PARLAMENTO ITALIANO |
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Seduta di martedì 28 agosto 2001 |
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BOZZA NON CORRETTA |
COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI,
DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
1a (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL
CONSIGLIO E DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
COMITATO PARITETICO
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 9,45.
Indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Comunico che nella
riunione dell'ufficio di presidenza di giovedì 9 agosto 2001 è
stato deliberato di procedere, in via sperimentale, ad una
organizzazione dei tempi di discussione che preveda, per lo
svolgimento di ogni singola audizione, l'assegnazione a ciascun
gruppo di un tempo calcolato nel modo seguente:
Forza Italia: 20
minuti (5 più 15);
Democratici di Sinistra-L'Ulivo: 16
minuti (5 più 11);
Alleanza Nazionale: 11 minuti (5 più
6);
Margherita, DL-L'Ulivo: 10 minuti (5 più 5);
Misto:
10 minuti (5 più 5)
Lega Nord Padania: 8 minuti (5 più
3);
CCD-CDU Biancofiore: 8 minuti (5 più 3);
Rifondazione
comunista: 6 minuti (5 più 1).
Misto-Verdi-L'Ulivo: 6
minuti (5 più 1)
Autonomie: 6 minuti (5 più 1)
Il tempo a disposizione dei gruppi è complessivamente pari ad 1 ora e 41 minuti.
Comunico altresì che durante la sospensione dei lavori
del Comitato è pervenuta ulteriore documentazione; l'elenco
aggiornato della stessa sarà consegnato nella giornata odierna
unitamente alle copie degli ultimi documenti pervenuti.
Tra la
documentazione pervenuta nella giornata di ieri vi sono anche i
documenti inviati dal questore di Genova, dottor Oscar Fioriolli, il
quale ha comunicato formalmente che il regime della suddetta
documentazione è quello della riservatezza; tale
documentazione è pertanto disponibile esclusivamente per la
visione presso la segreteria della Commissione affari costituzionali
della Camera.
Comunico, infine, che il Presidente della Camera,
onorevole Pier Ferdinando Casini, ha trasmesso per conoscenza al
presidente del Comitato copia di una lettera a lui inviata dal
Presidente del Bundestag, Wolfgang Thierse, e la relativa
risposta dello stesso Presidente, onorevole Casini, in merito agli
avvenimenti connessi al vertice G8 tenutosi a Genova. Copia di tale
corrispondenza è a disposizione dei componenti del Comitato.
LUCIANO VIOLANTE. Mi scusi presidente, in relazione alla determinazione dei tempi di discussione, mi chiedo se, al termine dell'audizione, non sia opportuna una sospensione dei nostri lavori per consentire ai gruppi di riunirsi: altrimenti si rischia di non utilizzare saggiamente il tempo a nostra disposizione.
PRESIDENTE. Al termine della relazione, svolta oralmente oppure letta, sospenderemo i lavori per un tempo che decideremo, affinché i gruppi decidano chi o quanti, nel rispettivo ambito, possano rivolgere domande oppure intervenire, in modo tale da consentire il rispetto dei tempi stabiliti.
Audizione del questore Francesco Colucci.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca,
nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione
del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del questore Francesco
Colucci. Il questore Colucci ha chiesto di essere accompagnato dal
dottor Salvo, vice questore aggiunto presso la questura di Genova. Se
non vi sono obiezioni, così rimane stabilito.
Prima di
dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura
meramente conoscitiva e non inquisitoria. La pubblicità delle
sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete
previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che
prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La
pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da
parte di componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione
dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa
di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non
essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo
a circuito chiuso.
Ringrazio il nostro ospite per aver accolto
l'invito. Il dottor Colucci ha predisposto una relazione, della quale
lo prego di dare lettura.
FRANCESCO COLUCCI, Questore. Signor presidente, ritengo doveroso ringraziare preliminarmente tutti gli onorevoli deputati e senatori componenti questo Comitato, perché mi si concede, oggi, la possibilità di riferire sull'organizzazione dei servizi assicurati dalle forze di polizia in occasione dell'evento G8 del luglio scorso e, dunque, di contribuire a delineare, sotto il profilo tecnico-operativo, istituzionalmente riconducibile alla figura del questore, il correlato quadro di conoscenze. Sottolineo anche l'esigenza, che sento profonda, signor presidente, di
difendere e valorizzare il lavoro della questura di Genova in
ossequio a quel senso dello Stato che ci muove tutti verso la leale
ricerca della verità e delle conseguenti responsabilità
degli accadimenti. A tal fine, dovrò riproporre all'attenzione
e all'esame di questo uditorio l'ordinanza n. 2143/R che ho emanato
in data 12 luglio 2001, ai sensi dell'articolo 37 del decreto del
Presidente della Repubblica 28 ottobre 1985, n. 782, già
prodotta dal prefetto di Genova nell'audizione del 9 agosto scorso,
essendo quel documento il frutto del lavoro condotto per dodici mesi,
incessantemente e senza risparmio, da tutta la struttura da me
diretta. Quel documento compendia le prerogative istituzionali del
questore e rappresenta, in via ordinaria, lo strumento di verifica
delle sue responsabilità a tutti i livelli: amministrativo,
disciplinare ed anche giudiziario. Il questore quelle responsabilità
se le assume tutte di fronte a voi, di fronte allo Stato e di fronte,
ed a tutela, di tutti i collaboratori ai quali è stata
affidata la concreta realizzazione di quelle articolate direttive.
Tuttavia, in questa sede, credo non siano da ricercare solo i livelli
di responsabilità, che già la normativa vigente in
materia di ordine e sicurezza pubblica (tra l'altro già
puntualmente illustrata da altri interlocutori) individua con
precisione. È in gioco, piuttosto, la piena comprensione delle
ragioni per le quali sia sul piano della prevenzione sia su quello
del contrasto non si è riusciti, al meglio, a contenere da un
lato gli eccessi violenti di una parte di coloro che a Genova hanno
manifestato e, dall'altro, ad evitare deprecabili comportamenti di
alcuni appartenenti alle forze dell'ordine, sui quali sono già
in atto doverosi approfondimenti sia in sede amministrativa sia in
sede giudiziaria.
In questa direzione e con questo spirito terrò
la mia relazione, signor presidente, limitando evidentemente
l'analisi al livello che mi è proprio, quello
tecnico-operativo afferente le dinamiche di gestione dell'ordine
pubblico.
L'organizzazione e la pianificazione dell'attività di
competenza del questore in relazione allo svolgimento nel capoluogo
ligure del vertice G8 del luglio 2001 è stata avviata ancor
prima che il Parlamento ufficializzasse la scelta della sede genovese
con l'approvazione della legge 8 giugno 2000. n. 149, recante
disposizioni per l'organizzazione del vertice G8 a Genova, giacchè
la candidatura di Genova come sede prescelta per lo svolgimento di
tale vertice era già stata formalmente proposta dal Governo
nel dicembre 1999. In tal senso, avviavo in seno alla struttura
un'attività di prima valutazione delle strategie da adottarsi
e, altresì, un'attività di studio del dispositivo da
realizzare, condotta evidentemente sulla scorta delle notizie, allora
disponibili, in ordine alla sede prescelta del vertice, Palazzo
Ducale, ed agli altri scenari che si potevano ipotizzare. In questa
prima fase, ho orientato l'attività in una duplice direzione:
quella della quantificazione presuntiva del personale delle forze di
polizia da impiegarsi nei relativi servizi e quella della verifica
attenta degli standard di sicurezza delle strutture e dei siti
interessati, sia come residenza dei capi delegazione, sia come
località di svolgimento di eventi collaterali. Indicazioni
utili vennero tratte dal modello di organizzazione dei servizi di
ordine e sicurezza disposti per il vertice G7 di Napoli, seppur
adeguatamente rapportate al differente contesto urbanistico ed al
quadro assolutamente non paragonabile delle preannunciate iniziative
del dissenso.
Già nell'agosto 2000 formulavo un'organica
previsione di impiego di personale della Polizia di Stato e delle
altre forze di polizia pari a circa 18 mila uomini, comprensivi anche
del personale delle forze territoriali e dei reparti specializzati,
corredata anche da diverse ipotesi di alloggiamento sostanzialmente
imperniate sul riallestimento, a fini residenziali, del comprensorio
fieristico genovese e sul noleggio di navi.
Il documento bozza che ho trasmesso nello stesso mese di
agosto al servizio ordine pubblico ed alla direzione centrale dei
servizi tecnico-logistici del dipartimento della pubblica sicurezza,
oltre che al prefetto di Genova, conteneva già con buona
approssimazione l'impianto generale dei servizi, poi concretamente
realizzato e articolato sull'idea guida dell'individuazione di
un'area di rispetto disegnata intorno alla sede dei lavori.
Quella
traccia veniva sostanzialmente condivisa nell'impostazione generale
dal dipartimento della pubblica sicurezza che nel mese di novembre
2000 elaborava, attenendosi allo schema di pianificazione ipotizzato,
un documento di previsione di impiego di 14.500 unità tra
personale delle forze di polizia e militari dell'esercito italiano,
da impiegarsi secondo l'indicazione normativa della citata legge
n.149 del 2000 e da inviare a disposizione del prefetto di Genova per
le esigenze connesse al vertice G8.
Credo sia significativo
evidenziare analiticamente questi passaggi organizzativi, poiché
sottolineano come sin dall'inizio sia stato avviato e condotto tra la
periferia e il centro un lavoro sinergico di analisi, di scambio
informativo, di continuo confronto, peraltro assolutamente necessario
di fronte ad un evento che definirei senza dubbio ultraterritoriale.
Era infatti lo Stato italiano, prima ancora che la città di
Genova, ad ospitare nell'anno di presidenza il vertice internazionale
di maggior prestigio ed era, quindi, ovvio che il dipartimento della
pubblica sicurezza affiancasse e supportasse l'autorità
provinciale.
All'incirca nello stesso periodo in cui si
formulavano dette previsioni, si avviavano complesse attività
di natura info-investigativa mirate al perseguimento di diversi
obiettivi: prioritariamente ad acquisire, sia pure entro i limiti di
giurisdizione di competenza, ogni informazione utile a definire,
nell'eterogeneo quadro della protesta e del dissenso, la posizione e
le conseguenti iniziative che i diversi sodalizi dell'area
antagonista genovese stavano definendo, anche quale supporto
logistico a gruppi esterni. In altri termini si provava a
referenziare territorialmente ogni indicazione che perveniva,
attraverso il canale dipartimentale, dai servizi d'informazione in
merito agli scenari della protesta che si andava così
delineando; quindi ad abbozzare i confini dell'area di sicurezza
nella quale attivare, con gli strumenti giuridici previsti dalla
vigente normativa, le misure interdittive di natura straordinaria e
temporanea necessarie al mantenimento degli auspicati livelli di
sicurezza; conseguentemente, ad avviare il monitoraggio del
censimento di tutta la popolazione residente o domiciliata per
ragioni di lavoro nell'area medesima sia a fini preventivi,
trattandosi per buona parte di un'area urbana ad alta incidenza di
fenomenologie microcriminali, sia ai fini del successivo rilascio del
titolo di accesso; infine, si provvedeva a verificare il livello di
sicurezza e la difendibilità degli esercizi ricettivi
dell'intera provincia di Genova che, in seno alla struttura di
missione, venivano indicati come possibile residenza dei Capi di
Stato e di Governo dei paesi del G8. In questa direzione, con
provvedimento del 16 agosto 2000, provvedevo, sentito il prefetto,
alla formale costituzione di un gruppo di lavoro interforze - GOI -
composto da Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e Guardia di
finanza, cui ho affidato il compito di pianificare quelle misure di
prevenzione e sicurezza suaccennate e necessarie alla migliore
riuscita dell'evento.
Non credo sia superfluo sottolineare che
molte delle questioni fondamentali, prima fra tutte la definizione
della sede di residenza dei Capi di Stato, sono state sciolte con
evidente ritardo, creando condizioni di lavoro affannose per tutta
la struttura da me diretta. Se certezze mancavano sul versante
dell'organizzazione dell'evento, ancor meno certa era l'articolazione
delle iniziative di protesta e di dissenso, compresa quella
riconducibile all'area del movimento disposto a dialogare con le
istituzioni.
Ciò non vuole e non deve suonare come
giustificazione, anche in relazione all'efficacia che ha
indubbiamente avuto quella parte del dispositivo di sicurezza teso
alla tutela del vertice e dei suoi protagonisti. Vuole viceversa
rendere a questo uditorio il senso preciso dell'impegno e delle
condizioni anche difficili e gravose in cui si è svolta la
fase organizzativa, tesa alla rincorsa continua di certezze che
potessero dare una qualche definizione ai progetti ed alle ipotesi
operative.
Il primo e più importante di questi progetti
operativi era senza dubbio rappresentato dalla realizzazione in
concreto di quella che avrebbe poi assunto la formale definizione di
zona rossa. A Seattle, a Nizza e da ultimo a Göteborg, le
manifestazioni, anche violente, dei gruppi antagonisti avevano inciso
profondamente sullo svolgimento dei vertici internazionali, rendendo
necessarie modifiche anche radicali ai relativi programmi. Questo
allora faceva assai riflettere, anche se oggi sembra quasi un
elemento di dettaglio, tanto più che i governi stranieri,
trattandosi della sicurezza dei rispettivi Capi di Stato e di
Governo, esigevano dallo Stato italiano garanzie assolute in ordine
alle misure di tutela poste in essere a contrasto di qualsivoglia
azione, sia essa terroristica o anche solo dimostrativa e di
disturbo. Era chiaro sin dall'inizio che questo obiettivo andava
perseguito senza mezze misure e tuttavia rendendolo compatibile con
altre esigenze primarie: la vivibilità della città sia
all'interno sia all'esterno della zona di rispetto, la fruibilità
dei diritti costituzionalmente garantiti di
libera manifestazione del dissenso, la sicurezza in generale della
cittadinanza. Quest'ultimo aspetto preoccupava moltissimo, giacché
il rischio di attentati terroristici, assai pregnante per come si
presentava la situazione politica internazionale, non rappresentava
solo una minaccia per la personalità eventualmente
destinataria dell'iniziativa, bensì per un'intera comunità
di persone.
