desiderio inappagato del poeta. (Caterina Barone, Postfazione a Da Ovidio, Corinna, 1988)

[La] dimensione onirica, che predomina sullo spazio e il tempo reali, affranca la protagonista dall'urgenza del quotidiano e la eleva a incarnazione dell'eterno femminino: non una ma cento figure di donna si celano sotto le sue iridescenti forme; scrigno di pulsioni e sentimenti di versi, Corinna diventa il simbolo stesso dell'amore: proiezione di una somma di immagini, divina forza ispiratrice di una poesia sentita, nei suoi momenti estremi, come invasamento. (Caterina Barone, Postfazione a Da Ovidio, Corinna, 1988)

[…] con schivo e tenace approfondimento, spoliazione e progressiva ricerca la poesia di Vico Faggi, […] ha continuato ad eliminare scorie, a farsi ignuda di un superfluo pure a prima vista intenso fino a raggiunge nell'ultima silloge, Da Ovidio, Corinna, il suo esito più alto. In questa (Corinna come donna reale e amore sofferto, Corinna la Donna, l'Amore, la Poesia) egli realizza un'interscambiabilità perfetta fra la levità della metafora che alona di infiniti echi l'immagine della donna e la carnalità del reale che toglie ogni artificio letterario alla metafora. (Donatella Bisutti, «ClanDestino», n. 3, 1989)

La suggestione di questi versi di Faggi [Da Ovidio, Corinna] sta nella presenza ora immanente ora proiettata a distanza, di una mitologia perenne: ora di pure evocazioni nominali, ora di immagini; ma nomi e figure possiedono a loro volta una carica di tempo, nel tempo si insediano nostalgie, rimpianti, i nomi pullulano un'arsa realtà, il reale si rovescia nel figurale: e tutto si rarefà, si appuntisce in una pronuncia precisa, fortemente scandita che segna i tempi di un cristallizzarsi, visivo, della suggestione come in un ripetersi di vibrazioni dentro e al di là della pagina. (Ferruccio Ulivi, «ClanDestino», n. 3, 1989)

Una poetica personale è racchiusa nei versi dell'ultimo libro [Da Ovidio, Corinna] di Vico Faggi, in cui ars amatoria e ars poetica coincidono. Lo suggerisce lui stesso: «Corinna è anche una metafora. Di che cosa? Forse dell'umana aspirazione alla felicità. Ma anche di quella cosa metamorfica che è chiamata poesia» (p. 8). Io intendo di più: Corinna è verifica di un metodo, di un processo operativo, è un viaggio alle origini del fare poetico. La memoria di luoghi e di eventi che altre volte ha mosso Vico Faggi a poetare è qui, dichiaratamente, memoria di lettura; ma la filiazione di Corinna dagli Amores è soltanto un atto di identificazione – un sortilegio - dal quale procede il diritto a una nuova identità: il furto poetico di un nome, di una figura - di un fantasma sillabico - dà luogo a un processo di decostruzione, all'abuso e all'oblio del modello. (Marisa Bulgheroni, «ClanDestino», n. 3, 1989)

Se dunque la vocazione classica di Faggi scende nel profondo, ben oltre la patina formale e l'amorevole fedeltà alla misura, e rappresenta un'attitudine esistenziale a rapportare vita personale e mistero dell'esistenza, variante e invariante, passato e presente, antico e moderno, ben si comprende come l'asse tematico di Poetando cose sia il dialogo col proprio passato (con la propria ragione e i propri sogni), mentre l'asse formale è il quieto equilibrio fra misura classica e moderna libertà metrica, il piano, fraterno trascolorare della lingua dal latino all’italiano. (Pietro Gibellini, Prefazione a Poetando cose, 1990)

Svolte costituisce dunque una sintesi dei motivi fondamentali della poesia di Vico Faggi; ma costituisce anche, oltre che un punto di arrivo, un punto di partenza per ulteriori approfondimenti e per successive conquiste d'arte di uno dei poeti più significativi dell'odierno panorama ligure. (Liliana Porro Andriuoli, «Arte Stampa», Anno XLVIII, n. 4, 1990)

