PARLAMENTO ITALIANO |
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Seduta di mercoledì 8 agosto 2001 |
GIOVANNI DE GENNARO, Direttore generale del dipartimento della pubblica sicurezza. |
ALBERTO ZIGNANI, Comandante generale della Guardia di finanza |
SERGIO SIRACUSA, Comandante generale dell'Arma dei carabinieri |
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BOZZA NON CORRETTA |
COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI,
DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
1a (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL
CONSIGLIO E DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
COMITATO PARITETICO
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 10,05.
Indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
Audizione del direttore generale del dipartimento della pubblica sicurezza, Giovanni De Gennaro.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca,
nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione
del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del direttore generale
del dipartimento della pubblica sicurezza, prefetto Giovanni De
Gennaro, il quale ha chiesto che a questa audizione partecipino anche
il dottor Cazzella e il dottor Savio. L'ufficio di presidenza ha
ritenuto di acconsentire a detta richiesta. Non essendovi obiezioni,
così rimane stabilito.
Saluto il nostro ospite e lo
ringrazio per aver accolto l'invito.
Ho spiegato nell'ufficio di
presidenza ciò che è avvenuto ieri. Nel tardo
pomeriggio, l'ufficio di presidenza, il presidente, ha ricevuto un
plico contenente il documento che vi è stato sottoposto. A
seguito di una telefonata, al fine di conoscere la natura degli atti
stessi sotto il profilo della segretazione o della riservatezza, il
dottor De Gennaro, a tutela dei nominativi, ha ritenuto opportuno
inviarmi un secondo documento - che è quello che avete dinanzi
- dove vi sono gli omissis relativamente ai nomi. Quel
documento è stato distribuito, questa mattina, a tutti i
componenti il Comitato. Nell'ufficio di presidenza si è
convenuto, quindi, che questo documento -
dinanzi a voi - possa essere utilizzato da noi tranquillamente, nel mentre dovrà essere distribuito - ed è in corso di fotocopiatura - il documento con i nominativi che resta in regime di riservatezza. Credo che possiamo procedere in tal modo proprio a tutela - poi forse lo spiegherà meglio il dottor De Gennaro - dei nominativi presenti nella narrativa dei fatti, ritenendo lo stesso che, in qualche modo, possano essere oggetto, da parte soprattutto degli esterni, di qualche forma di ritorsione o altro. Quindi, poiché il Comitato ha necessità di conoscere i nomi e anche i ruoli degli stessi - al fine di poterli, eventualmente, ascoltare o per altre considerazioni -, si è ritenuto di procedere in questo modo: del documento in vostro possesso possiamo fare l'uso che vogliamo; dell'altro segnalo la riservatezza e ripeto che sarà in distribuzione a momenti, nel corso dell'audizione del dottor De Gennaro.
MARCO BOATO. C'era il consenso?
PRESIDENTE. Sì, l'abbiamo
convenuto.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo ricordo
che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità delle sedute del Comitato è
realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144
del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione
stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è
garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche
mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso,
che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in
separati locali.
Se non vi sono obiezioni da parte di alcuno,
dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso,
ricordando, chiaramente, che, se ci fossero domande e circostanze per
le quali il dottor De Gennaro ritenga debba essere evitata
la pubblicità, sarà sua cura rappresentarcelo e
provvederemo di conseguenza. Pertanto l'impianto può essere
attivato.
Ringrazio, nuovamente, il dottor De Gennaro. Signor
prefetto, è stato convocato per riferirci fatti a lei noti -
anche per la responsabilità che ha nel ruolo che riveste -
relativamente ai fatti avvenuti a Genova in occasione del G8. Le do
senz'altro la parola affinché svolga la sua relazione.
GIOVANNI DE GENNARO, Direttore generale del dipartimento della
pubblica sicurezza. Grazie, signor presidente, desidero
innanzitutto esprimere la mia gratitudine a lei ed a tutti i deputati
ed i senatori presenti, per l'opportunità, che mi viene
concessa in questa alta sede istituzionale, di fornire gli elementi
di informazione a mia conoscenza sulle vicende collegate al vertice
del G8 di Genova. Spero con ciò di contribuire alla
comprensione di qualche accadimento e dubbio.
Prima di avviare
l'esposizione della mia relazione, signor presidente, la ringrazio
per aver richiamato l'attenzione dei membri del Comitato con la sua
raccomandazione. In effetti, vi sono fatti oggettivi, come attentati
a danno di strutture di polizia - cito, per ultimi, l'attentato di
Bologna e quello alla caserma dei carabinieri di Genova -, che
inducono ad attivare misure prudenziali nei confronti dei funzionari
e degli appartenenti alle forze di polizia. Personalmente, ho già
disposto l'attivazione del comitato provinciale per l'ordine e la
sicurezza pubblica di Roma per eventuali misure (qualora venissero
ritenute necessarie) di protezione dei funzionari maggiormente
esposti con i loro nomi sui giornali, in questi giorni.
Signor
presidente, venendo alla sua richiesta di esporre in una relazione
ciò che è a mia conoscenza, debbo esordire dicendo che,
per disporre di una piena cognizione di tutti i fatti, bisogna
partire dalla complessità delle misure di sicurezza
necessarie, proprio per garantire la sicurezza di Genova e del
vertice. Una complessità di misure determinata non soltanto
dall'importanza di questo evento, ma anche dalla concentrazione di un
numero cospicuo di personalità ad alto rischio ed anche - non
vorrei sottovalutare tale aspetto - dalla necessità di
coniugare i pur collaudati sistemi di controllo e di vigilanza con le
numerose e pressanti esigenze, rappresentate da più soggetti,
interessati, a vario titolo, al vertice.
Con i paesi membri del
foro di cooperazione, per esempio, è stato necessario tenere
un costante confronto, anche con momenti di vivacità
dialettica, le cui conclusioni non hanno potuto fare a meno di
privilegiare, ogni volta, le esigenze di sicurezza, pur nella
doverosa attenzione alle problematiche prospettate. D'altro canto, la
valutazione del rischio, ponderata sempre con grande attenzione ed
altrettanta misura dal responsabile della sicurezza, anche di fronte
ad allarmi che venivano lanciati in sedi istituzionali ed
extraistituzionali ha richiesto, in alcune circostanze, qualche
cortese, ma pur ferma, messa a punto, che ho espresso nel mio ruolo
istituzionale di responsabile tecnico della sicurezza pubblica a
livello centrale.
In ben quattro riunioni del comitato nazionale
per l'ordine e la sicurezza pubblica (dalla prima del 16 novembre
2000 fino a quella svoltasi il 24 maggio del 2001), sono stati
vagliati ed analizzati i rischi di carattere internazionale, le
difficoltà logistiche per la sistemazione delle delegazioni,
quelle non meno pressanti per la sistemazione dei rinforzi e,
soprattutto, l'esigenza di garantire la sicurezza del G8, senza
impedire la vivibilità delle aree cittadine interessate e di
quelle connesse con l'individuazione di una o più aree
decentrate, dove poter autorizzare lo svolgimento delle preannunciate
manifestazioni del dissenso.
Le esperienze di vertici precedenti - Seattle, Nizza, Göteborg
-, che non avevano consentito un normale svolgimento, ma, anzi,
determinato, in un caso l'impossibilità delle delegazioni di
raggiungere il luogo dei lavori, in un altro la prematura conclusione
degli stessi o, ancora, lo spostamento notturno dei membri di alcune
delegazioni, non potevano essere fatti da sottovalutare. Non potevano
essere lasciate inevase nemmeno le preoccupazioni degli apparati di
sicurezza o le connesse richieste dei governi stranieri, che
esigevano di prendere cognizione delle misure di sicurezza previste e
chiedevano garanzia assoluta della loro tenuta di fronte a qualsiasi
tipo di attacco, sia di natura terroristica sia di contestazione, nei
confronti dei Capi di Stato e di Governo presenti.
Questo era il
clima ed il livello di allarme. La semplice rilettura dei titoli
delle testate giornalistiche italiane e straniere del periodo
antecedente al vertice può essere un utile riferimento.
L'impegno è stato massimo e finalizzato a conciliare le
tre esigenze che il Governo ha inteso assicurare: lo svolgimento
sereno del vertice per i circa 8 mila componenti delle delegazioni,
un numero molto elevato; la vivibilità della città, con
una limitazione dei disagi per i genovesi; la tutela del diritto di
manifestare il dissenso nelle forme lecite e pacifiche,
contestualmente allo svolgimento dei lavori negli stessi luoghi.
Ricordo, poi, che, in relazione a quest'ultima istanza, sin dal
novembre dello scorso anno, l'autorità di governo aveva scelto
la linea del confronto con le organizzazioni del dissenso,
improntata, comunque, ad un'opzione favorevole allo svolgimento di
manifestazioni ed iniziative di critica pacifica dell'evento
internazionale. Quella linea del confronto sui temi
della contestazione si è poi fisiologicamente tradotta in
una forma di successivo dialogo, durato sino a pochi giorni prima del
vertice.
È naturale, quindi, che, per coniugare le
esigenze di sicurezza con quelle di un numero molto elevato di
manifestanti, alcune scelte tecniche siano state rivisitate,
soprattutto per favorire il trasporto dei manifestanti, l'accoglienza
e la sistemazione di quanti erano in arrivo a Genova. In tale
contesto, ho personalmente partecipato due volte, il 24 ed il 30
giugno, a Genova - sempre assieme alle autorità provinciali di
pubblica sicurezza -, ad incontri tecnici con i rappresentanti delle
organizzazioni del dissenso. In entrambe le occasioni ho ascoltato le
richieste e spiegato le esigenze generali di sicurezza; ho rinviato,
comunque, le soluzioni alle decisioni ultime delle autorità
locali di pubblica sicurezza. Ho costantemente ribadito l'esclusiva
competenza di queste ultime a stabilire le modalità di
svolgimento delle manifestazioni, così come quella di impedire
qualsiasi iniziativa non compatibile con l'ordinamento e con la
tutela dei luoghi di svolgimento del vertice e dei partecipanti alla
sessione di lavoro.
Nello stesso quadro dialettico, e in piena
sintonia con le valutazioni svolte anche dagli organismi centrali,
sono poi maturate le decisioni finali del prefetto e del questore,
ciascuno nella rispettiva competenza, sulla temporanea riapertura
della stazione di Brignole a favore dei convogli straordinari dei
manifestanti in arrivo e in partenza da Genova, sulla individuazione
dei luoghi delle manifestazioni di natura sia statica sia dinamica
fino alla decisione ultima, dettata da contingenti motivi di
opportunità, di autorizzare per esempio un corteo nella
giornata del 20 luglio in una zona di ponente della città, in
precedenza esclusa alle manifestazioni.
A fronte di tale disponibilità istituzionale, devo
tuttavia rilevare che, nel corso degli incontri cui ho presenziato -
come, del resto, mi è stato riferito in tutte le altre
occasioni -, sono sempre state sfuggenti ed evasive le risposte
sull'effettiva rappresentatività del Genoa social forum
rispetto alla totalità dei manifestanti, così come
imprecise sono state quelle sulla effettiva volontà di
cooperare con le autorità di pubblica sicurezza per lo
svolgimento pacifico delle manifestazioni. Traspariva talora una
difficoltà a fornire un quadro di riferimento armonico ed
unitario, talaltra una precisa determinazione a non rivelare appieno
i propri programmi od intendimenti, troppo spesso dissimulati dietro
un generico riferimento ad un indefinito concetto di «disobbedienza
civile».
Mi sembra utile al contempo sottolineare come di
converso, quando si sono volute dare assicurazioni sull'esito
assolutamente pacifico di talune manifestazioni, esse si siano
rivelate alla realtà dei fatti precise e consistenti. Ho anche
avuto modo di ribadire più volte che la disponibilità
dell'autorità locale di pubblica sicurezza a valutare con
ponderata attenzione le richieste di svolgimento dei cortei e delle
altre manifestazioni non avrebbe mai dovuto essere intesa come
tolleranza della illegalità e della violenza, così come
ho sempre chiarito che non sarebbe mai stata permessa la violazione
della zona di massima sicurezza, non solo perché in tal senso
erano stati assunti precisi impegni in sede internazionale (anche in
più riunioni presso il Ministero degli affari esteri), ma
anche e soprattutto perché precise responsabilità
istituzionali lo imponevano in modo inderogabile. In esito ad un
impegno assunto davanti alla delegazione di rappresentanti del Genoa
social forum, pur non rientrando nella mia diretta competenza,
mi sono altresì adoperato, sempre al fianco del prefetto
e del questore, con gli amministratori locali affinché
fossero individuate soluzioni per l'ospitalità dei
manifestanti; soluzioni però compatibili con le generali
esigenze di sicurezza.
La decisione della chiusura al traffico
dei soli caselli autostradali sulla direttrice città-aeroporto,
nonché del traffico veicolare per le sole porzioni temporali
coincidenti con gli spostamenti delle delegazioni dei Capi di Stato e
di Governo; l'apertura della stazione di Brignole per l'afflusso e il
deflusso dei treni speciali provenienti da nord e da sud; la
concessione da parte del questore di un percorso di corteo nella zona
di ponente - inizialmente, come ho detto, ritenuto non praticabile -,
sono tutte dimostrazioni di quanto si sia fatto per concretizzare la
convivenza di più esigenze legittime in un equilibrio, reso
ancor più delicato dall'orografia e dall'intreccio urbanistico
del capoluogo ligure.
Si è voluto evitare anche che il
singolo cittadino, in procinto di lasciare la città con la
famiglia per il fine settimana o di effettuare il tradizionale
pendolarismo da e verso il mare, potesse vedere limitato il proprio
diritto alla mobilità o essere addirittura esposto a pericoli
per la propria incolumità.