Mi preme mettere a parte questo Comitato di
riflessioni che, per quanto possano apparire ovvie, in realtà
mi sembra siano sfuggite nella valutazione generale condotta a
posteriori. Ciò è dimostrato dal fatto che nei
giudizi espressi anche da esponenti politici delle istituzioni locali
nei confronti del dispositivo di protezione realizzato con
l'istituzione della zona di rispetto rossa e gialla, si è
sempre evidenziata la connotazione negativa della compressione delle
libertà dei cittadini genovesi, sacrificate per l'esclusivo
interesse dei Capi di Stato e di Governo stranieri. Mai si è
fatto cenno, neanche marginalmente, alla valenza estremamente
positiva di protezione di un ambito urbano e della sua popolazione,
esposta a grave rischio per lo svolgimento in quello stesso ambito di
un evento internazionale ritenuto estremamente «appetibile»
per possibili iniziative terroristiche. La stessa questione,
sollevata già a vertice in corso, della distribuzione delle
forze in campo e l'asserito squilibrio tra le risorse destinate alla
protezione nella zona rossa rispetto a quelle impiegate a contrasto
dei manifestanti violenti, mi sembra condizionata da questa falsa
prospettiva, che non tiene nel dovuto conto un dato oggettivo,
ovverosia che il dispositivo della zona rossa ha offerto protezione
totale ed assolutamente efficace oltre che a 15 mila addetti ai
lavori - capi delegazione, delegati, traduttori, giornalisti,
tecnici, inservienti e così via - anche ad altri circa 35 mila
genovesi cui è toccato in sorte di risiedere o lavorare
in una zona divenuta ad alto rischio per la loro stessa incolumità
fisica. Questo è il significato della zona rossa e questo è
stato il servizio assolutamente eccellente che la questura di Genova
ha reso prioritariamente alla città ed ai cittadini di Genova,
oltre che, naturalmente, allo Stato italiano ed agli illustri ospiti
stranieri.
Nell'ordinanza di servizio del 12 luglio scorso
troverete analiticamente indicate tutte le caratteristiche dell'area
e le correlate modalità di fruizione conseguenti all'adozione
del provvedimento prefettizio del 2 giugno che ne ha disciplinato in
via eccezionale e temporanea il regime giuridico. Troverete anche
traccia del complesso lavoro, svolto dalla questura di Genova, di
coordinamento e raccordo delle attività di tutti gli enti
erogatori o gestori di servizi pubblici essenziali sul territorio,
che dovevano necessariamente interagire con le misure in atto e
conformarsi a quel mutato regime garantendo, da un lato, il livello
di efficienza dei servizi all'utenza senza, dall'altro, abbassare gli
standard di sicurezza della zona protetta. L'allestimento in
questura di una sala-situazione, collegata 24 ore con la sala
operativa interforze, ha rappresentato sotto questo profilo l'aspetto
organizzativo di maggior momento.
In questo, così come
nella costituzione di un apposito ufficio pass, teso a
garantire, nell'arco delle ventiquattro ore, la soluzione a tutte le
problematiche di accesso alla zona rossa, si coglie - mi auguro -
l'attenzione estrema che è stata posta all'esigenza di
assicurare, pur nel disagio, la massima assistenza alla popolazione
residente.
L'ulteriore progetto operativo riguardava
l'individuazione di una zona cuscinetto, cosiddetta zona gialla,
anch'essa individuata formalmente dal medesimo provvedimento
prefettizio, nella quale fosse possibile interdire tutte le
manifestazioni
ritenute incompatibili con le misure di tutela in atto. Questa
seconda zona di rispetto era consapevolmente orientata a preservare
non tanto da rischi di matrice eversiva e terroristica, quanto
piuttosto dalla temuta azione di accerchiamento, ampiamente
preannunciata, dei movimenti antiglobalizzazione, che potesse non
solo paralizzare alcune attività correlate al vertice (molti
giornalisti, tecnici ed altre professionalità di supporto
alloggiavano all'esterno della zona rossa), ma anche isolare quella
parte di cittadinanza - ripeto, circa 35 mila persone - che doveva,
in qualche modo, essere garantita nella possibilità di
attendere alle normali e quotidiane occupazioni.
Nondimeno, era
tenuto nella dovuta considerazione il rischio che azioni
eccessivamente violente e numericamente supportate da masse
significative di manifestanti, organizzate nelle immediate adiacenze
delle recinzioni che delimitavano la zona rossa, potessero
determinare una crisi del sistema di chiusura dell'area,
pregiudicando così il corretto svolgimento del vertice.
Anche
sulla zona gialla e sulla organizzazione dei servizi in quell'area
sono state fatte valutazioni forse frettolose e non aderenti alla
realtà operativa. Tornerò con maggiore precisione
sull'esame dei fatti che hanno connotato le giornate del 20 e del 21
luglio, ma devo subito anticipare che non condivido il rilievo mosso
da più parti, secondo il quale la zona gialla non avrebbe
avuto una adeguata protezione da parte delle forze di polizia. È
un rilievo che non rende giustizia alla comune esigenza di verità
poiché, per converso, il dispositivo della zona gialla ha
funzionato benissimo in relazione agli obiettivi che mirava a
realizzare.
Intanto, ad onor del vero, tutte le più gravi
azioni di devastazione e danneggiamento sono avvenute in ambiti
urbani limitati ad una fascia di circa 3 chilometri quadrati ed
esterni
comunque a questa zona cuscinetto che si estendeva - lo ricordo -
dalla zona Fiera del mare, a levante della città, ad un arco
di territorio circoscritto da un confine più o meno
coincidente con la viabilità della cosiddetta circonvallazione
a monte sino, a ponente, al confine territoriale della delegazione di
Sampierdarena.
In questi ambiti, come era stato prefissato, non
sono penetrate le frange più violente né si sono svolte
al loro interno iniziative incompatibili con le misure di sicurezza
in atto. Le cosiddette piazze tematiche, non interdette in area
gialla al Genoa social forum, sono state scenario di
manifestazioni di dissenso ampiamente tollerabili, sia pure con
eccessi ed intemperanze.
Anche in tale caso è avvenuto ciò
che sostanzialmente si era ipotizzato. Questa scelta, da qualche
parte criticata perché apparentemente in contraddizione con
limitazioni allo svolgimento di pubbliche manifestazioni statuite dal
provvedimento prefettizio del 2 giugno, ancora oggi appare, in
realtà, una scelta positiva poiché ha, in qualche modo,
offerto spazi di visibilità elevata all'ala più
moderata del movimento, sottraendola, anche fisicamente, a chi
moderato non era.
L'ordinanza del questore del 12 luglio scorso
disciplinava i servizi di ordine e sicurezza pubblica per lo
svolgimento delle manifestazioni di dissenso di cui allora si aveva
notizia. Quelle disposizioni tenevano conto delle notizie disponibili
in ordine alle iniziative del Genoa social forum e di altri
promotori che avevano formalizzato preavvisi nei giorni precedenti e
dei quali il mio ufficio aveva preso atto, avendoli ritenuti
compatibili con la situazione generale della sicurezza pubblica.
Ciò
che appariva evidente era la difficoltà che probabilmente gli
stessi portavoce del movimento Genoa social forum avevano nel
convogliare su una base di intesa comune le
molteplici anime della protesta. Ne è testimonianza la
continua modifica delle preavvisate modalità di effettuazione
delle manifestazioni: sul punto voglio fornire elementi di maggiore
dettaglio.
La manifestazione del giorno 19 luglio, il cosiddetto
corteo dei migranti, svoltosi come noto senza incidenti, è
stata formalmente preavvisata con nota del 4 luglio a firma dei
promotori e successivamente modificata nel percorso con nota del 16
luglio. Non sarà sfuggito che l'ordinanza di servizio già
citata, edita in data 12 luglio, riporta il vecchio percorso e dunque
un dispositivo, poi modificato, con seguito di ordinanza, che
naturalmente ho allegato alla documentazione prodotta.
Le
manifestazioni del giorno 20 luglio sono state anch'esse preavvisate
formalmente in data 4 luglio in termini assai generici ed
assolutamente incompatibili con il dispositivo di sicurezza,
preannunciando l'occupazione di piazze e l'effettuazione di cortei
all'interno della zona rossa.
Il preavviso definitivo venne
formalizzato con sostanziali modifiche in data 16 luglio. Questo è
il motivo per cui nell'ordinanza principale si rinvia a successive
disposizioni. Devo sottolineare questi passaggi perché - come
dirò meglio in seguito - un profilo di censura del lavoro
organizzato e curato dalla questura di Genova ha messo l'accento
anche sull'asserito ritardo nell'emanazione delle direttive afferenti
le manifestazioni di protesta del giorno 20 luglio. È una
critica che non tiene nella dovuta considerazione tali elementi di
valutazione forse frettolosamente trascurati.
Anche il «corteo
internazionale» del 21 luglio ha avuto una maturazione
complessa e sofferta ma, a differenza delle
iniziative dei giorni precedenti, rispetto al preavviso formale
prodotto il 4 luglio, non ci sono state successive variazioni sul
percorso.
In riferimento a questi preavvisi, definiti con le
modalità cronologiche indicate, in qualità di autorità
provinciale di pubblica sicurezza avviavo l'istruttoria per la
valutazione delle compatibilità del diritto a manifestare
costituzionalmente garantito con le esigenza di tutela dell'ordine e
della sicurezza pubblica, valore suscettibile di analoghe garanzie.
Naturalmente, in questa fase, vi è stata piena
concertazione - come è ovvio che fosse - sia con il prefetto
di Genova sia con il dipartimento della pubblica sicurezza, nella
persona del vice capo vicario della polizia, prefetto Andreassi,
presenti in questura, trattandosi di scelte di rilevanza tale che non
potevano non maturare in un ambito ultraprovinciale.
In relazione
alla preavvisata iniziativa del giorno 19 luglio, il cosiddetto
corteo dei migranti, si riteneva di non dover adottare alcuna
prescrizione o divieto, anche se il percorso proposto interessava,
per buona parte, la zona gialla sulla quale insisteva già il
divieto generale indicato nel provvedimento prefettizio del 2 giugno.
Devo fornire sul punto qualche precisazione, ai fini di una
corretta interpretazione, anche tecnico- giuridica, delle procedure
seguite nel caso concreto. Il citato provvedimento prefettizio,
nell'individuare i regimi di fruibilità della zona gialla,
prevedeva genericamente un divieto di manifestazione di natura
statica o dinamica, finalisticamente orientato ad evitare, come
accennato, forme di accerchiamento che rendessero impraticabile
l'intera zona circostante l'area di massima sicurezza.
Naturalmente,
sotto il profilo strettamente giuridico, il divieto doveva poi
trovare una specifica tecnica, a fronte di un
preavviso di manifestazione che interessasse quella zona, in un
provvedimento del questore che necessariamente attualizzasse la
motivazione del diniego, valutando in concreto le ragioni di ordine e
sicurezza pubblica preponderanti rispetto al diritto di manifestare e
che non fossero un generico e tautologico richiamo alla previsione
contenuta nel provvedimento prefettizio. Residuava, in altri termini,
un momento discrezionale nella competenza del questore.
Fatte le
debite valutazioni, sempre di concerto con i referenti istituzionali
già citati, e ritenuto che nella giornata del 19 luglio non vi
era il problema della concomitanza dei lavori del vertice, iniziato
il giorno successivo, si decideva di non adottare alcun divieto o
prescrizione. Viceversa, per le manifestazioni preavvisate per la
data del 20 luglio, al termine di una non facile riflessione avviata
a tutti livelli e supportata da considerazioni tecniche di
opportunità che recepivano anche precise indicazioni fornite
dal capo della Polizia, anch'egli interlocutore, come già
ricordato, degli esponenti del movimento, adottavo due provvedimenti,
ai sensi dell'articolo 18, comma 4, del testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza.
Il primo, recante la data del 17 luglio,
prende atto del preavviso presentato dall'organizzazione sindacale
CUB per un corteo da svolgersi alle ore 14 del giorno 20 luglio e ne
prescrive il termine del percorso in piazza Di Negro. Il secondo
provvedimento, recante la data del 19 luglio, prende atto del
preavviso dei referenti del Genoa social forum per
l'occupazione dalle ore 6 alle ore 24 del 20 luglio di nove piazze
del centro cittadino per manifestazioni stanziali di accerchiamento
della zona rossa e per lo svolgimento di un corteo senza precisa
indicazione di orario, con partenza da corso Gastaldi ed arrivo in
piazza De Ferrari all'interno della zona rossa e vieta l'occupazione
delle piazze indicate e delle aree limitrofe,
tranne piazza Dante, piazza Carignano, piazza Manin, piazza Villa,
piazza dello Zerbino e piazza Paolo da Novi: in pratica la
prosecuzione del corteo del Genoa social forum oltre piazza
Verdi. Non è stato un corteo autorizzato, bensì si è
trattato di una massa di manifestanti che si sono concentrati a circa
seicento metri da piazza Verdi; per questa ragione, il dispositivo
della mia ordinanza vietava l'occupazione di piazza Verdi.
Sulla
base di tali provvedimenti veniva redatta l'ordinanza di servizio del
19 luglio contenente la disciplina dei servizi di ordine e sicurezza
pubblica del giorno 20 luglio, disposta per tutti i prefigurati
scenari della protesta.