Con Poetando cose Faggi definisce ormai compiutamente le sue tematiche, il suo stile espressivo, le sue forme poetiche, con un timbro assolutamente personale e di sicuro valore artistico, che lo distingue per originalità tra i poeti della sua generazione, e con una presa estetica che coinvolge il lettore soprattutto per le soluzioni linguistiche adottate. […] Non c'è dubbio che sul rapporto con la classicità, che è recupero di figure, miti, mitologhemi, citazioni dirette e filologicamente fedeli di rapidi inserti per lo più ovidiani, virgiliani, lucreziani, comunque al di fuori di criteri postmoderni, si gioca l'intima e necessaria ragion d'essere della poesia di Faggi. (Giorgio Taffon, «Galleria», n. 3, set.-dic. 1991)

C'è in queste pagine [Il giudice, il poeta] l'ansia di recuperare almeno in parte un passato irripetibile; di far rivivere i momenti esaltanti di una giovinezza trascorsa nel pericolo, faccia a faccia con la morte, eppure sorretta da una speranza invincibile, da una fede ben salda nel domani, che avrebbe certo consentito una più civile convivenza tra gli uomini. E c'è, dopo questa fiduciosa attesa e dopo la lotta generosa per un mondo migliore, la delusione di chi ha visto cadere quelle illusioni nel pantano del conformismo e dell'egoismo. C'è la ricerca del giovane che l'autore fu un tempo, coi suoi ardimenti e con le sue certezze, considerato oggi con invidia (come il Faggi stesso ci confessa ne Il dubbio) per ciò che egli possedeva e che ormai nell'uomo adulto si è irrimediabilmente perduto. E c'è il pellegrinaggio nei luoghi in cui si svolsero gli episodi di quella guerra, nel vano tentativo di recuperarne i segni e le testimonianze ancora vivi nelle menti dei superstiti. Ma soprattutto c'è la rievocazione, fatta con semplicità e schiettezza, di quegli eventi, che vengono evocati con tanta maggiore efficacia quanto più la scrittura si spoglia di ogni orpello retorico, facendo così risaltare gli episodi nella loro essenzialità e dando loro un alone che li ingigantisce e li esalta (si vedano specialmente le pagine de La morte di Primo e della Lettera al più giovane). (Elio Andriuoli, «Nuovo Contrappunto», Anno I, n. 2, 1992)

Ai grandi temi di Eros e Polemos si aggiungono Mnemosine e Hypnos, che li compenetrano e ne prolungano la durata dal passato al futuro. E c'è un altro protagonista che, dichiarato fin dai programmatici Assiomi della sezione iniziale [di Fuga dei versi], recita un ruolo primario anche quando non è direttamente in scena: "Chronos / inreparabilis fugit", "Non ha tregua // la fuga di Chronos". Il fluire dei versi, parallelo a quello della vita, subisce una progressiva accelerazione trasformandosi in fuga, sì che la poesia da resistenziale si fa prevalentemente esistenziale, o meglio può avere ancora una funzione di resistenza, ma di ben diversa natura: le precarie apparizioni della donna, facce di una divina eppure umanissima Afrodite, le frammentarie lusinghe dei ricordo, il baluginare dei sogni hanno bisogno, per ottenere il diritto a resistere, dei rigore formale della poesia, la quale diventa allora l'ultimo baluardo, l'estrema difesa nella guerra contro il Tempo. (Davide Puccini, «La Riviera Ligure», Anno III, n. 9, 1992-93)

Se forte è l'afflato che Faggi sente per l'artista a cui sembra "proporre" il suo verso, è però sempre un quadro, una particolare opera che motiva l’ispirazione. Ne viene una possibilità di "riconoscere" nella parola, nei ritmi le connotazioni precise della pittura o della scultura che li hanno provocati. Ne nasce un gioco fascinoso di immagini a specchio […] Si direbbe che Faggi voglia conservare la presenza percettiva e visiva dell'opera che lo muove e riesce così a comporre in rievocazione lirica la sua competenza di conoscitore d'arte. L'altra opera, l'altro mezzo espressivo, riescono a preservare, nelle sue parole e nelle nuove immagini, la loro peculiarità plastica e formale. (Ada Morchio, «Nuovo Contrappunto», Anno III, n. 4, 1994)