In ragione della complessità
dell'evento e dell'impegno richiesto alle autorità provinciali
di pubblica sicurezza, specie sotto il profilo tecnico-operativo, è
stato fornito costante e qualificato supporto al questore e
all'ufficio da lui diretto sin dalle prime fasi della preparazione
dell'intero piano di sicurezza. Anche a questo fine, in
considerazione del collocamento a riposo del prefetto Aldo Gianni
(originariamente inserito nella struttura di missione predisposta dal
Governo a supporto dell'azione organizzativa svolta a Genova), a
succedergli nell'incarico veniva designato il vicedirettore generale
della pubblica sicurezza, - il prefetto Ansoino Andreassi, - che ha
potuto così continuare ad assicurare qualificato punto di
riferimento, necessario per seguire un lavoro lungo, articolato ed
in costante evoluzione in riferimento a quanto emergeva dai
diversificati e più tavoli di organizzazione generale che
rispondevano al Ministero degli affari esteri.
Nell'ambito delle
iniziative di supporto all'azione del questore. ho delegato, inoltre,
le figure più qualificate del dipartimento a collaborare con
l'autorità provinciale nell'organizzazione di specifiche
misure di sicurezza: dalla zona rossa alle frontiere, dalla
prevenzione antiterrorismo alla sicurezza delle comunicazioni e dei
trasporti su strada e su rotaia. Una serie di interventi mirati,
realizzati attraverso i direttori centrali competenti, che non hanno
mai inteso surrogare i compiti istituzionali del questore bensì
potenziarne la capacità di proiezione operativa, anche laddove
si fosse reso necessario un collegamento con organismi nazionali e
internazionali, come, ad esempio, nel settore ferroviario, della
viabilità autostradale, aerea e delle telecomunicazioni.
È
stato così espresso il massimo sforzo raggiungibile da parte
del dipartimento della pubblica sicurezza, nel cui contesto trova
sede istituzionale anche l'attività di coordinamento delle
forze di polizia in base alle direttive dell'autorità di
Governo.
L'impegno per la sicurezza del G8 è andato
crescendo in corso d'opera e ha dato luogo ad un'attività
organizzativa senza precedenti; dirò a parte quanto si è
fatto sul piano operativo e della prevenzione pura. Qui desidero
documentare quanto realizzato sul piano tecnico e logistico con
alcuni esempi. Innanzitutto si è provveduto al potenziamento
delle postazioni delle reti di telecomunicazioni di Genova e ad
incrementare cospicuamente, con la collaborazione del gestore di
rete, le dotazioni radiotelefoniche individuali e dei diversi
responsabili operativi, completando una lunga serie di interventi
tecnico-logistici indispensabili per mettere le sale operative in
condizioni di operare al meglio, con una spesa complessiva di oltre
15 miliardi di lire. Per rendere meno gravoso e più sicuro il
lavoro degli operatori di polizia, sono stati pressoché
integralmente rinnovati i materiali di equipaggiamento: per la sola
Polizia di Stato sono state acquistate 6.500 nuove tute per i servizi
di ordine pubblico ignifughe e provviste di protezioni antitrauma
circa 4.500 nuove maschere antigas con filtri, 4.500 set di
protezione del corpo e delle gambe per una complessiva somma di poco
più di 6 miliardi di lire. Si è provveduto inoltre a
migliorare radicalmente le soluzioni alloggiative con un impiego
finale di ben 20 navi, oltre al sistema logistico sulla terraferma,
con un onere complessivo per accasermamento, alloggiamento e vitto di
oltre 77 miliardi di lire.
Tornando ora ad esaminare
l'atteggiamento assunto dalle organizzazioni del dissenso, devo
rilevare che anche le più moderate e pacifiste avevano
dichiarato l'obiettivo di impedire o disturbare in qualunque modo lo
svolgimento del vertice. Dal momento in cui è stata ideata e
poi resa nota la realizzazione della zona di massima sicurezza o
«zona rossa», questo proposito per alcuni si è
trasformato nell'intento di «violare» i limiti fisici
della stessa per mezzo di azioni asseritamente diversificate per
intensità e modalità esecutive, a seconda dell'area di
appartenenza. A fronte di tali dichiarazioni, per assicurare un'area
di interdizione intorno alla zona sensibile, è stata concepita
una seconda fascia chiamata «zona gialla», che potesse
fungere da cuscinetto tra l'area del vertice ed il resto della città,
nella quale, tra l'altro, interdire le manifestazioni che
presentavano aspetti di incompatibilità con le misure a tutela
dei lavori del G8.
Per dovere di informazione aggiungo che, su pressioni delle
rappresentanze diplomatiche straniere, la Farnesina, il 28 giugno,
aveva richiesto di creare un'ulteriore e più ampia fascia di
sicurezza allo scopo di rendere sempre più agevole lo
svolgimento dei lavori e lo spostamento delle folte delegazioni,
perché a quella data non erano ancora stati definiti tutti gli
aspetti organizzativi sotto il profilo logistico per delegazioni
medesime.
L'esigenza di protezione fisica dell'area di massima
sicurezza, con un perimetro di 8 chilometri e con 13 varchi di
accesso, ha richiesto sforzi aggiuntivi notevoli, anche per la
necessità di contemperare la sicurezza della zona con il
diritto dei circa 30 mila cittadini residenti di accedervi; le misure
adottate, in ogni caso, hanno dovuto tenere conto della presenza
nella città dei Capi di Stato e di Governo esteri e nazionali,
oltre che di personalità di assoluto rilievo sulla scena
internazionale. Per quantificare lo sforzo necessario a tutelare una
zona di sicurezza così ampia, che come richiesto, proteggeva
non solo gli spazi destinati ai lavori o all'alloggiamento delle
delegazioni, ma anche alcune importanti strade cittadine come la via
XX Settembre, sede di importanti centri commerciali, basta ricordare
che la zona protetta in occasione del vertice di Praga aveva un
perimetro di appena due chilometri, e quella di Quebec City non
arrivava a 6 chilometri.
Tenuto, altresì, conto della
consistenza numerica della popolazione residente nell'area protetta e
della insistenza in quel territorio di una zona di per sé a
rischio come i carrugi, all'interno della «zona rossa»
era stato previsto un servizio di controllo nei giorni antecedenti e
in quelli dello svolgimento dei lavori del vertice, coordinato dal
direttore del servizio centrale operativo e finalizzato ad
individuare le possibili insidie a persone e/o cose, oltre che
naturalmente alla
popolazione residente. Si è reso pertanto indispensabile un
notevole impiego di qualificate risorse della polizia giudiziaria,
proprio in ragione della specifica attività da svolgere, che è
consistita soprattutto in perquisizioni, ispezioni e ricognizioni,
protrattesi per molti giorni, sia prima sia dopo la recinzione
dell'area.
È stata proprio tale attività preventiva
che ha consentito di garantire un'elevata protezione: in particolare,
sono state eseguite 92 perquisizioni domiciliari e 273 ispezioni di
locali; sono state identificate 4.073 persone per accertarne la
legittima permanenza nell'area di massima sicurezza; sono state
arrestate 22 persone (7 italiani e 15 stranieri); sono state
denunciate in stato di libertà 38 persone (22 italiani e 16
stranieri). I reati contestati in tali circostanze vanno dalla rapina
aggravata alla detenzione di armi, dalla ricettazione alla detenzione
di stupefacenti. Sono stati operati anche 27 sequestri di droga e di
armi. Tutte attività specifiche di polizia giudiziaria,
insostenibili dalle sole risorse specialistiche della questura e che
richiedevano, quindi, qualificate risorse aggiuntive ed un adeguato
coordinamento proprio del direttore dello SCO, inviato a Genova per
tale specifico compito.
È ingeneroso sostenere che gli
sforzi compiuti per garantire la sicurezza del vertice, delle
delegazioni, degli oltre 5 mila giornalisti accreditati, ma anche di
una parte rilevante della città, abbiano lasciato, in qualche
modo, in secondo piano la sicurezza delle altre aree cittadine.
Voglio sottolineare, a tale proposito, che le 4.100 unità
impiegate a tutela della «zona rossa» hanno operato turni
articolati nelle ventiquattro ore, per cui i contingenti operativi
erano, in realtà, dimensionati attorno alle 1.000 unità
per turno. Viceversa, nel resto della città, le 6.800 unità
di servizio sono state impiegate ad integrale copertura di tutte le
esigenze di ordine e sicurezza
pubblica per l'intera durata delle manifestazioni. Aggiungo che un
impegno assolutamente straordinario è stato dispiegato fin
dall'anno scorso ai fini di prevenzione generale, sollecitando
l'azione informativa e di prevenzione delle Digos e chiedendo la
collaborazione dei competenti uffici degli organi di polizia dei
paesi amici.
Sul piano delle iniziative di carattere informativo
e investigativo, all'interno del territorio nazionale sono state
svolte attività di polizia giudiziaria, con uno straordinario
investimento di risorse a disposizione di numerose procure della
Repubblica, che hanno avviato indagini ad ampio spettro con ogni
mezzo consentito dall'ordinamento intercettazioni telefoniche e
ambientali, perquisizioni ed altro, a carico sia di soggetti ritenuti
pericolosi in relazione alle circostanze di fatto e di luogo nelle
quali si sono trovati, sia di strutture di aggregazione, come alcuni
centri sociali, che si erano distinte nell'annunciare attività
di carattere violento contro il G8. Al riguardo si sottolinea che tra
il 16 e il 17 luglio, ad immediato ridosso delle manifestazioni di
Genova, sono stati contestualmente perquisiti i centri sociali di
ispirazione anarco-autonoma più oltranzisti, tra i quali
l'Askatasuna e l'Alcova di Torino, il Pinelli di Genova, il Gramigna
di Padova, la Stella Nera per la Rivolta di Firenze, i Territori Non
Tracciati di Napoli. Nel corso delle perquisizioni sono stati
sequestrati centinaia di oggetti atti ad offendere: bastoni,
spranghe, fionde, caschi, biglie, tombini di ferro, materiale
infiammabile, grossi petardi, stupefacenti, armi improprie,
munizionamento da guerra, pistole lanciarazzi, bottiglie vuote, per
il cui possesso sono state deferite all'autorità giudiziaria
diverse decine di militanti dell'ultrasinistra, identificati nel
contesto delle attività di polizia giudiziaria. È noto,
peraltro, che gran parte delle armi improprie utilizzate a Genova
sono state reperite nella
stessa città. Di tale complessa attività, svolta in
gran parte del territorio nazionale, il direttore centrale della
prevenzione, prefetto La Barbera, ed il suo ufficio sono stati
l'indispensabile punto di riferimento unitario. Non conosco
naturalmente l'andamento dell'attività investigativa in atto,
ma sono fiducioso che l'ingente sforzo espresso dalle strutture di
polizia giudiziaria, su uno scenario così ampio e per un tempo
così lungo, produrrà positivi risultati.
Sul fronte
esterno, è stata attivata ogni forma di cooperazione con gli
organi di polizia degli altri paesi che potesse incrementare il
patrimonio informativo delle forze di polizia nazionali. Sono state
svolte diverse riunioni con gli ufficiali di collegamento esteri
presenti in Italia, sia dei paesi del G8 sia di altri partner
comunitari ed extracomunitari, al fine di potenziare e adattare gli
esistenti canali di scambio informativo alle specifiche esigenze di
sicurezza e di prevenzione. Il coordinamento di tale iniziativa era
stato, peraltro, fin dall'inizio ha affidato al prefetto La Barbera,
che aveva direttamente svolto l'attività necessaria per
garantirlo, recandosi di persona ad incontrare i suoi omologhi
all'estero, scambiando con loro dati e informazioni, presiedendo in
Italia le relative riunioni di carattere sia nazionale sia
internazionale.
Obiettivi fondamentali erano quelli di acquisire
e di analizzare tutte le informazioni concernenti possibili, minacce
sia di tipo a terroristico sia attinenti alla tutela dell'ordine
pubblico; di tentare di individuare per tempo le frange violente e di
porre in essere le attività volte a neutralizzarle
tempestivamente; di curare la massima e continua collaborazione con
gli organi collaterali esteri anche durante i lavori del G8.
L'attività di intelligence ha consentito di
suddividere i potenziali manifestanti in diversi gruppi, individuati
in base alle proprie caratteristiche ideologiche e comportamentali, e
di
incentrare l'attenzione sul gruppo più pericoloso: il
«blocco nero», valutato in circa 500 italiani e 2.000
stranieri (perlopiù tedeschi, spagnoli, greci, inglesi e
statunitensi), sul quale si è incentrata l'azione informativa
nel tentativo di realizzare un filtro alla frontiera.
Per quanto
riguarda i gruppi violenti stranieri occorre ammettere che risultati
dell'attività preventiva sono stati inferiori alle
aspettative, sia per le oggettive difficoltà incontrate dagli
organismi di polizia esteri nell'attività di penetrazione
informativa (trattandosi, il più delle volte, di gruppi che
denotano mancanza di organizzazione strutturale, ma spiccate capacità
di aggregarsi solo episodicamente) sia per esigenze, più volte
invocate, di rispetto delle legislazioni nazionali in materia di
tutela della privacy. Ciò nondimeno, focalizzando
l'attenzione anche soltanto sui nominativi conosciuti per precedenti
episodi di violenza nel corso del vertice internazionale, si è
potuto «confezionare» un elenco temporaneo di 1.439
nominativi, utilizzato ai fini di prevenzione indicati in precedenza.
Come è noto, l'attività di prevenzione si è,
infatti, estesa al ripristino dei controlli di frontiera, ai sensi
della convenzione applicativa dell'accordo di Schengen, per mezzo di
uno specifico piano disposto dall'autorità di Governo e
notificato ai paesi partner, con decorrenza dalla mezzanotte del 13
luglio sino alla mezzanotte del 21 luglio 2001.
