PARLAMENTO ITALIANO |
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Seduta di giovedì 30 agosto 2001 |
Audizione dell'Ambasciatore Umberto Vattani |
Audizione del ministro plenipotenziario Achille Vinci Giacchi |
Audizione del Comandante provinciale di Genova dell'Arma dei carabinieri, colonnello Giorgio Tesser |
Audizione del comandante provinciale di Genova della Guardia di finanza, tenente colonnello Pasquale Petrosino |
BOZZA NON CORRETTA |
COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI,
DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
1a (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL
CONSIGLIO E DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
COMITATO PARITETICO
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 9,45.
Indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
Audizione dell'ambasciatore Umberto Vattani.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca,
nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione
del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione dell'ambasciatore
Umberto Vattani.
Ricordo che l'indagine ha natura puramente
conoscitiva e non inquisitoria. La pubblicità delle sedute del
Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli
articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la
resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità
dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti
il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a
circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento
dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo
l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Ringrazio, a nome personale e del Comitato, l'ambasciatore
Vattani per aver accettato il nostro invito. Le sarei grato,
ambasciatore, se potesse dare lettura della sua relazione.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Vorrei esprimere il mio ringraziamento a lei, signor presidente, e agli onorevoli deputati e senatori membri del Comitato, per essere stato
invitato di fronte a questo alto consesso per un'audizione nel
quadro dell'indagine conoscitiva relativa ai fatti del vertice G8 di
Genova.
Vorrei premettere che il ruolo del Ministero degli affari
esteri in relazione a questo vertice si è incentrato sulla
definizione dei temi di sostanza del summit e la
predisposizione dei relativi documenti mediante un'intensa opera di
consultazione con gli altri Stati membri del G8; sull'elaborazione
del programma delle riunioni, con particolare riguardo anche ai
complessi aspetti protocollari; sull'organizzazione in genere del G8,
tenendo presente che occorreva far fronte ai problemi
dell'allestimento delle sale degli incontri, dell'alloggio delle
delegazioni, della predisposizione del centro stampa e della
sistemazione dei giornalisti.
La responsabilità primaria
per l'organizzazione del vertice spettava, come noto, alla struttura
di missione - appositamente istituita dalla Presidenza del Consiglio
dei ministri con legge n. 149 dell'8 giugno 2000 - presieduta dal
ministro plenipotenziario Achille Vinci Giacchi. Una supervisione ed
un appoggio sono venuti anche dal Ministero degli affari esteri ed in
particolare, per i vari aspetti, dalla segreteria generale, dal
cerimoniale, dal servizio stampa e dall'ufficio interpreti. Una
particolare azione è stata inoltre svolta per l'elaborazione
di diversi documenti, pubblicazioni, opuscoli, guide per i delegati e
per la stampa, distribuiti nel corso del vertice e di cui sono lieto
di consegnare copia al Comitato (una serie di questi documenti li ho
già inviati ieri).
Le problematiche della sicurezza
esulano naturalmente dalle competenze della Farnesina. Il Ministero
dell'interno ha seguito in maniera approfondita i problemi della
sicurezza ed ha anche inserito nella struttura di missione G8 del
ministro
Vinci Giacchi due funzionari del Viminale: dapprima il prefetto
Aldo Gianni e successivamente il prefetto Ansoino Andreassi.
Naturalmente, poiché tutti gli eventi del vertice dovevano
svolgersi assicurando la sicurezza degli ospiti stranieri
partecipanti, la Farnesina era informata del quadro generale
predisposto dal Ministero dell'interno. In particolare il Viminale
era poi chiamato a far conoscere anche alle ambasciate dei paesi
partecipanti, come in effetti poi è avvenuto, il piano
complessivo sugli aspetti di sicurezza del vertice.