[…] il tuo virtuosismo metrico (esibito con molta decisione sin dalla risentita clausola della prima strofe "musicale=/mente" [della poesia Frignano, silenzio]) non è fine a se stesso. Fa invece tutt'uno con il sentimento ispiratore, che è di rimpianto, sì, ma - come dire? - di un rimpianto non gravoso. Un rimpianto senza troppi intenerimenti. Che può iscriversi in una preziosa citazione del tuo latinismo di sempre, fin dal primo verso (il vocativo "Friniates" tra le due calme esclamazioni "Quanta pace" "Che silenzio"). Che può correre su (in una scala nello stesso tempo geografica e musicale) nelle rime in "ale" inseguentisi nella chiusa della prima strofe. Che può correggere la violenza degli "spari" nella puntuale rima "dolceamari". Che può raggelare l'empito del "cuore allo sbando" nel massimo di letterarietà di "Thanatos t'inseguia" per poi ribaltarsi (al di là di un vocativo ricalcato efficacemente su modelli illustri, "bei posti del Frignano" con il ritmo di "bei monti della sera") nella vigorosa rima "che ironia", in una dichiarazione scopertissima di disinganno, incredibilmente, meravigliosamente, sposata alla "distanza suprema dei monti". (Franco Croce, Lettera a Vico Faggi, Genova, Pirella, 1996)

Ed ecco che questa figura femminile, emersa dal passato e priva di connotati reali, prende corpo, si rivela una creatura non malleabile ma dotata di vita propria, incarna nel breve volgere dei dieci versi una delle mille possibilità e subito muta forma, quando poi questa metamorfosi non sia la sua caratteristica essenziale. (Davide Puccini, Postfazione a Signora d’Albuison, 1996)

Ut pictura poesis naturalmente, ma in due modi diversi, ora trascrivendo in poesia i modi del pittore […] ora introducendo motivi quasi di dialogo sui sentimenti, i ricordi, le sensazioni comuni con gli artisti conosciuti; ed è naturale che in una poesia siffatta la sinestesia giochi il suo ruolo… (Giuliano Manacorda, «I limoni», Latina, Caramanica, 1996)

Vico Faggi, auteur dramatique à succès, bâtit dans Corno alle scale (La nique aux échelles, 1981), le monde poétique de mémoire et du mythe de l'inexorable temporalité, évoquant clairement l'expérience de la résistance ; tandis qu'en Poetando (Poétisant, 1990) il cherche dans l'évocation du quotidien rapport avec le mystère de vivre et les conditions de sa dignité. (Bruno Rombi, La poésie ligurienne d’aujourd’hui, in Eugenio Montale et la poésie ligurienne du XXème siecle, Cahier n. 41 de «Poésie Rencontres», Lyon, oct. 1996)

La poesia di Vico Faggi tende alla suprema purezza dell’epigramma classico, come compendio di un concetto, di una visione del mondo, di una figura del sentimento, di un’epifania di bellezza o di grazia, anche al di là della misura breve, in più distese forme di evocazione e di riflessione. Le citazioni classiche vi hanno la funzione di mostrare la perfetta circolarità fuori del tempo della poesia, quando voglia essere discorso delle forme pure. Non per nulla Faggi dedica una serie ampia di testi ad amici pittori e scultori. E’ la poesia della poesia, di altre modalità di poesia, che nasce e cresce sulla rivelazione di bellezza di altri per potere alla fine offrire la propria ulteriore scoperta, la propria verità di parola e di immagine che si aggiunge agli antichi e ai moderni. L’ironia vale a rilevare la consapevolezza all’operazione, e a rendere in qualche modo più ilare anche il gioco erotico di testi e immagini, che nascono dal distacco dello sguardo più che dalla partecipazione più diretta dei sensi. (Giorgio Bárberi Squarotti, in Storia della civiltà letteraria italiana, vol. 5, tomo II, Torino, UTET, 1996)