L'intervento è
stato complesso, ha comportato la riattivazione di 46 valichi di
frontiera dismessi in occasione dell'entrata in vigore degli accordi
di Schengen; il rinforzo dei 59 uffici della polizia di frontiera e
dei valichi con l'impiego complessivo di 1.217 operatori della
Polizia di Stato e 264 carabinieri. Di fatto il sistema così
realizzato - individuazione degli stranieri violenti e riattivazione
dei controlli frontalieri - ha consentito di effettuare oltre 140.000
controlli, di respingere
dalla frontiera più di 2.000 persone, di sequestrare armi,
droga e materiale atto ad offendere (tra cui bottiglie «molotov»,
coltelli, bastoni di legno e metallo, addirittura 10 scatole di
manette).
Particolare menzione merita il respingimento di circa
150 cittadini greci nel porto di Ancona, che, secondo segnalazioni
degli organi di informazione, risultavano essere aderenti a movimenti
anarchici, con il sospetto che tra di essi fossero presenti soggetti
particolarmente pericolosi.
L'analisi poi delle turbative
verificatesi in altri paesi (soprattutto in occasione del vertice di
Praga), interessati dai disordini in occasione di altri vertici
internazionali, ha inoltre comportato la costituzione di una
struttura per la prevenzione di azioni di disturbo ai sistemi di
comunicazione telefonica, telematica e televisiva.
Nel dettaglio,
sono stati attivati servizi per la prevenzione delle interferenze ai
132 ripetitori televisivi liguri; di presidio alle comunicazioni
telefoniche del vertice, con l'assistenza al gestore presso i nodi di
comunicazione; di prevenzione e contrasto delle interferenze e di
disturbi alle comunicazioni, utilizzando con grande dispiego di forze
il personale specializzato del Ministero delle comunicazioni, che ha
messo a disposizione della polizia 9 radiogoniometri, 6 rilevatori
portatili e personale altamente qualificato del centro nazionale
controllo emissioni radio elettriche dello stesso ministero; nonché
servizi di monitoraggio della rete con diretti accessi ai file
presso i provider che, di volta in volta, sono stati
autorizzati dalla autorità giudiziaria.
Nei giorni del
vertice, infine, è stata costituita presso la questura una
sala operativa internazionale di polizia, in modo da assicurare la
costante collaborazione di funzionari degli organi di polizia estera
con le autorità italiane.
Questo, in sintesi, il quadro di riferimento dell'azione
organizzativa e di prevenzione in preparazione del vertice.
Passando
ora ad analizzare i disordini di Genova, non si può non
premettere che essi necessitano di una lettura più ampia ed
articolata di quella della mera metodologia di gestione dell'ordine
pubblico. Appare infatti assai verosimile che gli stessi segnino
l'ulteriore affermazione e l'espansione sulla scena internazionale di
un nuovo soggetto. Un soggetto composito che, come si è visto
a Genova in forme più evidenti e come era emerso anche nei
precedenti incontri internazionali, tenta di far coesistere l'anima
genuina e pacifista con alcune componenti di tipo estremista ed altre
di tipo eversivo. A Genova, in particolare, ad una situazione già
di per sé complessa, si è aggiunta, da un lato, una
dichiarata volontà di alcuni gruppi di impedire il vertice,
dall'altro, una azione particolarmente violenta di «professionisti
della guerriglia».
Tutto ciò fa apparire in modo
sufficientemente chiaro che i disordini di Genova non possano essere
attribuiti solo all'azione dei black bloc, a prevalente
connotazione anarco-insurrezionalista, ma vedono direttamente
coinvolto un elevato numero di manifestanti pronti ad uno scontro con
le forze dell'ordine. Emblematico, a tal fine, è stato il
massiccio attacco alla «zona rossa» portato il giorno 20
luglio, che ha visto come primo protagonista un forte gruppo di
anarco insurrezionalisti a fianco però di altri spezzoni del
movimento. I primi, infatti, nel momento più drammatico hanno
potuto giovarsi della massa d'urto di un affollato corteo non
autorizzato e visibilmente già predisposto ad affrontare i
reparti di polizia per raggiungere l'obiettivo finale e dichiarato di
violare l'area protetta.
Di converso, lo stesso pomeriggio del
giorno 20 luglio, mentre erano già in atto molteplici azioni
di guerriglia urbana
nella zona di levante, si è tranquillamente svolto a
ponente il corteo della CUB con migliaia di partecipanti, così
come era stato preventivamente assicurato dagli organizzatori, che
sono evidentemente riusciti a tenere sotto controllo i soggetti
intenzionati a far ricorso alla violenza. Lo stesso può dirsi
per il corteo dei migrantes del precedente giorno 19 luglio,
che ha visto la presenza di qualche decina di migliaia di persone e
che ha avuto come unico momento di turbativa l'aggressione ad un
funzionario della Digos di Genova, presente sul posto per motivi di
servizio.
Gli esempi citati evidenziano in modo chiaro ed
inequivocabile come al comportamento responsabile degli organizzatori
di alcune manifestazioni abbia sempre corrisposto un atteggiamento
altrettanto comprensivo da parte delle autorità di pubblica
sicurezza, giunto fino al limite di consentire un corteo in un'area
della città preventivamente interdetta e di autorizzare la
partenza dell'altro da un punto praticamente a ridosso della zona
protetta. Così è stato anche nella concessione ai
gruppi pacifisti, che ne avevano fatto richiesta, di piazze a ridosso
della «zona rossa», dove esprimere in forma statica il
loro dissenso.
Diverso e carico di conseguenze è stato,
invece, lo svolgimento dei cortei non autorizzati, che avevano per
obiettivo - come si è detto - il raggiungimento delle
protezioni alla zona rossa ed il loro sfondamento. Non dimentichiamo
poi che, sin dalla mattina del giorno 20, contemporaneamente ed in
più punti della zona di levante, sono state inscenate azioni
fortemente violente, di distruzione generalizzata ed indistinta, tese
solo a portare oltraggio alla città e alle forze dell'ordine.
Le azioni di questi gruppi di violenti hanno creato un clima che
sembrava essere completamente scomparso dalle piazze e dalle strade
italiane, ormai da molti anni; si sono riviste scene
di guerriglia urbana ed una esposizione delle forze dell'ordine ad
attacchi di gravità inusitata, suscettibili di valutazione
sotto il profilo penale. Ed è per questo che la polizia
giudiziaria sta svolgendo una attività investigativa, sotto la
direzione del magistrato competente, che consiste, tra l'altro, in un
approfondito esame di tutto il materiale documentario raccolto al
fine di identificare coloro che si sono resi responsabili di
violenze.
Sulla scorta di quanto accaduto nelle prime ore dei
disordini e nel prosieguo degli scontri causati appunto da
appartenenti o simpatizzanti del cosiddetto black bloc, appare
opportuno effettuare alcune riflessioni. Esiste una oggettiva
difficoltà ad individuare preventivamente questi soggetti.
Come si è dianzi detto essi sono soliti spostarsi in forma
anonima e comparire con i segni distintivi del movimento solo in
occasione degli scontri di piazza; non sempre hanno una sede e non si
incontrano abitualmente, ma si raccolgono da tutto il mondo,
soprattutto in occasione di eventi significativi, con una conoscenza
perfetta, oltre che del territorio, anche delle tecniche di
aggressione (basti ricordare le immagini in cui si vedeva la loro
dimestichezza con il confezionamento all'impronta delle bottiglie
incendiarie) favoriti talora da una sorta di appoggio di altre frange
di manifestanti all'apparenza meno oltranziste. Il loro contrasto sul
terreno, poi, è reso altrettanto difficile dal ricorso ad
autentiche azioni di guerriglia, che non possono essere fronteggiate
agevolmente con i reparti ordinariamente impiegati nei servizi di
ordine pubblico.
Si ricorderà che analoghe tecniche,
operate in piccoli gruppi estremamente mobili, spesso lontano dalle
aree interessate dalle manifestazioni di massa, hanno contraddistinto
un po' la storia delle violenze di piazza degli anni settanta e
si ricorderà altresì come anche in quei casi, solo
attraverso meticolose indagini è stato possibile individuarne
gli autori e metterli a disposizione della giustizia.
L'azione di
contrasto, scaturita proprio da questa violenza e non viceversa, come
è stato detto da taluno, è stata affidata alle nostre
forze di polizia, che hanno una lunga tradizione di gestione
dell'ordine pubblico nelle più svariate estrinsecazioni dei
conflitti sociali, ma che da anni non erano più chiamate a
confronti così prolungati nel tempo e di tale virulenza.
Che
il dipartimento della pubblica sicurezza fosse comunque attento alle
problematiche connesse all'impiego della forza pubblica si evidenzia
da una specifica circolare del febbraio di quest'anno, con la quale
ho richiamato l'attenzione dei questori sul corretto impiego degli
strumenti di coazione fisica nel corso di servizi di ordine pubblico
e sulla necessità di una attenta pianificazione di questi
servizi.
Dal mese di marzo ho, invece, avviato un accurato piano
di formazione e aggiornamento delle risorse destinate all'ordine
pubblico, non solo sotto il profilo meramente tecnico, ma anche sotto
quello psicofisico e comportamentale. Per lo specifico evento del G8,
come si ricorderà, è stato prodotto e distribuito a
tutto il personale un vademecum che, insieme ad indicazioni -
essenzialmente erano quelle - di carattere organizzativo, invitava,
tra l'altro, gli operatori di polizia ad attenersi a regole di
condotta prudenti e misurate e alla piena osservanza delle
disposizioni di servizio.
Le raccomandazioni che ho più
volte indirizzato ai dirigenti dei servizi di ordine pubblico di
indossare la sciarpa tricolore, infine, hanno voluto richiamare
l'attenzione anche dei funzionari sulle loro responsabilità
istituzionali.
Come diffusamente documentato dai media -
cui va il sincero apprezzamento per la funzione di informazione
svolta
- è verosimile che le condizioni di guerriglia create da
criminali violenti e facinorosi abbiano, in alcuni casi, determinato
un eccesso nell'uso della forza ad opera dei reparti, in altri,
episodici ed individuali comportamenti illeciti, che saranno
rigorosamente perseguiti.
Un incarico ispettivo è stato
affidato a tre alti dirigenti dell'amministrazione, che hanno fornito
i primi elementi di conoscenza, ma che, visibilmente, richiedono
ancora ulteriori accertamenti prima di trarre definitive conclusioni,
anche in considerazione di una contestuale iniziativa dell'autorità
giudiziaria, che potrà meglio pervenire all'individuazione di
eventuali responsabilità dei singoli. L'attività degli
ispettori riguarda i comportamenti censurabili di singoli operatori
impegnati nei servizi di ordine pubblico, la perquisizione
all'interno della scuola «A. Diaz», dove erano stati
registrati episodi di violenza, così come gli illeciti
denunciati in danno delle persone arrestate e trasferite nella
caserma di Bolzaneto.
Al termine non si avrà alcuna
reticenza a valutarne i risultati, a adottare i provvedimenti
correttivi necessari, anche di natura disciplinare, come non si è
mancato di fornire all'autorità giudiziaria ogni necessaria e
convinta collaborazione per il migliore e più spedito esito
delle indagini. Si tratta di una azione diretta anche a rinsaldare il
legame tra i cittadini e le istituzioni della sicurezza e ad esaltare
quella qualità di abnegazione, di professionalità, di
senso del dovere a difesa dello Stato democratico, che costituiscono
il patrimonio più vero e prezioso delle forze di polizia.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor De Gennaro. Sono pronte le fotocopie dei documenti pervenuti alla presidenza, che verranno distribuite a tutti i componenti il Comitato. Se siamo tutti d'accordo, si può sospendere la seduta per alcuni minuti.
Mi pare vi sia un sostanziale accordo, signor prefetto, nel
chiederle quando la terza relazione potrà essere nella
disponibilità del Comitato, visto che non è ancora agli
atti. In aggiunta a ciò, vi era stata una sorta di
apprezzamento iniziale in riferimento agli allegati; avendo ricevuto
le due relazioni dove si citano una serie di allegati non ancora
pervenuti, ritiene di poter informare il Comitato al riguardo?
GIOVANNI DE GENNARO, Direttore generale del dipartimento della pubblica sicurezza. Signor presidente, la terza relazione è in arrivo, verrà consegnata forse nella stessa giornata di oggi: ci è giunta nella serata di ieri, perché l'ispettore la mandava da fuori. Alla relazione si chiedeva di individuare singole persone dalle immagini televisive. È stato chiesto di fare un work in progress, perché naturalmente le immagini sono molte, gli accertamenti vengono fatti caso per caso e non si tratta di una mera ricostruzione dei fatti. Credo di potere mandarla nella giornata di oggi, sicuramente prima del termine dei lavori del Comitato.
PRESIDENTE. Chiedo scusa, prefetto, se insisto. Qual è il motivo della mancata allegazione degli atti richiamati dalle due relazioni?
GIOVANNI DE GENNARO, Direttore generale del dipartimento della pubblica sicurezza. Presidente, forse c'è stata un'incomprensione dell'ufficio, che alla richiesta di mandare la relazione ha fornito solamente il testo di quest'ultima; sicuramente faranno seguito immediatamente anche gli allegati, ovviamente con le raccomandazioni, che lei stesso ha ritenuto di condividere, sulla tutela delle persone che vengono indicate.
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Possiamo avere copia anche della sua relazione?
PRESIDENTE. Certamente, comunque
ricordo che vi è anche nel resoconto stenografico.
Sospendo
la seduta per constatare se ci sia opportunità di seguire la
linea di ieri, fermo restando che, se i componenti dovessero ritenere
uti singuli di voler porre delle domande al prefetto De
Gennaro, il tempo della sospensione potrà essere ristretto.
Credo comunque sia utile concordare le domande in modo da evitare
inutili ripetizioni.
La seduta, sospesa alle 11, è ripresa alle 11,40.
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri
lavori.
Do ora la parola ai componenti il Comitato che intendano
porre domande al prefetto De Gennaro.
