PARLAMENTO ITALIANO

Seduta di martedì 28 agosto 2001



Audizione del questore
Francesco Colucci

Audizione del prefetto
Arnaldo La Barbera

Audizione del Prefetto
Ansoino Andreassi

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BOZZA NON CORRETTA

COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 1a (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

COMITATO PARITETICO

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 28 agosto 2001


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La seduta comincia alle 9,45.

Indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Comunico che nella riunione dell'ufficio di presidenza di giovedì 9 agosto 2001 è stato deliberato di procedere, in via sperimentale, ad una organizzazione dei tempi di discussione che preveda, per lo svolgimento di ogni singola audizione, l'assegnazione a ciascun gruppo di un tempo calcolato nel modo seguente:
Forza Italia: 20 minuti (5 più 15);
Democratici di Sinistra-L'Ulivo: 16 minuti (5 più 11);
Alleanza Nazionale: 11 minuti (5 più 6);
Margherita, DL-L'Ulivo: 10 minuti (5 più 5);
Misto: 10 minuti (5 più 5)
Lega Nord Padania: 8 minuti (5 più 3);
CCD-CDU Biancofiore: 8 minuti (5 più 3);
Rifondazione comunista: 6 minuti (5 più 1).
Misto-Verdi-L'Ulivo: 6 minuti (5 più 1)
Autonomie: 6 minuti (5 più 1)

Il tempo a disposizione dei gruppi è complessivamente pari ad 1 ora e 41 minuti.


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Comunico altresì che durante la sospensione dei lavori del Comitato è pervenuta ulteriore documentazione; l'elenco aggiornato della stessa sarà consegnato nella giornata odierna unitamente alle copie degli ultimi documenti pervenuti.
Tra la documentazione pervenuta nella giornata di ieri vi sono anche i documenti inviati dal questore di Genova, dottor Oscar Fioriolli, il quale ha comunicato formalmente che il regime della suddetta documentazione è quello della riservatezza; tale documentazione è pertanto disponibile esclusivamente per la visione presso la segreteria della Commissione affari costituzionali della Camera.
Comunico, infine, che il Presidente della Camera, onorevole Pier Ferdinando Casini, ha trasmesso per conoscenza al presidente del Comitato copia di una lettera a lui inviata dal Presidente del Bundestag, Wolfgang Thierse, e la relativa risposta dello stesso Presidente, onorevole Casini, in merito agli avvenimenti connessi al vertice G8 tenutosi a Genova. Copia di tale corrispondenza è a disposizione dei componenti del Comitato.

LUCIANO VIOLANTE. Mi scusi presidente, in relazione alla determinazione dei tempi di discussione, mi chiedo se, al termine dell'audizione, non sia opportuna una sospensione dei nostri lavori per consentire ai gruppi di riunirsi: altrimenti si rischia di non utilizzare saggiamente il tempo a nostra disposizione.

PRESIDENTE. Al termine della relazione, svolta oralmente oppure letta, sospenderemo i lavori per un tempo che decideremo, affinché i gruppi decidano chi o quanti, nel rispettivo ambito, possano rivolgere domande oppure intervenire, in modo tale da consentire il rispetto dei tempi stabiliti.


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Audizione del questore Francesco Colucci.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del questore Francesco Colucci. Il questore Colucci ha chiesto di essere accompagnato dal dottor Salvo, vice questore aggiunto presso la questura di Genova. Se non vi sono obiezioni, così rimane stabilito.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria. La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Ringrazio il nostro ospite per aver accolto l'invito. Il dottor Colucci ha predisposto una relazione, della quale lo prego di dare lettura.

FRANCESCO COLUCCI, Questore. Signor presidente, ritengo doveroso ringraziare preliminarmente tutti gli onorevoli deputati e senatori componenti questo Comitato, perché mi si concede, oggi, la possibilità di riferire sull'organizzazione dei servizi assicurati dalle forze di polizia in occasione dell'evento G8 del luglio scorso e, dunque, di contribuire a delineare, sotto il profilo tecnico-operativo, istituzionalmente riconducibile alla figura del questore, il correlato quadro di conoscenze. Sottolineo anche l'esigenza, che sento profonda, signor presidente, di


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difendere e valorizzare il lavoro della questura di Genova in ossequio a quel senso dello Stato che ci muove tutti verso la leale ricerca della verità e delle conseguenti responsabilità degli accadimenti. A tal fine, dovrò riproporre all'attenzione e all'esame di questo uditorio l'ordinanza n. 2143/R che ho emanato in data 12 luglio 2001, ai sensi dell'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 28 ottobre 1985, n. 782, già prodotta dal prefetto di Genova nell'audizione del 9 agosto scorso, essendo quel documento il frutto del lavoro condotto per dodici mesi, incessantemente e senza risparmio, da tutta la struttura da me diretta. Quel documento compendia le prerogative istituzionali del questore e rappresenta, in via ordinaria, lo strumento di verifica delle sue responsabilità a tutti i livelli: amministrativo, disciplinare ed anche giudiziario. Il questore quelle responsabilità se le assume tutte di fronte a voi, di fronte allo Stato e di fronte, ed a tutela, di tutti i collaboratori ai quali è stata affidata la concreta realizzazione di quelle articolate direttive. Tuttavia, in questa sede, credo non siano da ricercare solo i livelli di responsabilità, che già la normativa vigente in materia di ordine e sicurezza pubblica (tra l'altro già puntualmente illustrata da altri interlocutori) individua con precisione. È in gioco, piuttosto, la piena comprensione delle ragioni per le quali sia sul piano della prevenzione sia su quello del contrasto non si è riusciti, al meglio, a contenere da un lato gli eccessi violenti di una parte di coloro che a Genova hanno manifestato e, dall'altro, ad evitare deprecabili comportamenti di alcuni appartenenti alle forze dell'ordine, sui quali sono già in atto doverosi approfondimenti sia in sede amministrativa sia in sede giudiziaria.
In questa direzione e con questo spirito terrò la mia relazione, signor presidente, limitando evidentemente l'analisi al livello che mi è proprio, quello tecnico-operativo afferente le dinamiche di gestione dell'ordine pubblico.


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L'organizzazione e la pianificazione dell'attività di competenza del questore in relazione allo svolgimento nel capoluogo ligure del vertice G8 del luglio 2001 è stata avviata ancor prima che il Parlamento ufficializzasse la scelta della sede genovese con l'approvazione della legge 8 giugno 2000. n. 149, recante disposizioni per l'organizzazione del vertice G8 a Genova, giacchè la candidatura di Genova come sede prescelta per lo svolgimento di tale vertice era già stata formalmente proposta dal Governo nel dicembre 1999. In tal senso, avviavo in seno alla struttura un'attività di prima valutazione delle strategie da adottarsi e, altresì, un'attività di studio del dispositivo da realizzare, condotta evidentemente sulla scorta delle notizie, allora disponibili, in ordine alla sede prescelta del vertice, Palazzo Ducale, ed agli altri scenari che si potevano ipotizzare. In questa prima fase, ho orientato l'attività in una duplice direzione: quella della quantificazione presuntiva del personale delle forze di polizia da impiegarsi nei relativi servizi e quella della verifica attenta degli standard di sicurezza delle strutture e dei siti interessati, sia come residenza dei capi delegazione, sia come località di svolgimento di eventi collaterali. Indicazioni utili vennero tratte dal modello di organizzazione dei servizi di ordine e sicurezza disposti per il vertice G7 di Napoli, seppur adeguatamente rapportate al differente contesto urbanistico ed al quadro assolutamente non paragonabile delle preannunciate iniziative del dissenso.
Già nell'agosto 2000 formulavo un'organica previsione di impiego di personale della Polizia di Stato e delle altre forze di polizia pari a circa 18 mila uomini, comprensivi anche del personale delle forze territoriali e dei reparti specializzati, corredata anche da diverse ipotesi di alloggiamento sostanzialmente imperniate sul riallestimento, a fini residenziali, del comprensorio fieristico genovese e sul noleggio di navi.


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Il documento bozza che ho trasmesso nello stesso mese di agosto al servizio ordine pubblico ed alla direzione centrale dei servizi tecnico-logistici del dipartimento della pubblica sicurezza, oltre che al prefetto di Genova, conteneva già con buona approssimazione l'impianto generale dei servizi, poi concretamente realizzato e articolato sull'idea guida dell'individuazione di un'area di rispetto disegnata intorno alla sede dei lavori.
Quella traccia veniva sostanzialmente condivisa nell'impostazione generale dal dipartimento della pubblica sicurezza che nel mese di novembre 2000 elaborava, attenendosi allo schema di pianificazione ipotizzato, un documento di previsione di impiego di 14.500 unità tra personale delle forze di polizia e militari dell'esercito italiano, da impiegarsi secondo l'indicazione normativa della citata legge n.149 del 2000 e da inviare a disposizione del prefetto di Genova per le esigenze connesse al vertice G8.
Credo sia significativo evidenziare analiticamente questi passaggi organizzativi, poiché sottolineano come sin dall'inizio sia stato avviato e condotto tra la periferia e il centro un lavoro sinergico di analisi, di scambio informativo, di continuo confronto, peraltro assolutamente necessario di fronte ad un evento che definirei senza dubbio ultraterritoriale. Era infatti lo Stato italiano, prima ancora che la città di Genova, ad ospitare nell'anno di presidenza il vertice internazionale di maggior prestigio ed era, quindi, ovvio che il dipartimento della pubblica sicurezza affiancasse e supportasse l'autorità provinciale.
All'incirca nello stesso periodo in cui si formulavano dette previsioni, si avviavano complesse attività di natura info-investigativa mirate al perseguimento di diversi obiettivi: prioritariamente ad acquisire, sia pure entro i limiti di


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giurisdizione di competenza, ogni informazione utile a definire, nell'eterogeneo quadro della protesta e del dissenso, la posizione e le conseguenti iniziative che i diversi sodalizi dell'area antagonista genovese stavano definendo, anche quale supporto logistico a gruppi esterni. In altri termini si provava a referenziare territorialmente ogni indicazione che perveniva, attraverso il canale dipartimentale, dai servizi d'informazione in merito agli scenari della protesta che si andava così delineando; quindi ad abbozzare i confini dell'area di sicurezza nella quale attivare, con gli strumenti giuridici previsti dalla vigente normativa, le misure interdittive di natura straordinaria e temporanea necessarie al mantenimento degli auspicati livelli di sicurezza; conseguentemente, ad avviare il monitoraggio del censimento di tutta la popolazione residente o domiciliata per ragioni di lavoro nell'area medesima sia a fini preventivi, trattandosi per buona parte di un'area urbana ad alta incidenza di fenomenologie microcriminali, sia ai fini del successivo rilascio del titolo di accesso; infine, si provvedeva a verificare il livello di sicurezza e la difendibilità degli esercizi ricettivi dell'intera provincia di Genova che, in seno alla struttura di missione, venivano indicati come possibile residenza dei Capi di Stato e di Governo dei paesi del G8. In questa direzione, con provvedimento del 16 agosto 2000, provvedevo, sentito il prefetto, alla formale costituzione di un gruppo di lavoro interforze - GOI - composto da Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e Guardia di finanza, cui ho affidato il compito di pianificare quelle misure di prevenzione e sicurezza suaccennate e necessarie alla migliore riuscita dell'evento.
Non credo sia superfluo sottolineare che molte delle questioni fondamentali, prima fra tutte la definizione della sede di residenza dei Capi di Stato, sono state sciolte con


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evidente ritardo, creando condizioni di lavoro affannose per tutta la struttura da me diretta. Se certezze mancavano sul versante dell'organizzazione dell'evento, ancor meno certa era l'articolazione delle iniziative di protesta e di dissenso, compresa quella riconducibile all'area del movimento disposto a dialogare con le istituzioni.
Ciò non vuole e non deve suonare come giustificazione, anche in relazione all'efficacia che ha indubbiamente avuto quella parte del dispositivo di sicurezza teso alla tutela del vertice e dei suoi protagonisti. Vuole viceversa rendere a questo uditorio il senso preciso dell'impegno e delle condizioni anche difficili e gravose in cui si è svolta la fase organizzativa, tesa alla rincorsa continua di certezze che potessero dare una qualche definizione ai progetti ed alle ipotesi operative.
Il primo e più importante di questi progetti operativi era senza dubbio rappresentato dalla realizzazione in concreto di quella che avrebbe poi assunto la formale definizione di zona rossa. A Seattle, a Nizza e da ultimo a Göteborg, le manifestazioni, anche violente, dei gruppi antagonisti avevano inciso profondamente sullo svolgimento dei vertici internazionali, rendendo necessarie modifiche anche radicali ai relativi programmi. Questo allora faceva assai riflettere, anche se oggi sembra quasi un elemento di dettaglio, tanto più che i governi stranieri, trattandosi della sicurezza dei rispettivi Capi di Stato e di Governo, esigevano dallo Stato italiano garanzie assolute in ordine alle misure di tutela poste in essere a contrasto di qualsivoglia azione, sia essa terroristica o anche solo dimostrativa e di disturbo. Era chiaro sin dall'inizio che questo obiettivo andava perseguito senza mezze misure e tuttavia rendendolo compatibile con altre esigenze primarie: la vivibilità della città sia all'interno sia all'esterno della zona di rispetto, la fruibilità dei diritti costituzionalmente garantiti di