Fin qui ho descritto sommariamente le
diverse fasi organizzative, poi recepite in atti formali. Mi corre
l'obbligo, nel prosieguo, di fornire qualche approfondimento su
alcuni aspetti particolari e naturalmente su alcuni episodi poi
verificatisi nella fase realizzativa di tale pianificazione, cercando
in qualche modo di offrire già una qualche risposta ai
molteplici quesiti formulati in questa sede ad altri referenti
qualificati dell'amministrazione dell'interno.
Il dispositivo
posto in essere era frutto di una complessa e non facile istruttoria,
condotta per diversi giorni attraverso diverse riunioni svoltesi alla
presenza del vice capo della polizia, prefetto Andreassi, e di altri
referenti qualificati delle direzioni centrali del dipartimento,
segnatamente la direzione centrale per la polizia di prevenzione e la
direzione centrale della polizia criminale, coinvolte, a diverso
titolo, nell'organizzazione dei servizi. Obiettivo di dette riunioni
era quello di mettere sul tappeto tutte le informazioni disponibili
che affluivano attraverso i canali informativi istituzionali al fine
di confrontare, dalle diverse angolature, le idee e le proposte sulle
modalità di gestione dei servizi di ordine pubblico sul
territorio.
Questa attività non si è mai interrotta ed ha
evidentemente orientato le scelte finali, tradotte, come di regola,
nell'ordinanza del questore. Anche in relazione alla disciplina dei
servizi del giorno 20 luglio, il confronto allargato, cui ho fatto
cenno, ha inciso sull'assetto organizzativo dei reparti sul
territorio, esattamente per effetto di alcune notizie afferenti
possibili strategie che diversi gruppi del dissenso avrebbero posto
in essere e che mi ha determinato a correggere la pianificazione
elaborata.
Sulla pianificazione dei servizi del giorno 21 luglio,
in occasione del corteo internazionale, ha inciso invece, in misura
determinante, la correzione, necessitata dall'episodio della morte
del manifestante Carlo Giuliani, circa l'impiego dei reparti
dell'Arma dei carabinieri. Vorrei ricordare che nella serata del 20
luglio ho dovuto dare esecuzione a questa precisa e condivisibile
direttiva, sostituendo ai contingenti dell'Arma dei carabinieri,
impegnati nell'azione di vigilanza sul corteo, altrettanti
contingenti della Polizia di Stato.
Purtroppo, nei giudizi
riportati dagli organi di informazione, anche sulla scorta delle
prime indiscrezioni trapelate in merito all'indagine ispettiva, si è
parlato di carenze organizzative, anche in relazione a tale modalità
di pianificazione.
Devo respingere tale rilievo: in parte, perché
chi ha esperienza di manifestazioni di tale complessità sa
bene quali continue modifiche e variazioni debbano essere apportate
alla pianificazione dei servizi ed anche, naturalmente a servizi in
corso, per effetto di un flusso continuo di informazioni e dunque di
elementi nuovi di valutazione che portano a correggere, per una
maggiore efficienza operativa, le scelte iniziali; in parte, perché
è scorretto pensare che non vi sia stata alcuna pianificazione
sino al giorno precedente l'evento.
Al contrario, era da diverso tempo avviata una profonda
riflessione in ordine alle strategie da adottare in piazza per
contenere la minaccia costituita dai gruppi radicali.
È
possibile che tali accorgimenti, adottati nell'imminenza dei servizi
e, talvolta, anche per ragioni ineluttabili, abbiano influito
negativamente sull'efficienza del dispositivo di contrasto; tuttavia,
essi non sono stati sicuramente frutto di approssimazione e di
superficialità.
In ordine ad un altro aspetto oggetto di
critica, anch'esso già evidenziato in quest'aula, ritengo
limitativo, nell'esame critico dei fatti, indicare nelle asserite
carenze dell'apparato informativo e nella prevenzione in generale uno
dei motivi principali della scarsa capacità di contrasto delle
frange estreme violente.
Vorrei sottolineare, in primo luogo, che
il fenomeno dei gruppi anarco-insurrezionalisti, o «blocco
nero», per le modalità di azione che ha mostrato nella
piazza, ha dato l'impressione di costituire non solo una realtà
autonoma, bensì anche una frangia violenta e numericamente
significativa, interna, sia pure ben mimetizzata, agli altri blocchi
del dissenso.
In secondo luogo, l'attività informativa mi
risulta, al contrario, essersi svolta in modo assai capillare e
complesso, sia a livello locale sia a livello nazionale ed
internazionale.
Ho già affermato che un'ottica
«provinciale» dei problemi era assolutamente inadeguata;
occorreva invece una visione complessiva sia dei soggetti
intenzionati ad attentare alla sicurezza dei Capi di Stato e di
Governo, sia delle organizzazioni e delle aree del dissenso nazionali
ed internazionali, alcune delle quali si prefiggevano di impedire il
vertice.
Occorreva inoltre un continuo scambio di informazioni
con i servizi di sicurezza dei paesi che avrebbero partecipato al
vertice ed era poi necessario, per il questore, recepire queste
informazioni, valutarle e trasfonderle in disposizioni di servizio:
la famosa ordinanza del 12 luglio.
Come riferito dal comandante
generale dell'Arma dei carabinieri, sin dal 16 novembre 2000 la
strategia delle forze dell'ordine è stata oggetto di
approfondite valutazioni da parte del comitato nazionale dell'ordine
e della sicurezza pubblica per individuare le possibili minacce alla
sicurezza delle delegazioni, le misure di contrasto da adottare,
nonché le forze necessarie allo scopo.
Parallelamente,
presso la segreteria generale del CESIS, è stato costituito un
gruppo di lavoro interforze per esaminare tutte le informazioni
relative alla manifestazione.
Era chiaro che nella preparazione
del piano di sicurezza al questore doveva essere fornito un costante,
qualificato supporto. A questo fine, il capo della polizia ha inviato
a Genova il suo vice, il quale, valutando con tempestività il
progredire del lavoro e fornendo i suoi preziosi suggerimenti, è
divenuto per il questore stesso un obbligato ed insostituibile punto
di riferimento. Sempre al medesimo scopo, il capo della polizia ha
poi inviato a Genova, in varie riprese, i massimi esponenti degli
organismi specializzati di prevenzione e antiterrorismo e di polizia
giudiziaria.
Nel periodo precedente al vertice sono state
eseguite, su tutto il territorio nazionale, numerose perquisizioni
domiciliari ed ispezioni locali. Ad esempio, tra il 16 e il 17
luglio, sono stati contestualmente perquisiti alcuni centri sociali
di Torino, Genova, Padova, Firenze e Napoli.
Per fronteggiare le
minacce terroristiche è stata attivata ogni forma di
collaborazione con gli organi di polizia degli altri paesi e di tale
compito è stato incaricato il direttore
centrale della polizia di prevenzione, che si è più
volte recato all'estero per il necessario scambio di dati e
informazioni.
L'attività si è estesa al ripristino
dei controlli di frontiera, ai sensi della Convenzione applicativa
dell'accordo di Schengen; sono stati riattivati i valichi di
frontiera e rinforzati gli uffici di frontiera. Ciò ha
consentito di effettuare 140 mila controlli circa e respingere dalla
frontiera più di 2 mila persone: non sappiamo cosa sarebbe
accaduto se queste 2 mila persone avessero raggiunto Genova ed
avessero potuto partecipare ai disordini.
Sono stati attivati
servizi per la prevenzione di azioni di disturbo ai sistemi di
comunicazione e di interferenze ai 132 ripetitori televisivi liguri,
con la collaborazione del Ministero delle comunicazioni, che ha messo
a disposizione attrezzature e personale specializzato.
Sul piano
locale, la questura di Genova ha proceduto, nel periodo
immediatamente precedente allo svolgimento del vertice G8, ad una
approfondita attività di prevenzione, concretizzatasi nei
sottoelencati servizi.
A partire dal 20 giugno e fino ai giorni
immediatamente precedenti la manifestazione, sono state controllate
291 strutture alberghiere di prima, seconda e terza categoria, nel
capoluogo e nella provincia di Genova. Si è proceduto al
controllo di 14 armerie site in Genova e nei comuni di Lavagna,
Chiavari, Rapallo e Recco. Dal 22 giugno sono stati controllati e
costantemente monitorati 10 autonoleggi operativi in Genova e nei
comuni della provincia. Dal 3 al 10 luglio si è proceduto al
controllo di 119 negozi di ferramenta presenti in Genova e nei comuni
della provincia. Nel mese di luglio sono stati controllati 35
campeggi ubicati nel territorio provinciale. Nello stesso periodo,
sono stati controllati, da Genova fino alla provincia di La Spezia, 9
centri di agriturismo.
Ancora in luglio e fino ai giorni immediatamente precedenti al
vertice, si è infine proceduto al controllo di 28 negozi di
materiale antinfortunistico, operanti in Genova e nei comuni di
Chiavari, Rapallo, Casella ed Arenzano.
Sotto il profilo più
strettamente investigativo, sono state effettuate, sempre in ambito
locale, 24 intercettazioni telefoniche e ambientali, 2
intercettazioni di posta elettronica, 123 perquisizioni domiciliari
ai sensi dell'articolo 41 e dell'articolo 4 della legge 22 maggio
1975, n. 152, tra cui quelle dei centri sociali Immensa, Pinelli (due
volte) dello stadio Carlini e dello stadio di via dei Ciclamini.
Nei
giorni del vertice, infine, in questura è stata costituita una
sala operativa internazionale, in modo da assicurare la costante
collaborazione di funzionari degli organi di polizia estera con le
autorità italiane.
In sintesi, nel contesto di un evento
internazionale così importante e complesso, in cui lo stesso
dipartimento della pubblica sicurezza ha espresso - e non poteva
essere altrimenti - il massimo sforzo possibile, proponendo
iniziative, preventivamente valutando ed approvando tutte le
decisioni del questore, mi pare difficile sostenere, anche in
quest'ambito, che vi siano state carenze organizzative.
Probabilmente, sul piano squisitamente preventivo, si è avuto
un risultato inferiore a quello stimato, ma non è detto che
ciò sia necessariamente attribuibile ad un deficit di
organizzazione o di preparazione dell'evento.
Al contrario, io
credo che le strategie vi fossero, ed anche assai ben articolate,
puntualmente trasfuse nell'ordinanza del questore del 12 luglio ed in
tutte quelle successive che vi sono state consegnate in copia.
Voglio dedicare qualche riflessione al fronte della protesta, non
certo per fornire analisi teoriche, che forse altri più di me
sono in grado di fornire, ma semplicemente per mettere a vostra
disposizione il frutto della concreta esperienza di lavoro e forse
anche per dimostrare, se possibile, che esistevano oggettive
difficoltà di contrasto all'azione violenta di alcuni
manifestanti.
In base all'attività di intelligence
svolta, l'area antagonista è stata suddivisa in diversi
gruppi, in relazione alle diverse caratteristiche ideologiche e di
comportamento.
È emersa una grande varietà delle
strategie di protesta, dalla manifestazione pacifica alla resistenza
passiva, dalla pianificazione di azioni violente fino alla violazione
della zona rossa allo scopo di impedire le manifestazioni ufficiali.
Obiettivi dichiarati delle azioni violente erano le installazioni
di sistemi di telecomunicazione televisiva, le sedi di partito, gli
organi di stampa, le amministrazioni pubbliche, le banche ed
associazioni varie.
Le analisi dei servizi di informazione si
incentrano sul blocco nero, valutato in circa 500 italiani e 2 mila
stranieri. Tuttavia, a Genova i disordini non possono essere
attribuiti solo all'azione dei black bloc, ma vedono coinvolto
un elevato numero di manifestanti appartenenti a gruppi differenti.
In estrema sintesi, la storia delle tute nere è contenuta
nella sentenza con la quale il tribunale del riesame di Genova ha
respinto le istanze di scarcerazione, presentate da dieci
manifestanti tedesche. Nel documento sono sintetizzate anche le
modalità d'azione del movimento, organizzazione armata e senza
ordine gerarchico. Il black bloc, blocco nero - recita il
provvedimento giudiziario - è un'associazione armata,
costituita da individui o gruppi affini, che si raggruppano in modo
spontaneo, organizzato in un certo momento, in occasione di
manifestazioni o di azioni politiche; vestono generalmente di
nero e portano una maschera, un fazzoletto, un passamontagna.
Riunite, queste differenti persone formano un blocco nero.
Hanno
manifestato per la prima volta negli Stati Uniti in occasione della
guerra del Golfo del 1991, ma solo nel 1999 si sono imposti alla
scena mondiale. A Seattle attaccarono e distrussero i simboli della
globalizzazione; nella circostanza, tale azione durò per oltre
cinque ore, consistendo nello sfondamento delle porte, delle vetrine
e di tutte le vetrate, nonché nella devastazione delle
lussuose facciate dei megastore delle multinazionali e delle
sedi delle aziende o delle banche.
Pur in assenza di un capo e di
una struttura gerarchica, coloro che si riconoscono
nell'organizzazione dei black bloc, riuniti per gruppi
omogenei di persone legate da vincoli di conoscenza o di amicizia, in
occasione degli eventi politici che l'organizzazione riconosce
preventivamente, si riuniscono dando vita a quelle unità
operative che sono state viste in azione a Genova.
