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MUSICA

Fossati: “Libri, dipinti e viaggi, così nascono le mie canzoni”

Un sentimento di felicità, di serena accettazione della vita, ispira il nuovo spettacolo di Ivano Fossati, che sarà il 27 febbraio al Carlo Felice.

Uno show essenzialmente acustico, dove la purezza del suono esalta le parole, e dove altri suoni nascono per opera di curiosi e buffi marchingegni.

Fossati, perché ha scelto una dimensione più acustica?

Non è una novità in assoluto, però fa cambiare le abitudini, il modo stesso di tenere in mano gli strumenti o di creare gli arrangiamenti. E questa sarebbe già una nota di freschezza, Ma non è solo questo. Ci sono elementi di felicità in questo tour rispetto a qualsiasi altro del passato: è una coincidenza bella e fortunata che ci avvolge da qualche tempo.

Lei sembra più sereno.

Credo che non ci sia nulla al mondo che faccia meglio dei cambiamenti. E il pubblico percepisce una energia diversa, per qualche verso nuova.

La leggerezza è un valore importante?

No, la stiamo mitizzando e può diventare persino pericolosa, perché leggerezza è un termine ampio che può comprendere tutto: dal voler affrontare la vita con un leggero distacco sino all'imbecillità totale. Nel mio caso, non si tratta di leggerezza ma di un modo diverso di camminare attraverso le mie esperienze.

Perché oggi si scopre la letteratura, l'arte e poi si fanno canzoni?

Ho sempre pensato che l'ispirazione potesse venire da un libro, dalla passione per la pittura oppure di ritorno da un viaggio. Un grande baule, uno scrigno da aprire ogni tanto per attingervi a piene mani. Ma prima devi riempirlo.

E lei lo ha fatto?

Sì, ero certo che vivere intensamente, imparare il più possibile mi avrebbe aiutato a scrivere. Ora non so se questo sia diventato un fenomeno, ma per me è sempre stato così e ho sempre immaginato gli artisti che amavo fare la stessa cosa.

Era vero?

Penso di sì. Credo che siano persone che prima vivono le cose, e viverle significa anche leggere molto, parlare con altri, viaggiare, avere degli interessi vivi, e dopo si scrive.

Mi fa un esempio?

Paolo Conte: sono convinto che tutto quello che fa sia frutto di una cultura di vita, cioè di quello che ha vissuto giorno per giorno. Cito lui per fare un esempio, ma ce ne sono mille altri in ogni parte del mondo.

Una volta lei ha immaginato una linea che parte dalla Liguria e risale, per volti e caratteri, sino alla Lusitania. E' ancora così?

Sì, è tutto come prima, ma il percorso è più confuso, tortuoso. Oggi siamo colpiti da contrapposizioni sociali e religiose, in un Paese neppure sfiorato per anni da queste cose. Pensavamo che il mondo tutto sommato somigliasse al nostro. In realtà, chi ha tracciato queste linee per il mondo, chi ha viaggiato in senso intellettuale e politico, chi ha compiuto veri e propri viaggi dell'anima ha sempre incontrato questi intrecci, i conflitti sociali, ha sempre conosciuto i conflitti religiosi; ha sempre conosciuto una realtà che semplicemente oggi comincia a varcare le nostre porte, ma è nota da secoli.

Perché la musica, oggi, torna a prevalere sulla parola?

Perché negli ultimi trent'anni la parola ha avuto davvero il predominio, e il caso italiano dei cantautori è stato emblematico a livello europeo. Io credo che oggi i ragazzi si scontrino con una minore capacità di trovare i contenuti. I più giovani riscoprono che si può scrivere una canzone deducendola dalle letture, che per noi è sempre stato normale. E l'altro binario dell'espressione, cioè la musica, prende il sopravvento come negli anni '30 e '40 in America.

L'epoca di Duke Ellington, e cosa succedeva?

La musica era complessa e bellissima, basti pensare alle grandi orchestre. Ma le parole erano un esilissimo supporto perché un cantante potesse dire cose semplici e carezzevoli. Anche divertenti, ma senza grande spessore.

A lei piace?

Ho sempre amato una sorta di equilibrio: gli artisti che possono raccontare cose interessanti e profonde, ma con una grande attenzione alla musica.

Da cantautore, lei ha sperimentato molto. Lo fa ancora?

Io mi lascio trascinare, è come se fossi legato alla coda di un grosso pesce, alla balena di Pinocchio. Non faccio progetti. A volte mi sento portato per un'espressione più melodica, com'è stato “Lampo Viaggiatore”, oppure un po' più complessa.

Lei evita sempre di raccontare la storia recente. Ma nello show c'è una canzone di forte attualità?

Sì, è “Pane e coraggio”, sugli immigrati. L'ho scelta per aprire il concerto perché è il momento in cui sono più vicino al pubblico. Siamo faccia a faccia, ed è un tema che conosciamo bene, sul quale riflettere.

Si può essere artisti sensibili e persone amorali?

Sì, è una grande contraddizione, ma conosciamo storie di artisti molto diversi nella vita reale da quello che hanno rappresentato nella vita sognata o scritta. Ho imparato che dove c'è un sipario ci sono due verità: una davanti, l'altra dietro. Raramente gli artisti sono simili a ciò che scrivono.

E il pubblico? Può commuoversi e poi essere intollerante o razzista?

Certo, un film può far piangere la gente per una storia commovente, ma questo non la rende più buona. Ci si commuove per una canzone o un libro, ed è come se per una manciata di minuti si potesse pensare di essere diversi.

L'ultimo bel libro che ha letto?

Una biografia su Mozart, il musicista che ha avuto le migliori biografie in assoluto, spesso molto divertenti. In questo libro c'è un pensiero di Mozart che mi piace: la felicità non è altro che l'idea che se ne ha. E' uno dei pensieri belli che ho incontrato ultimamente.

Tony Renis vuole riportare la canzone al centro del Festival: gli crede?

Come progetto è ottimo. Per anni e anni, le canzoni sono state solo un piccolo pretesto per montare una macchina pubblicitaria e spettacolare. Se questa tendenza venisse invertita, sarebbe già un bel merito.

Intervista di Renato Tortarolo – IL SECOLO XIX – 21/02/2004



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