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libera manifestazione del dissenso, la sicurezza in generale della cittadinanza. Quest'ultimo aspetto preoccupava moltissimo, giacché il rischio di attentati terroristici, assai pregnante per come si presentava la situazione politica internazionale, non rappresentava solo una minaccia per la personalità eventualmente destinataria dell'iniziativa, bensì per un'intera comunità di persone.
Mi preme mettere a parte questo Comitato di riflessioni che, per quanto possano apparire ovvie, in realtà mi sembra siano sfuggite nella valutazione generale condotta a posteriori. Ciò è dimostrato dal fatto che nei giudizi espressi anche da esponenti politici delle istituzioni locali nei confronti del dispositivo di protezione realizzato con l'istituzione della zona di rispetto rossa e gialla, si è sempre evidenziata la connotazione negativa della compressione delle libertà dei cittadini genovesi, sacrificate per l'esclusivo interesse dei Capi di Stato e di Governo stranieri. Mai si è fatto cenno, neanche marginalmente, alla valenza estremamente positiva di protezione di un ambito urbano e della sua popolazione, esposta a grave rischio per lo svolgimento in quello stesso ambito di un evento internazionale ritenuto estremamente «appetibile» per possibili iniziative terroristiche. La stessa questione, sollevata già a vertice in corso, della distribuzione delle forze in campo e l'asserito squilibrio tra le risorse destinate alla protezione nella zona rossa rispetto a quelle impiegate a contrasto dei manifestanti violenti, mi sembra condizionata da questa falsa prospettiva, che non tiene nel dovuto conto un dato oggettivo, ovverosia che il dispositivo della zona rossa ha offerto protezione totale ed assolutamente efficace oltre che a 15 mila addetti ai lavori - capi delegazione, delegati, traduttori, giornalisti, tecnici, inservienti e così via - anche ad altri circa 35 mila genovesi cui è toccato in sorte di risiedere o lavorare


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in una zona divenuta ad alto rischio per la loro stessa incolumità fisica. Questo è il significato della zona rossa e questo è stato il servizio assolutamente eccellente che la questura di Genova ha reso prioritariamente alla città ed ai cittadini di Genova, oltre che, naturalmente, allo Stato italiano ed agli illustri ospiti stranieri.
Nell'ordinanza di servizio del 12 luglio scorso troverete analiticamente indicate tutte le caratteristiche dell'area e le correlate modalità di fruizione conseguenti all'adozione del provvedimento prefettizio del 2 giugno che ne ha disciplinato in via eccezionale e temporanea il regime giuridico. Troverete anche traccia del complesso lavoro, svolto dalla questura di Genova, di coordinamento e raccordo delle attività di tutti gli enti erogatori o gestori di servizi pubblici essenziali sul territorio, che dovevano necessariamente interagire con le misure in atto e conformarsi a quel mutato regime garantendo, da un lato, il livello di efficienza dei servizi all'utenza senza, dall'altro, abbassare gli standard di sicurezza della zona protetta. L'allestimento in questura di una sala-situazione, collegata 24 ore con la sala operativa interforze, ha rappresentato sotto questo profilo l'aspetto organizzativo di maggior momento.
In questo, così come nella costituzione di un apposito ufficio pass, teso a garantire, nell'arco delle ventiquattro ore, la soluzione a tutte le problematiche di accesso alla zona rossa, si coglie - mi auguro - l'attenzione estrema che è stata posta all'esigenza di assicurare, pur nel disagio, la massima assistenza alla popolazione residente.
L'ulteriore progetto operativo riguardava l'individuazione di una zona cuscinetto, cosiddetta zona gialla, anch'essa individuata formalmente dal medesimo provvedimento prefettizio, nella quale fosse possibile interdire tutte le manifestazioni


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ritenute incompatibili con le misure di tutela in atto. Questa seconda zona di rispetto era consapevolmente orientata a preservare non tanto da rischi di matrice eversiva e terroristica, quanto piuttosto dalla temuta azione di accerchiamento, ampiamente preannunciata, dei movimenti antiglobalizzazione, che potesse non solo paralizzare alcune attività correlate al vertice (molti giornalisti, tecnici ed altre professionalità di supporto alloggiavano all'esterno della zona rossa), ma anche isolare quella parte di cittadinanza - ripeto, circa 35 mila persone - che doveva, in qualche modo, essere garantita nella possibilità di attendere alle normali e quotidiane occupazioni.
Nondimeno, era tenuto nella dovuta considerazione il rischio che azioni eccessivamente violente e numericamente supportate da masse significative di manifestanti, organizzate nelle immediate adiacenze delle recinzioni che delimitavano la zona rossa, potessero determinare una crisi del sistema di chiusura dell'area, pregiudicando così il corretto svolgimento del vertice.
Anche sulla zona gialla e sulla organizzazione dei servizi in quell'area sono state fatte valutazioni forse frettolose e non aderenti alla realtà operativa. Tornerò con maggiore precisione sull'esame dei fatti che hanno connotato le giornate del 20 e del 21 luglio, ma devo subito anticipare che non condivido il rilievo mosso da più parti, secondo il quale la zona gialla non avrebbe avuto una adeguata protezione da parte delle forze di polizia. È un rilievo che non rende giustizia alla comune esigenza di verità poiché, per converso, il dispositivo della zona gialla ha funzionato benissimo in relazione agli obiettivi che mirava a realizzare.
Intanto, ad onor del vero, tutte le più gravi azioni di devastazione e danneggiamento sono avvenute in ambiti urbani limitati ad una fascia di circa 3 chilometri quadrati ed esterni


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comunque a questa zona cuscinetto che si estendeva - lo ricordo - dalla zona Fiera del mare, a levante della città, ad un arco di territorio circoscritto da un confine più o meno coincidente con la viabilità della cosiddetta circonvallazione a monte sino, a ponente, al confine territoriale della delegazione di Sampierdarena.
In questi ambiti, come era stato prefissato, non sono penetrate le frange più violente né si sono svolte al loro interno iniziative incompatibili con le misure di sicurezza in atto. Le cosiddette piazze tematiche, non interdette in area gialla al Genoa social forum, sono state scenario di manifestazioni di dissenso ampiamente tollerabili, sia pure con eccessi ed intemperanze.
Anche in tale caso è avvenuto ciò che sostanzialmente si era ipotizzato. Questa scelta, da qualche parte criticata perché apparentemente in contraddizione con limitazioni allo svolgimento di pubbliche manifestazioni statuite dal provvedimento prefettizio del 2 giugno, ancora oggi appare, in realtà, una scelta positiva poiché ha, in qualche modo, offerto spazi di visibilità elevata all'ala più moderata del movimento, sottraendola, anche fisicamente, a chi moderato non era.
L'ordinanza del questore del 12 luglio scorso disciplinava i servizi di ordine e sicurezza pubblica per lo svolgimento delle manifestazioni di dissenso di cui allora si aveva notizia. Quelle disposizioni tenevano conto delle notizie disponibili in ordine alle iniziative del Genoa social forum e di altri promotori che avevano formalizzato preavvisi nei giorni precedenti e dei quali il mio ufficio aveva preso atto, avendoli ritenuti compatibili con la situazione generale della sicurezza pubblica.
Ciò che appariva evidente era la difficoltà che probabilmente gli stessi portavoce del movimento Genoa social forum avevano nel convogliare su una base di intesa comune le


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molteplici anime della protesta. Ne è testimonianza la continua modifica delle preavvisate modalità di effettuazione delle manifestazioni: sul punto voglio fornire elementi di maggiore dettaglio.
La manifestazione del giorno 19 luglio, il cosiddetto corteo dei migranti, svoltosi come noto senza incidenti, è stata formalmente preavvisata con nota del 4 luglio a firma dei promotori e successivamente modificata nel percorso con nota del 16 luglio. Non sarà sfuggito che l'ordinanza di servizio già citata, edita in data 12 luglio, riporta il vecchio percorso e dunque un dispositivo, poi modificato, con seguito di ordinanza, che naturalmente ho allegato alla documentazione prodotta.
Le manifestazioni del giorno 20 luglio sono state anch'esse preavvisate formalmente in data 4 luglio in termini assai generici ed assolutamente incompatibili con il dispositivo di sicurezza, preannunciando l'occupazione di piazze e l'effettuazione di cortei all'interno della zona rossa.
Il preavviso definitivo venne formalizzato con sostanziali modifiche in data 16 luglio. Questo è il motivo per cui nell'ordinanza principale si rinvia a successive disposizioni. Devo sottolineare questi passaggi perché - come dirò meglio in seguito - un profilo di censura del lavoro organizzato e curato dalla questura di Genova ha messo l'accento anche sull'asserito ritardo nell'emanazione delle direttive afferenti le manifestazioni di protesta del giorno 20 luglio. È una critica che non tiene nella dovuta considerazione tali elementi di valutazione forse frettolosamente trascurati.
Anche il «corteo internazionale» del 21 luglio ha avuto una maturazione complessa e sofferta ma, a differenza delle


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iniziative dei giorni precedenti, rispetto al preavviso formale prodotto il 4 luglio, non ci sono state successive variazioni sul percorso.
In riferimento a questi preavvisi, definiti con le modalità cronologiche indicate, in qualità di autorità provinciale di pubblica sicurezza avviavo l'istruttoria per la valutazione delle compatibilità del diritto a manifestare costituzionalmente garantito con le esigenza di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, valore suscettibile di analoghe garanzie.
Naturalmente, in questa fase, vi è stata piena concertazione - come è ovvio che fosse - sia con il prefetto di Genova sia con il dipartimento della pubblica sicurezza, nella persona del vice capo vicario della polizia, prefetto Andreassi, presenti in questura, trattandosi di scelte di rilevanza tale che non potevano non maturare in un ambito ultraprovinciale.
In relazione alla preavvisata iniziativa del giorno 19 luglio, il cosiddetto corteo dei migranti, si riteneva di non dover adottare alcuna prescrizione o divieto, anche se il percorso proposto interessava, per buona parte, la zona gialla sulla quale insisteva già il divieto generale indicato nel provvedimento prefettizio del 2 giugno.
Devo fornire sul punto qualche precisazione, ai fini di una corretta interpretazione, anche tecnico- giuridica, delle procedure seguite nel caso concreto. Il citato provvedimento prefettizio, nell'individuare i regimi di fruibilità della zona gialla, prevedeva genericamente un divieto di manifestazione di natura statica o dinamica, finalisticamente orientato ad evitare, come accennato, forme di accerchiamento che rendessero impraticabile l'intera zona circostante l'area di massima sicurezza.
Naturalmente, sotto il profilo strettamente giuridico, il divieto doveva poi trovare una specifica tecnica, a fronte di un


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preavviso di manifestazione che interessasse quella zona, in un provvedimento del questore che necessariamente attualizzasse la motivazione del diniego, valutando in concreto le ragioni di ordine e sicurezza pubblica preponderanti rispetto al diritto di manifestare e che non fossero un generico e tautologico richiamo alla previsione contenuta nel provvedimento prefettizio. Residuava, in altri termini, un momento discrezionale nella competenza del questore.
Fatte le debite valutazioni, sempre di concerto con i referenti istituzionali già citati, e ritenuto che nella giornata del 19 luglio non vi era il problema della concomitanza dei lavori del vertice, iniziato il giorno successivo, si decideva di non adottare alcun divieto o prescrizione. Viceversa, per le manifestazioni preavvisate per la data del 20 luglio, al termine di una non facile riflessione avviata a tutti livelli e supportata da considerazioni tecniche di opportunità che recepivano anche precise indicazioni fornite dal capo della Polizia, anch'egli interlocutore, come già ricordato, degli esponenti del movimento, adottavo due provvedimenti, ai sensi dell'articolo 18, comma 4, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Il primo, recante la data del 17 luglio, prende atto del preavviso presentato dall'organizzazione sindacale CUB per un corteo da svolgersi alle ore 14 del giorno 20 luglio e ne prescrive il termine del percorso in piazza Di Negro. Il secondo provvedimento, recante la data del 19 luglio, prende atto del preavviso dei referenti del Genoa social forum per l'occupazione dalle ore 6 alle ore 24 del 20 luglio di nove piazze del centro cittadino per manifestazioni stanziali di accerchiamento della zona rossa e per lo svolgimento di un corteo senza precisa indicazione di orario, con partenza da corso Gastaldi ed arrivo in piazza De Ferrari all'interno della zona rossa e vieta l'occupazione delle piazze indicate e delle aree limitrofe,


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tranne piazza Dante, piazza Carignano, piazza Manin, piazza Villa, piazza dello Zerbino e piazza Paolo da Novi: in pratica la prosecuzione del corteo del Genoa social forum oltre piazza Verdi. Non è stato un corteo autorizzato, bensì si è trattato di una massa di manifestanti che si sono concentrati a circa seicento metri da piazza Verdi; per questa ragione, il dispositivo della mia ordinanza vietava l'occupazione di piazza Verdi.
Sulla base di tali provvedimenti veniva redatta l'ordinanza di servizio del 19 luglio contenente la disciplina dei servizi di ordine e sicurezza pubblica del giorno 20 luglio, disposta per tutti i prefigurati scenari della protesta.
Fin qui ho descritto sommariamente le diverse fasi organizzative, poi recepite in atti formali. Mi corre l'obbligo, nel prosieguo, di fornire qualche approfondimento su alcuni aspetti particolari e naturalmente su alcuni episodi poi verificatisi nella fase realizzativa di tale pianificazione, cercando in qualche modo di offrire già una qualche risposta ai molteplici quesiti formulati in questa sede ad altri referenti qualificati dell'amministrazione dell'interno.
Il dispositivo posto in essere era frutto di una complessa e non facile istruttoria, condotta per diversi giorni attraverso diverse riunioni svoltesi alla presenza del vice capo della polizia, prefetto Andreassi, e di altri referenti qualificati delle direzioni centrali del dipartimento, segnatamente la direzione centrale per la polizia di prevenzione e la direzione centrale della polizia criminale, coinvolte, a diverso titolo, nell'organizzazione dei servizi. Obiettivo di dette riunioni era quello di mettere sul tappeto tutte le informazioni disponibili che affluivano attraverso i canali informativi istituzionali al fine di confrontare, dalle diverse angolature, le idee e le proposte sulle modalità di gestione dei servizi di ordine pubblico sul territorio.