Venendo
all'analisi dei fatti di Genova, sono emerse varie «anime»
all'interno dell'area antagonista in cui si è tentato di far
coesistere componenti pacifiche con altre di tipo estremista o,
peggio, eversive. In particolare, si sono avute sia dichiarazioni di
volontà di alcuni gruppi di impedire il vertice, sia azioni
particolarmente violente di professionisti della guerriglia. Ad
esempio, la mattina del 20 luglio, in più punti della zona del
Levante sono partite contemporaneamente azioni di distruzione
generalizzata ed indistinta e vere e proprie operazioni di guerriglia
urbana, con attacchi alle forze dell'ordine di gravità
inusitata da parte del gruppo anarchico-insurrezionale, che ha
utilizzato la massa d'urto di un corteo disposto ad affrontare i
reparti di polizia pur di violare l'area interdetta. Basti pensare
all'episodio in cui ha trovato la morte
Carlo Giuliani: si è trattato di una pesante e violenta
aggressione, un tentativo di linciaggio verso i carabinieri messo in
atto non dalle tute nere, ma da gruppi di manifestanti di altro tipo.
Evidentemente è molto difficile individuare
preventivamente gli appartenenti al blocco nero che si spostano in
forma anonima e compaiono con i segni distintivi del movimento solo
in occasione degli scontri di piazza, favoriti anche dall'appoggio di
altre frange di manifestanti asseritamente meno violente.
È
stato osservato che a Genova la polizia non avrebbe attuato quelle
azioni di prevenzione finalizzate ad isolare i violenti dai
manifestanti pacifici. Al riguardo, è stato giustamente
portato ad esempio il caso di accordi tra forze di polizia e
promotori di manifestazioni che in passato hanno sempre consentito di
isolare i violenti al fondo dei cortei, in modo da rendere loro
impossibile ogni azione di disturbo o di danneggiamento.
Sottolineo
che ciò avveniva ed avviene a seguito di accordi tra le forze
di polizia e i promotori della manifestazione. Per raggiungere un
accordo occorre la concorde volontà delle parti e, in quella
circostanza, il Genoa social forum aveva ripetutamente
dichiarato di non essere in grado di isolare i violenti ed aveva
anche dimostrato di non essere neppure in grado di riconoscerli. Da
parte del Genoa social forum non è pervenuta alle forze
di polizia una sola denuncia, una sola dichiarazione, una sola
indicazione che consentisse di identificare fisicamente gli autori di
atti di violenza o i promotori di azioni violente.
Eravamo tutti
ben consapevoli di questa difficoltà, come emerge anche
dall'incontro di servizio del 12 aprile in prefettura, durante il
quale si analizzò una prima richiesta del movimento Genoa
social forum per l'effettuazione della manifestazione di dissenso
del giorno 20 luglio. Cito testualmente
il verbale: «Sotto questo profilo non è quindi tanto
importante la contemporaneità degli eventi quanto piuttosto
l'appesantimento delle attività delle forze dell'ordine che
devono tendere ad impedire che si inseriscano nelle manifestazioni
pacifiche elementi portatori di violenza che debbono essere
discriminati; discriminazione che appare profilarsi più
complicata se si dà ascolto ai segnali da più parti
provenienti che fanno supporre che i movimenti che hanno dato luogo
negli ultimi tempi ad atti vandalici o violenti stiano pensando di
modificare le loro strategie. Intenderebbero, infatti, abbandonare
gli usuali mascheramenti per confondersi in tal modo con gli altri
manifestanti e rendere quindi nei fatti molto più difficile
per le forze dell'ordine operare lo screening senza possedere
elementi identificativi». Sempre nel medesimo incontro di
servizio del 12 aprile tutti convenivamo sul fatto che sembrava quasi
un complessivo e articolato programma di iniziative collocate a
scacchiera sul territorio cittadino in punti strategici che
corrispondeva ad un disegno minuziosamente studiato per paralizzare
sia la capacità operativa delle forze dell'ordine sia la
mobilità delle delegazioni governative.
Quanto allora
ipotizzato si è puntualmente verificato con una particolarità:
ogni volta che la questura di Genova ha cercato di avviare qualche
forma di dialogo per tentare di isolare i violenti ha sempre dovuto
trovare interlocutori diversi dal Genoa social forum.
Sia
venerdì 20 sia sabato 21 luglio abbiamo tentato in ogni
maniera di isolare i violenti dai manifestanti pacifici in modi
differenti, essendo chiaro che tentare di isolare qualcuno
all'interno di un corteo è cosa ben diversa dal tenere
separati gruppi che non si muovono in corteo.
Il preavviso di
manifestazione per il giorno 20 presentato dal Genoa social forum
e consistente, come detto, nell'occupazione
di una serie di piazze, alcune delle quali poste all'interno della
zona gialla, era complessivo, nel senso che il Genoa social forum
non indicava in quale modo le diverse componenti (si rammenti che
il Genoa social forum comprendeva circa 800 sigle, anche molto
diverse tra loro) si sarebbero suddivise le piazze.
Lo ripeto
perché è importante capire le difficoltà che
abbiamo incontrato: il Genoa social forum non ha saputo o
voluto indicarci come sarebbe avvenuta la suddivisione delle piazze.
Cito a questo riguardo un articolo apparso sul quotidiano la
Repubblica: «Un muro di container circonda piazza
Verdi, il grande quadrilatero fra la stazione Brignole e piazza Dante
e l'imboccatura inferiore di via XX Settembre. Proprio qui, dove
hanno intenzione di arrivare le tute bianche con il loro corteo non
autorizzato dal questore per provare ad invadere la zona rossa, la
polizia ha giocato di anticipo. E nella notte ha piazzato decine e
decine di container per sbarrare la strada ai dimostranti.
Così è stato eretto un impressionante muraglione di
cassoni colorati su due file e a doppia altezza, praticamente
invalicabile. Adesso tutti gli accessi alla piazza sono stati chiusi,
restano solo stretti varchi a Levante: gli sbocchi di via Canevari,
via Tolemaide e corso Buenos Aires (...). Per quanto riguarda gli
anarchici, le forze dell'ordine avevano circondato il centro sociale
Pinelli dove erano riuniti. Sembrava che non volessero consentire
l'uscita dei contestatori, ma alla fine dopo una trattativa è
stato dato il via libera».
Il giornalista ha ben descritto
ciò che è accaduto durante la notte: abbiamo piazzato
decine di container e abbiamo tentato di ritardare - non di
impedire, il che non sarebbe stato consentito - l'arrivo in piazza di
coloro che si ritenevano più vicini alle frange violente. Il
motivo di tutto ciò è molto semplice: nonostante
l'atteggiamento quasi omertoso del Genoa
social forum, avevamo potuto sapere che in piazza Paolo Da
Novi si sarebbero probabilmente riuniti gli aderenti al network
- attenzione: non il black bloc - ed avevamo appreso
dell'intenzione delle tute bianche di tentare, alle ore 8, un attacco
nella zona rossa transitando da via Tolemaide a piazza Verdi. Ci era
stata riferita, infine, l'intenzione del network di
infiltrarsi nel corteo delle tute bianche per effettuare azioni
violente.
Grazie a queste informazioni abbiamo, anzitutto,
disposto decine di container non certo per bloccare le tute
bianche, ma per tenerle separate dal network.
Contemporaneamente, abbiamo effettuato alcuni interventi nei punti di
ritrovo per ritardare l'uscita di alcuni gruppi e fare in modo che le
tute bianche potessero raggiungere da sole piazza Verdi. Perché
tutto ciò? Fino ad oggi le tute bianche, quando hanno agito da
sole, hanno perseguito i loro obiettivi senza distruzione né
danni alle persone e, quindi, sarebbe stato possibile contrastarle
senza necessità di cariche né di uso di lacrimogeni.
Purtroppo, le cose sono andate ben diversamente: in piazza Paolo
Da Novi oltre al network si sono concentrati anche altri
gruppi più violenti, mentre le tute bianche si sono presentate
molto più tardi in piazza Verdi con un corteo in cui erano
infiltrate frange più violente che hanno iniziato subito
l'attacco alle forze dell'ordine.
Questa vicenda trova riscontro
anche in un comunicato, apparso su Internet, dal titolo
«Genova, black bloc e il resto». Un altro punto di
critica del black bloc riguarda il fatto che venerdì,
appena iniziato il corteo, si è subito partiti attaccando
poliziotti e proprietà e questo fatto ha comportato che il
black bloc si spaccasse in due parti: una è andata a
nord e l'altra a sud con i Cobas.
Quando, in circostanze diverse, si è trattato di
intervenire su gruppi violenti frammisti ad altri gruppi, ci siamo
sempre trovati di fronte ad una totale non collaborazione. Cito
ancora l'articolo «Anarchici scatenanti, scontri e feriti»
de la Repubblica: «Altro momento di tensione in piazza
Manin dove i pacifisti del Genoa social forum provano a creare
un cuscinetto umano tra il black bloc e la polizia. La
tattica, però, non riesce e le forze dell'ordine caricano nel
mucchio colpendo anche la parlamentare di Rifondazione comunista,
Elettra Deiana, che resta ferita».
Un articolo de la
Repubblica non è certo un testo sacro, ma, senza entrare
nel merito circa l'opportunità o meno della carica, mi chiedo:
«creare un cuscinetto umano tra il black bloc e la
polizia» non significa forse frapporsi per tentare di impedire
alla polizia di intervenire?
Situazioni come queste si sono
ripetute anche il giorno 21 durante il corteo e se ne trova traccia
nelle relazioni di servizio dei funzionari che sono a disposizione
del Comitato. Solo da lì, infatti, si può conoscere il
grande lavoro svolto dai funzionari e da tutto il personale impegnato
in quelle giornate massacranti di servizio per l'ordine pubblico a
Genova, e che in questa circostanza mi corre l'obbligo, ancora una
volta, di ringraziare.
Ho cercato di dimostrare che la questura
di Genova ha attivato ogni possibile azione di isolamento dei gruppi
violenti. Non mi risulta che il Genoa social forum abbia mai
collaborato con le forze dell'ordine per isolare i gruppi che
entravano e uscivano dai cortei per le loro azioni di guerriglia, né
mi risulta che i partecipanti non violenti abbiano mai denunciato
qualcuno dei componenti dei gruppi organizzati di guerriglia.
Vi
è di più: si è anche detto che i violenti
occultati all'interno dei cortei potevano essere facilmente
individuati. Le
cose stanno in modo diverso. Nel periodo precedente il vertice su
Internet venivano forniti, anche dalle tute bianche, consigli
per la creazione di caschi, scudi in plastica, bardature, eccetera.
Vi erano istruzioni per raggiungere Genova dall'estero evitando i
controlli: si suggeriva di viaggiare in treno ed in piccoli gruppi,
senza utilizzare gli autobus per evitare di essere respinti alla
frontiera, e di inventare storie di copertura (addetti stampa,
turisti, eccetera).
La giornata di venerdì è stata
caratterizzata da una forte aggressività, da molti attacchi
dei manifestanti contro le forze dell'ordine e l'equipaggiamento dei
soggetti più violenti era quello descritto. Esso infatti
comprendeva: passamontagna per coprire il volto, caschi, scudi,
protezioni per il corpo e maschere antigas. Le storie di copertura,
poi, sono state ampiamente utilizzate anche davanti alla
magistratura. Dunque, la differenza tra i gruppi non era così
evidente e l'identificazione meno immediata di quanto si pensi.
A
questo riguardo mi soccorrono e vanno condivise le motivazioni del
tribunale del riesame di Genova. Dal fatto che gli appartenenti ad un
gruppo siano vestiti di nero non è possibile - ha sostenuto
quell'organo giudiziario - far discendere la loro appartenenza ad
un'associazione per delinquere, finalizzata alla devastazione (il
black bloc); neppure il fatto che alcuni abbiano subìto
lesioni dimostra la partecipazione a scontri con le forze
dell'ordine. Infine, il trasporto su un furgone di una mazzetta da
muratore, di assi di legno, fionde ed altri oggetti utilizzabili
contro le forze dell'ordine può trovare giustificazione in
attività perfettamente lecite.
Un'ultima precisazione. È
stato chiesto per quale motivo le forze dell'ordine non siano
riuscite a sorprendere in flagranza i soggetti che hanno compiuto le
azioni di distruzione e di violenza. La risposta è che le
forze dell'ordine sono attrezzate
per garantire l'ordine pubblico, cioè per affrontare
situazioni di dissenso, anche pesante, in cui chi contesta ha
comunque un obiettivo da raggiungere: occupare una sede stradale, una
fabbrica, magari colpendo le forze di polizia medesime. Qui la
distruzione ed il danneggiamento erano fini a se stessi: noi
proteggevamo una agenzia di banca mentre un gruppo colpiva un
esercizio commerciale o un distributore di benzina ed altri
incendiavano l'utilitaria di una pensionata.
Questo comportamento
ha una sua base ideologica di cui vi è cenno, ad esempio, nel
comunicato n. 30 di una sezione del blocco nero, la fonte è
sempre Internet, che intendo citare: «Quando rompiamo
una vetrina noi aspiriamo a distruggere la sottile maschera di
legittimità che circonda i diritti di proprietà».
Non si è trattato di ordine pubblico, ma di cieca
guerriglia urbana e contro tale offesa è stato predisposto un
dispositivo che ha presentato, forse, alcune lacune. Forse non
avevamo la preparazione necessaria per contrastare azioni di
guerriglia, anche se ancora oggi mi chiedo quale possa essere la
strategia giusta per contrastare queste forme di indiscriminata
violenza e distruzione e se questo possa avvenire con l'impiego di
reparti che avrebbero, come naturale compito, la tutela di una
pacifica - ripeto, pacifica - manifestazione del pensiero. La polizia
non ama la guerriglia urbana, che male si accorda con le sue tattiche
militari, che invece postulano soluzioni lente, immobili e
prevedibili per poter dispiegare la sua forza di controllo
pachidermica e il suo ordine gerarchico pianificato, citato nella
sentenza del tribunale del riesame di Genova n. 698 del 2001.
Del
resto, per avere una migliore comprensione della vicenda si può
leggere il resoconto delle giornate di Seattle su un sito Internet
del black bloc: la maggior parte di noi del
blocco ha evitato feriti pesanti rimanendo costantemente in
movimento, cercando di evitare lo scontro frontale con la polizia.