Per parte
mia, posso ricordare che nell'aprile scorso il ministro degli esteri
Dini mi ha chiesto di supervisionare i preparativi per il G8,
nell'approssimarsi del vertice. Il primo problema che emerse fu
quello di sistemare le delegazioni straniere sulle navi che erano
state prese in affitto e che sarebbero state ormeggiate a ponte dei
Mille, ai lati della stazione marittima. In quel momento, infatti, le
delegazioni straniere insistevano ancora per alloggiare in vari
alberghi distribuiti nell'intera zona di Genova ed anche nell'area di
Rapallo, Santa Margherita e Portofino. Fu così che, sulla
scorta delle ragioni fatte valere dalle nostre autorità di
sicurezza, si svolse, di concerto con il Viminale, un'azione di
convincimento nei confronti delle ambasciate estere e delle missioni
preparatorie straniere che via via si susseguivano. Tale azione portò
progressivamente ad una decisione positiva sulla sistemazione di
tutte le delegazioni sulle navi, compresa quella statunitense, ad
eccezione del Presidente Bush e di alcuni suoi collaboratori che si
sistemarono peraltro anch'essi in un albergo a poca distanza dalla
stazione marittima.
Questo risultato fu favorito anche da due
riunioni che si svolsero alla Farnesina il 22 maggio e l'8 giugno con
i
rappresentanti delle ambasciate dei paesi del G8, nel corso delle
quali il prefetto De Gennaro illustrò il quadro di sicurezza
generale previsto per il vertice.
Abbiamo altresì per
parte nostra facilitato i contatti tra gli esperti di sicurezza
stranieri ed il nostro Ministero dell'interno, allorché tali
incontri ci vennero richiesti dalle ambasciate estere a Roma.
Vorrei
poi ricordare l'intenso dialogo sui temi della globalizzazione e
dello sviluppo, rivolto verso l'esterno, che è stato condotto
dalla Farnesina nella fase di preparazione del vertice. La presidenza
italiana del G8 è stata la prima ad intraprendere un dialogo
così articolato ed approfondito con proiezione esterna su tali
temi. Tali iniziative si sono estese a grandi personalità
internazionali, particolarmente attente ai temi dello sviluppo e
dell'economia globale, che vennero invitate a Roma per un incontro il
13 luglio con il ministro Ruggiero e che furono poi ricevute anche
dal signor Presidente della Repubblica; a esponenti delle
organizzazioni sindacali e del mondo imprenditoriale internazionali,
che parteciparono ad un incontro a Genova il 19 luglio con il
Presidente del Consiglio e con i ministri del lavoro e delle attività
produttive; a interlocutori istituzionali, con l'iniziativa outreach,
culminata nell'invito a Genova il 20 luglio di Capi di Stato e di
Governo di vari paesi in via di sviluppo (Algeria, Bangladesh, El
Salvador, Mali, Nigeria, Senegal e Sudafrica) e dei responsabili di
importanti organizzazioni internazionali: per l'ONU venne il
Segretario generale Kofi Annan, per la FAO il Direttore generale
Jacques Diouf, per la Banca mondiale James Wolfensohn, per l'OMC Mike
Moore e per l'OMS la signora Brundtland. Tali incontri erano stati
accompagnati anche da contatti con le ONG e la società civile,
quali ad esempio la
riunione che i ministri Ruggiero e Scajola ebbero con i
rappresentanti del Genoa social forum, svoltasi alla Farnesina
il 28 giugno.
Infine, per quanto riguarda una valutazione
complessiva politica e diplomatica del vertice, vorrei ricordare che
i Capi di Stato e di Governo partecipanti, e le ambasciate a Roma,
hanno tenuto ad esprimere il vivo apprezzamento per l'organizzazione
complessiva del summit di Genova e, soprattutto, per i
risultati conseguiti.