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Questa attività non si è mai interrotta ed ha evidentemente orientato le scelte finali, tradotte, come di regola, nell'ordinanza del questore. Anche in relazione alla disciplina dei servizi del giorno 20 luglio, il confronto allargato, cui ho fatto cenno, ha inciso sull'assetto organizzativo dei reparti sul territorio, esattamente per effetto di alcune notizie afferenti possibili strategie che diversi gruppi del dissenso avrebbero posto in essere e che mi ha determinato a correggere la pianificazione elaborata.
Sulla pianificazione dei servizi del giorno 21 luglio, in occasione del corteo internazionale, ha inciso invece, in misura determinante, la correzione, necessitata dall'episodio della morte del manifestante Carlo Giuliani, circa l'impiego dei reparti dell'Arma dei carabinieri. Vorrei ricordare che nella serata del 20 luglio ho dovuto dare esecuzione a questa precisa e condivisibile direttiva, sostituendo ai contingenti dell'Arma dei carabinieri, impegnati nell'azione di vigilanza sul corteo, altrettanti contingenti della Polizia di Stato.
Purtroppo, nei giudizi riportati dagli organi di informazione, anche sulla scorta delle prime indiscrezioni trapelate in merito all'indagine ispettiva, si è parlato di carenze organizzative, anche in relazione a tale modalità di pianificazione.
Devo respingere tale rilievo: in parte, perché chi ha esperienza di manifestazioni di tale complessità sa bene quali continue modifiche e variazioni debbano essere apportate alla pianificazione dei servizi ed anche, naturalmente a servizi in corso, per effetto di un flusso continuo di informazioni e dunque di elementi nuovi di valutazione che portano a correggere, per una maggiore efficienza operativa, le scelte iniziali; in parte, perché è scorretto pensare che non vi sia stata alcuna pianificazione sino al giorno precedente l'evento.


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Al contrario, era da diverso tempo avviata una profonda riflessione in ordine alle strategie da adottare in piazza per contenere la minaccia costituita dai gruppi radicali.
È possibile che tali accorgimenti, adottati nell'imminenza dei servizi e, talvolta, anche per ragioni ineluttabili, abbiano influito negativamente sull'efficienza del dispositivo di contrasto; tuttavia, essi non sono stati sicuramente frutto di approssimazione e di superficialità.
In ordine ad un altro aspetto oggetto di critica, anch'esso già evidenziato in quest'aula, ritengo limitativo, nell'esame critico dei fatti, indicare nelle asserite carenze dell'apparato informativo e nella prevenzione in generale uno dei motivi principali della scarsa capacità di contrasto delle frange estreme violente.
Vorrei sottolineare, in primo luogo, che il fenomeno dei gruppi anarco-insurrezionalisti, o «blocco nero», per le modalità di azione che ha mostrato nella piazza, ha dato l'impressione di costituire non solo una realtà autonoma, bensì anche una frangia violenta e numericamente significativa, interna, sia pure ben mimetizzata, agli altri blocchi del dissenso.
In secondo luogo, l'attività informativa mi risulta, al contrario, essersi svolta in modo assai capillare e complesso, sia a livello locale sia a livello nazionale ed internazionale.
Ho già affermato che un'ottica «provinciale» dei problemi era assolutamente inadeguata; occorreva invece una visione complessiva sia dei soggetti intenzionati ad attentare alla sicurezza dei Capi di Stato e di Governo, sia delle organizzazioni e delle aree del dissenso nazionali ed internazionali, alcune delle quali si prefiggevano di impedire il vertice.
Occorreva inoltre un continuo scambio di informazioni con i servizi di sicurezza dei paesi che avrebbero partecipato al


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vertice ed era poi necessario, per il questore, recepire queste informazioni, valutarle e trasfonderle in disposizioni di servizio: la famosa ordinanza del 12 luglio.
Come riferito dal comandante generale dell'Arma dei carabinieri, sin dal 16 novembre 2000 la strategia delle forze dell'ordine è stata oggetto di approfondite valutazioni da parte del comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica per individuare le possibili minacce alla sicurezza delle delegazioni, le misure di contrasto da adottare, nonché le forze necessarie allo scopo.
Parallelamente, presso la segreteria generale del CESIS, è stato costituito un gruppo di lavoro interforze per esaminare tutte le informazioni relative alla manifestazione.
Era chiaro che nella preparazione del piano di sicurezza al questore doveva essere fornito un costante, qualificato supporto. A questo fine, il capo della polizia ha inviato a Genova il suo vice, il quale, valutando con tempestività il progredire del lavoro e fornendo i suoi preziosi suggerimenti, è divenuto per il questore stesso un obbligato ed insostituibile punto di riferimento. Sempre al medesimo scopo, il capo della polizia ha poi inviato a Genova, in varie riprese, i massimi esponenti degli organismi specializzati di prevenzione e antiterrorismo e di polizia giudiziaria.
Nel periodo precedente al vertice sono state eseguite, su tutto il territorio nazionale, numerose perquisizioni domiciliari ed ispezioni locali. Ad esempio, tra il 16 e il 17 luglio, sono stati contestualmente perquisiti alcuni centri sociali di Torino, Genova, Padova, Firenze e Napoli.
Per fronteggiare le minacce terroristiche è stata attivata ogni forma di collaborazione con gli organi di polizia degli altri paesi e di tale compito è stato incaricato il direttore


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centrale della polizia di prevenzione, che si è più volte recato all'estero per il necessario scambio di dati e informazioni.
L'attività si è estesa al ripristino dei controlli di frontiera, ai sensi della Convenzione applicativa dell'accordo di Schengen; sono stati riattivati i valichi di frontiera e rinforzati gli uffici di frontiera. Ciò ha consentito di effettuare 140 mila controlli circa e respingere dalla frontiera più di 2 mila persone: non sappiamo cosa sarebbe accaduto se queste 2 mila persone avessero raggiunto Genova ed avessero potuto partecipare ai disordini.
Sono stati attivati servizi per la prevenzione di azioni di disturbo ai sistemi di comunicazione e di interferenze ai 132 ripetitori televisivi liguri, con la collaborazione del Ministero delle comunicazioni, che ha messo a disposizione attrezzature e personale specializzato.
Sul piano locale, la questura di Genova ha proceduto, nel periodo immediatamente precedente allo svolgimento del vertice G8, ad una approfondita attività di prevenzione, concretizzatasi nei sottoelencati servizi.
A partire dal 20 giugno e fino ai giorni immediatamente precedenti la manifestazione, sono state controllate 291 strutture alberghiere di prima, seconda e terza categoria, nel capoluogo e nella provincia di Genova. Si è proceduto al controllo di 14 armerie site in Genova e nei comuni di Lavagna, Chiavari, Rapallo e Recco. Dal 22 giugno sono stati controllati e costantemente monitorati 10 autonoleggi operativi in Genova e nei comuni della provincia. Dal 3 al 10 luglio si è proceduto al controllo di 119 negozi di ferramenta presenti in Genova e nei comuni della provincia. Nel mese di luglio sono stati controllati 35 campeggi ubicati nel territorio provinciale. Nello stesso periodo, sono stati controllati, da Genova fino alla provincia di La Spezia, 9 centri di agriturismo.


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Ancora in luglio e fino ai giorni immediatamente precedenti al vertice, si è infine proceduto al controllo di 28 negozi di materiale antinfortunistico, operanti in Genova e nei comuni di Chiavari, Rapallo, Casella ed Arenzano.
Sotto il profilo più strettamente investigativo, sono state effettuate, sempre in ambito locale, 24 intercettazioni telefoniche e ambientali, 2 intercettazioni di posta elettronica, 123 perquisizioni domiciliari ai sensi dell'articolo 41 e dell'articolo 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152, tra cui quelle dei centri sociali Immensa, Pinelli (due volte) dello stadio Carlini e dello stadio di via dei Ciclamini.
Nei giorni del vertice, infine, in questura è stata costituita una sala operativa internazionale, in modo da assicurare la costante collaborazione di funzionari degli organi di polizia estera con le autorità italiane.
In sintesi, nel contesto di un evento internazionale così importante e complesso, in cui lo stesso dipartimento della pubblica sicurezza ha espresso - e non poteva essere altrimenti - il massimo sforzo possibile, proponendo iniziative, preventivamente valutando ed approvando tutte le decisioni del questore, mi pare difficile sostenere, anche in quest'ambito, che vi siano state carenze organizzative. Probabilmente, sul piano squisitamente preventivo, si è avuto un risultato inferiore a quello stimato, ma non è detto che ciò sia necessariamente attribuibile ad un deficit di organizzazione o di preparazione dell'evento.
Al contrario, io credo che le strategie vi fossero, ed anche assai ben articolate, puntualmente trasfuse nell'ordinanza del questore del 12 luglio ed in tutte quelle successive che vi sono state consegnate in copia.
Voglio dedicare qualche riflessione al fronte della protesta, non certo per fornire analisi teoriche, che forse altri più di me


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sono in grado di fornire, ma semplicemente per mettere a vostra disposizione il frutto della concreta esperienza di lavoro e forse anche per dimostrare, se possibile, che esistevano oggettive difficoltà di contrasto all'azione violenta di alcuni manifestanti.
In base all'attività di intelligence svolta, l'area antagonista è stata suddivisa in diversi gruppi, in relazione alle diverse caratteristiche ideologiche e di comportamento.
È emersa una grande varietà delle strategie di protesta, dalla manifestazione pacifica alla resistenza passiva, dalla pianificazione di azioni violente fino alla violazione della zona rossa allo scopo di impedire le manifestazioni ufficiali.
Obiettivi dichiarati delle azioni violente erano le installazioni di sistemi di telecomunicazione televisiva, le sedi di partito, gli organi di stampa, le amministrazioni pubbliche, le banche ed associazioni varie.
Le analisi dei servizi di informazione si incentrano sul blocco nero, valutato in circa 500 italiani e 2 mila stranieri. Tuttavia, a Genova i disordini non possono essere attribuiti solo all'azione dei black bloc, ma vedono coinvolto un elevato numero di manifestanti appartenenti a gruppi differenti. In estrema sintesi, la storia delle tute nere è contenuta nella sentenza con la quale il tribunale del riesame di Genova ha respinto le istanze di scarcerazione, presentate da dieci manifestanti tedesche. Nel documento sono sintetizzate anche le modalità d'azione del movimento, organizzazione armata e senza ordine gerarchico. Il black bloc, blocco nero - recita il provvedimento giudiziario - è un'associazione armata, costituita da individui o gruppi affini, che si raggruppano in modo spontaneo, organizzato in un certo momento, in occasione di manifestazioni o di azioni politiche; vestono generalmente di


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nero e portano una maschera, un fazzoletto, un passamontagna. Riunite, queste differenti persone formano un blocco nero.
Hanno manifestato per la prima volta negli Stati Uniti in occasione della guerra del Golfo del 1991, ma solo nel 1999 si sono imposti alla scena mondiale. A Seattle attaccarono e distrussero i simboli della globalizzazione; nella circostanza, tale azione durò per oltre cinque ore, consistendo nello sfondamento delle porte, delle vetrine e di tutte le vetrate, nonché nella devastazione delle lussuose facciate dei megastore delle multinazionali e delle sedi delle aziende o delle banche.
Pur in assenza di un capo e di una struttura gerarchica, coloro che si riconoscono nell'organizzazione dei black bloc, riuniti per gruppi omogenei di persone legate da vincoli di conoscenza o di amicizia, in occasione degli eventi politici che l'organizzazione riconosce preventivamente, si riuniscono dando vita a quelle unità operative che sono state viste in azione a Genova.
Venendo all'analisi dei fatti di Genova, sono emerse varie «anime» all'interno dell'area antagonista in cui si è tentato di far coesistere componenti pacifiche con altre di tipo estremista o, peggio, eversive. In particolare, si sono avute sia dichiarazioni di volontà di alcuni gruppi di impedire il vertice, sia azioni particolarmente violente di professionisti della guerriglia. Ad esempio, la mattina del 20 luglio, in più punti della zona del Levante sono partite contemporaneamente azioni di distruzione generalizzata ed indistinta e vere e proprie operazioni di guerriglia urbana, con attacchi alle forze dell'ordine di gravità inusitata da parte del gruppo anarchico-insurrezionale, che ha utilizzato la massa d'urto di un corteo disposto ad affrontare i reparti di polizia pur di violare l'area interdetta. Basti pensare all'episodio in cui ha trovato la morte