Stavamo stretti ed ognuno guardava le spalle dell'altro. Quelli
attaccati dai federali sono sfuggiti all'arresto grazie alla velocità
di reazione ed all'organizzazione dei membri del black bloc.
Il senso di solidarietà è stato imponente.
Si è
da più parti detto che le condizioni di guerriglia, create da
criminali violenti e facinorosi, hanno, in alcuni casi, determinato
un eccesso nell'uso della forza. Si è anche sostenuto che vi
sarebbero centinaia di foto, di immagini televisive, eccetera, che
rappresentano poliziotti, carabinieri e finanzieri che pestano
sistematicamente partecipanti al corteo. Su tale punto ritengo si
debba fare estrema chiarezza e porre fine ad un processo di
criminalizzazione delle forze di polizia che sembra essere in corso.
A Genova, la stragrande maggioranza degli appartenenti alle forze di
polizia si è comportata correttamente: nonostante
l'eccezionalità della situazione, il personale in servizio ha
mostrato coraggio ed abnegazione.
In relazione alla violenza
inaudita degli attacchi subìti, tutti i reparti hanno fornito
prova di preparazione professionale, spirito di sacrificio ed
attaccamento alle istituzioni democratiche. Le frange violente dei
contestatori, diverse migliaia, hanno condotto attacchi
indiscriminati. Si è trattato di guerriglia accuratamente
pianificata, con devastazione di cose pubbliche e private ed un
particolare accanimento nei confronti delle forze dell'ordine.
I
rinforzi consistevano in oltre 11 mila unità, escluse le Forze
armate; in quel contesto, nel corso delle manifestazioni, sono emersi
e sono stati portati all'attenzione degli ispettori ministeriali
tredici episodi di violenza, di cui tre hanno riguardato l'Arma dei
carabinieri, due la Guardia di finanza ed i rimanenti otto la Polizia
di Stato. Quest'ultima, come si
ricorderà, è stata la forza di polizia che ha quasi
completamente sostenuto le situazioni di ordine pubblico del 21
luglio 2001.
I singoli episodi di violenza, che non sono mai
giustificabili, possono trovare una chiave di lettura nel prolungato
impiego in servizi particolarmente stressanti. A tale riguardo, vanno
tenuti in conto due importanti aspetti: da un lato, l'impiego
ininterrotto per diverse ore, seppur assolutamente necessitato in
quelle circostanze, incide sulle condizioni psicofisiche degli
operatori; dall'altro, i video non sempre riescono ad evidenziare le
circostanze che possono risultare importanti. Ad esempio, un grave
insulto o l'essere colpiti da un corpo contundente, non ripresi dalla
telecamera, possono influire sui comportamenti successivi e sui
giudizi che, a posteriori, vengono espressi.
Nessun atto trova
giustificazione quando si concretizza in una violenza gratuita e
sproporzionata alla gravità dell'offesa; il questore, qui
nuovamente, si assume la responsabilità dei comportamenti
degli appartenenti alle forze di polizia: Polizia di Stato, Arma dei
carabinieri, Guardia di finanza, posti sotto la sua direzione per i
servizi di ordine pubblico in occasione del vertice G8.
Vorrei
fare ora qualche cenno alla struttura di Bolzaneto ed all'intervento
presso la scuola Diaz. L'ordinanza del questore del 12 luglio 2001
prevedeva che la gestione e la trattazione delle persone fermate od
arrestate dalla Polizia di Stato, dalla Guardia di finanza e dalla
polizia municipale, in occasione di eventi connessi con il vertice
G8, dovesse avvenire in una apposita struttura ubicata all'interno
del reparto mobile di Genova Bolzaneto. Analogamente, per gli
eventuali arrestati dell'Arma dei carabinieri, era stata attrezzata
idonea struttura all'interno della caserma di Forte San Giuliano.
La scelta di Bolzaneto era stata attentamente valutata, oltre
che in sede ministeriale, anche nel corso di un apposito comitato
provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica del 12 giugno 2001
esteso alla partecipazione dell'autorità giudiziaria. Nella
circostanza, si decise, tra l'altro, che sarebbero stati istituiti un
ufficio matricola ed un ufficio sanitario sia a Bolzaneto sia, per le
persone arrestate dall'Arma dei carabinieri, a Forte San Giuliano; si
decise altresì che gli arrestati sarebbero stati trasferiti,
poi, nelle strutture carcerarie ubicate nelle province di Pavia e di
Alessandria.
La localizzazione doveva rispondere ad esigenze sia
di funzionalità sia di sicurezza; per questo, si è
optato per la sede del VI reparto mobile, che si trova in posizione
decentrata e lontana dai luoghi previsti per le manifestazioni. Per
rendere la struttura conforme alla nuova destinazione, vennero
effettuati ingenti lavori; furono realizzate celle prive di arredi,
pulite, ampie e ben areate, ognuna con una capacità di circa
venti persone, seguendo anche le indicazioni tecniche fornite
dall'amministrazione penitenziaria.
La trattazione degli atti di
polizia giudiziaria avveniva in sette postazioni, ognuna affidata ad
un ufficiale e ad un sergente di polizia giudiziaria della questura.
Un funzionario della Polizia di Stato era presente permanentemente a
Bolzaneto per sovrintendere a quella attività; accanto, vi era
un'altra struttura dotata di tutta la strumentazione di pertinenza
della polizia scientifica necessaria per il fotosegnalamento.
Un'ala
intera è stata, invece, riservata alla polizia giudiziaria,
anche qui presidiata durante tutto il periodo che da un ufficiale del
Corpo per l'immatricolazione e l'immediata traduzione in carcere
delle persone arrestate. Quest'ala costituiva, anche dal punto di
vista giuridico, una vera e propria sezione
distaccata della casa circondariale; comprendeva anche infermeria
e relativo personale medico e paramedico ed è stata
temporaneamente assunta in carico dalla polizia giudiziaria con
decreto del ministro della giustizia.
La persona fermata veniva
trattata a ciclo completo presso il reparto mobile, dal verbale di
arresto o fermo alla fotosegnalazione, alla immatricolazione e presa
in carico da parte della polizia penitenziaria fino al trasferimento
alla casa circondariale. In altri termini, la consegna alla polizia
penitenziaria, all'interno della struttura di Bolzaneto, equivaleva,
dal punto di vista giuridico, alla traduzione in carcere. In tale
ottica, infatti, la polizia penitenziaria aveva costituito, ivi, un
regolare ufficio matricola. Le persone fermate, prima di accedere
alle camere di sicurezza, venivano visitate dal medico della polizia
penitenziaria, il quale effettuava una nuova visita al momento della
consegna dell'arrestato per l'immatricolazione.
Oltre alle
valutazioni sin qui offerte in ordine all'organizzazione
dell'attività presso la struttura di Bolzaneto, non ritengo di
dover scendere nel merito di episodi sui quali verte l'accertamento
giudiziario in atto, atteso che dalle relazioni prodotte dal
personale e dai funzionari colà in servizio - come già
detto, un funzionario fisso, per il coordinamento, cui si
aggiungevano altri due o tre funzionari alternantisi nei vari turni,
era sempre presente nella struttura di Bolzaneto - non risultano, in
alcun modo, episodi di abuso quali quelli riportati dagli organi di
stampa. Devo soltanto sottolineare che, anche in tal caso, le censure
mosse, in sede ispettiva, in ordine ad una asserita disorganizzazione
delle attività di trattazione dei fermati, non trovano precisi
riscontri; l'attività è stata analiticamente
pianificata in tutti i suoi aspetti, anche, come detto, in sede di
comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza
pubblica. Se ritardi vi sono stati nella materiale trattazione,
ciò è attribuibile alla situazione oggettiva che ha
determinato, in certi momenti, il contemporaneo afflusso di una
pluralità di persone fermate nel corso degli scontri di
piazza.
Per quanto attiene alla disamina dell'attività di
polizia giudiziaria, svolta nella serata del giorno 21 luglio, presso
la scuola Diaz di via Cesare Battisti, pur essendo materia di
approfonditi accertamenti in atto da parte della magistratura
inquirente, ritengo doveroso riferire al comitato informazioni
relative alla fase organizzativa pregressa, alla quale ho preso parte
con le modalità che cercherò sinteticamente di
illustrare.
Alle ore 22.20 circa del 21 luglio venivo informato
che, mentre transitavano in via Cesare Battisti al comando di un
funzionario della squadra mobile di Roma, alcune pattuglie miste
della «mobile» e DIGOS (Divisione investigazioni generali
e operazioni speciali) erano state oggetto di una aggressione con
lanci di pietre e bottiglie nonché a mezzo di calci inferti
alle auto, un'aggressione messa in atto da più di cento
persone, molte delle quali vestite di nero. Nella circostanza nel mio
ufficio erano presenti, tra gli altri, il vicecapo vicario della
polizia, prefetto Andreassi, il direttore centrale della polizia di
prevenzione, prefetto La Barbera, il dirigente superiore Luperi, il
dirigente superiore Gratteri, direttore del servizio centrale
operativo.
Il dirigente della DIGOS fece subito presente che in
via Cesare Battisti vi erano degli studi scolastici concessi al Genoa
social forum da comune e provincia per insediarvi il centro
stampa: nella circostanza si ritenne utile incaricarlo di compiere un
attento sopralluogo. Successivamente, il medesimo dirigente ritornato
nel mio ufficio riferiva di aver notato la presenza isolata,
all'esterno della scuola, di alcuni ragazzi che osservavano con
attenzione, quasi fossero sentinelle, il movimento
di persone; inoltre, aggiungeva che tra le due scuole in via
Cesare Battisti si notava chiaramente la presenza di almeno
centocinquanta persone, molte vestite di nero. Veniva, quindi,
chiesto al funzionario di interloquire con i referenti del Genoa
social forum per verificare chi effettivamente occupasse la
scuola Diaz.
Gli esponenti del Genoa social forum contattati
riferivano che per la confusione in atto - conseguente alla partenza
di ventisei treni speciali, con migliaia e migliaia di persone che
sciamavano per la città - si era, probabilmente, allentato il
sistema di vigilanza e controllo sulle frequentazioni dei luoghi
concessi al movimento e, quindi, non si poteva escludere la presenza
di soggetti non graditi all'interno della scuola Diaz. Preso atto di
queste informazioni, dopo una attenta riflessione condotta
all'interno del mio ufficio con gli interlocutori già citati,
si concertava di intervenire con una perquisizione ai sensi
dell'articolo 41 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza,
da effettuarsi a cura della DIGOS e della squadra mobile. Si
decideva, altresì, di supportare l'attività con
l'impiego in ausilio di reparti inquadrati, ritenendosi altamente
probabile una forma di resistenza attiva.
Un ufficiale di polizia
giudiziaria forniva comunicazione preventiva al pubblico ministero ed
io, personalmente, informavo il signor capo della Polizia e il
prefetto di Genova. Nell'occasione fu anche valutata l'opportunità
di richiedere l'intervento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco
dotato di cellule fotoelettriche e di un elicottero della Polizia di
Stato. Alle ore 23 circa, all'interno della sala riunioni della
questura, si svolse una riunione operativa cui presenziai insieme al
prefetto La Barbera e nella quale ebbi modo di ribadire a tutti, come
di consueto, la raccomandazione impartita a pagina 179 della mia
ordinanza del 12 luglio di improntare l'attività alla
massima moderazione, cautela e prudenza. Preciso di aver lasciato
la riunione prima che fosse terminata la discussione sulle modalità
operative dell'attività. Alle ore 23,30 l'operazione aveva
inizio secondo modalità sulle quali ritengo non poter al
momento fornire valutazione alcuna, trattandosi, come già
sostenuto, di materia oggetto di approfondita indagine giudiziaria.
Aggiungo che circa un'ora dopo - a fronte delle notizie che si
ricevevano dai funzionari sul posto tramite comunicazioni telefoniche
e che riferivano di una situazione assai delicata per l'ordine e la
sicurezza pubblica all'esterno dell'edificio scolastico - disponevo
l'invio di ulteriori contingenti dell'Arma dei carabinieri, sotto la
direzione del vicequestore vicario dottor Calesini, allo scopo di
fronteggiare eventuali intemperanze verso il personale impegnato
nell'operazione di polizia giudiziaria da parte di una folla di
persone che si andava radunando sulla strada.
All'incirca alle
ore 2,15 venivo telefonicamente informato che il vicequestore vicario
e l'onorevole Mascia si accingevano ad entrare nella scuola Diaz per
un sopralluogo congiunto, una volta terminata l'attività di
perquisizione. Sin qui ho descritto i fatti dei quali ho avuto
percezione diretta e ribadisco la volontà di astenermi da
ulteriori considerazioni relative ad episodi che attengano alla fase
realizzativa dell'attività e sui quali mi auguro si possa
addivenire al più presto ad un completo chiarimento in sede
giudiziaria.
Concludo il mio intervento, signor presidente, e
resto a disposizione di questo Comitato per rispondere ad ogni
ulteriore quesito che mi si vorrà rivolgere. Desidero
esprimere i sensi del grande rispetto che nutro verso il
provvedimento adottato nei miei confronti dal signor ministro
dell'interno e, da uomo delle istituzioni, obbedisco. Vorrei però
esprimere
anche l'amarezza che provo di fronte alle conclusioni cui è pervenuta, nel breve volgere di pochi giorni, l'indagine ispettiva avviata sul mio operato e che ritengo abbia avuto anche la presunzione di giudicare frettolosamente e senza doveroso approfondimento la complessità di un lavoro che, sviluppatosi per un anno intero, avrebbe meritato valutazioni improntate a maggiore professionalità.
PRESIDENTE. La ringrazio, signor
questore. Si può temporaneamente accomodare: i componenti il
Comitato potranno ora, infatti, effettuare una pausa di riflessione.
