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MUSICA

Fossati: la mia Italia perduta

La bellezza e la lucidità della semplicità. Ecco la chiave di lettura dell'ultimo Ivano Fossati, un uomo che, per i suoi cinquant'anni ha riscoperto la meraviglia delle piccole cose: una nuova banda che suona il rock, un nuovo approccio che ha allontanato “l'enigmistica” della parola, come dice lui, digerendo con amore la lezione del suo vecchio amico Giorgio Gaber, che tanti anni fa lo rimproverava affettuosamente di essere troppo macchinoso. Il suo atteso Lampo viaggiatore, da oggi nei negozi, è forse il suo disco più immediato, “banale” nella misura in cui sono le cose importanti quando la frenesia di un'Italia in cui “la morale si è allineata verso il basso”, impone di metterle di nuovo a fuoco. Un uomo che ha accettato le sue paure: quelle di vivere in un paese che lo preoccupa, di cui è dolce ricordare i momenti e gli scorci del passato, ma senza nostalgia. Quello che segue, è il nuovo Fossati-pensiero, raccolto ieri in un incontro a Roma.

La semplicità

“Jacques Brel raggiungeva una tale intensità nella sua semplicità narrativa che disgregava l'ingenuità stessa. Spero di essermi avvicinato a lui in questo disco. In passato ho sempre avuto paura di dire cose banali, per questo ho costruito i pensieri in maniera più complessa di quanto ce ne fosse bisogno. Stavolta ho cercato di ri-innamorarmi della canzone, e l'ho fatto cercando parole che non avessero doppie letture, soprattutto che non evocassero nostalgia, perché credo che in questo momento non ce ne sia proprio bisogno. Questa leggerezza è una sorta di reazione ai tempi che viviamo, un tentativo di non appesantire ulteriormente le cose e una volontà di guardare più in alto, scoprendo una forza che non credevi di avere.

La paura del nostro tempo

“Nel primo brano, La bottega della filosofia, intendo dire che si può essere dignitosamente spaventati dal tempo in cui si vive, e io oggi lo sono. Definirsi un “visionario che cerca un congedo che sposti il tempo” vuol essere un'ammissione di paura. Vuol dire che si può affermare che ci sono angoli del tempo, anche dieci, venti anni fa, che mi apparivano migliori. Tempi in cui era migliore il grado di temperatura morale degli uomini”.

Giorgio Gaber

“E' la stessa paura che ha espresso Gaber in alcune interviste dove diceva: a me fa paura l'allineamento verso il basso, il fatto che stiamo lentamente disgregando. E mi sento italiano esattamente alla maniera di Gaber non perché non ho altra scelta, ma perché non voglio avere un'altra scelta. Sono felice di vivere nel mio paese e nel mio tempo. Ma credo che è un tempo molto difficile. Né di destra né di sinistra come lui? Certo. Non ho aspettato l'ultimo momento per intuire la lucidità di Gaber. Ci vedevamo spesso, parlando di possibili collaborazioni. Lui aveva affetto per me e io, a dir poco ammirazione”.

Come negli anni Settanta

“Per raccontare questo disco devo partire dal precedente, lo strumentale, in cui ho lavorato su musica che doveva bastare a se stessa. L'insegnamento è stato formidabile e quando mi son messo a lavorare su questo disco ero libero dalle ossessioni del passato. Libero di tornare a fare l'autore di canzoni come se stessi lavorando per qualcun altro. Mi sono detto: scriviamo un disco per questo interprete, questo Fossati, per poi accorgermi che era in tutto e per tutto un disco mio. Ed è stato più leggero. La canzone che apre il disco è nata così: invece del piano ho preso una chitarra e mi sono fatto trasportare da lei. Ho evitato anche di usare la tecnologia, lavorando come negli anni Settanta con Oscar Prudente, quando i dischi nascevano da una giocosità vera, basta pensare a La mia banda suona il rock. Sento un imparentamento con certi dischi dei primi anni Ottanta come Panama”.

La locomotiva

“Sono un uomo antico. Nel disco ci sono molti riferimenti ad un mondo passato. La fissazione per la locomotiva che poi è finita sulla copertina del disco arriva dal passato: era la locomotiva che da bambino mi portava alle colonie estive. E' uno dei tanti frammenti di ricordi, piccoli francobolli di tempo che vorrei sperare che fossero non nostalgici, perché si può ricordare senza nostalgia, con lucidità. Io vivo questo tempo con tutta la presenza che ho. Non piango del passato e non voglio creare nostalgia. Un buon modo di pensare la memoria: più lucida e meno piena di cascami. Il passato è un fotogramma. Sta lì”.

Uomo contemporaneo

“Nella canzone Contemporaneo si parla di desideri mediocri verso cui si corre. Non sono io che osservo gli altri che corrono e desiderano, sono uno di loro, con la lingua di fuori. Perché casco nelle trappole di tutti. Detto questo sento che c'è una rinascita civile, qualcosa che nel nostro paese si sta muovendo. Nel testo de La bottega di filosofia parlo di gente che non sa che rivoluzione fare, ma è un testo assolutamente ironico. E' vero che c'è una parte della mia generazione che ha parlato molto e che in buona parte è rimasta delusa, una parte che ha avuto altro a cui pensare, e un'altra che ha parlato di rivoluzioni senza forse neppure sognare di farle. Questa canzone prende in giro me e quelli come me, alcuni più di me”.

Il treno della sinistra

“Mi sento un po' solo, anche per mia volontà e non me ne lamento. Solo con la libertà delle mie idee. Le idee, come insegnava Gaber, sono molto più complesse delle appartenenze, degli slogan dietro le quali le si vuole barricare. La frase di Io sono un uomo libero (canzone nata come gioco, una specie di ritratto per Adriano Celentano) “La vita è un viaggio lento ragazza mia, né di destra né sinistra”, vale anche per me, soprattutto adesso. E mi descrive molto meglio di come sia stato descritto dagli altri negli ultimi anni. Mi sono sentito tirato troppo per la giacca e non è un gran che piacevole, né divertente. Sono rimasto uno che vota a sinistra, sto aspettando come tanti un treno su cui salire, quando partirà bene”.

Il fischio del vapore

“Il successo di Gregori-Marini significa che ci sono sacche sospettabilissime di sensibilità ed intelligenza alle quali, se gli artisti vogliono, possono parlare. Francesco ha fatto una bellissima operazione che ricorda il famoso disco in genovese di De André: quando annunciò l'idea i discografici la presero come una minaccia. Dopo averlo fatto si capì subito che era un capolavoro. Gli artisti non devono chiedere consigli a nessuno”.

Silvia Boschero – L'UNITA' - 07/02/2003



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