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Carlo Giuliani: si è trattato di una pesante e violenta aggressione, un tentativo di linciaggio verso i carabinieri messo in atto non dalle tute nere, ma da gruppi di manifestanti di altro tipo.
Evidentemente è molto difficile individuare preventivamente gli appartenenti al blocco nero che si spostano in forma anonima e compaiono con i segni distintivi del movimento solo in occasione degli scontri di piazza, favoriti anche dall'appoggio di altre frange di manifestanti asseritamente meno violente.
È stato osservato che a Genova la polizia non avrebbe attuato quelle azioni di prevenzione finalizzate ad isolare i violenti dai manifestanti pacifici. Al riguardo, è stato giustamente portato ad esempio il caso di accordi tra forze di polizia e promotori di manifestazioni che in passato hanno sempre consentito di isolare i violenti al fondo dei cortei, in modo da rendere loro impossibile ogni azione di disturbo o di danneggiamento.
Sottolineo che ciò avveniva ed avviene a seguito di accordi tra le forze di polizia e i promotori della manifestazione. Per raggiungere un accordo occorre la concorde volontà delle parti e, in quella circostanza, il Genoa social forum aveva ripetutamente dichiarato di non essere in grado di isolare i violenti ed aveva anche dimostrato di non essere neppure in grado di riconoscerli. Da parte del Genoa social forum non è pervenuta alle forze di polizia una sola denuncia, una sola dichiarazione, una sola indicazione che consentisse di identificare fisicamente gli autori di atti di violenza o i promotori di azioni violente.
Eravamo tutti ben consapevoli di questa difficoltà, come emerge anche dall'incontro di servizio del 12 aprile in prefettura, durante il quale si analizzò una prima richiesta del movimento Genoa social forum per l'effettuazione della manifestazione di dissenso del giorno 20 luglio. Cito testualmente


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il verbale: «Sotto questo profilo non è quindi tanto importante la contemporaneità degli eventi quanto piuttosto l'appesantimento delle attività delle forze dell'ordine che devono tendere ad impedire che si inseriscano nelle manifestazioni pacifiche elementi portatori di violenza che debbono essere discriminati; discriminazione che appare profilarsi più complicata se si dà ascolto ai segnali da più parti provenienti che fanno supporre che i movimenti che hanno dato luogo negli ultimi tempi ad atti vandalici o violenti stiano pensando di modificare le loro strategie. Intenderebbero, infatti, abbandonare gli usuali mascheramenti per confondersi in tal modo con gli altri manifestanti e rendere quindi nei fatti molto più difficile per le forze dell'ordine operare lo screening senza possedere elementi identificativi». Sempre nel medesimo incontro di servizio del 12 aprile tutti convenivamo sul fatto che sembrava quasi un complessivo e articolato programma di iniziative collocate a scacchiera sul territorio cittadino in punti strategici che corrispondeva ad un disegno minuziosamente studiato per paralizzare sia la capacità operativa delle forze dell'ordine sia la mobilità delle delegazioni governative.
Quanto allora ipotizzato si è puntualmente verificato con una particolarità: ogni volta che la questura di Genova ha cercato di avviare qualche forma di dialogo per tentare di isolare i violenti ha sempre dovuto trovare interlocutori diversi dal Genoa social forum.
Sia venerdì 20 sia sabato 21 luglio abbiamo tentato in ogni maniera di isolare i violenti dai manifestanti pacifici in modi differenti, essendo chiaro che tentare di isolare qualcuno all'interno di un corteo è cosa ben diversa dal tenere separati gruppi che non si muovono in corteo.
Il preavviso di manifestazione per il giorno 20 presentato dal Genoa social forum e consistente, come detto, nell'occupazione


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di una serie di piazze, alcune delle quali poste all'interno della zona gialla, era complessivo, nel senso che il Genoa social forum non indicava in quale modo le diverse componenti (si rammenti che il Genoa social forum comprendeva circa 800 sigle, anche molto diverse tra loro) si sarebbero suddivise le piazze.
Lo ripeto perché è importante capire le difficoltà che abbiamo incontrato: il Genoa social forum non ha saputo o voluto indicarci come sarebbe avvenuta la suddivisione delle piazze. Cito a questo riguardo un articolo apparso sul quotidiano la Repubblica: «Un muro di container circonda piazza Verdi, il grande quadrilatero fra la stazione Brignole e piazza Dante e l'imboccatura inferiore di via XX Settembre. Proprio qui, dove hanno intenzione di arrivare le tute bianche con il loro corteo non autorizzato dal questore per provare ad invadere la zona rossa, la polizia ha giocato di anticipo. E nella notte ha piazzato decine e decine di container per sbarrare la strada ai dimostranti. Così è stato eretto un impressionante muraglione di cassoni colorati su due file e a doppia altezza, praticamente invalicabile. Adesso tutti gli accessi alla piazza sono stati chiusi, restano solo stretti varchi a Levante: gli sbocchi di via Canevari, via Tolemaide e corso Buenos Aires (...). Per quanto riguarda gli anarchici, le forze dell'ordine avevano circondato il centro sociale Pinelli dove erano riuniti. Sembrava che non volessero consentire l'uscita dei contestatori, ma alla fine dopo una trattativa è stato dato il via libera».
Il giornalista ha ben descritto ciò che è accaduto durante la notte: abbiamo piazzato decine di container e abbiamo tentato di ritardare - non di impedire, il che non sarebbe stato consentito - l'arrivo in piazza di coloro che si ritenevano più vicini alle frange violente. Il motivo di tutto ciò è molto semplice: nonostante l'atteggiamento quasi omertoso del Genoa


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social forum, avevamo potuto sapere che in piazza Paolo Da Novi si sarebbero probabilmente riuniti gli aderenti al network - attenzione: non il black bloc - ed avevamo appreso dell'intenzione delle tute bianche di tentare, alle ore 8, un attacco nella zona rossa transitando da via Tolemaide a piazza Verdi. Ci era stata riferita, infine, l'intenzione del network di infiltrarsi nel corteo delle tute bianche per effettuare azioni violente.
Grazie a queste informazioni abbiamo, anzitutto, disposto decine di container non certo per bloccare le tute bianche, ma per tenerle separate dal network. Contemporaneamente, abbiamo effettuato alcuni interventi nei punti di ritrovo per ritardare l'uscita di alcuni gruppi e fare in modo che le tute bianche potessero raggiungere da sole piazza Verdi. Perché tutto ciò? Fino ad oggi le tute bianche, quando hanno agito da sole, hanno perseguito i loro obiettivi senza distruzione né danni alle persone e, quindi, sarebbe stato possibile contrastarle senza necessità di cariche né di uso di lacrimogeni.
Purtroppo, le cose sono andate ben diversamente: in piazza Paolo Da Novi oltre al network si sono concentrati anche altri gruppi più violenti, mentre le tute bianche si sono presentate molto più tardi in piazza Verdi con un corteo in cui erano infiltrate frange più violente che hanno iniziato subito l'attacco alle forze dell'ordine.
Questa vicenda trova riscontro anche in un comunicato, apparso su Internet, dal titolo «Genova, black bloc e il resto». Un altro punto di critica del black bloc riguarda il fatto che venerdì, appena iniziato il corteo, si è subito partiti attaccando poliziotti e proprietà e questo fatto ha comportato che il black bloc si spaccasse in due parti: una è andata a nord e l'altra a sud con i Cobas.


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Quando, in circostanze diverse, si è trattato di intervenire su gruppi violenti frammisti ad altri gruppi, ci siamo sempre trovati di fronte ad una totale non collaborazione. Cito ancora l'articolo «Anarchici scatenanti, scontri e feriti» de la Repubblica: «Altro momento di tensione in piazza Manin dove i pacifisti del Genoa social forum provano a creare un cuscinetto umano tra il black bloc e la polizia. La tattica, però, non riesce e le forze dell'ordine caricano nel mucchio colpendo anche la parlamentare di Rifondazione comunista, Elettra Deiana, che resta ferita».
Un articolo de la Repubblica non è certo un testo sacro, ma, senza entrare nel merito circa l'opportunità o meno della carica, mi chiedo: «creare un cuscinetto umano tra il black bloc e la polizia» non significa forse frapporsi per tentare di impedire alla polizia di intervenire?
Situazioni come queste si sono ripetute anche il giorno 21 durante il corteo e se ne trova traccia nelle relazioni di servizio dei funzionari che sono a disposizione del Comitato. Solo da lì, infatti, si può conoscere il grande lavoro svolto dai funzionari e da tutto il personale impegnato in quelle giornate massacranti di servizio per l'ordine pubblico a Genova, e che in questa circostanza mi corre l'obbligo, ancora una volta, di ringraziare.
Ho cercato di dimostrare che la questura di Genova ha attivato ogni possibile azione di isolamento dei gruppi violenti. Non mi risulta che il Genoa social forum abbia mai collaborato con le forze dell'ordine per isolare i gruppi che entravano e uscivano dai cortei per le loro azioni di guerriglia, né mi risulta che i partecipanti non violenti abbiano mai denunciato qualcuno dei componenti dei gruppi organizzati di guerriglia.
Vi è di più: si è anche detto che i violenti occultati all'interno dei cortei potevano essere facilmente individuati. Le


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cose stanno in modo diverso. Nel periodo precedente il vertice su Internet venivano forniti, anche dalle tute bianche, consigli per la creazione di caschi, scudi in plastica, bardature, eccetera. Vi erano istruzioni per raggiungere Genova dall'estero evitando i controlli: si suggeriva di viaggiare in treno ed in piccoli gruppi, senza utilizzare gli autobus per evitare di essere respinti alla frontiera, e di inventare storie di copertura (addetti stampa, turisti, eccetera).
La giornata di venerdì è stata caratterizzata da una forte aggressività, da molti attacchi dei manifestanti contro le forze dell'ordine e l'equipaggiamento dei soggetti più violenti era quello descritto. Esso infatti comprendeva: passamontagna per coprire il volto, caschi, scudi, protezioni per il corpo e maschere antigas. Le storie di copertura, poi, sono state ampiamente utilizzate anche davanti alla magistratura. Dunque, la differenza tra i gruppi non era così evidente e l'identificazione meno immediata di quanto si pensi.
A questo riguardo mi soccorrono e vanno condivise le motivazioni del tribunale del riesame di Genova. Dal fatto che gli appartenenti ad un gruppo siano vestiti di nero non è possibile - ha sostenuto quell'organo giudiziario - far discendere la loro appartenenza ad un'associazione per delinquere, finalizzata alla devastazione (il black bloc); neppure il fatto che alcuni abbiano subìto lesioni dimostra la partecipazione a scontri con le forze dell'ordine. Infine, il trasporto su un furgone di una mazzetta da muratore, di assi di legno, fionde ed altri oggetti utilizzabili contro le forze dell'ordine può trovare giustificazione in attività perfettamente lecite.
Un'ultima precisazione. È stato chiesto per quale motivo le forze dell'ordine non siano riuscite a sorprendere in flagranza i soggetti che hanno compiuto le azioni di distruzione e di violenza. La risposta è che le forze dell'ordine sono attrezzate


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per garantire l'ordine pubblico, cioè per affrontare situazioni di dissenso, anche pesante, in cui chi contesta ha comunque un obiettivo da raggiungere: occupare una sede stradale, una fabbrica, magari colpendo le forze di polizia medesime. Qui la distruzione ed il danneggiamento erano fini a se stessi: noi proteggevamo una agenzia di banca mentre un gruppo colpiva un esercizio commerciale o un distributore di benzina ed altri incendiavano l'utilitaria di una pensionata.
Questo comportamento ha una sua base ideologica di cui vi è cenno, ad esempio, nel comunicato n. 30 di una sezione del blocco nero, la fonte è sempre Internet, che intendo citare: «Quando rompiamo una vetrina noi aspiriamo a distruggere la sottile maschera di legittimità che circonda i diritti di proprietà».
Non si è trattato di ordine pubblico, ma di cieca guerriglia urbana e contro tale offesa è stato predisposto un dispositivo che ha presentato, forse, alcune lacune. Forse non avevamo la preparazione necessaria per contrastare azioni di guerriglia, anche se ancora oggi mi chiedo quale possa essere la strategia giusta per contrastare queste forme di indiscriminata violenza e distruzione e se questo possa avvenire con l'impiego di reparti che avrebbero, come naturale compito, la tutela di una pacifica - ripeto, pacifica - manifestazione del pensiero. La polizia non ama la guerriglia urbana, che male si accorda con le sue tattiche militari, che invece postulano soluzioni lente, immobili e prevedibili per poter dispiegare la sua forza di controllo pachidermica e il suo ordine gerarchico pianificato, citato nella sentenza del tribunale del riesame di Genova n. 698 del 2001.
Del resto, per avere una migliore comprensione della vicenda si può leggere il resoconto delle giornate di Seattle su un sito Internet del black bloc: la maggior parte di noi del