La poesia di Faggi si è frequentemente arricchita di motivi storico culturali; questa volta il modello è la poesia provenzale e l'occasione è la ricostruzione, ovviamente fantasiosa, del proprio vero nome (Orengo) come derivazione di Orange, o meglio Raimbaut d'Aurenga. Da questa premessa, che potrebbe avere il senso di una scommessa, nascono trenta acrostici di dieci versi, tanti quante sono le lettere che compongono il nome di Margherita riportate, come vuole il modello, nelle iniziali dei versi. Ma al punto d'arrivo quasi si perde il gusto dell'alto gioco formale o della fredda costruzione obbligata, tanta è la purezza del verso che finisce per simulare una passione vera per questa remota Margherita d'Albuison. Vien quasi fatto di pensare a una donna dello schermo. (Giuliano Manacorda, «I limoni», Latina, Caramanica, 1997)

[…] mi pare che con sempre maggiore consapevolezza la poesia [di Faggi] lasci emergere una vena elegiaca di altissimo valore, che ci comunica indubbiamente il senso della fine, non sai se individuale o epocale (come in certi latini dell’età argentea da lui amati e tradotti); ma l’accento (come spesso in Leopardi) non è posto sul buio che ci aspetta, bensì sulla luce che abbiamo goduto e continuiamo a godere come un dono prezioso giorno per giorno. […] Faggi è sempre attentissimo al significante ed organizza suadenti impasti sonori, pur tenendosi ben lontano da ogni eccesso di retorica. (Davide Puccini, «Nuovo Contrappunto», Anno VII, n. 3, 1998).

Impegno civile ed essenzialità di scrittura, uniti ad un costante vagheggiamento della classicità latina e greca, caratterizzano questo poeta, il quale sa raggiungere con semplicità la più alta commozione così come sa efficacemente servirsi dell'arma pungente della satira. Tra i temi fondamentali da lui affrontati, oltre a quello della guerra, che gli ha ispirato alcune delle sue poesie più significative, vi è quello dell'amore, che sovente prende l'avvio dalla poesia classica, come avviene nella lirica Ut stetit ante oculos, di ispirazione ovidiana. Altro tema importante della poesia del Faggi è quello della ricerca della propria identità di uomo e di poeta e degli imperativi morali che reggono la sua esistenza. Notevole rilievo ha in lui inoltre il tema degli affetti familiari, che s'incontra, ad esempio, in poesie quali Non perché, San Giovanni a Quarto, Dalla casa paterna. (Elio Andriuoli, in L’erbosa riva, Torino, Genesi, 1998)

La sua poesia, dalle ascendenze classiche, ma calata nella modernità di un linguaggio essenziale, […] si pone come visione non omogenea della vita, ma come continua registrazione dell'improvviso stendersi di situazioni minime e apparentemente irrilevanti che danno il senso della frammentarietà dell'esistenza, e della contraddittorietà del comportamento umano. (Stefan Damian, in Autori liguri contemporanei/ Autori liguri contemporani, Piatra Neamt, Editura Nona, 1999)

Le sue poesie vertono soprattutto sugli affetti familiari e sulla Resistenza intesa come lotta per salvare la propria dignità di uomini liberi [e] lo stile è [sempre] limpido e conciso… (Margherita Faustini, «La Squilla», Anno LXXV, n. 1 gen.-feb. 1999)

L’ultimo libro di versi di Vico Faggi, Svolte, edito nella collana di Vanni Scheiwiller, All'Insegna del Pesce d'Oro, si presenta un po' come una summa dei motivi fondamentali che ispirano la sua poesia: i ricordi dell'infanzia e della prima giovinezza, ruotanti intorno alla casa paterna, alla quale egli qui più che altrove fa ritorno con la mente e col cuore; le immagini della guerra partigiana e dei compagni caduti; l'esame senza indulgenze del proprio vissuto; gli amori e gli stupori che hanno accompagnato il suo cammino. Ma soprattutto vivo è in queste pagine l'acuto sentimento del fuggire del tempo, dell'effimero durare dei nostri giorni, che non appena hanno raggiunto la loro pienezza già iniziano a declinare; dell'apparire e sparire di ogni cosa che più ci affascina e ci rallieta nel volgere breve di un'ora. (Elio Andriuoli, «Vernice», Anno IV, nn. 11-12, 1999)