Sospendo brevemente la seduta.
La seduta, sospesa alle 11,20, è ripresa alle 11,50.
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri
lavori.
Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori la senatrice
Maria Claudia Ioannucci. Ne ha facoltà.
MARIA CLAUDIA
IOANNUCCI. Signor presidente, ho visto tutta la documentazione
presentata dal sindaco di Genova e dal presidente della provincia.
Nella precedente audizione avevamo richiesto che venissero depositati
tutti gli atti relativi alle delibere di consiglio, alle delibere di
giunta, documenti che non trovo. Vorrei, pertanto, chiedere al
presidente, se è di questa opinione, di rinnovare al
presidente della provincia ed al sindaco l'invito a produrli.
Vorrei
sapere inoltre se il presidente della provincia abbia presentato
denuncia nei confronti dei soggetti a cui aveva affidato le scuole
(ed avere quindi il relativo atto, ove vi sia), visto che dai
documenti che ha depositato risultano devastazioni ed atti che
sicuramente configurano dei reati.
Poiché dai documenti
depositati risulta anche che il presidente della provincia, durante
l'iter riguardante l'affidamento
delle scuole, ha deciso autonomamente l'ampliamento delle aree da
destinare al Genoa social forum, vorrei sapere se esistano
atti con cui il presidente della provincia ha indicato alla questura
o alla prefettura le nuove aree messe a disposizione del Genoa
social forum. Ho letto, sempre nei documenti depositati, che la
provincia aveva dato luogo ad interventi provvisionali per circa 300
milioni, al fine di «blindare» - diciamo così - la
parte delle scuole che era stata concessa al Genoa social forum.
Sappiamo che poi, invece, soggetti ignoti sono arrivati fino
all'asilo dove hanno preso coltelli ed altre armi improprie, insieme
ad altre armi proprie lasciate incustodite. Vorrei sapere, pertanto,
se sia possibile avere l'elenco delle attività e degli
interventi provvisionali attuati. Inoltre, dagli atti depositati dal
prefetto risulta che le scuole dovevano essere consegnate ai
rappresentanti del Genoa social forum; tali rappresentanti
avrebbero dovuto essere indicati da quest'ultimo; tuttavia nei
documenti depositati dal presidente della provincia non ho rinvenuto
alcuna indicazione in tal senso da parte del Genoa social forum.
Pertanto, vorrei sapere se vi siano atti o indicazioni da parte del
Genoa social forum in merito ai suddetti soggetti o se,
comunque, la provincia e il comune (le scuole erano sia della
provincia sia del comune) abbiano svolto le dovute indagini per
individuare i soggetti a cui dovevano essere consegnate queste aree.
Infine, veniamo ai danni subiti. Ho rilevato una certa
contraddittorietà fra quanto aveva indicato in questa sede il
sindaco e quanto, invece, rileva dai documenti depositati dal
presidente della provincia. Il sindaco ci aveva detto che non vi
erano stati danni ingenti, invece dal documento depositato dal
presidente della provincia in data 9 agosto 2001 si parla di atti di
vandalismo e di devastazione con ingentissimi danni. Solamente quelli
alla scuola supererebbero i 500 milioni e di
tutto questo veniva data comunicazione in quanto rilevato dal comune di Genova (senza contare l'asporto di materiali ed altri beni).
PRESIDENTE. Senatrice Ioannucci, la sua domanda è chiarissima. Lei chiede alla presidenza di fare un'ulteriore richiesta di chiarimento relativamente a quanto da lei rilevato.
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Sì, perché vi è una contraddittorietà talmente palese da rendere necessarie ulteriori indicazioni.
PRESIDENTE. La ringrazio, senatrice Ioannucci. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori il presidente Violante. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE. In primo
luogo rilevo che molte risposte sono già contenute nella
documentazione che ci è stata inviata dal questore di Genova
ieri ed è sufficiente leggerla (sono cinque volumi).
In
secondo luogo il sindaco non ha parlato di danni non ingenti, ma di
altri aspetti e se la collega rileggesse il testo se ne accorgerebbe.
In terzo luogo, signor presidente, vorrei chiedere, tenuto conto
del contingentamento dei tempi, se sia possibile che il questore
risponda volta per volta alle domande, così da consentirci di
avere un quadro più completo.
PRESIDENTE. Credo che siamo tutti d'accordo nel far formulare le domande e consentire subito dopo all'audito di rispondere.
MARCO BOATO. Credo che dovremmo affrontare questo tipo di argomenti durante la riunione dell'ufficio di presidenza,
ma siccome se ne è già parlato in questa sede, e risulterà dal resoconto stenografico, vorrei che risultasse anche che nel dossier consegnatoci ieri dal presidente della provincia di Genova con data 20 agosto, insieme al materiale che ci ha inviato la dottoressa Marta Vincenzi, vi è la copia della denuncia presentata alla magistratura della provincia di Genova, relativa ai danni subiti. Nell'ambito del dossier vi è una denuncia presentata in data 9 agosto 2001 alla procura della Repubblica presso il tribunale di Genova: «Vertice G8 - Trasmissione della denuncia relativa ai danneggiamenti degli uffici provinciali».
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Ma allora la questione cambia totalmente...
PRESIDENTE. Senatrice Ioannucci, lei
è stata abbastanza chiara. Il problema si pone esattamente in
questi termini: i documenti della provincia, del sindaco e del
questore sono pervenuti proprio in questi giorni. Pertanto, inviterei
chi ha posto la questione a prendere visione dei nuovi documenti
(oltre all'elenco si dovrebbero consultare anche gli allegati);
probabilmente vi troverà talune risposte. Per quanto riguarda,
invece, le richieste che lei intende presentare, dovrebbe
cortesemente metterle per iscritto e presentarle al capogruppo, così
che l'ufficio di presidenza, nella riunione di questa sera o in
quella di giovedì prossimo, possa provvedere a colmare le
eventuali lacune.
Circa la richiesta del presidente Violante,
prendo atto che il Comitato intende procedere facendo rispondere
l'audito ad ogni singola domanda.
FABRIZIO CICCHITTO. La mia prima domanda è la seguente: oggi, sul quotidiano il Giornale, compare un rapporto
DIGOS (che, tra l'altro, auspicherei venisse acquisito dal
Comitato) nel quale la ricostruzione ex post degli avvenimenti
- e cioè la sostanziale inattendibilità del Genoa
social forum che non rispondeva di quello che concordava - è
raccontata in anteprima con il testo di intercettazioni telefoniche
anche gravissime, perché mettono in evidenza la doppiezza
della situazione (al punto che si diceva che la manifestazione del 19
doveva essere pacifica e quelle successive, invece, dovevano avere
ben altro carattere). Questo rapporto della DIGOS noi lo leggiamo
oggi. La mia domanda è la seguente: voi che lo avevate già
letto, non avevate tratto conseguenze tali da indurre a svolgere
un'azione più accentuatamente preventiva rispetto a quello che
è avvenuto?
La seconda domanda è la seguente: il
capo della Polizia ha sottolineato con vigore che la responsabilità
della gestione dell'ordine pubblico a Genova era delle autorità
locali, cioè del questore e del prefetto: qual è stata
allora la vera linea di comando? Quali sono stati cioè la
funzione e il ruolo del capo della Polizia Andreassi, del capo della
divisione centrale di prevenzione La Barbera e del capo dello SCO
Gratteri? Che rapporti avevano con lei? Erano semplici consulenti o
davano ordini? Questo in riferimento alla situazione in generale, ma
anche all'andamento della perquisizione della scuola Diaz, rispetto
alla quale - se non sbaglio - lei ha citato il dottor La Barbera ma
ricordo che dai giornali risultava fosse presente anche il dottor
Andreassi. Lei ha usato l'espressione «si è deciso»:
questa decisione è stata una decisione congiunta o è
lei che se ne è assunte tutte le responsabilità?
Terza
domanda: perché non sono stati perquisiti i violenti che, come
tutti sapevano, erano accasermati allo stadio Carlini? Potevano
essere bloccati fin dalla serata di giovedì 19 luglio o dalla
mattina di venerdì 20 luglio?
Tornando alla perquisizione della Diaz, chi ha dato l'ordine?
Chi era il responsabile sul terreno? Perché non si è
circondata la scuola e non si è atteso il mattino per
procedere? Perché insieme agli specialisti del reparto mobile
si sono fatti intervenire appartenenti a corpi investigativi come lo
SCO e la DIGOS e perché poi non è avvenuto il
coordinamento dell'investigazione con la repressione, per cui tutti i
corpi di reato sono stati messi insieme nel famoso «fagotto»
dove c'era un morto, con il conseguente annullamento di tutte le
responsabilità che, come tutti sanno, sono individuali e non
collettive.
FRANCESCO COLUCCI, Questore. Per quanto riguarda il rapporto che la DIGOS sta ora facendo, o ha già presentato all'autorità giudiziaria di Genova, non ne sono a conoscenza, cioè non l'ho letto direttamente perché, come lei sa, non sono più in servizio alla questura di Genova.
FABRIZIO CICCHITTO. Sembra che il rapporto della DIGOS sia precedente, tant'è che fa riferimento ad intercettazioni fatte tempo prima.
FRANCESCO COLUCCI, Questore. So che è stato fatto questo rapporto DIGOS, l'ho letto anche sulla stampa. Tutto quello che stava succedendo era monitorato attraverso le nostre intercettazioni telefoniche.
FABRIZIO CICCHITTO. Nel rapporto DIGOS è scritto che sono state fatte intercettazioni telefoniche di colloqui di Casarini, con altri esponenti del Genoa social forum in cui addirittura si diceva che dovevano scendere in campo quelli del nord-est; che la manifestazione del 19 luglio doveva essere pacifica mentre ben altro avrebbe dovuto avvenire il 20 e il 21.
Quindi si è trattato di intercettazioni telefoniche che mettono sul conto del Genoa social forum responsabilità gravissime e che una persona investita delle sue responsabilità avrebbe dovuto conoscere. Viceversa si è creata una situazione, come l'ha definita il presidente Bruno, di non organizzazione che ha determinato quegli accadimenti.
FRANCESCO COLUCCI, Questore.
No, onorevole. Io ero al corrente di quelle intercettazioni e
conoscevo anche quello scenario. Sapevamo che il giorno 20 luglio
sarebbe stato il più cruento e abbiamo cercato di adottare
tutte le misure necessarie a fronteggiare il servizio d'ordine
pubblico. Non a caso sono state fatte più riunioni presso la
questura di Genova, alla presenza anche dei vertici del dipartimento
e di altri funzionari che venivano da fuori, per dirigere il servizio
di ordine pubblico in piazza e per delineare lo scenario che ci
saremmo potuti trovare di fronte il giorno 20.
Ho inoltre appreso
dalla stampa che la questura di Genova ha presentato un altro
rapporto riassuntivo di tutta l'attività investigativa fatta a
suo tempo da parte della stessa per contrastare, verificare e
monitorare le intenzioni dei vari movimenti e come questi avrebbero
manifestato sul territorio.
Sapevamo quindi che il giorno 20
luglio sarebbe stato un giorno difficile, forse più difficile
degli altri due e chiaramente ci siamo attrezzati per poter garantire
l'ordine pubblico di tale giornata ed ho già ben specificato
nella mia relazione quale scenario ci siamo trovati di fronte. Ho
anche detto che, ad un certo punto, era divenuto impossibile
colloquiare con il Genoa social forum e che abbiamo
colloquiato attraverso i referenti dipartimentali, con Casarini, il
quale, pur facendo parte del Genoa social forum, ci dava
indicazioni totalmente diverse da quelle del Genoa social forum
stesso.
Il giorno 20 il corteo (o meglio sarebbe dire l'ammasso di
gente, perché a Genova non ci sono mai stati cortei, c'è
stata un'occupazione del territorio da parte di decine e decine di
migliaia di persone) non avrebbe dovuto superare piazza Verdi. Quando
i manifestanti si sono radunati a 500, 600, 800 metri, non ricordo
bene, da piazza Verdi noi avevamo posto come condizione che la stessa
non doveva essere superata. Il Genoa social forum, o meglio
Casarini, voleva poi fare la sceneggiata, come tante altre volte è
stata fatta, per mettere in evidenza il suo operato, ma questi erano
gli accordi sottintesi (io non conosco Casarini, ma so che ve ne
erano tra i referenti dipartimentali e Casarini). A questo punto,
quando lo stesso Casarini ha avuto paura che i network con i
COBAS, oppure altri avrebbero potuto infiltrarsi nel suo corteo, che
doveva essere un corteo pacifico, cosa alla quale abbiamo creduto
(devo dire che oggi, purtroppo, non credo più a nessuno, né
ad Agnoletto né a Casarini), abbiamo creato una struttura per
dividere i due cortei; abbiamo fatto l'impossibile, nottetempo. È
vero anche che abbiamo dovuto modificare l'ordinanza in relazione
alle notizie che ci arrivavano (intercettazioni telefoniche,
considerazioni, valutazioni e riunioni in questura cui erano presenti
i responsabili del servizio di ordine pubblico, il prefetto Andreassi
e vari referenti che dovevano fronteggiare l'ordine pubblico per quel
giorno). Credo di essere stato chiaro.
Il Capo della polizia ha
detto, giustamente, che l'autorità locale di pubblica
sicurezza sul posto è responsabile del servizio di ordine
pubblico. Come ho detto nella mia relazione, si tratta di un evento
talmente grande e straordinario che va al di là delle
conoscenze territoriali; si tratta di conoscenze extraterritoriali,
oserei dire internazionali e quindi, non a caso, il dipartimento ha
creato, giustamente, presso la questura di
Genova una task force tra la polizia straniera ed i
responsabili di uffici del dipartimento per affiancare il questore e
per condividere tutte le scelte che andava operando.