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blocco ha evitato feriti pesanti rimanendo costantemente in movimento, cercando di evitare lo scontro frontale con la polizia. Stavamo stretti ed ognuno guardava le spalle dell'altro. Quelli attaccati dai federali sono sfuggiti all'arresto grazie alla velocità di reazione ed all'organizzazione dei membri del black bloc. Il senso di solidarietà è stato imponente.
Si è da più parti detto che le condizioni di guerriglia, create da criminali violenti e facinorosi, hanno, in alcuni casi, determinato un eccesso nell'uso della forza. Si è anche sostenuto che vi sarebbero centinaia di foto, di immagini televisive, eccetera, che rappresentano poliziotti, carabinieri e finanzieri che pestano sistematicamente partecipanti al corteo. Su tale punto ritengo si debba fare estrema chiarezza e porre fine ad un processo di criminalizzazione delle forze di polizia che sembra essere in corso. A Genova, la stragrande maggioranza degli appartenenti alle forze di polizia si è comportata correttamente: nonostante l'eccezionalità della situazione, il personale in servizio ha mostrato coraggio ed abnegazione.
In relazione alla violenza inaudita degli attacchi subìti, tutti i reparti hanno fornito prova di preparazione professionale, spirito di sacrificio ed attaccamento alle istituzioni democratiche. Le frange violente dei contestatori, diverse migliaia, hanno condotto attacchi indiscriminati. Si è trattato di guerriglia accuratamente pianificata, con devastazione di cose pubbliche e private ed un particolare accanimento nei confronti delle forze dell'ordine.
I rinforzi consistevano in oltre 11 mila unità, escluse le Forze armate; in quel contesto, nel corso delle manifestazioni, sono emersi e sono stati portati all'attenzione degli ispettori ministeriali tredici episodi di violenza, di cui tre hanno riguardato l'Arma dei carabinieri, due la Guardia di finanza ed i rimanenti otto la Polizia di Stato. Quest'ultima, come si


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ricorderà, è stata la forza di polizia che ha quasi completamente sostenuto le situazioni di ordine pubblico del 21 luglio 2001.
I singoli episodi di violenza, che non sono mai giustificabili, possono trovare una chiave di lettura nel prolungato impiego in servizi particolarmente stressanti. A tale riguardo, vanno tenuti in conto due importanti aspetti: da un lato, l'impiego ininterrotto per diverse ore, seppur assolutamente necessitato in quelle circostanze, incide sulle condizioni psicofisiche degli operatori; dall'altro, i video non sempre riescono ad evidenziare le circostanze che possono risultare importanti. Ad esempio, un grave insulto o l'essere colpiti da un corpo contundente, non ripresi dalla telecamera, possono influire sui comportamenti successivi e sui giudizi che, a posteriori, vengono espressi.
Nessun atto trova giustificazione quando si concretizza in una violenza gratuita e sproporzionata alla gravità dell'offesa; il questore, qui nuovamente, si assume la responsabilità dei comportamenti degli appartenenti alle forze di polizia: Polizia di Stato, Arma dei carabinieri, Guardia di finanza, posti sotto la sua direzione per i servizi di ordine pubblico in occasione del vertice G8.
Vorrei fare ora qualche cenno alla struttura di Bolzaneto ed all'intervento presso la scuola Diaz. L'ordinanza del questore del 12 luglio 2001 prevedeva che la gestione e la trattazione delle persone fermate od arrestate dalla Polizia di Stato, dalla Guardia di finanza e dalla polizia municipale, in occasione di eventi connessi con il vertice G8, dovesse avvenire in una apposita struttura ubicata all'interno del reparto mobile di Genova Bolzaneto. Analogamente, per gli eventuali arrestati dell'Arma dei carabinieri, era stata attrezzata idonea struttura all'interno della caserma di Forte San Giuliano.


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La scelta di Bolzaneto era stata attentamente valutata, oltre che in sede ministeriale, anche nel corso di un apposito comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica del 12 giugno 2001 esteso alla partecipazione dell'autorità giudiziaria. Nella circostanza, si decise, tra l'altro, che sarebbero stati istituiti un ufficio matricola ed un ufficio sanitario sia a Bolzaneto sia, per le persone arrestate dall'Arma dei carabinieri, a Forte San Giuliano; si decise altresì che gli arrestati sarebbero stati trasferiti, poi, nelle strutture carcerarie ubicate nelle province di Pavia e di Alessandria.
La localizzazione doveva rispondere ad esigenze sia di funzionalità sia di sicurezza; per questo, si è optato per la sede del VI reparto mobile, che si trova in posizione decentrata e lontana dai luoghi previsti per le manifestazioni. Per rendere la struttura conforme alla nuova destinazione, vennero effettuati ingenti lavori; furono realizzate celle prive di arredi, pulite, ampie e ben areate, ognuna con una capacità di circa venti persone, seguendo anche le indicazioni tecniche fornite dall'amministrazione penitenziaria.
La trattazione degli atti di polizia giudiziaria avveniva in sette postazioni, ognuna affidata ad un ufficiale e ad un sergente di polizia giudiziaria della questura. Un funzionario della Polizia di Stato era presente permanentemente a Bolzaneto per sovrintendere a quella attività; accanto, vi era un'altra struttura dotata di tutta la strumentazione di pertinenza della polizia scientifica necessaria per il fotosegnalamento.
Un'ala intera è stata, invece, riservata alla polizia giudiziaria, anche qui presidiata durante tutto il periodo che da un ufficiale del Corpo per l'immatricolazione e l'immediata traduzione in carcere delle persone arrestate. Quest'ala costituiva, anche dal punto di vista giuridico, una vera e propria sezione


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distaccata della casa circondariale; comprendeva anche infermeria e relativo personale medico e paramedico ed è stata temporaneamente assunta in carico dalla polizia giudiziaria con decreto del ministro della giustizia.
La persona fermata veniva trattata a ciclo completo presso il reparto mobile, dal verbale di arresto o fermo alla fotosegnalazione, alla immatricolazione e presa in carico da parte della polizia penitenziaria fino al trasferimento alla casa circondariale. In altri termini, la consegna alla polizia penitenziaria, all'interno della struttura di Bolzaneto, equivaleva, dal punto di vista giuridico, alla traduzione in carcere. In tale ottica, infatti, la polizia penitenziaria aveva costituito, ivi, un regolare ufficio matricola. Le persone fermate, prima di accedere alle camere di sicurezza, venivano visitate dal medico della polizia penitenziaria, il quale effettuava una nuova visita al momento della consegna dell'arrestato per l'immatricolazione.
Oltre alle valutazioni sin qui offerte in ordine all'organizzazione dell'attività presso la struttura di Bolzaneto, non ritengo di dover scendere nel merito di episodi sui quali verte l'accertamento giudiziario in atto, atteso che dalle relazioni prodotte dal personale e dai funzionari colà in servizio - come già detto, un funzionario fisso, per il coordinamento, cui si aggiungevano altri due o tre funzionari alternantisi nei vari turni, era sempre presente nella struttura di Bolzaneto - non risultano, in alcun modo, episodi di abuso quali quelli riportati dagli organi di stampa. Devo soltanto sottolineare che, anche in tal caso, le censure mosse, in sede ispettiva, in ordine ad una asserita disorganizzazione delle attività di trattazione dei fermati, non trovano precisi riscontri; l'attività è stata analiticamente pianificata in tutti i suoi aspetti, anche, come detto, in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza


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pubblica. Se ritardi vi sono stati nella materiale trattazione, ciò è attribuibile alla situazione oggettiva che ha determinato, in certi momenti, il contemporaneo afflusso di una pluralità di persone fermate nel corso degli scontri di piazza.
Per quanto attiene alla disamina dell'attività di polizia giudiziaria, svolta nella serata del giorno 21 luglio, presso la scuola Diaz di via Cesare Battisti, pur essendo materia di approfonditi accertamenti in atto da parte della magistratura inquirente, ritengo doveroso riferire al comitato informazioni relative alla fase organizzativa pregressa, alla quale ho preso parte con le modalità che cercherò sinteticamente di illustrare.
Alle ore 22.20 circa del 21 luglio venivo informato che, mentre transitavano in via Cesare Battisti al comando di un funzionario della squadra mobile di Roma, alcune pattuglie miste della «mobile» e DIGOS (Divisione investigazioni generali e operazioni speciali) erano state oggetto di una aggressione con lanci di pietre e bottiglie nonché a mezzo di calci inferti alle auto, un'aggressione messa in atto da più di cento persone, molte delle quali vestite di nero. Nella circostanza nel mio ufficio erano presenti, tra gli altri, il vicecapo vicario della polizia, prefetto Andreassi, il direttore centrale della polizia di prevenzione, prefetto La Barbera, il dirigente superiore Luperi, il dirigente superiore Gratteri, direttore del servizio centrale operativo.
Il dirigente della DIGOS fece subito presente che in via Cesare Battisti vi erano degli studi scolastici concessi al Genoa social forum da comune e provincia per insediarvi il centro stampa: nella circostanza si ritenne utile incaricarlo di compiere un attento sopralluogo. Successivamente, il medesimo dirigente ritornato nel mio ufficio riferiva di aver notato la presenza isolata, all'esterno della scuola, di alcuni ragazzi che osservavano con attenzione, quasi fossero sentinelle, il movimento


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di persone; inoltre, aggiungeva che tra le due scuole in via Cesare Battisti si notava chiaramente la presenza di almeno centocinquanta persone, molte vestite di nero. Veniva, quindi, chiesto al funzionario di interloquire con i referenti del Genoa social forum per verificare chi effettivamente occupasse la scuola Diaz.
Gli esponenti del Genoa social forum contattati riferivano che per la confusione in atto - conseguente alla partenza di ventisei treni speciali, con migliaia e migliaia di persone che sciamavano per la città - si era, probabilmente, allentato il sistema di vigilanza e controllo sulle frequentazioni dei luoghi concessi al movimento e, quindi, non si poteva escludere la presenza di soggetti non graditi all'interno della scuola Diaz. Preso atto di queste informazioni, dopo una attenta riflessione condotta all'interno del mio ufficio con gli interlocutori già citati, si concertava di intervenire con una perquisizione ai sensi dell'articolo 41 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, da effettuarsi a cura della DIGOS e della squadra mobile. Si decideva, altresì, di supportare l'attività con l'impiego in ausilio di reparti inquadrati, ritenendosi altamente probabile una forma di resistenza attiva.
Un ufficiale di polizia giudiziaria forniva comunicazione preventiva al pubblico ministero ed io, personalmente, informavo il signor capo della Polizia e il prefetto di Genova. Nell'occasione fu anche valutata l'opportunità di richiedere l'intervento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco dotato di cellule fotoelettriche e di un elicottero della Polizia di Stato. Alle ore 23 circa, all'interno della sala riunioni della questura, si svolse una riunione operativa cui presenziai insieme al prefetto La Barbera e nella quale ebbi modo di ribadire a tutti, come di consueto, la raccomandazione impartita a pagina 179 della mia ordinanza del 12 luglio di improntare l'attività alla


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massima moderazione, cautela e prudenza. Preciso di aver lasciato la riunione prima che fosse terminata la discussione sulle modalità operative dell'attività. Alle ore 23,30 l'operazione aveva inizio secondo modalità sulle quali ritengo non poter al momento fornire valutazione alcuna, trattandosi, come già sostenuto, di materia oggetto di approfondita indagine giudiziaria.
Aggiungo che circa un'ora dopo - a fronte delle notizie che si ricevevano dai funzionari sul posto tramite comunicazioni telefoniche e che riferivano di una situazione assai delicata per l'ordine e la sicurezza pubblica all'esterno dell'edificio scolastico - disponevo l'invio di ulteriori contingenti dell'Arma dei carabinieri, sotto la direzione del vicequestore vicario dottor Calesini, allo scopo di fronteggiare eventuali intemperanze verso il personale impegnato nell'operazione di polizia giudiziaria da parte di una folla di persone che si andava radunando sulla strada.
All'incirca alle ore 2,15 venivo telefonicamente informato che il vicequestore vicario e l'onorevole Mascia si accingevano ad entrare nella scuola Diaz per un sopralluogo congiunto, una volta terminata l'attività di perquisizione. Sin qui ho descritto i fatti dei quali ho avuto percezione diretta e ribadisco la volontà di astenermi da ulteriori considerazioni relative ad episodi che attengano alla fase realizzativa dell'attività e sui quali mi auguro si possa addivenire al più presto ad un completo chiarimento in sede giudiziaria.
Concludo il mio intervento, signor presidente, e resto a disposizione di questo Comitato per rispondere ad ogni ulteriore quesito che mi si vorrà rivolgere. Desidero esprimere i sensi del grande rispetto che nutro verso il provvedimento adottato nei miei confronti dal signor ministro dell'interno e, da uomo delle istituzioni, obbedisco. Vorrei però esprimere


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anche l'amarezza che provo di fronte alle conclusioni cui è pervenuta, nel breve volgere di pochi giorni, l'indagine ispettiva avviata sul mio operato e che ritengo abbia avuto anche la presunzione di giudicare frettolosamente e senza doveroso approfondimento la complessità di un lavoro che, sviluppatosi per un anno intero, avrebbe meritato valutazioni improntate a maggiore professionalità.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor questore. Si può temporaneamente accomodare: i componenti il Comitato potranno ora, infatti, effettuare una pausa di riflessione.
Sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 11,20, è ripresa alle 11,50.

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori.
Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori la senatrice Maria Claudia Ioannucci. Ne ha facoltà.

MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Signor presidente, ho visto tutta la documentazione presentata dal sindaco di Genova e dal presidente della provincia. Nella precedente audizione avevamo richiesto che venissero depositati tutti gli atti relativi alle delibere di consiglio, alle delibere di giunta, documenti che non trovo. Vorrei, pertanto, chiedere al presidente, se è di questa opinione, di rinnovare al presidente della provincia ed al sindaco l'invito a produrli.
Vorrei sapere inoltre se il presidente della provincia abbia presentato denuncia nei confronti dei soggetti a cui aveva affidato le scuole (ed avere quindi il relativo atto, ove vi sia), visto che dai documenti che ha depositato risultano devastazioni ed atti che sicuramente configurano dei reati.
Poiché dai documenti depositati risulta anche che il presidente della provincia, durante l'iter riguardante l'affidamento


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delle scuole, ha deciso autonomamente l'ampliamento delle aree da destinare al Genoa social forum, vorrei sapere se esistano atti con cui il presidente della provincia ha indicato alla questura o alla prefettura le nuove aree messe a disposizione del Genoa social forum. Ho letto, sempre nei documenti depositati, che la provincia aveva dato luogo ad interventi provvisionali per circa 300 milioni, al fine di «blindare» - diciamo così - la parte delle scuole che era stata concessa al Genoa social forum. Sappiamo che poi, invece, soggetti ignoti sono arrivati fino all'asilo dove hanno preso coltelli ed altre armi improprie, insieme ad altre armi proprie lasciate incustodite. Vorrei sapere, pertanto, se sia possibile avere l'elenco delle attività e degli interventi provvisionali attuati. Inoltre, dagli atti depositati dal prefetto risulta che le scuole dovevano essere consegnate ai rappresentanti del Genoa social forum; tali rappresentanti avrebbero dovuto essere indicati da quest'ultimo; tuttavia nei documenti depositati dal presidente della provincia non ho rinvenuto alcuna indicazione in tal senso da parte del Genoa social forum. Pertanto, vorrei sapere se vi siano atti o indicazioni da parte del Genoa social forum in merito ai suddetti soggetti o se, comunque, la provincia e il comune (le scuole erano sia della provincia sia del comune) abbiano svolto le dovute indagini per individuare i soggetti a cui dovevano essere consegnate queste aree.
Infine, veniamo ai danni subiti. Ho rilevato una certa contraddittorietà fra quanto aveva indicato in questa sede il sindaco e quanto, invece, rileva dai documenti depositati dal presidente della provincia. Il sindaco ci aveva detto che non vi erano stati danni ingenti, invece dal documento depositato dal presidente della provincia in data 9 agosto 2001 si parla di atti di vandalismo e di devastazione con ingentissimi danni. Solamente quelli alla scuola supererebbero i 500 milioni e di


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tutto questo veniva data comunicazione in quanto rilevato dal comune di Genova (senza contare l'asporto di materiali ed altri beni).

PRESIDENTE. Senatrice Ioannucci, la sua domanda è chiarissima. Lei chiede alla presidenza di fare un'ulteriore richiesta di chiarimento relativamente a quanto da lei rilevato.

MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Sì, perché vi è una contraddittorietà talmente palese da rendere necessarie ulteriori indicazioni.

PRESIDENTE. La ringrazio, senatrice Ioannucci. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori il presidente Violante. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE. In primo luogo rilevo che molte risposte sono già contenute nella documentazione che ci è stata inviata dal questore di Genova ieri ed è sufficiente leggerla (sono cinque volumi).
In secondo luogo il sindaco non ha parlato di danni non ingenti, ma di altri aspetti e se la collega rileggesse il testo se ne accorgerebbe.
In terzo luogo, signor presidente, vorrei chiedere, tenuto conto del contingentamento dei tempi, se sia possibile che il questore risponda volta per volta alle domande, così da consentirci di avere un quadro più completo.

PRESIDENTE. Credo che siamo tutti d'accordo nel far formulare le domande e consentire subito dopo all'audito di rispondere.

MARCO BOATO. Credo che dovremmo affrontare questo tipo di argomenti durante la riunione dell'ufficio di presidenza,


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ma siccome se ne è già parlato in questa sede, e risulterà dal resoconto stenografico, vorrei che risultasse anche che nel dossier consegnatoci ieri dal presidente della provincia di Genova con data 20 agosto, insieme al materiale che ci ha inviato la dottoressa Marta Vincenzi, vi è la copia della denuncia presentata alla magistratura della provincia di Genova, relativa ai danni subiti. Nell'ambito del dossier vi è una denuncia presentata in data 9 agosto 2001 alla procura della Repubblica presso il tribunale di Genova: «Vertice G8 - Trasmissione della denuncia relativa ai danneggiamenti degli uffici provinciali».

MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Ma allora la questione cambia totalmente...

PRESIDENTE. Senatrice Ioannucci, lei è stata abbastanza chiara. Il problema si pone esattamente in questi termini: i documenti della provincia, del sindaco e del questore sono pervenuti proprio in questi giorni. Pertanto, inviterei chi ha posto la questione a prendere visione dei nuovi documenti (oltre all'elenco si dovrebbero consultare anche gli allegati); probabilmente vi troverà talune risposte. Per quanto riguarda, invece, le richieste che lei intende presentare, dovrebbe cortesemente metterle per iscritto e presentarle al capogruppo, così che l'ufficio di presidenza, nella riunione di questa sera o in quella di giovedì prossimo, possa provvedere a colmare le eventuali lacune.
Circa la richiesta del presidente Violante, prendo atto che il Comitato intende procedere facendo rispondere l'audito ad ogni singola domanda.

FABRIZIO CICCHITTO. La mia prima domanda è la seguente: oggi, sul quotidiano il Giornale, compare un rapporto


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DIGOS (che, tra l'altro, auspicherei venisse acquisito dal Comitato) nel quale la ricostruzione ex post degli avvenimenti - e cioè la sostanziale inattendibilità del Genoa social forum che non rispondeva di quello che concordava - è raccontata in anteprima con il testo di intercettazioni telefoniche anche gravissime, perché mettono in evidenza la doppiezza della situazione (al punto che si diceva che la manifestazione del 19 doveva essere pacifica e quelle successive, invece, dovevano avere ben altro carattere). Questo rapporto della DIGOS noi lo leggiamo oggi. La mia domanda è la seguente: voi che lo avevate già letto, non avevate tratto conseguenze tali da indurre a svolgere un'azione più accentuatamente preventiva rispetto a quello che è avvenuto?
La seconda domanda è la seguente: il capo della Polizia ha sottolineato con vigore che la responsabilità della gestione dell'ordine pubblico a Genova era delle autorità locali, cioè del questore e del prefetto: qual è stata allora la vera linea di comando? Quali sono stati cioè la funzione e il ruolo del capo della Polizia Andreassi, del capo della divisione centrale di prevenzione La Barbera e del capo dello SCO Gratteri? Che rapporti avevano con lei? Erano semplici consulenti o davano ordini? Questo in riferimento alla situazione in generale, ma anche all'andamento della perquisizione della scuola Diaz, rispetto alla quale - se non sbaglio - lei ha citato il dottor La Barbera ma ricordo che dai giornali risultava fosse presente anche il dottor Andreassi. Lei ha usato l'espressione «si è deciso»: questa decisione è stata una decisione congiunta o è lei che se ne è assunte tutte le responsabilità?
Terza domanda: perché non sono stati perquisiti i violenti che, come tutti sapevano, erano accasermati allo stadio Carlini? Potevano essere bloccati fin dalla serata di giovedì 19 luglio o dalla mattina di venerdì 20 luglio?


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Tornando alla perquisizione della Diaz, chi ha dato l'ordine? Chi era il responsabile sul terreno? Perché non si è circondata la scuola e non si è atteso il mattino per procedere? Perché insieme agli specialisti del reparto mobile si sono fatti intervenire appartenenti a corpi investigativi come lo SCO e la DIGOS e perché poi non è avvenuto il coordinamento dell'investigazione con la repressione, per cui tutti i corpi di reato sono stati messi insieme nel famoso «fagotto» dove c'era un morto, con il conseguente annullamento di tutte le responsabilità che, come tutti sanno, sono individuali e non collettive.

FRANCESCO COLUCCI, Questore. Per quanto riguarda il rapporto che la DIGOS sta ora facendo, o ha già presentato all'autorità giudiziaria di Genova, non ne sono a conoscenza, cioè non l'ho letto direttamente perché, come lei sa, non sono più in servizio alla questura di Genova.

FABRIZIO CICCHITTO. Sembra che il rapporto della DIGOS sia precedente, tant'è che fa riferimento ad intercettazioni fatte tempo prima.

FRANCESCO COLUCCI, Questore. So che è stato fatto questo rapporto DIGOS, l'ho letto anche sulla stampa. Tutto quello che stava succedendo era monitorato attraverso le nostre intercettazioni telefoniche.

FABRIZIO CICCHITTO. Nel rapporto DIGOS è scritto che sono state fatte intercettazioni telefoniche di colloqui di Casarini, con altri esponenti del Genoa social forum in cui addirittura si diceva che dovevano scendere in campo quelli del nord-est; che la manifestazione del 19 luglio doveva essere pacifica mentre ben altro avrebbe dovuto avvenire il 20 e il 21.


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Quindi si è trattato di intercettazioni telefoniche che mettono sul conto del Genoa social forum responsabilità gravissime e che una persona investita delle sue responsabilità avrebbe dovuto conoscere. Viceversa si è creata una situazione, come l'ha definita il presidente Bruno, di non organizzazione che ha determinato quegli accadimenti.

FRANCESCO COLUCCI, Questore. No, onorevole. Io ero al corrente di quelle intercettazioni e conoscevo anche quello scenario. Sapevamo che il giorno 20 luglio sarebbe stato il più cruento e abbiamo cercato di adottare tutte le misure necessarie a fronteggiare il servizio d'ordine pubblico. Non a caso sono state fatte più riunioni presso la questura di Genova, alla presenza anche dei vertici del dipartimento e di altri funzionari che venivano da fuori, per dirigere il servizio di ordine pubblico in piazza e per delineare lo scenario che ci saremmo potuti trovare di fronte il giorno 20.
Ho inoltre appreso dalla stampa che la questura di Genova ha presentato un altro rapporto riassuntivo di tutta l'attività investigativa fatta a suo tempo da parte della stessa per contrastare, verificare e monitorare le intenzioni dei vari movimenti e come questi avrebbero manifestato sul territorio.
Sapevamo quindi che il giorno 20 luglio sarebbe stato un giorno difficile, forse più difficile degli altri due e chiaramente ci siamo attrezzati per poter garantire l'ordine pubblico di tale giornata ed ho già ben specificato nella mia relazione quale scenario ci siamo trovati di fronte. Ho anche detto che, ad un certo punto, era divenuto impossibile colloquiare con il Genoa social forum e che abbiamo colloquiato attraverso i referenti dipartimentali, con Casarini, il quale, pur facendo parte del Genoa social forum, ci dava indicazioni totalmente diverse da quelle del Genoa social forum stesso.


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Il giorno 20 il corteo (o meglio sarebbe dire l'ammasso di gente, perché a Genova non ci sono mai stati cortei, c'è stata un'occupazione del territorio da parte di decine e decine di migliaia di persone) non avrebbe dovuto superare piazza Verdi. Quando i manifestanti si sono radunati a 500, 600, 800 metri, non ricordo bene, da piazza Verdi noi avevamo posto come condizione che la stessa non doveva essere superata. Il Genoa social forum, o meglio Casarini, voleva poi fare la sceneggiata, come tante altre volte è stata fatta, per mettere in evidenza il suo operato, ma questi erano gli accordi sottintesi (io non conosco Casarini, ma so che ve ne erano tra i referenti dipartimentali e Casarini). A questo punto, quando lo stesso Casarini ha avuto paura che i network con i COBAS, oppure altri avrebbero potuto infiltrarsi nel suo corteo, che doveva essere un corteo pacifico, cosa alla quale abbiamo creduto (devo dire che oggi, purtroppo, non credo più a nessuno, né ad Agnoletto né a Casarini), abbiamo creato una struttura per dividere i due cortei; abbiamo fatto l'impossibile, nottetempo. È vero anche che abbiamo dovuto modificare l'ordinanza in relazione alle notizie che ci arrivavano (intercettazioni telefoniche, considerazioni, valutazioni e riunioni in questura cui erano presenti i responsabili del servizio di ordine pubblico, il prefetto Andreassi e vari referenti che dovevano fronteggiare l'ordine pubblico per quel giorno). Credo di essere stato chiaro.
Il Capo della polizia ha detto, giustamente, che l'autorità locale di pubblica sicurezza sul posto è responsabile del servizio di ordine pubblico. Come ho detto nella mia relazione, si tratta di un evento talmente grande e straordinario che va al di là delle conoscenze territoriali; si tratta di conoscenze extraterritoriali, oserei dire internazionali e quindi, non a caso, il dipartimento ha creato, giustamente, presso la questura di