MARCO BOATO. Vorrei ringraziare il
prefetto De Gennaro per la sua relazione, in particolare per la
parte, che è la più ampia ed anche la più
esaustiva, relativa a tutto quanto è stato fatto nella fase
precedente allo svolgimento del vertice G8 e agli eventi che si sono
verificati in connessione ad esso.
Vorrei, invece, porre alcune
domande che riguardano ciò che il prefetto non ha detto o ha
semplicemente accennato. La prima domanda riguarda il rapporto fra il
capo della polizia, il quale, in quanto capo del dipartimento, ha
anche delle funzioni di coordinamento rispetto alle altre forze di
polizia, e le direttive politiche a livello di Governo. Vorrei che il
capo della polizia ci chiarisse questo aspetto, anche eventualmente,
se lo ritiene, differenziando le varie fasi, perché sappiamo
tutti che vi è stato un cambio di Governo a partire dal 10
giugno; ciò qualora vi siano stati mutamenti di direttive
politiche, altrimenti non chiedo tale differenziazione. Inoltre,
vorrei sapere quali direttive politiche siano state date in relazione
al vertice G8, e da chi. In particolare, vorrei sapere come queste
direttive si siano, poi, concretizzate nei giorni di svolgimento
del vertice G8, in riferimento al ministro dell'interno, al
Vicepresidente del Consiglio e al ministro della giustizia - mi
riferisco a chi ha una responsabilità istituzionale come
ministro dell'interno e a chi concretamente si è trovato sul
posto nei giorni del vertice - ed eventualmente, laddove vi siano
state, in riferimento al ministro della funzione pubblica, il quale
ha anche delle responsabilità in relazione ai servizi di
sicurezza.
La seconda domanda che vorrei rivolgere al prefetto De
Gennaro riguarda un tema che mi sembra sia stato poco trattato nella
sua relazione: un tema che ci trasciniamo dietro dal 1981, da quando
è avvenuta la riforma della polizia. So bene, quindi, che si
tratta di un tema di non facile soluzione, però lei ci
dovrebbe spiegare che cosa sia accaduto e quali responsabilità
lei abbia assunto in qualità di capo del dipartimento di
pubblica sicurezza oltre che capo della Polizia di Stato, sotto il
profilo del coordinamento tra le diverse forze di polizia, cioè
Polizia di Stato, Guardia di finanza e Arma dei carabinieri. Perché
mi pare che anche dalla lettura, sia pure rapida, fatta questa
mattina, delle due su tre relazioni finora depositate, il
coordinamento tra le forze di polizia, ed anche all'interno della
stessa polizia, rappresenti uno dei problemi più gravi che
emergono.
Un'ulteriore richiesta specifica che le rivolgo è
se lei sia stato informato e quando, se lo è stato, della
ripetuta segnalazione da parte della provincia di Genova, del suo
presidente e dell'assessore competente, Massolo, già dalla
sera del 19 e, quindi, prima che si verificassero gli incidenti,
chiamiamoli così, o i disordini del 20 e del 21, sul fatto che
una delle strutture ufficialmente devolute all'accoglienza, destinata
ai Cobas, la struttura della Se. Di. di Quarto (sede
distaccata di Quarto) fosse stata occupata illegalmente da altri
componenti, in particolare del black bloc ma anche da altri
soggetti, i quali hanno devastato questa struttura utilizzando anche
reparti non consegnati e quindi non accessibili, al fine di armarsi.
Questa segnalazione è stata effettuata la sera del 19, è
stata ripetuta più volte nelle ore successive - è stato
detto che circa una volta ogni ora venivano chiamati la prefettura,
la questura e i carabinieri - ed anche nella mattina del 20. Tutto
ciò avrebbe permesso alle forze di polizia di intervenire
preventivamente rispetto a soggetti che poi hanno dato vita agli
episodi di guerriglia urbana, da lei ripetutamente citati.
Infine,
vorrei soffermarmi sulla questione che - mi permetta di dirglielo con
il massimo rispetto, signor prefetto - mi pare sia il limite maggiore
della sua relazione. Lei ci ha ben dettagliato ciò che è
avvenuto nella fase della preparazione del vertice, così come
anche gli obiettivi, cioè garantire lo svolgimento del G8,
tutelare i cittadini di Genova e garantire l'espressione del dissenso
pacifico, come lei lo ha chiamato, cioè le manifestazioni
pacifiche contestuali allo svolgimento del G8. Condivido questi tre
obiettivi che, oltretutto sono ben delineati.
Non mi sembra,
invece, che lei si sia soffermato in modo approfondito sui fatti
accaduti il 20 ed il 21, ma questo Comitato di indagine non sarebbe
mai nata se questi non si fossero verificati. Proprio in relazione a
tali fatti, lei ha fatto riferimento alle tre relazioni, ha parlato
di eccesso nell'uso della forza e di episodici e individuali
comportamenti illeciti. Ciò che emerge dai fatti del 20 e del
21 mi pare che lei non possa per contrasto riferirlo alla
manifestazione dei migrantes del 19, svoltasi in modo del
tutto pacifico, come lei ha ricordato, e alla manifestazione di
ponente del 20, fatta dai Cobas, anche questa in modo pacifico. Cioè,
se una manife
stazione è pacifica e preannunciata - preferisco usare
costituzionalmente il termine di preannunciata e non di autorizzata,
perché il terzo comma dell'articolo 17 della Costituzione dice
che le autorità devono essere preavvisate e che possono
vietarne lo svolgimento per motivi di sicurezza o di incolumità
pubblica - è chiaro che non possono esserci fenomeni di
comportamento illecito da parte delle forze di polizia. Se è
una manifestazione pacifica, preannunciata e non vietata - uso questa
espressione costituzionalmente più corretta - ci mancherebbe
altro che le forze di polizia intervenissero con la forza nei
confronti di questo tipo di manifestazioni: non saremmo in uno stato
di diritto! Ciò che dobbiamo capire è cosa sia accaduto
nei giorni 20 e 21, nel corso dei quali sicuramente ci sono stati
atti di violenza gravi, atti di guerriglia urbana, posti in essere
dal blocco nero e forse, anzi sicuramente, anche da altri settori di
manifestanti.
L'episodio della camionetta dei carabinieri
sicuramente non è stato messo in atto dal black bloc,
da quello che si è capito dalla ricostruzione, ma parlo
dell'episodio in sé, al di là dell'esito mortale che
poi ha avuto. Ma dobbiamo capire come sono intervenute le forze di
polizia - insisto sul dire le forze di polizia -, cioè la
Polizia di Stato, l'Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza, in
relazione al dovere di contrastare gli atti di violenza e di
guerriglia urbana e, al tempo stesso, al dovere di tutelare e di non
coinvolgere in queste vicende la stragrande maggioranza dei
manifestanti, i quali dichiaratamente, e di fatto, hanno manifestato
in modo pacifico. Non mi riferisco solo alla manifestazione del 20,
da lei citata, bensì mi riferisco per esempio alle cosiddette
«piazze tematiche» del 20 quando in queste piazze è
intervenuto il blocco nero, e poi sono successivamente intervenute le
forze di polizia, reprimendo
i manifestanti pacifici e non reprimendo, o non riuscendo a
reprimere, coloro che mettevano in atto interventi violenti. Ciò
è diventato poi clamoroso il giorno 21
Lei ha parlato di
eccesso nell'uso della forza ma non si tratta di un singolo episodio.
È avvenuto che, nell'arco di un'intera giornata (come è
documentato da centinaia di testimonianze, di denunce, di riprese
televisive) sistematicamente le forze di polizia, (Polizia di Stato,
Arma dei carabinieri e anche Guardia di finanza) siano intervenute
reprimendo a freddo, violentemente e sistematicamente manifestanti
pacifici i quali nulla avevano a che vedere con i gravissimi episodi
di violenza, devastazione e guerriglia che doverosamente le forze di
polizia dovevano contrastare. Quando tutto ciò si scarica
sistematicamente, nel corso di molte ore, su decine di migliaia di
manifestanti pacifici, qualcosa da questo punto di vista, nell'uso
legittimo della forza da parte dello Stato non si è
verificato, ossia si è verificato un uso illegittimo della
forza. Sotto il profilo del coordinamento tra le forze di polizia non
mi pare che abbia funzionato pressoché nulla e sotto il
profilo delle responsabilità politiche e della direzione
tecnica, si pongono degli interrogativi che la pregherei di voler
chiarire.
CESARE MARINI. Dottor De Gennaro, vi era stata una dichiarazione da parte del Governo - che valuto opportuna - di voler sospendere il protocollo di Schengen sulla libertà di circolazione; lei ha affermato che duemila persone sono state respinte alle frontiere e che ad Ancona era stata bloccata una nave con un certo numero di cittadini greci a bordo che si presumeva potessero praticare della violenza. Come mai ci si è limitati a queste forme di interventi, e non si è avuta una maggiore incisività nell'impedire l'ingresso a Genova di quanti avessero esercitato violenza, soprattutto di quanti - segnalati
dalle polizie di altri paesi - avessero già manifestato con
violenza a Nizza, Praga, Göteborg e nelle varie precedenti
riunioni? Vi è stata una carenza di uomini oppure una
sottovalutazione del pericolo?
Lei afferma (ne ha già
parlato nella sua relazione) che a Genova vi è stato un
afflusso di gran lunga superiore rispetto ai precedenti vertici. Mi
pare siano state introdotte delle novità nell'organizzazione
dell'ordine pubblico; lo immagino perché, se così non
fosse, dovrei pensare che non si è tenuto conto di quanto in
realtà stava avvenendo. Queste modifiche nell'organizzazione
dell'ordine pubblico, in che cosa sono consistite e da quando sono
state introdotte? Da quando vi sono state le prime modifiche nella
organizzazione e quindi nel modo di contrastare gli eventuali episodi
di violenza?
Dottor De Gennaro, chi ha deciso la perquisizione
alla scuola Pertini (comunemente detta scuola Diaz) e per quale
motivo? Lei era stato informato? Sono sincero: mi è parso che
nella sua relazione lei abbia illustrato la cronaca di fatti ed
avvenimenti e, da un ascolto molto superficiale, potrei dire che lei
è stato uno spettatore ed un cronista di quegli avvenimenti,
quando lei invece ha la massima responsabilità della polizia
italiana. In questo caso mi è sorto un altro dubbio: perché
a Genova vi è stata una sovraesposizione della Polizia di
Stato rispetto alle altre forze dell'ordine? Mi pare che gli episodi
della scuola Pertini, degli interrogatori e tutti quegli episodi che
poi hanno fatto nascere delle perplessità sull'esercizio della
violenza da parte di qualche isolato e piccolo gruppetto di forze
dell'ordine, abbiano riguardato soprattutto, e quasi esclusivamente,
le forze della Polizia di Stato. Vi è stata quindi una
sovraesposizione. Mi rivolgo a lei come maggior responsabile: perché
vi è stata questa sovraesposizione? Era stato
deciso che la polizia avesse un ruolo maggiore rispetto alle altre
forze? Vi era un coordinatore tra le diverse forze dell'ordine?
Nelle relazioni degli ispettori vi sono alcune contraddizioni,
soprattutto nella prima, quella del dottor Montanaro; comunque in
generale entrambe le relazioni che abbiamo letto mettono
ripetutamente in evidenza uno stato di confusione e di mancanza di
direttive, non solo in chi aveva la responsabilità generale
delle forze dell'ordine, (in questo caso credo il prefetto di
Genova), ma anche una responsabilità per quanto riguarda la
Polizia di Stato. Vi è stata una sovrapposizione di ordini, la
presenza di più funzionari, niente di meno si è andata
a perquisire una scuola che non era indicata come tale, commettendo,
quindi, un errore eccessivamente, chiamiamolo così,
goliardico, dovuto sì alla tensione o a quello che si vuole,
ma, se mi consente, sono comunque errori imperdonabili. Chi aveva la
responsabilità del coordinamento delle azioni della polizia?
Lei era stato informato, o svolgeva tutt'altre funzioni? Perché,
a mio giudizio, i punti nevralgici sono proprio questi, cioè
stabilire di chi erano le responsabilità. Le vorrei sottoporre
anche un'altra questione: le forze dell'ordine che hanno agito alla
scuola Pertini e alla caserma Bolzaneto mi pare avessero il viso
coperto dai caschi e da un fazzoletto. È lecito che una forza
di polizia agisca con un fazzoletto davanti al viso? Mi pare che
questo sia un comportamento non molto confacente ad una funzione
democratica di mantenimento dell'ordine pubblico. Non ritiene giusto
quanto indicato - credo - da Micalizio, cioè che siano
individuate le persone, anche quando vanno a compiere quel tipo di
azione; perché vi deve essere una tutela costituzionale del
cittadino che viene perquisito ed interrogato: vi deve essere una
tutela! Anche su questo gradirei una sua risposta.
L'ultima domanda che le rivolgo, dottor De Gennaro, riguarda
quanto da lei affermato a proposito di questo soggetto nuovo che
appare nelle manifestazioni e prende poi corpo in maniera molto più
consistente a Genova. A proposito di questo soggetto nuovo, che è
formato da una parte del movimento pacifista e dall'altra parte,
credo e presumo, da quello che mi sembra di aver capito, minoritaria
del movimento eversivo, ritengo che una distinzione debba essere
fatta: non credo che Casarini sia uguale a Tettamanzi. Sono convinto
che si tratti di due persone diverse. La presenza dei cattolici e le
indicazioni dello stesso arcivescovo, cardinale Tettamanzi, andavano
in una certa direzione, di quella di una protesta pacifica e di una
espressione di idee contro la politica internazionale che nulla hanno
a che fare con le frange violente. Questa distinzione credo debba
apparire chiara nelle prese di posizioni, nelle relazioni e negli
atti ufficiali che provengono dallo Stato, e quindi nel caso, da
parte sua, altrimenti rischiamo di ingenerare confusione.
Noi
abbiamo vissuto la stagione, peraltro non ancora chiarita, dello
stragismo; è vero, vi sono le prime sentenze, ma è
stata una stagione drammatica della vita nazionale non chiarita.