[La poesia di Vico Faggi è] impostata su alcuni nuclei tematici fondamentali: il sentimento del fluire del tempo; la memoria di una giovinezza che nel dramma della guerra aveva trovato la sua occasione di affermazione etica prima ancora che civile e politica […]; l'affiancamento frequente ad amici-pittori per cui la poesia nasce dall'occasione di un quadro, di un dipinto, ne diventa quasi il commento in versi; la riflessione metapoetica sul fare poesia… (Luigi Surdich, in La lirica in Liguria dal secondo dopoguerra ad oggi, Atti del convegno, Accademia di scienze e lettere, Genova, 2002)

 

 

 

Recensioni

L. Porro Andriuoli, Tredici poeti per il terzo millennio, Le Mani, Recco - Genova, 2003, pp. 530, € 25,00

        

           Vico Faggi è per Liliana Porro Andriuoli uno dei poeti da consegnare al nuovo millennio appena iniziato. Gli altri sono alcuni a cui abbiamo dedicato precedenti numeri della nostra newsletter, come Margherita Faustini, Bruno Rombi, Aldo G.B. Rossi e Guido Zavanone, quindi già noti ai nostri lettori. Ad essi si aggiungono Elena Bono, per cui stiamo preparando uno dei prossimi numeri, Aldo Capasso, Giuseppe Cassinelli, Cesare Guglielmo, Italo Rossi, Giulio Stolfi, e Anna Ventura.

          Elena Bono è indubbiamente una delle voci più intense e profonde del nostro attuale panorama letterario, sia come poetessa che come romanziera e autrice di teatro. La sua attenzione va soprattutto all'uomo e al suo destino, di fronte a cui si pone con un senso di intima religiosità che la porta a considerare la vita, pur nella sua concretezza storica, nella prospettiva della finalità trascendente. 

         Aldo Capasso è figura di grande spessore lirico-figurativo, legato soprattutto alla fondazione del Realismo lirico, che la studiosa cerca di mettere nella prospettiva che merita nel panorama della produzione poetica novecentesca, non ancora pienamente riconosciutagli.

          Di Giuseppe Cassinelli si sottolinea la capacità di realizzare una forma espressiva caratterizzata da una compiuta sintesi tra classicità e poesia pura, dimensione non consueta nella lirica del Novecento.

           La produzione poetica di Silvano Demarchi viene presentata come caratterizzata dall'aspirazione alla bellezza, a cui si accompagna lo stupore estatico per la natura, in una costante tensione  alla ricerca da parte del poeta del sé e del proprio significato nel cosmo.

             In Cesare Guglielmo l'autrice rileva soprattutto una continua tensione verso la luce, verso un aldilà che completa e sublima la dimensione terrestre.

             Il desiderio di luce è anche motivo dominante della poesia di Italo Rossi, in cui quest'elemento acquista il valore di consolante speranza.

             Giulio Stolfi è poeta dall'accento espressivo originale per quella sua calibrata dosatura di Neorealismo ed Ermetismo, che lo porta a riscattare liricamente la durezza del paesaggio e della vita nella terra, la Lucania, di cui si fa interprete.

             La poesia di Anna Ventura vive in un sospeso e ardito equilibrio tra concretezza e senso del mistero, il che la porta a riscattare la prosasticità dell'esperienza quotidiana con l'interrogarsi sul senso stesso del nostro vivere.

            La lettura dell'ampio e articolato saggio di Liliana Porro Andriuoli scorre gradevolmente per l'esposizione chiara e precisa, con puntuali riscontri sui testi poetici degli autori esaminati. Un saggio puntuale, preciso, molto utile anche per l'ampia documentazione bibliografica.

            Alla fine ci si può chiedere che cosa accomuni questi tredici poeti da consegnare al nuovo millennio. Certo, la profondità della riflessione, attraverso la parola poetica, sull'esperienza esistenziale dell'uomo nelle sue variegate forme e situazioni, un andare comunque sempre oltre l'immediatezza del vivere, un tentativo comune di penetrare nell'esistenza storica e individuale, cercando di oltrepassarla nel dubbio, nel mistero, nella ricerca, nell'indagine, nell'interrogarsi. Inoltre tutti i poeti sono contraddistinti da un' intensa ricerca espressiva: il loro linguaggio poetico è sempre originale, creativo, intensamente ed efficacemente espressivo, ma anche costantemente aperto e disponibile alla comunicazione con il lettore.

 

Rosa Elisa Giangoia
  

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