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Genova una task force tra la polizia straniera ed i responsabili di uffici del dipartimento per affiancare il questore e per condividere tutte le scelte che andava operando.
Il dottor Micalizio ha detto «tu dovevi tirare fuori gli attributi» - mi scusino lor signori - «perché dovevi, tu, essendo questore di Genova, mandare tutti a casa ». Ora io non credo che avrei potuto fare una cosa del genere, anzi me ne sarei ben guardato perché credo nelle istituzioni e sono grato per i consigli e il supporto che mi sono stati dati dai colleghi e dai miei superiori. Tutto ciò che è stato deciso è stato deciso insieme e il questore, essendo autorità di pubblica sicurezza, ha formalizzato l'atto con le sue firme. Tutto qui. Ma non mi tiro indietro di fronte alle mie responsabilità, onorevole, io mi sento responsabile di tutto ciò che è accaduto a Genova, però le mie responsabilità, secondo il mio modesto parere, devono essere un po' condivise con chi era presente a Genova.
Noi facevamo delle riunioni, il giorno e la sera, con i referenti del dipartimento, in cui si decideva, si descrivevano lo scenario, i luoghi e ciò che sarebbe dovuto accadere, disponendo, di conseguenza, le forze. A volte a questo ultime sono state apportate modificate secondo direttive dei miei superiori in ordine ad uno scenario che il mio ufficio di gabinetto aveva preparato, ma non è detto che se fossero state lasciate le forze da me predisposte l'intervento si sarebbe concluso meglio. È tutto da verificare. Tenga presente che i servizi ci avevano informato che il nostro personale poteva essere aggredito e addirittura sequestrato; quindi sulla scelta iniziale di utilizzare pochi uomini per combattere e per muoversi più facilmente sul territorio (gruppi da 40, 50 o 60 persone) è prevalsa, giocoforza, la tesi di creare nuclei più consistenti. D'altra parte Genova, per chi la conosce, è una


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città orograficamente molto difficile da percorrere e dunque la movimentazione del nostro personale ha inciso abbastanza sull'efficienza di quello che io chiamo ordine pubblico ma che, di fatto, era una guerriglia.
Lei ha parlato della scuola Diaz, citando La Barbera, Andreassi e Gratteri: in quei casi non si trattava di ordini ma di condivisione di idee, consigli, suggerimenti che si discutevano assieme per poter arrivare alla soluzione che ritenevamo essere la migliore.
Per quanto riguarda la scuola Diaz occorre distinguere due momenti. Vi è stato un momento prettamente di polizia giudiziaria, riferito all'articolo 41, a tale riguardo critico anche l'accertamento dell'ufficio ispettivo. Sono stati incaricati i due massimi esponenti della polizia giudiziaria della questura di Genova, il dirigente della DIGOS ed il dirigente della squadra mobile e sul posto si sono recati anche i massimi referenti del dipartimento.
Per quanto riguarda l'articolo 41, il questore in genere non si occupa di questa attività, ma ha invece il dovere di curare l'aspetto relativo all'ordine pubblico, tant'è che ho affiancato al personale incaricato di effettuare la perquisizione altro personale che in quel momento era di riserva davanti alla questura: se non ricordo male si trattava di venti o trenta agenti della Polizia di Stato e di quaranta, cinquanta o sessanta carabinieri che - come ho già ricordato nella mia relazione - erano di supporto al fine di bonificare la zona.
Nel momento in cui il questore viene a conoscenza che davanti alla scuola si potevano creare situazioni di maggiore emergenza per quanto riguarda l'ordine e la sicurezza pubblica, viene inviato sul posto il vice questore vicario insieme ad altri contingenti dei carabinieri per fronteggiare eventuali pericoli e rischi riguardanti l'ordine pubblico.


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Se non ricordo male, quella sera stessa ho cercato un funzionario, oltre ai dirigenti della squadra mobile e della DIGOS. Fu inviato anche un altro funzionario che mi doveva affiancare - ciò risulta anche dall'ordinanza - nell'attività dei servizi di ordine pubblico. Il funzionario è andato: ciò risulta sia dall'ordinanza principale del 2 luglio sia - se non erro - in una mia ordinanza successiva. Si parla di un altro funzionario che mi doveva affiancare nell'attività di ordine pubblico; anche questo funzionario è stato mandato sul posto. Di questo nessuno ha parlato, ma questa mia disposizione esiste agli atti.
Nella mia relazione...

LUCIANO VIOLANTE. Solo tre funzionari andarono? (Commenti).

FRANCESCO COLUCCI, Questore. Si sono recati diversi funzionari alla scuola Diaz, circa venti, venticinque. Io sto parlando dei due funzionari della questura di Genova, il dirigente della squadra mobile ed il dirigente della DIGOS. Per quanto riguarda la squadra mobile sono andati il dottor Gratteri, direttore dello SCO, il dottor Caldarozzi ed altri funzionari che erano a Genova aggregati alla squadra mobile. Io volevo mandare anche il dottor Lapi come funzionario mio referente diretto, ma in quella riunione mi venne ricordato che il dottor Lapi era stato ferito durante la manifestazione; va a suo merito che egli, nonostante fosse ferito, sia tornato nuovamente in servizio. È stato allora inviato il dottor Murgolo - ciò risulta anche nella mia ordinanza - che mi doveva affiancare per tutto quanto riguardava l'ordine pubblico. Lui si è offerto, e si è recato sul posto. A questo punto vi erano sia la linea di comando sia l'organizzazione. Successivamente si sono recati sul posto altri due funzionari che dirigevano i


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due reparti della polizia e dei carabinieri e che dovevano essere di riserva in questura; li ho mandati lì per fronteggiare una minaccia all'ordine pubblico.
Io non sto dicendo la mia verità ma la verità oggettiva, con la coscienza tranquilla e serena. Ripeto che questo servizio è stato condiviso da me per primo, non mi sto tirando fuori. Credo che vi fosse una linea di comando anche se poi, durante l'esecuzione, quella confusione per la quale il magistrato sta svolgendo la sua attività giudiziaria; vi è stata ben venga quest'ultima se ciò servirà a fare maggiore chiarezza. D'altra parte anche alcuni funzionari, come il dirigente della DIGOS ed il dirigente della squadra mobile, trovandosi alla presenza di altri referenti ministeriali, chiaramente hanno avuto un minimo di perplessità su come si doveva svolgere l'intera operazione.
Per quanto riguarda lo stadio Carlini ho detto nella relazione che le verrà consegnata - se non ricordo male - che noi abbiamo fatto diverse perquisizioni tra le quali anche una allo stadio Carlini. Dove ci siamo recati su sollecitazione - se non vado errato - del sindaco. La sera c'è stata una riunione durante la quale - se non erro - il sindaco riferì di aver avuto notizia che allo stadio Carlini stavano smobilitando Siamo stati allo stadio Carlini, ed abbiamo riscontrato che tutto quello che era stato riferito al sindaco si è dimostrato non veritiero. Va tenuto presente che le persone violente potevano anche custodire armi presso i luoghi di loro accoglienza; di fatto se le sono procurate lungo la strada spaccando le pietre con i picconi oppure smontando all'ultimo momento le aste e così via.
Noi abbiamo fatto diverse perquisizioni, diversi accertamenti per verificare se questi luoghi di accoglienza rappresentassero un centro di smistamento di materiali. Mi corre


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l'obbligo di ricordare il problema rappresentato dal camion che poi successivamente abbiamo fermato. Nelle relazioni che allegherò troverete la descrizione di altre situazioni del genere, relative ai controlli che abbiamo svolto.

LUCIANO MAGNALBÒ. Intervengo per sottolineare che questo modo frammentario di procedere nei lavori è impossibile da sostenere. Sarebbe più opportuno che tutti facessimo domande alle quali il questore potrebbe rispondere in maniera organica, in caso contrario non finiremo neanche per domani mattina. Rispondendo volta per volta alle domande si impedisce agli altri di seguire un filo logico. La pregherei, dunque, di rivedere il modo di procedere nei lavori.

PRESIDENTE. Prima ho chiesto, sulla base della proposta formulata dal presidente Violante, se vi fosse un sostanziale accordo. Ricordo che l'ufficio di presidenza ha stabilito soltanto il contingentamento dei tempi, peraltro, in via sperimentale. Oggi bisognava verificare se questo sistema avrebbe potuto ovviare alle difficoltà registratesi nelle precedenti audizioni. Il presidente Violante aveva affermato che, forse, era più opportuno che ad ogni domanda seguisse una risposta da parte del soggetto audito, ma se vi sono indicazioni diverse si può tornare al criterio di prima.

LUCIANO VIOLANTE. È chiaro che siamo qui per lavorare ed occorre un po' di tempo. Il questore Colucci ha fatto un quadro significativo, altrettanto faranno gli altri suoi colleghi che interverranno successivamente. Se tutti pongono domande si verifica quello che si è verificato in precedenza, cioè che i soggetti auditi rispondono, non per loro malevolenza, al 20 o al 30 per cento delle domande e quindi tutto confluisce in un grande calderone in cui non si capisce niente. Capisco che è


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una procedura po' lunga - Magnalbò - ha ragione; ci consente però anzitutto di evitare di porre alcune domande o magari di farne altre che non avremmo fatto senza aver sentito le risposte, e ciò permette un approfondimento maggiore. Forse potremmo procedere così: domande sintetiche, magari pregando il signor questore, se lo ritiene, di essere sintetico nelle risposte. Poi se qualcuno non vuole che il questore risponda a domande specifiche, lo dica chiaramente.

ANTONIO TOMASSINI. Presidente, concordo con quanto ha sostenuto il senatore Magnalbò. Vorrei aggiungere che a me pare che lo scopo di questa Commissione sia quello di svolgere un'indagine conoscitiva e non un'attività inquirente. Pertanto le nostre domande devono avere una funzione di integrazione della relazione del questore e non innescare un meccanismo di contraddittorio, addirittura tra di noi, con continue domande che si riferiscono alle domande dei colleghi, come è capitato finora. Pertanto concordo con quelli che vogliono tutte le domande e le risposte in un unico blocco a integrazione della relazione.

FRANCESCO NITTO PALMA. Concordo pienamente con l'intervento del senatore Magnalbò.

LUIGI BOBBIO. Presidente, credo che effettivamente questo modo di procedere sia estremamente dannoso, forse più di quello precedente del mancato contingentamento dei tempi delle domande, perché in questa maniera si innesca un meccanismo, peraltro perfettamente comprensibile da un punto di vista logico e dialettico, di espansione della risposta sulla singola domanda, quindi i tempi subiscono una superfetazione non accettabile. Propongo di mantenere il contingentamento dei tempi delle domande, che è sicuramente utile


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e tale da evitare i pericoli paventati, e di raggruppare comunque le risposte alla fine.

ANTONIO DEL PENNINO. Presidente, io ritengo invece che sia opportuno che le risposte vengano date alle singole domande; al massimo possiamo raggruppare due o tre domande, poiché mantenere il sistema della risposta complessiva all'insieme delle domande comporta, da un lato, una risposta che - non per volontà dei nostri interlocutori ma nei fatti trascura la metà delle domande fatte - e dall'altro, non consente di acquisire una serie di elementi che rendono magari inutili delle domande che altrimenti verrebbero formulate o suggeriscono altre domande che trovano spunto nelle indicazioni fornite nelle risposte.

GRAZIELLA MASCIA. Presidente, intervengo anch'io per dire che preferisco il metodo che abbiamo adottato perché per la prima volta si comincia ad avere qualche risposta concreta. Siccome questo Comitato ha già pochi poteri, almeno dal punto di vista della conoscenza sarebbe bene acquisire elementi di dettaglio che alla fine si rivelano importanti.

GIANNICOLA SINISI. Presidente, sulla richiesta avanzata dall'onorevole Violante, ricordo soltanto che il contingentamento dei tempi è stato funzionale anche ad una innovazione di metodo. Sul problema relativo alla durata dell'intervento di chi risponde, si tratta di una questione sulla quale non possiamo intervenire. Credo che mantenendo il sistema precedente, di fatto si rinuncia all'oralità, che è il principio sul quale si fonda il meccanismo dell'audizione. Siamo inondati ormai da relazioni scritte; a questo punto o manteniamo questo meccanismo di contestualità o rischiamo davvero di introdurre un nuovo sistema scritto nei lavori del nostro Comitato.


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LUCIANO FALCIER. Non faccio una proposta, bensì una considerazione che può tramutarsi in una proposta. Il fatto che si sia pervenuti, per volontà dell'ufficio di presidenza, ad un contingentamento dei tempi dovrebbe consigliare di fare tutte le domande e dare un'unica risposta, perché il contingentamento dovrebbe presumere l'obiettivo di regolamentare i tempi. Il ragionamento ulteriore potrebbe essere: se al termine della risposta del questore, ci fossero ulteriori richieste di approfondimento, si potrebbe lasciare spazio ad eventuali precisazioni o approfondimenti.

PRESIDENTE. La situazione in questo momento è la seguente: sono le 12,30 e hanno chiesto di intervenire in 16. In tal modo verrebbe sicuramente esaurito il tempo contingentato. Se a questo aggiungessimo il tempo necessario all'audito per rispondere, con ogni probabilità dovremmo cambiare metodo ed ascoltare per un'intera giornata, se basta, il soggetto che abbiamo ritenuto di ascoltare (cosa che si può fare benissimo, per carità: è solo una questione di volontà). Quindi, credo che per la giornata di oggi, visto che stasera è convocato l'ufficio di presidenza e questo sarà uno degli argomenti che tratteremo, si possa procedere per gruppi. Io infatti credevo che dieci minuti o un quarto d'ora potessero essere dati per riunire per ogni gruppo le domande da porre; invece ho constatato che tutti i componenti, ad eccezione di un risibile numero, chiedono di intervenire nei limiti del tempo contingentato. Ma quello che a noi occorre è il contenuto non il soggetto che formula la domanda all'audito. Dinanzi ad una situazione di questo genere, attesa anche l'ora, invito i gruppi ad individuare per la formulazione di domande concise un solo interlocutore, se è possibile, o al massimo due interlocutori per i gruppi maggiori - senza nulla togliere al tempo che gli è dovuto - , per consentire al questore Colucci


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di dare le risposte. Qualora quest'ultimo intendesse dilungarsi, fornire una ulteriore relazione o chiedere con l'allegazione di documenti, lo può fare. Quindi propongo di procedere con il metodo che abbiamo individuato. L'onorevole Cicchitto ha fatto più domande, ed ha ottenuto le sue risposte; fermo restando che ciò sarà oggetto di esame questa sera da parte dell'ufficio di presidenza, invito tutti a voler fare domande il più possibile sintetiche, anche per dare la possibilità di ascoltare il questore.