Ritiene di poter affermare o ha dei sospetti che a Genova abbiano
operato elementi che, già presenti nelle vicende dello
stragismo italiano, si siano infiltrati per promuovere azioni
eversive?
ANTONIO SODA. Ringrazio il capo della polizia per la relazione che ha qui svolto dandoci un'idea della complessità delle le questioni che sono state affrontate. Desidero alcuni chiarimenti su due passaggi che considero importanti per capire il rapporto fra gestione dell'ordine pubblico, diritto a manifestare e politica generale negli Stati democratici e dei rapporti fra Stato e cittadino. Nel passaggio primo il capo della
polizia definisce questo soggetto politico come ambiguo e doppio;
penso faccia riferimento ai rappresentanti che ha incontrato e non al
movimento inteso come migliaia e migliaia di persone che tutti
abbiamo presenti e che abbiamo visto nelle immagini trasmesse sfilare
il più delle volte serenamente e correttamente nei limiti di
quello che era consentito dalle violenza altrui.
Da tale
passaggio sostanzialmente si desume che vi era un elevato numero di
manifestanti pronti allo scontro con la polizia: questa è una
valutazione sulla quale chiedo vi siano un chiarimento ed un
approfondimento, perché ritengo che ciò non sia
sembrato agli italiani che hanno seguito tali vicende.
Vi è
un secondo passaggio nella sua relazione, in cui si afferma che non è
possibile l'azione di contrasto nel momento in cui alcuni gruppi
esercitano la violenza. Siamo in possesso di un dato di fatto:
effettivamente la maggior parte degli arrestati e dei fermati
provengono dalla perquisizione effettuata nella scuola Pertini - che
ha portato all'arresto di 93 persone di cui 81 immediatamente
scarcerate per la mancata convalida da parte dell'autorità
giudiziaria - e non abbiamo visto interventi della polizia tesi a
bloccare le bande di violenti. Questa è la sensazione che, a
mio avviso, hanno avuto i cittadini italiani i quali in quei giorni
sono rimasti attaccati al video e questa è la sensazione che
ha avuto il sindaco di Genova quando ieri ci ha detto che nel
pomeriggio del venerdì gran parte della polizia era intenta a
proteggere la zona rossa da coloro che egli stesso ha definito
«supposti assedianti che lanciano qualche bottiglia di
plastica», mentre nella restante parte della città la
polizia era assente.
Lo scorrere delle immagini televisive ha
trasmesso questa sensazione, ossia la sensazione di cortei fermi,
immobili e
sconcertati e di nuclei di bande che si muovevano liberamente
avendo a pochi metri di distanza imponenti forze di polizia ferme ed
inerti.
Non vorrei che da questa costruzione si desumesse che il
movimento è in sé portatore di ambiguità, di
doppiezza e di violenza, che l'azione di contrasto contro i violenti
non è possibile (lei ha detto che occorrerebbe un'azione
investigativa più lunga, come quella che si è svolta
negli anni settanta, per smascherare i violenti e per asciugare il
terreno sul quale si muovono) e che dalla combinazione di queste due
valutazioni nasca la teoria secondo la quale negli Stati democratici
la protesta sociale, politica e pacifica o si autoorganizza per
garantire essa stessa l'ordine pubblico o lo Stato se ne
disinteressa.
Vorrei un suo chiarimento e una discussione in
merito ad alcune sue indicazioni ed alle immagini dell'impotenza
della polizia o della incapacità della stessa, perché
dobbiamo capire cosa sia accaduto a Genova, ma dobbiamo anche capire
come, in uno Stato democratico, chi vuole manifestare liberamente
possa vedere garantito dallo Stato anche un suo diritto a manifestare
liberamente. Se ci muoviamo su un diverso terreno per cui lo Stato si
ritira, il messaggio che ne scaturisce è il seguente: se
volete stare tranquilli, non manifestate più liberamente,
altrimenti nessuno vi protegge.
La inviterei proprio a riprendere
questo discorso perché ci può aiutare a capire tutto
ciò che ci serve per impostare una politica costituzionalmente
corretta dell'ordine pubblico.
La seconda questione sulla quale
sono già tornati i colleghi Boato e, da ultimo, Marini è
la seguente. Lei, nel valutare la condotta di tutte le forze di
polizia, ha fatto riferimento a una documentazione dei media,
ad un eccesso e a qualche sporadico abuso. Le domando: da quelle
parziali relazioni scritte il
27 luglio - non so se vi sia poi stato un ulteriore
approfondimento - cosa emerge? Emerge che, per quanto riguarda
l'unica operazione di polizia giudiziaria - costituita dal cosiddetto
Blitz nella scuola Pertini, altrimenti chiamata scuola Diaz -,
vi è stata una violazione sistematica delle modalità
previste dal codice di procedura penale per eseguire le
perquisizioni, anche quando esse si svolgono su iniziativa della
polizia.
Dato atto che non vi sono i verbali, mi chiedo perché
e chi abbia deciso, per esempio, di non applicare le norme del codice
di procedura penale (articoli 386 e seguenti) concernenti i doveri
della polizia giudiziaria in caso di arresto o di fermo e di creare
queste strutture di concentrazione degli arrestati e dei fermati,
considerato che il codice di procedura penale prevede che
identificati i fermati o gli arrestati, si comunichi immediatamente
all'autorità giudiziaria l'avvenuto arresto o fermo e che tali
soggetti vengano messi a disposizione della stessa. È vero che
il codice stabilisce che tutto ciò debba avvenire entro
ventiquattro ore, ma ciò non significa che le persone debbano
rimanere a disposizione delle forze di polizia per 17, 18, 20 ore
come è scritto nella relazione. La norma fissa il termine di
24 ore perché, se si effettua una perquisizione a 20, 30, 40
chilometri di distanza dal punto di appoggio della messa a
disposizione dell'autorità giudiziaria, possono trascorrere
queste ore. Tuttavia, in questo caso non vi era alcuna necessità
di creare luoghi di concentramento degli arrestati e dei fermati.
Pertanto, da quanto è scritto nella relazione si evince
che non si trovano i verbali, che non si sa se i fermati siano stati
invitati a nominare un difensore - come avevano diritto a fare - o se
siano stati invitati a dire chi volevano fosse avvertito e che gli
stessi sono stati visitati una prima volta da medici
della polizia ed una seconda volta da medici della polizia
penitenziaria e così via. Che ragione vi era di non seguire
strettamente le norme di legalità previste?
Signor capo
della polizia, in sostanza vorrei capire il nodo politico e gli
aspetti tecnici che possono sorreggere una scelta politica di
gestione dell'ordine pubblico e, inoltre, le vorrei chiedere se ci
può fornire la circolare ed il vademecum citati, per
verificare se occorra compiere anche un'opera di ricostruzione
all'interno della polizia, in una visione più rispettosa dei
diritti dei cittadini o se effettivamente - come lei dice - si è
trattato di un qualche sporadico abuso.
La sensazione che i
cittadini italiani hanno avuto è stata quella di una violenza
troppo diffusa e sistematica, diretta verso persone inermi. Tutti
abbiamo visto gente che fuggiva, che si sdraiava a terra, che
rimaneva con le mani alzate.
Di fronte a tutto ciò voglio
capire che cosa debba fare il Parlamento in relazione alla necessità
di riorganizzare i corpi di polizia.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Soda. Mi rendo conto che la materia trattata risulta essere particolarmente interessante, in ogni caso pregherei i colleghi presenti di sintetizzare le domande così da agevolarne la comprensione; alla fine, infatti, ciò che conta è la sostanza.
GRAZIELLA MASCIA. Essendo stata testimone oculare fino al termine del vertice, cercherò di non farmi prendere dalla curiosità e dal desiderio di chiarire tanti aspetti relativi a quelle giornate. Mi sforzerò di concentrare le mie domande, tuttavia chiedo scusa ai colleghi se forse ruberò qualche minuto agli altri parlamentari che dovranno intervenire ma, essendo la sola rappresentante del mio gruppo credo che alla fine avrò la vostra comprensione.
Dottor De Gennaro, spero di essere smentita nel corso dei
lavori di questa Commissione e vorrei capire che cosa succederà
in questo paese nei prossimi mesi. Sono convinta che tutto ciò
che è avvenuto - ferma restando qualche immancabile
responsabilità individuale -, compreso il Blitz alla
scuola Diaz, non sia frutto di casualità. Ho avuto modo di
leggere i documenti degli ispettori che lei ci ha fornito, nei quali
essi negano di aver fatto propria la scelta preventiva finalizzata ad
atti come il famoso Blitz. Vorrei davvero che così
fosse, tuttavia c'è qualcosa che non mi convince, un qualcosa
rappresentato dalle giornate del 19, 20 e 21 luglio.
Le domande
che le rivolgerò, essendo lei una persona autorevole che ha
seguito dall'inizio lo svolgersi dei fatti, sono tese a comprendere
la natura del progetto che avete disposto.
La vostra è una
struttura forte ed efficace che ha potuto usufruire di ripetute
consulenze e, forse, anche di un coordinamento operativo con le altre
polizie internazionali. È stata messa a punto una strategia
che ha potuto contare sulle esperienze precedenti, da Seattle in poi.
Come è possibile che, attraverso questa struttura, si sia
potuta difendere in maniera così eclatante la zona rossa e,
allo stesso tempo, non riuscire a garantire i diritti minimi dei
cittadini nella caserma di Bolzaneto dove ha regnato una situazione
di totale confusione ed assenza di comando? Per non parlare poi del
famoso Blitz alla scuola Diaz, dove sembra che a nessuno
debbano essere attribuite responsabilità precise. Naturalmente
di questo le chiederemo conto; io sono dell'idea che non tutti questi
fatti siano frutto di casualità, ma facciano parte di un
qualcosa che vorrei comprendere meglio.
Lei ci ha detto che, nonostante le informazioni ricevute ed i
rapporti con i servizi e le forze di polizia stranieri, non si è
riusciti a portare avanti un'azione preventiva in relazione a questi
fenomeni violenti.
Il Genoa social forum - del quale
faccio parte - ha interloquito con voi e ha garantito per se stesso e
per le proprie scelte. Naturalmente nessun individuo del nostro
gruppo può pensare di attrezzarsi per organizzare servizi
d'ordine, ancor più perché il GSF è composto da
gente pacifica.
Tuttavia, sul terreno della prevenzione, avremmo
voluto che venissero impediti arrivi. In questo senso, l'unico
risultato ottenuto è stato quello di impedire le
manifestazioni a centocinquanta persone di una nave greca, le quali
sono state rispedite - insieme a due consiglieri regionali delle
Marche, recuperati in seguito da una motovedetta - al mittente.
Dottor De Gennaro, quelle persone erano esponenti di un partito
democratico, il Synaspismos; lei ne è al corrente poiché
siamo stati in contatto per tutta quella giornata con un suo
collaboratore.
Vorrei capire meglio come sia stato possibile che,
dal punto della prevenzione e della sospensione del trattato di
Schengen, non ha funzionato nulla.
Riguardo l'aspetto della
prevenzione, devo dire che il ministro dell'interno ci ha riferito in
aula che, secondo le fonti dell'intelligence americana, erano
presenti a Genova circa 5 mila black bloc - lei oggi ci ha
detto che invece sarebbero stati duemilacinquecento - i quali hanno
operato in modo talmente veloce da non permettere alle forze di
polizia di intervenire.
Sono testimone oculare: è dal
20-21 luglio che questi signori hanno potuto agire ripetutamente,
continuamente, in modo indisturbato lontano dai luoghi in cui si
stavano svolgendo le
manifestazioni pacifiche, mentre venivano inseguiti e caricati
dalla polizia nel momento in cui tendevano ad avvicinarsi ad i nostri
cortei ed alle nostre piazze. Così si è svolta tutta la
giornata del 20 luglio. Voi, con la scusa di dover colpire queste
persone, avete ripetutamente caricato la gente che si trovava a
manifestare pacificamente. Ho bisogno di comprendere come ciò
possa essere avvenuto sia per quanto riguarda la giornata del 20
luglio sia per quanto riguarda la giornata del 21 luglio. In
quest'ultima giornata, una manifestazione di trecentomila persone è
stata caricata e continuamente spezzettata in un modo che non ha
precedenti in Italia.
Dottor De Gennaro, vorrei chiederle come
fossero state dislocate le forze di polizia nei giorni del 20 e 21
luglio e chi ne fosse al comando. Vorrei chiederle chi fossero i
responsabili della sala operativa unificata che, immagino, avrà
funzionato ininterrottamente. Quali rapporti lei ha intrattenuto -
come capo della polizia - con la sala operativa unificata e con il
ministro dell'interno nei giorni del 19, 20 e 21 luglio?
Vorrei
chiedere informazioni rispetto al tipo di coordinamento che si è
avuto con le forze di polizia ed e i servizi appartenenti ai paesi
stranieri e se le decisioni - ferma restando la responsabilità
tutta italiana - siano state assunte insieme.
Mi pare che dalle
audizioni alle quali abbiamo assistito vi sia la conferma che, di
fatto, la cosiddetta zona gialla, la zona cuscinetto - che lei ha
illustrato ai parlamentari liguri in un incontro precedente al G8 -
sia rimasta inalterata. Le chiedo conferma di questo, tenendo conto
del fatto che anche noi - sulla base di ciò che avevamo potuto
constatare in città come Praga e Nizza - avevamo espresso dei
suggerimenti al riguardo. Noi, come lei ben sa, non eravamo
interessati ad impedire che si svolgesse il vertice.