Il dottor
Micalizio ha detto «tu dovevi tirare fuori gli attributi»
- mi scusino lor signori - «perché dovevi, tu, essendo
questore di Genova, mandare tutti a casa ». Ora io non credo
che avrei potuto fare una cosa del genere, anzi me ne sarei ben
guardato perché credo nelle istituzioni e sono grato per i
consigli e il supporto che mi sono stati dati dai colleghi e dai miei
superiori. Tutto ciò che è stato deciso è stato
deciso insieme e il questore, essendo autorità di pubblica
sicurezza, ha formalizzato l'atto con le sue firme. Tutto qui. Ma non
mi tiro indietro di fronte alle mie responsabilità, onorevole,
io mi sento responsabile di tutto ciò che è accaduto a
Genova, però le mie responsabilità, secondo il mio
modesto parere, devono essere un po' condivise con chi era presente a
Genova.
Noi facevamo delle riunioni, il giorno e la sera, con i
referenti del dipartimento, in cui si decideva, si descrivevano lo
scenario, i luoghi e ciò che sarebbe dovuto accadere,
disponendo, di conseguenza, le forze. A volte a questo ultime sono
state apportate modificate secondo direttive dei miei superiori in
ordine ad uno scenario che il mio ufficio di gabinetto aveva
preparato, ma non è detto che se fossero state lasciate le
forze da me predisposte l'intervento si sarebbe concluso meglio. È
tutto da verificare. Tenga presente che i servizi ci avevano
informato che il nostro personale poteva essere aggredito e
addirittura sequestrato; quindi sulla scelta iniziale di utilizzare
pochi uomini per combattere e per muoversi più facilmente sul
territorio (gruppi da 40, 50 o 60 persone) è prevalsa,
giocoforza, la tesi di creare nuclei più consistenti. D'altra
parte Genova, per chi la conosce, è una
città orograficamente molto difficile da percorrere e
dunque la movimentazione del nostro personale ha inciso abbastanza
sull'efficienza di quello che io chiamo ordine pubblico ma che, di
fatto, era una guerriglia.
Lei ha parlato della scuola Diaz,
citando La Barbera, Andreassi e Gratteri: in quei casi non si
trattava di ordini ma di condivisione di idee, consigli, suggerimenti
che si discutevano assieme per poter arrivare alla soluzione che
ritenevamo essere la migliore.
Per quanto riguarda la scuola Diaz
occorre distinguere due momenti. Vi è stato un momento
prettamente di polizia giudiziaria, riferito all'articolo 41, a tale
riguardo critico anche l'accertamento dell'ufficio ispettivo. Sono
stati incaricati i due massimi esponenti della polizia giudiziaria
della questura di Genova, il dirigente della DIGOS ed il dirigente
della squadra mobile e sul posto si sono recati anche i massimi
referenti del dipartimento.
Per quanto riguarda l'articolo 41, il
questore in genere non si occupa di questa attività, ma ha
invece il dovere di curare l'aspetto relativo all'ordine pubblico,
tant'è che ho affiancato al personale incaricato di effettuare
la perquisizione altro personale che in quel momento era di riserva
davanti alla questura: se non ricordo male si trattava di venti o
trenta agenti della Polizia di Stato e di quaranta, cinquanta o
sessanta carabinieri che - come ho già ricordato nella mia
relazione - erano di supporto al fine di bonificare la zona.
Nel
momento in cui il questore viene a conoscenza che davanti alla scuola
si potevano creare situazioni di maggiore emergenza per quanto
riguarda l'ordine e la sicurezza pubblica, viene inviato sul posto il
vice questore vicario insieme ad altri contingenti dei carabinieri
per fronteggiare eventuali pericoli e rischi riguardanti l'ordine
pubblico.
Se non ricordo male, quella sera stessa ho cercato un
funzionario, oltre ai dirigenti della squadra mobile e della DIGOS.
Fu inviato anche un altro funzionario che mi doveva affiancare - ciò
risulta anche dall'ordinanza - nell'attività dei servizi di
ordine pubblico. Il funzionario è andato: ciò risulta
sia dall'ordinanza principale del 2 luglio sia - se non erro - in una
mia ordinanza successiva. Si parla di un altro funzionario che mi
doveva affiancare nell'attività di ordine pubblico; anche
questo funzionario è stato mandato sul posto. Di questo
nessuno ha parlato, ma questa mia disposizione esiste agli atti.
Nella mia relazione...
LUCIANO VIOLANTE. Solo tre funzionari andarono? (Commenti).
FRANCESCO COLUCCI, Questore. Si sono recati diversi funzionari alla scuola Diaz, circa venti, venticinque. Io sto parlando dei due funzionari della questura di Genova, il dirigente della squadra mobile ed il dirigente della DIGOS. Per quanto riguarda la squadra mobile sono andati il dottor Gratteri, direttore dello SCO, il dottor Caldarozzi ed altri funzionari che erano a Genova aggregati alla squadra mobile. Io volevo mandare anche il dottor Lapi come funzionario mio referente diretto, ma in quella riunione mi venne ricordato che il dottor Lapi era stato ferito durante la manifestazione; va a suo merito che egli, nonostante fosse ferito, sia tornato nuovamente in servizio. È stato allora inviato il dottor Murgolo - ciò risulta anche nella mia ordinanza - che mi doveva affiancare per tutto quanto riguardava l'ordine pubblico. Lui si è offerto, e si è recato sul posto. A questo punto vi erano sia la linea di comando sia l'organizzazione. Successivamente si sono recati sul posto altri due funzionari che dirigevano i
due reparti della polizia e dei carabinieri e che dovevano essere
di riserva in questura; li ho mandati lì per fronteggiare una
minaccia all'ordine pubblico.
Io non sto dicendo la mia verità
ma la verità oggettiva, con la coscienza tranquilla e serena.
Ripeto che questo servizio è stato condiviso da me per primo,
non mi sto tirando fuori. Credo che vi fosse una linea di comando
anche se poi, durante l'esecuzione, quella confusione per la quale il
magistrato sta svolgendo la sua attività giudiziaria; vi è
stata ben venga quest'ultima se ciò servirà a fare
maggiore chiarezza. D'altra parte anche alcuni funzionari, come il
dirigente della DIGOS ed il dirigente della squadra mobile,
trovandosi alla presenza di altri referenti ministeriali, chiaramente
hanno avuto un minimo di perplessità su come si doveva
svolgere l'intera operazione.
Per quanto riguarda lo stadio
Carlini ho detto nella relazione che le verrà consegnata - se
non ricordo male - che noi abbiamo fatto diverse perquisizioni tra le
quali anche una allo stadio Carlini. Dove ci siamo recati su
sollecitazione - se non vado errato - del sindaco. La sera c'è
stata una riunione durante la quale - se non erro - il sindaco riferì
di aver avuto notizia che allo stadio Carlini stavano smobilitando
Siamo stati allo stadio Carlini, ed abbiamo riscontrato che tutto
quello che era stato riferito al sindaco si è dimostrato non
veritiero. Va tenuto presente che le persone violente potevano anche
custodire armi presso i luoghi di loro accoglienza; di fatto se le
sono procurate lungo la strada spaccando le pietre con i picconi
oppure smontando all'ultimo momento le aste e così via.
Noi
abbiamo fatto diverse perquisizioni, diversi accertamenti per
verificare se questi luoghi di accoglienza rappresentassero un centro
di smistamento di materiali. Mi corre
l'obbligo di ricordare il problema rappresentato dal camion che poi successivamente abbiamo fermato. Nelle relazioni che allegherò troverete la descrizione di altre situazioni del genere, relative ai controlli che abbiamo svolto.
LUCIANO MAGNALBÒ. Intervengo per sottolineare che questo modo frammentario di procedere nei lavori è impossibile da sostenere. Sarebbe più opportuno che tutti facessimo domande alle quali il questore potrebbe rispondere in maniera organica, in caso contrario non finiremo neanche per domani mattina. Rispondendo volta per volta alle domande si impedisce agli altri di seguire un filo logico. La pregherei, dunque, di rivedere il modo di procedere nei lavori.
PRESIDENTE. Prima ho chiesto, sulla base della proposta formulata dal presidente Violante, se vi fosse un sostanziale accordo. Ricordo che l'ufficio di presidenza ha stabilito soltanto il contingentamento dei tempi, peraltro, in via sperimentale. Oggi bisognava verificare se questo sistema avrebbe potuto ovviare alle difficoltà registratesi nelle precedenti audizioni. Il presidente Violante aveva affermato che, forse, era più opportuno che ad ogni domanda seguisse una risposta da parte del soggetto audito, ma se vi sono indicazioni diverse si può tornare al criterio di prima.
LUCIANO VIOLANTE. È chiaro che siamo qui per lavorare ed occorre un po' di tempo. Il questore Colucci ha fatto un quadro significativo, altrettanto faranno gli altri suoi colleghi che interverranno successivamente. Se tutti pongono domande si verifica quello che si è verificato in precedenza, cioè che i soggetti auditi rispondono, non per loro malevolenza, al 20 o al 30 per cento delle domande e quindi tutto confluisce in un grande calderone in cui non si capisce niente. Capisco che è
una procedura po' lunga - Magnalbò - ha ragione; ci consente però anzitutto di evitare di porre alcune domande o magari di farne altre che non avremmo fatto senza aver sentito le risposte, e ciò permette un approfondimento maggiore. Forse potremmo procedere così: domande sintetiche, magari pregando il signor questore, se lo ritiene, di essere sintetico nelle risposte. Poi se qualcuno non vuole che il questore risponda a domande specifiche, lo dica chiaramente.
ANTONIO TOMASSINI. Presidente, concordo con quanto ha sostenuto il senatore Magnalbò. Vorrei aggiungere che a me pare che lo scopo di questa Commissione sia quello di svolgere un'indagine conoscitiva e non un'attività inquirente. Pertanto le nostre domande devono avere una funzione di integrazione della relazione del questore e non innescare un meccanismo di contraddittorio, addirittura tra di noi, con continue domande che si riferiscono alle domande dei colleghi, come è capitato finora. Pertanto concordo con quelli che vogliono tutte le domande e le risposte in un unico blocco a integrazione della relazione.
FRANCESCO NITTO PALMA. Concordo pienamente con l'intervento del senatore Magnalbò.
LUIGI BOBBIO. Presidente, credo che effettivamente questo modo di procedere sia estremamente dannoso, forse più di quello precedente del mancato contingentamento dei tempi delle domande, perché in questa maniera si innesca un meccanismo, peraltro perfettamente comprensibile da un punto di vista logico e dialettico, di espansione della risposta sulla singola domanda, quindi i tempi subiscono una superfetazione non accettabile. Propongo di mantenere il contingentamento dei tempi delle domande, che è sicuramente utile
e tale da evitare i pericoli paventati, e di raggruppare comunque le risposte alla fine.
ANTONIO DEL PENNINO. Presidente, io ritengo invece che sia opportuno che le risposte vengano date alle singole domande; al massimo possiamo raggruppare due o tre domande, poiché mantenere il sistema della risposta complessiva all'insieme delle domande comporta, da un lato, una risposta che - non per volontà dei nostri interlocutori ma nei fatti trascura la metà delle domande fatte - e dall'altro, non consente di acquisire una serie di elementi che rendono magari inutili delle domande che altrimenti verrebbero formulate o suggeriscono altre domande che trovano spunto nelle indicazioni fornite nelle risposte.
GRAZIELLA MASCIA. Presidente, intervengo anch'io per dire che preferisco il metodo che abbiamo adottato perché per la prima volta si comincia ad avere qualche risposta concreta. Siccome questo Comitato ha già pochi poteri, almeno dal punto di vista della conoscenza sarebbe bene acquisire elementi di dettaglio che alla fine si rivelano importanti.
GIANNICOLA SINISI. Presidente, sulla richiesta avanzata dall'onorevole Violante, ricordo soltanto che il contingentamento dei tempi è stato funzionale anche ad una innovazione di metodo. Sul problema relativo alla durata dell'intervento di chi risponde, si tratta di una questione sulla quale non possiamo intervenire. Credo che mantenendo il sistema precedente, di fatto si rinuncia all'oralità, che è il principio sul quale si fonda il meccanismo dell'audizione. Siamo inondati ormai da relazioni scritte; a questo punto o manteniamo questo meccanismo di contestualità o rischiamo davvero di introdurre un nuovo sistema scritto nei lavori del nostro Comitato.
LUCIANO FALCIER. Non faccio una proposta, bensì una considerazione che può tramutarsi in una proposta. Il fatto che si sia pervenuti, per volontà dell'ufficio di presidenza, ad un contingentamento dei tempi dovrebbe consigliare di fare tutte le domande e dare un'unica risposta, perché il contingentamento dovrebbe presumere l'obiettivo di regolamentare i tempi. Il ragionamento ulteriore potrebbe essere: se al termine della risposta del questore, ci fossero ulteriori richieste di approfondimento, si potrebbe lasciare spazio ad eventuali precisazioni o approfondimenti.