GRAZIELLA MASCIA. Ho sei minuti e quindi mi astengo dal fare domande di approfondimento su alcuni fatti relativi al 20 e al 21 luglio, che naturalmente non coincidono con la versione che ha dato il questore, anche perché le piazze tematiche, chi era presente, eccetera, risultava tutto dai giornali. Signor questore, le chiedo invece alcune cose molto specifiche: lei ci ha confermato oggi che ha avuto il supporto del capo della Polizia attraverso dei dirigenti presenti sul posto, però aveva dichiarato alla stampa che il suo ufficio era stato letteralmente commissariato. Conferma questo giudizio o nel frattempo lo ha modificato? Vorrei chiederle poi quale tipo di rapporto ha mantenuto nei giorni 19, 20, 21 e 22 luglio con il capo della Polizia e con il ministro, e se è possibile avere le ordinanze, a cui ha fatto riferimento oggi, che hanno modificato quelle precedenti: noi abbiamo quella del 12 luglio (non mi pare fosse nelle disponibili carte in Commissione). Vorrei chiederle se in questi piani operativi per la gestione dell'ordine pubblico è cambiato qualcosa rispetto al mutamento del Governo. Vorrei chiederle se lei era responsabile di fatto, a tutti gli effetti, della sala operativa unificata presso la questura. Vorrei chiederle se lei ha ordinato la prima carica in piazza Tolemaide, quella che è stata fatta dai carabinieri (mi pare fossero una ottantina). Penso, come ho detto al


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comandante dei carabinieri, che quella sia stata un'azione che ha anche determinato delle conseguenze. Non sono un'esperta di ordine pubblico, però vorrei chiederle se lei ha deciso in quel momento la carica dei carabinieri.
Vorrei chiedere anche una conferma sui fatti di piazza Dante: lei ha ricevuto una telefonata dal sindaco, alle 16,30, durante la quale avete concordato che lì i manifestanti si sarebbero ritirati, mentre invece hanno ricevuto una carica alle spalle. Vorrei sapere per quale motivo ciò sia avvenuto e perché l'accordo non sia stato mantenuto.
Dopo la giornata del 20 luglio, lei ha confermato che, anche in corso d'opera, avete cambiato alcune disposizioni: se ho capito bene, i container che abbiamo trovato al mattino sono il risultato di scelte notturne. Sembra siano cambiate anche altre cose e di questo vorrei avere una conferma. Ho letto attentamente la sua ordinanza, in particolare la disposizione relativa alla testa del corteo, il fiancheggiamento e la sua conclusione del 21 luglio: tuttavia, nei fatti, vi sono state significative modifiche (in particolare, non ho visto alcuno alla testa del corteo). Ebbene, oltre alle diverse disposizioni concernenti i carabinieri - come lei ci ha detto -, vorrei sapere, concretamente quali altre modifiche siano state decise tra il 20 ed il 21 luglio, visto che non vi sono stati ulteriori elementi per giustificare scelte diverse.
Lei ha detto, rispetto all'intervento sul black bloc, eravate a conoscenza di tutto (infatti, i vostri piani erano molto dettagliati): come mai allora, ci è stato qualcosa che non ha funzionato? In base a quali modalità è stato determinato il vostro intervento sul territorio, in particolare, rispetto all'utilizzo di squadre di polizia più o meno numerose per contrastare i manifestanti?


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Per quanto riguarda l'istituto Diaz, vorrei chiederle in particolare se il dirigente di polizia Valerio Donnini era presente sul posto e, se abbia partecipato alle riunioni preventive; e, ancora, quale titolo era presente il funzionario di polizia Sgalla e se sia vero che è arrivato per primo.
Rispetto ai fatti verificatisi a Bolzaneto, lei ha detto che tutto ha funzionato o che, comunque, tutto era stato pianificato: in realtà, sappiamo che le persone fermate sono rimaste in caserma ore ed ore. Perché lei od un suo funzionario la sera del 20 luglio, ha detto ad un parlamentare che non sapeva dove fossero stati portati i fermati?
Rispetto al lavoro dell'intelligence, che aveva previsto la partecipazione anche di gruppi di estrema destra, (confermata da una loro significativa presenza sul posto), per quale motivo non sono state prese misure preventive per impedire tali infiltrazioni?
Vorrei infine sapere se le forze di polizia hanno avuto in dotazione - sicuramente sì - i manganelli Tonfa, se per tale motivo sono state addestrate al loro utilizzo e, quanti lacrimogeni sono stati usati, le loro caratteristiche e gli effetti che hanno prodotto.
Concludo, chiedendole: quale delle due versioni dei fatti verificatisi davanti al Marassi lei sostenga: quella dei 20 rappresentanti del blak bloc che attaccavano 40 esponenti delle forze dell'ordine in grado di rispondere o quella dei mille manifestanti che attaccavano (come è stato scritto) 3 blindati fuggiti immediatamente? Ricordo che in quel momento il black bloc era isolato.

FRANCESCO COLUCCI, Questore. Non ho mai dichiarato alla stampa di essere stato commissariato, anzi, mi sento in dovere di precisare che interviste alla stampa, apparse come tali, non ne ho mai fatte. Non ho mai detto di essere stato


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commissariato; può trattarsi di un'interpretazione del giornalista ricavata da colloqui avuti con il personale di polizia. Ho sempre detto che sono stato supportato ed affiancato e nella relazione ho affermato che mi assumo le mie responsabilità (che siano o meno condivisibili con altri è una questione diversa). I rapporti con il capo della polizia, nei giorni 19 e 20 luglio, sono stati continui, tenuti personalmente da me; egli ha avuto anche contatti continui con i propri referenti più vicini nella città di Genova.
Escludo categoricamente che sia stata adottata una strategia diversa per l'ordine pubblico: si è trattato sempre di mettere in atto la stessa strategia. I giornali hanno parlato di piazze tematiche, ma, di fatto, il Genoa social forum non ha mai comunicato chi fosse presente nei vari luoghi; lo abbiamo, verificato sul campo successivamente (ed ho portato anche la documentazione relativa).
Per quanto riguarda piazza Dante, è vero che il sindaco mi ha telefonato, dicendomi di aver parlato con Agnoletto, ma, poi si è verificata l'infiltrazione di gente violenta, al punto da costringere - che esiste già - una relazione che credo il capo della polizia abbia già letto e che io allegherò, così da avere un quadro più completo del comportamento dei funzionari durante il servizio di ordine pubblico - il dottor Montagnese (se non erro impegnato in piazza Dante) ad usare anche i lacrimogeni ed a far intervenire altri reparti, perché la zona rossa stava per essere varcata. Nella mia relazione ho già detto quali fossero le diverse «anime» che componevano i manifestanti. Non è vero che abbiamo caricato persone non pericolose per l'ordine e la sicurezza pubblica: se abbiamo caricato è perché effettivamente la situazione lo richiedeva.


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Come ho già accennato nella relazione, vi sono stati degli infiltrati che hanno cercato di sobillare e compiere atti violenti, coinvolgendo anche pacifisti.
Citando la mia ordinanza l'onorevole Mascia afferma che è stata cambiata la disposizione relativa alla testa del corteo ed al «fiancheggiamento» da parte delle forze dell'ordine. Faccio presente che il 21 luglio non si è svolto semplicemente un corteo, ma un'invasione di massa: più di 150 mila persone, hanno occupato tutto il territorio, non in forma di corteo, ma sparpagliate, per cui non è stato possibile creare la testa del corteo. Comunque, i servizi di fiancheggiamento che dovevano proteggere il corteo, erano presenti: Bisogna conoscere la città di Genova e le difficoltà di spostamento al suo interno per poter capire.
Ho già specificato nella relazione per quale motivo non si sia riusciti a bloccare i black bloc; ho parlato anche della loro filosofia e delle loro azioni di guerriglia sul territorio. Ogni volta che, su indicazione dei cittadini, cercavamo di fronteggiarli, loro si erano già spostati con le classiche azioni di guerriglia; molte volte non siamo potuti intervenire per bloccarli, perché loro, che conoscevano bene la città, si mettevano in posizione tale da non farsi raggiungere: non potevamo scendere da monte, né muoverci dai lati per la presenza del corteo e della massa dei manifestanti. Perciò, non potevamo entrare per fronteggiare i black bloc, che, nel frattempo, avevano già cambiato obiettivo.
Lei mi chiede, onorevole Mascia, se alla Diaz era presente il dottor Donnini: le rispondo di no, non credo. Donnini era un funzionario di polizia, un dirigente superiore, al quale mi rivolgevo per avere la disponibilità del personale; con lui parlavo quando mi servivano 50 o 100 uomini per fronteggiare una certa evenienza. Non credo che Donnini fosse presente sul


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posto, anzi, mi sentirei di escluderlo. Mi sono rivolto a lui, quella sera, per ottenere del personale da inviare sul posto: ricordo che Donnini ha risposto alla mia richiesta offrendomi la disponibilità di un reparto di Roma. Donnini però non era presente alla Diaz. Il dottor Sgalla invece era sul posto perché lo inviai io, su indicazione del capo della Polizia.
Riguardo alla caserma di Bolzaneto, non è vero che non sapevamo dove si trovavano coloro i quali erano stati fermati: sapevamo che erano a Bolzaneto, e che poi sarebbero stati portati nelle carceri.
Per quanto attiene ai gruppi di estrema destra - i 600 infiltrati - non mi risulta che in quelle circostanze, essi abbiano partecipato alle violenze sul territorio. Non sono a conoscenza di questo episodio.
I Tonfa sono manganelli di ultima dotazione dei reparti: non ho inviato alcuno ad addestrarsi al loro utilizzo, anche perché il personale della questura di Genova - e quindi territoriale - non ha fronteggiato in prima linea questioni di ordine pubblico, ma è stato destinato ad altri servizi di vigilanza e di supporto.
Già il capo della Polizia si è soffermato a lungo sul carcere di Marassi, leggendo anche una relazione, che confermo nel modo più assoluto. I black bloc...

GRAZIELLA MASCIA. Un'altra relazione della polizia penitenziaria dice cosa diversa...

FRANCESCO COLUCCI, Questore. Non l'ho letta. Posso confermare che a Marassi, che rappresentava un obiettivo a rischio (lei, onorevole Mascia, ha letto, anche nell'ordinanza, quanti obiettivi a rischio avevamo quantificato), si trovava un funzionario con alcuni uomini (circa una ventina o qualcosa di più). Chi conosce la conformazione di Genova (lo ripeto) sa


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che questi black bloc sono potuti arrivare dalle montagne, sono scesi da una scalinata, ed il collega se li è trovati di fronte: ha chiesto aiuto, ma in quel momento eravamo dall'altra parte della città, sotto il ponte della ferrovia. Il supporto inviato è stato bloccato dai manifestanti che hanno assalito la colonna che stava andando in aiuto a Marassi.

GRAZIELLA MASCIA. Il questore Colucci non ha risposto alla domanda se abbia impartito o meno l'ordine di caricare in piazza Tolemaide; ci ha detto invece che non sapeva dove fossero i fermati. Non ha risposto nemmeno alla domanda relativa al numero di lacrimogeni utilizzati.

FRANCESCO COLUCCI, Questore. Non so quanti lacrimogeni siano stati utilizzati: dovrei contarli, esaminando tutte le relazioni dei funzionari in cui si specifica questo particolare. Chiaramente ne sono stati lanciati moltissimi. Per quanto riguarda l'attacco di piazza Tolemaide, è molto esaustiva la relazione del dirigente del servizio che precisa, come ho fatto anch'io nella mia relazione, che tra la massa di manifestanti del Genoa social forum, che procedeva verso piazza Verdi, c'erano degli infiltrati, degli anarchici (Commenti del deputato Mascia).
Se un dirigente del servizio è aggredito con corpi contundenti, bottiglie molotov ed altri oggetti che, per offesa, vengono lanciati contro le forze di polizia, è ovvio che devo necessariamente disporre la carica per «alleggerire» quel dirigente, comunicando la direttiva via radio: mi pare di averlo già chiarito nella mia relazione.
Per quanto riguarda gli arrestati, sapevo dove fossero: lo si legge anche nell'ordinanza di servizio (del resto, come questore, non posso non saperlo. So dove si trovavano coloro che erano stati arrestati dalle forze di polizia e so dove si


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trovavano quelli che erano stati arrestati dai carabinieri: a Bolzaneto e a Porto S. Giuliano).

GRAZIELLA MASCIA. Eppure lei ha detto ad un parlamentare di non saperlo!

FRANCESCO COLUCCI, Questore. Nel mo