Abbiamo sempre detto: noi contestiamo la legittimità,
ma non faremo nulla per impedirlo. E questo è sempre avvenuto;
quello che è avvenuto, anche i termini di assedio, è
stato tutto virtuale. Lei conosceva i dettagli di quello che sarebbe
successo. Tuttavia, considero quella della zona cuscinetto una delle
questioni importanti, una delle ragioni per cui sono avvenuti i fatti
del 20 e del 21. Io considero quella una delle scelte sbagliate
compiute da questo Governo, tra le cause di quello che è
avvenuto. Questa zona gialla non solo è rimasta, ma si è
ampliata nella notte fra il 19 ed il 20. Sono stati visti dei
container prima della manifestazione del 19, ma tra il 19 ed
il 20 essi sono aumentati, sono usciti, la zona rossa si è
allargata al punto di impedire la circolazione dentro la città.
Noi non avevamo la possibilità di arrivare da una parte
all'altra, da una piazza tematica all'altra. E questo è stato
impedito a centinaia di persone.
Allora, io le chiedo: ci sono
state modifiche rispetto a queste scelte? Le scelte di effettuare
questi cambiamenti sono state di quei giorni o sono precedenti?
L'allargamento della zona rossa è precedente o risale
esattamente ai giorni 18, 19?
Vorrei chiederle, signor capo della
polizia, se abbia emanato lei particolari direttive rispetto alla
gestione dell'ordine pubblico, quali direttive abbia ricevuto dal
ministro dell'interno ed in quali sedi e da chi siano state elaborate
queste direttive e la gestione dell'ordine pubblico nei giorni 19, 20
e 21. Inoltre, vorrei chiederle quale fosse il contenuto di queste
direttive e se esse siano state modificate dopo la giornata del 20.
Ripeto, io penso che ci sia un problema relativo alla giornata del
20, ma poiché le dinamiche sono esattamente le stesse e si
sono ripercosse su una manifestazione di massa, credo che questi
punti vadano chiariti. In particolare sul corteo del 21 - avrei tante
domande da farle su quella
giornata -, mi limito a chiederle come mai la polizia non aprisse
il corteo come normalmente si fa. Ad un certo punto abbiamo chiesto
noi, attraverso una telefonata con il Vicepresidente Fini, di
rimuovere la polizia, di rimuoverla perché era in testa al
corteo, all'inseguimento dei cosiddetti black bloc. Ormai ci
chiudevano ed hanno rischiato di rendere le condizioni di quel corteo
veramente un disastro, come in effetti è stato per la vita e
per l'incolumità di centinaia di manifestanti.
Vorrei
chiederle anch'io come mai di fronte a tutte le segnalazioni
ricevute, non soltanto dal presidente della provincia ...
PRESIDENTE. Onorevole Mascia, mi perdoni...
GRAZIELLA MASCIA. Ho quasi finito.
PRESIDENTE. No, mi consenta, si limiti alle domande. La prego di evitare il commento.
GRAZIELLA MASCIA. È per inquadrare il problema. Questo Comitato ha poteri limitati, ma uno ha bisogno di comprendere.
LUCIANO MAGNALBÒ. Presidente, questa è l'audizione dell'onorevole Mascia!
PRESIDENTE. Scusate, colleghi. Onorevole Mascia, io non ho nessun interesse a far sì che lei non ponga le domande. Io ho interesse che lei ne ponga anche di più. Le sto chiedendo di fare le domande. La prego di limitarsi a fare le domande, perché tutti abbiamo interesse a sentire le sue domande e anche le risposte del prefetto. Grazie.
GRAZIELLA MASCIA. Presidente,
credo che non ci saranno altre occasioni di commento ma penso che il
dottor De Gennaro capisca il senso, capisca perché sono
costretta a circostanziare. Forse i colleghi si annoieranno...
Vorrei chiederle, dunque, come mai di fronte alle circostanziate
segnalazioni, non solo da parte del presidente della provincia ma
anche da parte del Genoa social forum, relative ad arrivi di
formazioni appartenenti non solo ai cosiddetti black bloc, ma
persino a formazioni neonaziste, non sia successo nulla. Avevate
poche forze, ma quelle poche forze non sono state usate, fuori, per
prevenire questi arrivi.
Riguardo all'episodio della scuola Diaz
ho posto delle domande. Io vorrei chiederle soltanto in quale modo
lei abbia partecipato alla decisione della perquisizione, in che modo
e quando abbia riferito al ministro dell'interno - lei sa che ci sono
state anche alcune telefonate in quella notte -, chi fosse il
responsabile dell'operazione: abbiamo in mano documenti che non lo
rendono comprensibile.
Infine, vorrei chiederle, sulla base di
notizie che sono uscite ieri sulla stampa, con quali metodi di
selezione e con quali percorsi di formazione sia stato addestrato il
reparto di polizia del nucleo sperimentale antisommossa e se sia vero
che a questa formazione hanno partecipato addestratori - non so come
si chiamino - provenienti dagli Stati Uniti. Rispetto alla scuola
Diaz, vorrei chiederle come mai sia stato utilizzato nella
perquisizione il reparto del servizio centrale operativo, che mi pare
fosse destinato ad altre funzioni in zona rossa, se non ricordo male
Vorrei chiederle chi fossero i responsabili per la polizia della
gestione delle persone arrestate nelle caserme, ma l'onorevole Soda
ha già chiesto molto.
Chiedo conferma semplicemente se ho compreso bene che lei ha
svolto nel corso del 2000 e del 2001 quattro riunioni del Comitato
nazionale dell'ordine e della sicurezza. Le chiedo conferma del
numero e delle date di tali riunioni. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Mascia. Dopo le domande del senatore Bobbio, mi riservo di verificare se il prefetto De Gennaro ritenga di fornire le prime risposte oppure se sia il caso di continuare ancora.
LUIGI BOBBIO. Grazie, presidente.
Ringrazio il prefetto De Gennaro per la sua presenza e per le prime
indicazioni che ci ha dato.
Vorrei avere informazioni in
relazione a fatti specifici. In primo luogo, essendo impegnati nella
vicenda generale dei tre giorni del vertice di Genova più
reparti di corpi diversi - tra Polizia di Stato, Guardia di finanza,
Arma dei carabinieri ed anche Polizia penitenziaria -, vorrei sapere
chi assicurò il coordinamento e la direzione delle operazioni
ed in particolare se tale coordinamento, ove mai ci sia stato - ma in
concreto, non formalmente -, abbia riguardato solo l'ordine pubblico
o anche l'attività di polizia giudiziaria e, quindi, in buona
sostanza, vorrei sapere chi avesse la parola definitiva sia nel
coordinare, nel prendere iniziative, nel fornire risposte sul campo,
sia nel pianificare interventi di polizia giudiziaria. Questo è
importante, anche e soprattutto, in presenza - lo dico come premessa
alle domande successive - di una struttura di tipo gerarchico
fortemente verticizzata in cui, peraltro, il vertice - mi corregga se
sbaglio - era ed è rappresentato da lei.
Poi, vorrei anche
sapere perché si sia permesso ai manifestanti - questa sembra
essere almeno la presa d'atto, in concreto, di quello che si è
visto, dalle cronache televisive in
particolare - di avere una massima espansione per strada e nelle
piazze e perché non si siano in realtà previsti, sul
piano operativo, per esempio moduli, flessibili o di intervento
volante nelle varie zone della città. Questa credo che avrebbe
dovuto essere una precauzione operativa, tecnico-pratica da mettere
in campo soprattutto se si considera che, alla luce dei segnali
precedenti, a partire da Seattle in poi - e l'ultimo grave fatto si
era verificato proprio a Napoli, nei giorni del marzo di quest'anno
-, era chiaro che andava prevista anche questa forma di guerriglia.
Dico questo perché - anche in questo caso ciò serve
solo ad illustrare le domande che ho fatto e che farò -
ritengo che in questa materia vada necessariamente operata una
profonda distinzione, per quanto riguarda il suo ruolo che è
delicatissimo ed importantissimo, fra il rapporto con il vertice
politico per quello che attiene alle direttive politiche e di
altissima amministrazione e, invece, quello che dovrebbe essere il
suo ruolo in termini di attuazione funzionale sul territorio e,
quindi, di gestione pratico-tecnico-operativa della vicenda vertice
in generale.
Ancora, vorrei sapere se risponda al vero
l'informazione che al comando delle forze e degli uomini in campo, ed
in particolare per le operazioni relative all'ordine pubblico, non fu
posto personale già particolarmente esperto, in concreto, e
non sulla carta o in via puramente teorica, di ordine pubblico e di -
chiamiamola così, con un vecchio termine - polizia politica.
Poi, saltando momentaneamente ad altro argomento, vorrei che lei
ci dicesse di cosa si occupa in particolare un suo collaboratore, il
dottor Sgalla. Se ciò risponde al vero, vorrei che lei ci
dicesse perché in occasione della perquisizione nella scuola
Diaz il dottor Sgalla era sul posto e, ove mai questa
informazione fosse corretta, perché il dottor Sgalla giunse
alla scuola Diaz dieci minuti prima dell'inizio della perquisizione.
Ancora, sarebbe corretto ed utile sapere perché il venerdì
mattina, il 19 - se non mi tradisce la memoria -, sino a mezz'ora
prima della manifestazione non era stata emanata alcuna ordinanza.
Non è necessario che dica a lei che cos'è l'ordinanza
in termini di gestione di una questura, in generale, e dell'ordine
pubblico, in particolare.
Ancora, vorrei chiederle perché
sabato sera, cioè in occasione della perquisizione alla scuola
Diaz, il prefetto La Barbera fu mandato sul posto. In particolare,
essendo stato inviato sul posto, non essendo lui peraltro ufficiale
di polizia giudiziaria e trattandosi di un'operazione squisitamente
di polizia giudiziaria, visto che si partiva sulle premesse
dell'articolo 41 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza,
quali direttive furono impartite al prefetto La Barbera, circa la sua
presenza e circa il ruolo da giocare sul posto?
Vorrei fare
un'altra domanda. Nel corso degli incontri che lei ha definito
tecnici con i rappresentanti delle organizzazioni del dissenso,
vorrei sapere se lei si adoperò per chiarire a questi signori
che nella - chiamiamola così - trattativa o nella gestione di
un rapporto personalizzato, per evitare problemi gravi nel corso
delle tre giornate in oggetto, vi erano almeno due limiti che non si
sarebbe mai consentito di valicare, per il rispetto stesso dello
Stato, dei suoi ruoli e dei suoi compiti. Mi riferisco in
particolare, al limite della inviolabilità della zona rossa,
in maniera categorica ed assoluta, ed al carattere non violento della
manifestazione, posto che era del tutto evidente che in questi casi
una forma di accordo, o di trattativa si arresta in partenza di
fronte al compito primario del rappresentante dello Stato (peraltro
al più alto livello quale
è lei): il rispetto assoluto - se necessario, imposto con
la forza (tutta la forza che è necessaria) - della legge o
dell'ordine dell'autorità.
Vorrei poi sapere se in
occasione degli incontri - due, mi pare abbia detto - che lei ebbe
con i rappresentanti (continuiamo a chiamarli così, con un
termine magari non del tutto tecnico), ma comunque con gli esponenti
del GSF e delle organizzazioni del dissenso, lei registrò
questi colloqui; vorrei sapere, quindi, se in qualche maniera li
documentò, per una forma credo anche di cautela o di prudenza,
vista la delicatezza particolare della materia. Nel caso in cui li
avesse registrati, le chiedo se volesse essere così cortese -
lo chiedo anche al presidente - da metterli a disposizione della
Commissione per conoscere i contenuti degli incontri.
Altra
domanda: vorrei sapere se i rappresentanti del GSF, in generale, ai
suoi occhi, fossero realmente, o si presentassero realmente come
rappresentanti esponenti dell'intero movimento, cioè se
parlarono, presero impegni o ebbero comunque delle prese di posizione
spendendo il nome dell'intero movimento e dei suoi aderenti. Nel caso
in cui ciò non sia avvenuto, vorrei sapere in base a quale
valutazione lei decise di continuare comunque a trattare con queste
persone.
Ancora, vorrei sapere se nel corso dell'attività
di prevenzione furono operati o meno servizi investigativi, anche
eventualmente di prevenzione, ma comunque investigativi nel senso
pieno del termine, cioè finalizzati alla redazione di
informative, notizie di reato o richieste alla magistratura
inquirente, a carico di esponenti o anche eventualmente di stessi
membri del GSF o di ogni altra organizzazione a tale forum
aderente. Ove mai ciò sia stato fatto, vorrei ancora sapere se
siano stati in questo caso accertati collegamenti, ad esempio, tra
esponenti antiglobalizzazione delle varie città
italiane e se, quindi, siate riusciti a definire, almeno come
ipotesi di lavoro, l'eventuale esistenza di una rete che copra il
territorio nazionale con collegamenti internazionali attualmente in
atto, in essere.
Chiedo scusa, presidente, ho un elenco di
domande abbastanza lungo, ma sto cercando di ripercorrerlo veramente
soltanto a livello di domande.
Dunque, vorrei sapere se siano
stati accertati momenti di collegamento, quindi rapporti concreti,
tra esponenti del GSF o di movimenti collegati ed esponenti politici
nazionali o anche eventualmente internazionali. Quando parlo di
collegamenti, intendo riferirmi a un qualsivoglia genere di rapporto
diretto, o comunque legato alla formazione e al concepimento di linee
di lavoro, o quant'altro anche eventualmente più grave.
Ancora, sarebbe necessario sapere, se lei può dircelo, se
a parte i black bloc - sui quali mi sembra che si stia
concentrando in maniera eccessiva e palesemente strumentale
l'attenzione, dal punto di vista della gestione violenta ed
aggressiva di questa manifestazione dalla parte dei dimostranti - si
tenne presente da parte delle forze di polizia, che operarono nella
fase preventiva, repressiva e di controllo, che, per esempio, anche
le cosiddette tute bianche avevano, da molto tempo prima dei giorni
del vertice, assunto pubblicamente atteggiamenti violenti di
dichiarata aggressività nei confronti del vertice, dei suoi
partecipanti, della stessa polizia e dei carabinieri. Basta andare a
controllare le conferenze stampa, riprese dalla televisione, tenute
dalle tute bianche in divisa con i passamontagna sul viso, cosa
peraltro proibita dalla legge -. Perché, ad esempio - mi
smentisca se le mie informazioni sono inesatte -, in occasione di
queste conferenze stampa non si procedette mai - eppure furono
parecchie, malgrado la vigenza di quella normativa antiterrorismo
degli anni '70 che fa divieto ai cittadini di essere presenti in
pubblico con mascheramenti o travisamenti di qualsiasi genere - al
controllo, all'identificazione e al fermo di coloro che tenevano -
ripeto - conferenze stampa in divisa e con i volti coperti da
passamontagna? Anche questo è un aspetto rilevante.