PRESIDENTE. La situazione in questo momento è la seguente: sono le 12,30 e hanno chiesto di intervenire in 16. In tal modo verrebbe sicuramente esaurito il tempo contingentato. Se a questo aggiungessimo il tempo necessario all'audito per rispondere, con ogni probabilità dovremmo cambiare metodo ed ascoltare per un'intera giornata, se basta, il soggetto che abbiamo ritenuto di ascoltare (cosa che si può fare benissimo, per carità: è solo una questione di volontà). Quindi, credo che per la giornata di oggi, visto che stasera è convocato l'ufficio di presidenza e questo sarà uno degli argomenti che tratteremo, si possa procedere per gruppi. Io infatti credevo che dieci minuti o un quarto d'ora potessero essere dati per riunire per ogni gruppo le domande da porre; invece ho constatato che tutti i componenti, ad eccezione di un risibile numero, chiedono di intervenire nei limiti del tempo contingentato. Ma quello che a noi occorre è il contenuto non il soggetto che formula la domanda all'audito. Dinanzi ad una situazione di questo genere, attesa anche l'ora, invito i gruppi ad individuare per la formulazione di domande concise un solo interlocutore, se è possibile, o al massimo due interlocutori per i gruppi maggiori - senza nulla togliere al tempo che gli è dovuto - , per consentire al questore Colucci
di dare le risposte. Qualora quest'ultimo intendesse dilungarsi, fornire una ulteriore relazione o chiedere con l'allegazione di documenti, lo può fare. Quindi propongo di procedere con il metodo che abbiamo individuato. L'onorevole Cicchitto ha fatto più domande, ed ha ottenuto le sue risposte; fermo restando che ciò sarà oggetto di esame questa sera da parte dell'ufficio di presidenza, invito tutti a voler fare domande il più possibile sintetiche, anche per dare la possibilità di ascoltare il questore.
GRAZIELLA MASCIA. Ho sei minuti e quindi mi astengo dal fare domande di approfondimento su alcuni fatti relativi al 20 e al 21 luglio, che naturalmente non coincidono con la versione che ha dato il questore, anche perché le piazze tematiche, chi era presente, eccetera, risultava tutto dai giornali. Signor questore, le chiedo invece alcune cose molto specifiche: lei ci ha confermato oggi che ha avuto il supporto del capo della Polizia attraverso dei dirigenti presenti sul posto, però aveva dichiarato alla stampa che il suo ufficio era stato letteralmente commissariato. Conferma questo giudizio o nel frattempo lo ha modificato? Vorrei chiederle poi quale tipo di rapporto ha mantenuto nei giorni 19, 20, 21 e 22 luglio con il capo della Polizia e con il ministro, e se è possibile avere le ordinanze, a cui ha fatto riferimento oggi, che hanno modificato quelle precedenti: noi abbiamo quella del 12 luglio (non mi pare fosse nelle disponibili carte in Commissione). Vorrei chiederle se in questi piani operativi per la gestione dell'ordine pubblico è cambiato qualcosa rispetto al mutamento del Governo. Vorrei chiederle se lei era responsabile di fatto, a tutti gli effetti, della sala operativa unificata presso la questura. Vorrei chiederle se lei ha ordinato la prima carica in piazza Tolemaide, quella che è stata fatta dai carabinieri (mi pare fossero una ottantina). Penso, come ho detto al
comandante dei carabinieri, che quella sia stata un'azione che ha
anche determinato delle conseguenze. Non sono un'esperta di ordine
pubblico, però vorrei chiederle se lei ha deciso in quel
momento la carica dei carabinieri.
Vorrei chiedere anche una
conferma sui fatti di piazza Dante: lei ha ricevuto una telefonata
dal sindaco, alle 16,30, durante la quale avete concordato che lì
i manifestanti si sarebbero ritirati, mentre invece hanno ricevuto
una carica alle spalle. Vorrei sapere per quale motivo ciò sia
avvenuto e perché l'accordo non sia stato mantenuto.
Dopo
la giornata del 20 luglio, lei ha confermato che, anche in corso
d'opera, avete cambiato alcune disposizioni: se ho capito bene, i
container che abbiamo trovato al mattino sono il risultato di
scelte notturne. Sembra siano cambiate anche altre cose e di questo
vorrei avere una conferma. Ho letto attentamente la sua ordinanza, in
particolare la disposizione relativa alla testa del corteo, il
fiancheggiamento e la sua conclusione del 21 luglio: tuttavia, nei
fatti, vi sono state significative modifiche (in particolare, non ho
visto alcuno alla testa del corteo). Ebbene, oltre alle diverse
disposizioni concernenti i carabinieri - come lei ci ha detto -,
vorrei sapere, concretamente quali altre modifiche siano state decise
tra il 20 ed il 21 luglio, visto che non vi sono stati ulteriori
elementi per giustificare scelte diverse.
Lei ha detto, rispetto
all'intervento sul black bloc, eravate a conoscenza di tutto
(infatti, i vostri piani erano molto dettagliati): come mai allora,
ci è stato qualcosa che non ha funzionato? In base a quali
modalità è stato determinato il vostro intervento sul
territorio, in particolare, rispetto all'utilizzo di squadre di
polizia più o meno numerose per contrastare i manifestanti?
Per quanto riguarda l'istituto Diaz, vorrei chiederle in
particolare se il dirigente di polizia Valerio Donnini era presente
sul posto e, se abbia partecipato alle riunioni preventive; e,
ancora, quale titolo era presente il funzionario di polizia Sgalla e
se sia vero che è arrivato per primo.
Rispetto ai fatti
verificatisi a Bolzaneto, lei ha detto che tutto ha funzionato o che,
comunque, tutto era stato pianificato: in realtà, sappiamo che
le persone fermate sono rimaste in caserma ore ed ore. Perché
lei od un suo funzionario la sera del 20 luglio, ha detto ad un
parlamentare che non sapeva dove fossero stati portati i fermati?
Rispetto al lavoro dell'intelligence, che aveva previsto
la partecipazione anche di gruppi di estrema destra, (confermata da
una loro significativa presenza sul posto), per quale motivo non sono
state prese misure preventive per impedire tali infiltrazioni?
Vorrei infine sapere se le forze di polizia hanno avuto in
dotazione - sicuramente sì - i manganelli Tonfa, se per tale
motivo sono state addestrate al loro utilizzo e, quanti lacrimogeni
sono stati usati, le loro caratteristiche e gli effetti che hanno
prodotto.
Concludo, chiedendole: quale delle due versioni dei
fatti verificatisi davanti al Marassi lei sostenga: quella dei 20
rappresentanti del blak bloc che attaccavano 40 esponenti
delle forze dell'ordine in grado di rispondere o quella dei mille
manifestanti che attaccavano (come è stato scritto) 3 blindati
fuggiti immediatamente? Ricordo che in quel momento il black bloc
era isolato.
FRANCESCO COLUCCI, Questore. Non ho mai dichiarato alla stampa di essere stato commissariato, anzi, mi sento in dovere di precisare che interviste alla stampa, apparse come tali, non ne ho mai fatte. Non ho mai detto di essere stato
commissariato; può trattarsi di un'interpretazione del
giornalista ricavata da colloqui avuti con il personale di polizia.
Ho sempre detto che sono stato supportato ed affiancato e nella
relazione ho affermato che mi assumo le mie responsabilità
(che siano o meno condivisibili con altri è una questione
diversa). I rapporti con il capo della polizia, nei giorni 19 e 20
luglio, sono stati continui, tenuti personalmente da me; egli ha
avuto anche contatti continui con i propri referenti più
vicini nella città di Genova.
Escludo categoricamente che
sia stata adottata una strategia diversa per l'ordine pubblico: si è
trattato sempre di mettere in atto la stessa strategia. I giornali
hanno parlato di piazze tematiche, ma, di fatto, il Genoa social
forum non ha mai comunicato chi fosse presente nei vari luoghi;
lo abbiamo, verificato sul campo successivamente (ed ho portato anche
la documentazione relativa).
Per quanto riguarda piazza Dante, è
vero che il sindaco mi ha telefonato, dicendomi di aver parlato con
Agnoletto, ma, poi si è verificata l'infiltrazione di gente
violenta, al punto da costringere - che esiste già - una
relazione che credo il capo della polizia abbia già letto e
che io allegherò, così da avere un quadro più
completo del comportamento dei funzionari durante il servizio di
ordine pubblico - il dottor Montagnese (se non erro impegnato in
piazza Dante) ad usare anche i lacrimogeni ed a far intervenire altri
reparti, perché la zona rossa stava per essere varcata. Nella
mia relazione ho già detto quali fossero le diverse «anime»
che componevano i manifestanti. Non è vero che abbiamo
caricato persone non pericolose per l'ordine e la sicurezza pubblica:
se abbiamo caricato è perché effettivamente la
situazione lo richiedeva.
Come ho già accennato nella relazione, vi sono stati degli
infiltrati che hanno cercato di sobillare e compiere atti violenti,
coinvolgendo anche pacifisti.
Citando la mia ordinanza
l'onorevole Mascia afferma che è stata cambiata la
disposizione relativa alla testa del corteo ed al «fiancheggiamento»
da parte delle forze dell'ordine. Faccio presente che il 21 luglio
non si è svolto semplicemente un corteo, ma un'invasione di
massa: più di 150 mila persone, hanno occupato tutto il
territorio, non in forma di corteo, ma sparpagliate, per cui non è
stato possibile creare la testa del corteo. Comunque, i servizi di
fiancheggiamento che dovevano proteggere il corteo, erano presenti:
Bisogna conoscere la città di Genova e le difficoltà di
spostamento al suo interno per poter capire.
Ho già
specificato nella relazione per quale motivo non si sia riusciti a
bloccare i black bloc; ho parlato anche della loro filosofia e
delle loro azioni di guerriglia sul territorio. Ogni volta che, su
indicazione dei cittadini, cercavamo di fronteggiarli, loro si erano
già spostati con le classiche azioni di guerriglia; molte
volte non siamo potuti intervenire per bloccarli, perché loro,
che conoscevano bene la città, si mettevano in posizione tale
da non farsi raggiungere: non potevamo scendere da monte, né
muoverci dai lati per la presenza del corteo e della massa dei
manifestanti. Perciò, non potevamo entrare per fronteggiare i
black bloc, che, nel frattempo, avevano già cambiato
obiettivo.
Lei mi chiede, onorevole Mascia, se alla Diaz era
presente il dottor Donnini: le rispondo di no, non credo. Donnini era
un funzionario di polizia, un dirigente superiore, al quale mi
rivolgevo per avere la disponibilità del personale; con lui
parlavo quando mi servivano 50 o 100 uomini per fronteggiare una
certa evenienza. Non credo che Donnini fosse presente sul
posto, anzi, mi sentirei di escluderlo. Mi sono rivolto a lui,
quella sera, per ottenere del personale da inviare sul posto: ricordo
che Donnini ha risposto alla mia richiesta offrendomi la
disponibilità di un reparto di Roma. Donnini però non
era presente alla Diaz. Il dottor Sgalla invece era sul posto perché
lo inviai io, su indicazione del capo della Polizia.
Riguardo
alla caserma di Bolzaneto, non è vero che non sapevamo dove si
trovavano coloro i quali erano stati fermati: sapevamo che erano a
Bolzaneto, e che poi sarebbero stati portati nelle carceri.
Per
quanto attiene ai gruppi di estrema destra - i 600 infiltrati - non
mi risulta che in quelle circostanze, essi abbiano partecipato alle
violenze sul territorio. Non sono a conoscenza di questo episodio.
I
Tonfa sono manganelli di ultima dotazione dei reparti: non ho inviato
alcuno ad addestrarsi al loro utilizzo, anche perché il
personale della questura di Genova - e quindi territoriale - non ha
fronteggiato in prima linea questioni di ordine pubblico, ma è
stato destinato ad altri servizi di vigilanza e di supporto.
Già
il capo della Polizia si è soffermato a lungo sul carcere di
Marassi, leggendo anche una relazione, che confermo nel modo più
assoluto. I black bloc...
GRAZIELLA MASCIA. Un'altra relazione della polizia penitenziaria dice cosa diversa...
FRANCESCO COLUCCI, Questore. Non l'ho letta. Posso confermare che a Marassi, che rappresentava un obiettivo a rischio (lei, onorevole Mascia, ha letto, anche nell'ordinanza, quanti obiettivi a rischio avevamo quantificato), si trovava un funzionario con alcuni uomini (circa una ventina o qualcosa di più). Chi conosce la conformazione di Genova (lo ripeto) sa
che questi black bloc sono potuti arrivare dalle montagne, sono scesi da una scalinata, ed il collega se li è trovati di fronte: ha chiesto aiuto, ma in quel momento eravamo dall'altra parte della città, sotto il ponte della ferrovia. Il supporto inviato è stato bloccato dai manifestanti che hanno assalito la colonna che stava andando in aiuto a Marassi.
GRAZIELLA MASCIA. Il questore Colucci non ha risposto alla domanda se abbia impartito o meno l'ordine di caricare in piazza Tolemaide; ci ha detto invece che non sapeva dove fossero i fermati. Non ha risposto nemmeno alla domanda relativa al numero di lacrimogeni utilizzati.
FRANCESCO COLUCCI, Questore.
Non so quanti lacrimogeni siano stati utilizzati: dovrei contarli,
esaminando tutte le relazioni dei funzionari in cui si specifica
questo particolare. Chiaramente ne sono stati lanciati moltissimi.
Per quanto riguarda l'attacco di piazza Tolemaide, è molto
esaustiva la relazione del dirigente del servizio che precisa, come
ho fatto anch'io nella mia relazione, che tra la massa di
manifestanti del Genoa social forum, che procedeva verso
piazza Verdi, c'erano degli infiltrati, degli anarchici (Commenti
del deputato Mascia).
Se un dirigente del servizio è
aggredito con corpi contundenti, bottiglie molotov ed altri
oggetti che, per offesa, vengono lanciati contro le forze di polizia,
è ovvio che devo necessariamente disporre la carica per
«alleggerire» quel dirigente, comunicando la direttiva
via radio: mi pare di averlo già chiarito nella mia relazione.
Per quanto riguarda gli arrestati, sapevo dove fossero: lo si
legge anche nell'ordinanza di servizio (del resto, come questore, non
posso non saperlo. So dove si trovavano coloro che erano stati
arrestati dalle forze di polizia e so dove si
trovavano quelli che erano stati arrestati dai carabinieri: a Bolzaneto e a Porto S. Giuliano).
GRAZIELLA MASCIA. Eppure lei ha detto ad un parlamentare di non saperlo!