Le
risulta, ancora, che i cortei del GSF abbiano mai posto in essere, in
modo significativo, durante i tre giorni di Genova, tentativi di
espellere dal loro interno, e, quindi, di isolare i gruppi numerosi
che entravano e uscivano dai cortei in questione per le loro azioni
di guerriglia? O le risulta che comunque i partecipanti cosiddetti
non violenti - ma poi in realtà vedremo esservi diversi modi
per essere violenti nel corso di manifestazioni pubbliche - abbiano
mai denunciato qualcuno dei componenti dei gruppi organizzati di
guerriglia, che entravano ed uscivano dai cortei con la copertura
quindi dei cortei stessi? Le risulta ancora che le azioni di
guerriglia e di attacco ad obiettivi civili e alle forze di polizia
furono condotte oltre che dai cosiddetti black bloc anche da
altri gruppi di manifestanti? Resta fermo che - come dire - la
connotazione violenta di determinati gruppi non è
restringibile al fatto di avere indosso uno straccio nero o meno; la
connotazione violenta, infatti, si manifesta anche per i
comportamenti, oltreché per la cosiddetta divisa (chiamiamola
così).
Le risulta altresì che a Genova - se ce lo
può dire per la sua notevolissima esperienza e per la sua
lunga carriera in polizia - si sia verificato, nei tre giorni
questione, un fatto, che in Italia, in realtà, non si vedeva
dagli anni settanta, ossia l'attacco, di esclusiva iniziativa dei
manifestanti, agli schieramenti delle forze dell'ordine, poste per
strada esclusivamente a presidio (e, quindi, ad immagine di presidio)
senza che le
stesse forze di polizia avessero posto in essere, in molti casi, iniziative ed operazioni per il contenimento dei manifestanti stessi?
PRESIDENTE. Senatore Bobbio, mi consenta. A me va tutto bene, vedo che il metodo delle domande è pertinente; lo so che il suo è un intervento a nome del gruppo, però mi hanno chiesto di intervenire anche gli onorevoli Menia e Anedda, per cui non è proprio del gruppo. Quindi, a questo punto, dividetevi le domande.
LUIGI BOBBIO. Va bene,
eventualmente posso chiedere ad altri colleghi.
Rimangono due o
tre domande soltanto.
PRESIDENTE. Prego, se sono due o tre domande, va bene. Però, è una questione di metodo.
LUIGI BOBBIO. Ha ragione,
presidente, però la materia è da approfondire;
comunque, concludo.
Vorrei sapere quali e quante note - se il
prefetto De Gennaro può farcele avere - abbia ricevuto, nella
fase preventiva e quindi preparativa del vertice, da SISDE e servizi
segreti esteri in generale. Se, ancora - questa è una domanda
di carattere più generale, alla quale però vorrei che
si rispondesse da, un punto di vista proprio di ricostruzione
generale dei ruoli e delle posizioni - risponda al vero il fatto che
sia i dirigenti cosiddetti uscenti - il dottore La Barbera in
particolare e l'altro dirigente - sia quelli da nominarsi in
pectore, siano membri del sindacato dei funzionari di polizia,
che lei in qualche maniera avrebbe ispirato e - ultimissima domanda -
se risponda al vero che nel corso dei disordini di Genova, tra gli
altri, sia stato arrestato in flagranza di reato
tale Gatto Gabriele, palermitano, avente la tessera di Rifondazione comunista n. 14038, arrestato dal terzo battaglione carabinieri in via Tolemanide per i reati di resistenza e violenza, avendo casco, maschera e sanpietrini. Grazie.
ANTONIO SODA. Presidente, la riservatezza del denunciante è tutelata, ma quella del denunciato?
LUIGI BOBBIO. Lei sa che è stato fatto il riesame e che quindi quegli atti sono pubblici, caro collega. Grazie.
ANTONIO SODA. Lei ne sa troppo dei fatti altrui!
LUIGI BOBBIO. Perché è il mio mestiere!
ANTONIO SODA. Quello dello spione!
LUIGI BOBBIO. Non le permetto di chiamarmi spione, perché lei ha fatto una ben peggiore figura!
PRESIDENTE. Senatore Bobbio, credo vi sia un clima collaborativo. Abbiamo qui il prefetto che deve darci risposte che credo interessino non solo noi singolarmente, ma un po' tutti. Procediamo con calma e vedrete che, alla fine, arriveremo a comprendere qualcosa di più.
FILIPPO MANCUSO. Abbiamo molto materiale interrogativo...
PRESIDENTE. Molto, a mio avviso.
FILIPPO MANCUSO. Se fosse possibile, anche per la probabile stanchezza del nostro ospite, fare qui una sosta e rimandare a più tardi le domande che mancano... È troppo il
materiale proposto, valuti lei, presidente. A me pare che sia il momento di dare una risposta, ci sono trenta o quaranta domande pendenti.
LUCIANO VIOLANTE. Forse sarebbe opportuno che il capo della polizia, prima di tutto, spiegasse quali sono le funzioni del capo della polizia, perché non tutti qui le conoscono, altrimenti rischiamo di fare alcuni errori di valutazione.
PRESIDENTE. Mi pare che lei
suggerisca, visto che i cinque interventi hanno comunque sottolineato
la funzione del capo della polizia, che, almeno su questo punto,
vengano fornite delle risposte, per evitare che altri undici colleghi
possano ripetere un po' lo stesso argomento.
Dunque, se lei
ritiene, prefetto, di poterci chiarire - soprattutto in riferimento
alle domande che fino qui le sono state poste - solo questo aspetto
della problematica, successivamente potremmo procedere ad ascoltare
tutti gli altri colleghi, in maniera tale che lei possa fornire, alla
fine, una risposta a tutte le domande che le sono state poste.
GIOVANNI DE GENNARO,
Direttore generale del dipartimento della pubblica sicurezza.
Signor presidente, io naturalmente sto prendendo nota di tutte le
domande e, certamente, per tutte quelle che sono le mie conoscenze,
cercherò di rispondere e di fornire le indicazioni. Però,
obiettivamente, credo che qualcuna di queste domande vada un po'
oltre quelle che sono le possibilità di conoscenza del capo
della polizia.
Innanzitutto, il direttore generale della pubblica
sicurezza ha, sì, una funzione di coordinamento, ma vorrei
ricordare, se possibile, che non c'è - come ha detto prima il
senatore Bobbio - una linea verticistica di comando. Il nostro non è
un
sistema di organizzazione gerarchico, come altri sistemi e altre
istituzioni naturalmente hanno. Nel nostro sistema, in virtù
di una legge vigente del 1981, il punto di riferimento centrale sono
le autorità di pubblica sicurezza, soprattutto con riferimento
alla responsabilità sull'ordine e sulla sicurezza pubblica.
Non per niente sono individuate ed indicate come autorità ed è
per questo motivo - chiedo scusa se ho dato, forse, l'impressione
sbagliata - che nella mia relazione credo di aver sottolineato tutto
il supporto e tutte le attenzioni che sono state date in termini di
supporto a quelle autorità che operano a Genova. A questo
proposito - proprio anticipando parte di una domanda - proprio in
quegli incontri tecnici cui è stato fatto riferimento, io ho
sottolineato che non ho nessuna autorità: sono il prefetto e
il questore ad avere l'autorità.
Tuttavia, con molta
lealtà e con molta correttezza, credo di aver detto, nella mia
relazione, che le scelte sono state sempre condivise anche a livello
centrale, in ragione proprio del ruolo del capo della polizia, il
quale ha quattro compiti: il primo, recita l'articolo 4 della legge
n. 121, è quello dell'attuazione della politica e dell'ordine
della sicurezza pubblica; il secondo è quello del
coordinamento tecnico delle attività delle forze di polizia;
il terzo è quello della direzione e amministrazione della
Polizia di Stato; il quarto è quello relativo alla direzione e
gestione dei supporti tecnici.
In effetti, su alcune cose non
sono in grado di rispondere, soprattutto sulla parte investigativa,
né di fornire elementi certi che, laddove non fossero coperti
da segreti di indagine, possono essere forniti sicuramente dagli
ufficiali di polizia giudiziaria.
In questo senso credo di aver
correttamente indicato il ruolo del capo della polizia. Ovviamente,
nella mia veste di direttore generale della pubblica sicurezza,
assumo ogni responsabilità
di quelle che sono state le scelte fatte nell'ambito delle attribuzioni che la legge mi conferisce. Signor presidente, non posso assumere responsabilità su fatti per cui non ho attribuzioni da parte della legge.
PRESIDENTE. La ringrazio, così i colleghi hanno contezza delle prerogative del capo della polizia.
GRAZIA LABATE. Alla lettura
attenta della relazione del prefetto De Gennaro, che abbiamo
ascoltato tutti con molta attenzione, non posso non sottolineare,
prefetto De Gennaro, uno scarto evidente tra il contenuto della sua
relazione, che analizza tutto lo stato di preparazione e di messa a
punto di quattro obiettivi che si intendevano perseguire prima
dell'evento del G8, e, contemporaneamente, la lettura dei materiali,
che stamattina ci sono stati forniti, nei quali - userò questo
termine in relazione ai giorni caldi - le conclusioni cui si perviene
sono quelle dell'assenza di sinergie, di confusione, di mancanza di
coordinamento. Trovo, dunque, questo scarto nella lettura molto
attenta della sua relazione e nelle conclusioni cui sono pervenuti
gli ispettori, anche se attendiamo ovviamente la terza relazione per
formarci un giudizio complessivo.
La prima domanda che vorrei
rivolgerle è la seguente: lei dice di aver partecipato a due
riunioni in loco con il comitato per la sicurezza, l'ultima
conclusasi il 30 giugno: lo evinco dalla relazione è trattato
di due riunioni cui lei ha partecipato il 24 e il 30 giugno, nelle
quali il questore e il prefetto hanno dimostrato una sensibilità
alle domande poste dal Genoa social forum, concedendo appunto
una manifestazione che non era stata prevista in zona ponente e
predisponendo, in quella sede, l'abilitazione della stazione di
Brignole per l'arrivo dei manifestanti. Lei ci ha detto che aveva
notato, nelle occasioni in cui
era stato presente, sfuggenti ed evasive risposte da parte del
Genoa social forum sul tema della sicurezza o, quantomeno,
sull'isolamento degli elementi violenti, al punto da farle definire
un non ben chiaro concetto di disobbedienza civile e, al tempo
stesso, ci ha detto delle azioni di prevenzione avvenute con tutta
una serie di indagini, perquisizioni e messa a punto di elementi che
potevano determinare preoccupazioni avvenute prima delle giornate
calde. Le chiedo allora: in quale rapporto stanno queste cose, visto
che nelle riunioni del comitato per la sicurezza erano state
individuate queste sensazioni di sfuggenza ed evasività sulla
chiarezza da parte dei proponenti le famose giornate a tema? Le
operazioni di prevenzione intercorse giorni prima le fanno
addirittura elencare tutta una serie di centri e circoli, nei quali
si era rinvenuto materiale favorevole all'uso la violenza. Quindi la
domanda è: in che rapporto stanno queste cose e quali misure
sono state date agli organi competenti in sede locale? Infatti, a
partire dalla settimana comunque prevista - e quindi a tutti nota,
agli organi di sicurezza locale come a quelli di sicurezza centrale
-, vorrei ricordare al prefetto De Gennaro che esistevano stampati,
che circolavano nella città, sia delle zone in cui si
sarebbero verificati gli incontri a tema sia di tutta
l'organizzazione, in termini anche di dibattiti che i movimenti
avrebbero effettuato nella mia città.
Mi domando allora -
avendo compreso, anche dalla lettura degli articoli della legge, i
compiti di coordinamento - in che rapporto stiano queste cose e che
cosa sia stato detto agli organi di livello locale sia in riferimento
alle esigenze di effettuare altri coordinamenti, man mano che gli
episodi avvenivano, sia riguardo alla risposta a segnalazioni: mi
riferisco sia a quelle che ha ricordato qui, ieri, la presidente
della provincia - che, peraltro, perlomeno a me, che sono
deputata ligure, erano già note -, sia alle segnalazioni
che io stessa, il giorno 20, il giorno delle piazze a tema, ho fatto
direttamente, chiamando il 112 dei carabinieri, la questura di
Genova, parlando con il capo di gabinetto e segnalando episodi che
nella mia città non erano quelli che avvenivano
contemporaneamente ai cortei, ma erano quelli più isolati -
dell'area bank, di via Rimassa all'altezza del 4910, da parte
dei black bloc, dove non c'era corteo di manifestanti -, alle
quali non è stata data risposta.
Il giorno della famosa
manifestazione pacifica, prefetto De Gennaro, è stato
visibile, non solo a chi era lì e sfilava in corteo, ma anche
a chi era lì e osservava, che l'attacco, con la presa della
testa del corteo, è avvenuto da parte di gruppi (certamente
stranieri a giudicare dalla voce tedesca che si ascoltava) che
venivano fuori dalla zona di piazzale Kennedy, conquistavano la testa
del corteo e iniziavano la sassaiola con la polizia, alla quale la
polizia rispondeva con lancio di lacrimogeni. Di fronte a questo
episodio, vi sono state immediate segnalazioni di cittadini abitanti
in quella zona, in piazza Rossetti e in via Rimassa, alla questura,
al 112 e persino ai vigili del fuoco. Ebbene, l'unico corpo che è
arrivato immediatamente, perché il danno era grave, con
situazioni di incendi e tubature del gas vicino ad alcuni palazzi, è
stato quello dei vigili del fuoco.
Domando allora tre cose:
coordinamenti in costanza di episodi che dovevano verificare gli
stati di emergenza che via via si verificavano; sul luogo,
coordinamento di tutti i corpi presenti che, ai cittadini residenti,
come me, nella zona gialla, è apparso esiguo: effettivamente,
ho difficoltà, abitando proprio in quella zona, a credere che
in tutta la zona gialla fossero dislocate 6.800 unità;
probabilmente, avrò percorso perimetri in cui ciò non
era visibile, ma effettivamente la mia
sensazione è quella che molti cittadini genovesi hanno
avuto, e cioè che non ci sia stata assicurata la necessaria
sicurezza in quella zona. E poi che cosa ha determinato, nei momenti
dell'emergenza, l'impossibilità di efficaci coordinamenti e,
dietro le segnalazioni circostanziate e dirette effettuate, di
intervenire - voglio sottolinearlo di nuovo - non rispetto ad episodi
che avvenivano nel mezzo dei cortei, ma ad episodi isolati ed
individuati, su cui potrei dare anche riferimenti temporali, come per
l'episodio dell'area bank? Questo si è verificato alle
ore 13,06, mentre la polizia è intervenuta alle 13,46, e
faccio notare che la questura è esattamente dietro la zona di
via Rimassa. Quindi, vorrei capire - rispetto ad una relazione così
circostanziata in termini di azioni efficacemente prese in tempo e
messe in campo di supporto alle istituzioni locali e di azioni di
prevenzione - cosa sia accaduto per cui questo coordinamento non c'è
stato, l'intervento tempestivo non è arrivato, anche dietro
sollecitazione. Senza dire, poi, delle domande fatte dai colleghi
sulla sera del Blitz alla scuola ex Diaz. Anche in quel caso,
prefetto De Gennaro, devo dirle che mi sono rivolta direttamente al
prefetto Di Giovine ed al questore Colucci, dietro segnalazioni di
deputati parlamentari colti dal panico, perché le forze di
polizia non riconoscevano nemmeno un tesserino di parlamentare.
Effettivamente le risposte su questo sono state scarse , addirittura
nulle e, in certi casi, preoccupanti.
Quindi, da lei mi aspetto
una risposta esauriente rispetto a questi quesiti, perché la
ferita prodotta in quella città non è solo materiale -
l'ha detto il sindaco Pericu ieri -, ma è una ferita profonda,
morale: in una città che ha sempre avuto efficaci rapporti con
le istituzioni dello Stato preposte alla
sicurezza, non ci si capacita di cosa sia accaduto che abbia potuto ingenerare nei cittadini la sensazione che, stavolta, l'intervento non sia stato efficace e tempestivo.
ALOIS KOFLER. Sarò brevissimo, presidente. Prefetto, per quanto riguarda i fatti avvenuti nella scuola Pertini, da una rapida lettura della relazione degli ispettori non ho potuto cogliere il numero delle persone, degli agenti impiegati in questa azione.
ANTONIO SODA. Erano 275; c'è scritto.
ALOIS KOFLER. Bene. Seconda
domanda: vi era una collaborazione con altri reparti o si trattava
soltanto di uomini della polizia? Posta in maniera diversa, la
domanda è: lei può escludere che vi siano stati altri
reparti che, probabilmente prima, siano stati impiegati per un'azione
nella stessa scuola? Chiedo ciò anche alla luce dei fatti che
sono stati riportati dagli organi di stampa di ieri e che,
addirittura, sarebbero sostenuti dal sottosegretario per l'interno.
Altra domanda, a proposito della quale ho portato una copia della
prima pagina di un settimanale tedesco molto diffuso, Die Zeit,
del 2 agosto, che poi consegnerò: lei ritiene che questo
comportamento dell'agente, ed evidentemente della polizia, sia
adeguato o che si sia trattato di un episodio sporadico ed anomalo? E
se non lo ritiene adeguato, quali misure intende disporre per evitare
il ripetersi di comportamenti del genere che sicuramente provocano un
grosso danno all'immagine del paese?
L'ultimo gruppo di domande.
Vi sono state proteste o richieste di chiarimenti abbastanza
insistenti da parte delle autorità tedesche e austriache: per
quel che riguarda la sua competenza, con quale tempistica ed in quale
modo lei ha
potuto rispondere a queste domande di chiarimento? Gradirei anche che il Comitato acquisisse la documentazione relativa a tali risposte.
PRESIDENTE. Vuole consegnare quel documento, senatore Kofler?
FRANCO BASSANINI. Presidente,
ho tre sole domande da porre; le altre sono state già rivolte
dai colleghi e voglio solo dire al prefetto De Gennaro che seguirò
con molto interesse le risposte alle domande fatte dai colleghi, che
sono molto importanti ai fini dell'accertamento della verità.
La prima domanda è questa: come il prefetto De Gennaro sa,
nella veste di ministro, anni fa, mi è capitato di partecipare
a due riunioni di comitati provinciali per la sicurezza in
circostanze importanti - ad esempio, in occasione della tradizionale
manifestazione del 25 aprile, a Milano -, in momenti difficili; nel
primo caso, era esplosa una bomba a palazzo Marino nella notte
precedente, mentre, nel secondo, c'era la tensione per il Leoncavallo
e per i centri sociali. In tutti questi casi ...
In tutti questi
casi le autorità di pubblica sicurezza, nella persona del
questore, ci spiegarono, innanzitutto, che cosa le forze dell'ordine
avrebbero fatto per isolare coloro che erano identificati come
possibili portatori di azioni violente: isolarli e metterli in
condizioni di non potersi inserire e mescolare al grosso del corteo.
E poi, in effetti, così successe, nel senso che (allora si
trattava soprattutto di centri sociali) questi elementi venivano,
come dire, costretti a stare in coda al corteo, tanto
che quando arrivavano in piazza del Duomo la manifestazione era
praticamente finita. Avevo capito che questa fosse una regola
generale; vorrei capire se lo era anche in tale circostanza e cosa è
stato fatto, perché penso che questo sia il punto
fondamentale. Dobbiamo chiedere a tutti, ripeto, a tutti (le forze
politiche e le organizzazioni del dissenso) di condannare la violenza
e di rifiutare ogni rapporto e ogni copertura nei confronti dei
violenti, chiunque essi siano; non mi riferisco soltanto alle tute
nere, se ve ne sono altri, anche nei confronti di questi altri. Però
poi, le forze politiche e le istituzioni devono operare per conto
loro essenzialmente tale scopo: isolare la violenza ed evitare, ieri,
oggi e in futuro, che i violenti possano trovare terreno di cultura,
coperture, eccetera.
La domanda è: cosa si è fatto
in questo caso? I molteplici episodi citati sembrano dimostrare che
questo tipo di azione, di isolamento, di prevenzione e di repressione
dei gruppi violenti, alcuni dei quali erano facilmente identificabili
(altri forse no, ma alcuni sicuramente erano facilmente
identificabili), non è stato adeguato. Sembra addirittura -
questo scrivono i giornali, molti episodi lo hanno fatto sospettare e
spero non sia vero - che sia, quasi, stata seguita una linea intesa a
non operare con decisione in tale direzione, forse per evitare
reazioni. Vorrei capire se, anche in questo caso, c'era tale
direttiva tra quelle fondamentali e che cosa si è fatto. Le
denunce di autorità istituzionali - ieri abbiamo ascoltato la
presidente della provincia di Genova - offrivano buoni motivi per
intervenire con decisione al fine di prevenire ed isolare i violenti,
posto che, come tutti sappiamo, la grandissima maggioranza delle
organizzazioni (penso alle associazioni cattoliche, alla federazione
delle chiese evangeliche, ai valdesi,
eccetera), era composta sicuramente da persone pacifiche che
manifestavano le loro idee, rifiutando, assolutamente, la violenza.
La seconda domanda. Oltre alla perquisizione nella scuola
Pertini, ex Diaz, si è svolto, contemporaneamente, un
intervento nell'edificio di fronte. Tale edificio era assegnato al
Genoa social forum per il centro di informazione. Nella
relazione che ci è stata consegnata si afferma che l'accesso,
in tale occasione, di fronte a mancanza di episodi di violenza e
resistenza è stato effettuato senza alcuna conseguenza per le
persone presenti e senza danni per le cose - ripeto, senza danni per
le cose - confermando quali siano, sulla base delle direttive
impartite e dell'addestramento del personale, i canoni
comportamentali adottati nel caso in cui si ritenga di dovere
effettuare interventi di polizia giudiziaria. Quindi si cita questo
caso come prova del fatto che le direttive erano corrette e il
personale era addestrato a seguirle correttamente. Ora, invece,
abbiamo sentito e visto dei filmati, e leggiamo oggi sui giornali,
che in quell'edificio, in via Battisti di fronte la scuola Pertini,
ex Diaz, sono state effettuate, da parte delle forze che provvedevano
alle perquisizioni, devastazioni; sono stati distrutti computer e
sono stati distrutti o prelevati dischetti. Non c'è, pare,
rapporto su questa perquisizione. Qui si dice che non è stato
arrecato alcun danno alle cose e allora io vorrei capire, dottor De
Gennaro, se anche a lei non è risultata evidente questa
contraddizione che è talmente palese da generare perplessità
sulla correttezza della sua relazione. A meno che non si dica che
tutti i filmati trasmessi dalla televisione e ciò che oggi
scrive il Corriere della sera e ciò che in
quell'edificio sono avvenute delle devastazioni sia tutto falso.
Qualcuno insinua anche il sospetto (spero non vero) che si fossero
così voluti distruggere filmati significativi contenuti in
quei dischetti
di computer. Mi auguro che questo non sia vero, non voglio
crederci, perché sarebbe abbastanza grave, e tuttavia qui c'è
scritta una cosa che pare proprio contraria alla verità. Come
mai non ha ritenuto di chiedere, immediatamente, all'ispettore la
ragione di questa - sembra evidente - reticenza, o meglio sarebbe
dire, cosa non vera, contenuta nel rapporto?
Infine un'ultima
domanda alla quale non so se lei potrà rispondere ma le chiedo
solo una risposta in termini molto generali: le nostre forze di
sicurezza avevano provveduto - come si fa, credo, in questi casi - ad
infiltrare, nelle organizzazioni dei manifestanti, in particolare in
quelle più a rischio, degli informatori? Non so - ripeto - se
lei potrà rispondermi, le chiedo solo una risposta di ordine
generale, perché credo sia un elemento utile ai nostri
accertamenti.
GIAN FRANCO ANEDDA. Chiedo
scusa se qualche domanda potrà essere ripetitiva, ma
preferisco farla piuttosto che scremare i miei appunti ed inizio
senza convenevoli: diamoli per letti.
Vorrei sapere se vi fosse,
da chi fosse stata disposta e quale fosse la divisione dei ruoli tra
le diverse forze di polizia e all'interno delle stesse forze di
polizia; se vi fossero piani operativi di intervento per fronteggiare
la guerriglia stradale. Mi riferisco all'affermazione contenuta a
pagina 17 laddove trae esperienza dagli episodi verificatisi in
occasione di altre manifestazioni internazionali.
Vorrei sapere
se a Napoli, per quanto è di sua conoscenza, vi siano stati
episodi di violenza da parte di agenti della polizia; quale esito
abbiano avuto, anche disciplinare, e quali indagini siano state
effettuate all'interno e se, quanto accaduto a Napoli, abbia
determinato o meno un aggiornamento dei piani operativi, posto che
esistessero.
Vorrei altresì sapere quale fosse la preparazione degli
agenti perché, lei sa, che nei commenti agli episodi si è
detto - e la doglianza proviene anche dal sindacato della polizia -
che siano stati utilizzati anche agenti poco preparati ai quali era
stato consegnato soltanto quel vademecum cui lei ha fatto cenno. Se
esistano, girati dalla polizia, dei filmati, se anche dagli
elicotteri, e se se ne possa acquisire una copia. Se, anche con
riferimento ad attività di prevenzione, ma anche con riguardo
a ciò che accadeva in quei giorni, gli organi di polizia
abbiano utilizzato il sito Internet, giacché i giornali hanno
pubblicato l'indirizzo di almeno cinque siti nei quali, si dice,
fossero indicate le direttive anche per le azioni di guerriglia. Se
esistano delle registrazioni radio anche tra le forze di polizia in
occasione delle operazioni e se sia possibile acquisire tali
registrazioni.
Chiedo se lei abbia fatto delle verifiche in
relazione alle denunciate omissioni di un rapporto, in particolare,
circa il tempo degli interventi delle diverse forze di polizia - o
delle diverse specialità delle forze di polizia - nella
caserma Pertini. Si afferma, anche nei rapporti, che sarebbero
entrati prima gli agenti della mobile, così si dice, e taluno
di questi - e non il solo il dirigente - sostiene che, quando
entrarono, trovarono all'interno dell'altro personale con il
giubbotto con scritto polizia ed esisteva già una situazione
di disordine o, se vuole, di violenza.
In merito alla terza
relazione, i giornali - non leggo per brevità, ma glielo posso
citare - danno questa relazione come già pronta da circa una
settimana: le chiedo il motivo del ritardo. È una notizia
giornalistica che va assunta con tutte le cautele ed io stesso la
cito con la medesima cautela, ma i giornali la danno per certa, tanto
che ne riportano dei brani.
Come mai lei non si è chiesto - o, se lo ha chiesto, qual è
stata la risposta - perché le audizioni dei soggetti
ascoltati, si legge nei rapporti, non sono state formalizzate?
Per
quanto riguarda la scuola Pertini o Diaz - adesso non vorrei creare
confusione - vorrei sapere: se lei sia stato, come pare certo,
preventivamente avvertito; se abbia indicato le modalità; se
abbia appro