Prima di concludere, vorrei ricordare,
signor presidente, che il ministro Ruggiero, con lettera del 9 agosto
a lei indirizzata, ha fornito al Comitato, come richiesto, gli scambi
di lettere e altre comunicazioni in qualche modo attinenti alle
tematiche di sicurezza del vertice. Resto a disposizione sua e degli
onorevoli membri del Comitato per ogni possibile elemento
d'informazione aggiuntivo che fossi in grado di fornire.
PRESIDENTE. Ringrazio l'ambasciatore
Vattani. Copia della sua relazione è acquisita agli atti del
Comitato.
Passiamo agli interventi dei colleghi che hanno chiesto
di parlare.
MICHELE SAPONARA. Signor ambasciatore, lei ha fatto riferimento ad una riunione nella quale il prefetto De Gennaro ha illustrato il piano di sicurezza. Le chiedo: in quell'occasione si accennò ai problemi di sicurezza che la particolare conformazione di Genova avrebbe comportato?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. In quella riunione, alla quale parteciparono i rappresentanti di tutte le ambasciate del G8, illustrai il programma degli eventi, soffermandomi soprattutto sugli aspetti logistici delle delegazioni (circa 2.000 delegati
sarebbero giunti a Roma e oltre 4.700 giornalisti). Successivamente, per spiegare il piano di sicurezza diedi la parola al prefetto De Gennaro, il quale descrisse nelle linee generali le caratteristiche della zona rossa, che avrebbero consentito lo svolgimento del vertice in condizioni di sicurezza e della zona gialla, che avrebbe anch'essa offerto la possibilità di mantenere una situazione di stabilità; in particolare, si soffermò su tutte le misure che sarebbero state adottate nella zona rossa per assicurare la sicurezza degli ospiti. In quell'occasione, le delegazioni straniere apprezzarono molto il piano predisposto dal capo della Polizia e dal Viminale per la zona rossa. Naturalmente si spiegò anche che, trattandosi di un'area di Genova dove esistono molte strade strette, molti vicoli, dove predomina - diciamo così - una caratteristica medievale della città, sarebbe stato necessario adottare alcune misure particolarmente attente per evitare sorprese.
GIANCLAUDIO BRESSA.
Ambasciatore Vattani, la ringrazio per la sua relazione; le vorrei
rivolgere alcune domande relativamente alla sua funzione di
supervisore, come ci ha ricordato.
A partire dal mese di aprile,
il ministro Dini l'aveva incaricata di supervisionare tutto ciò
che riguardava il vertice G8. È evidente che il Ministero
degli affari esteri non ha alcuna competenza relativamente alla
sicurezza, ma è altrettanto evidente che tale ministero,
intrattenendo le ovvie, dovute, istituzionalmente corrette relazioni
con gli altri paesi membri, in qualche modo rappresentava il punto
più sensibile di contatto con tutte le altre delegazioni, il
punto di sintesi anche delle richieste degli altri paesi.
Vorrei
chiederle due cose. La prima è la seguente: il sindaco di
Genova - come emerge anche da altre audizioni in maniera evidente -
ha affermato come, di fatto, il clima sia mutato
rispetto alla preparazione del G8 dopo il vertice di Göteborg
(è anche evidente che ciò sia avvenuto in relazione
agli accadimenti che si sono verificati a Göteborg).
Da quel
momento in poi si assiste ad una diversa attenzione da parte degli
interlocutori istituzionali rispetto alle proposte del Genoa
social forum. Mentre precedentemente vi era una linea di tendenza
abbastanza netta, proclamata dal Governo e sostenuta anche dai
rappresentanti degli enti locali, a favore di una distinzione del
momento delle manifestazioni dal momento del G8, successivamente -
così mi pare di capire - si comincia a dialogare per trovare
un punto di incontro e scongiurare situazioni di scontro esasperato.
Credo che tale scelta sia stata dovuta, ma non sono chiare le
motivazioni che ne sono alla base. Contestualmente, infatti,
arrivavano informative da parte dei Servizi segreti (immagino fossero
a conoscenza dell'ambasciatore Vattani ma anche sicuramente del
ministro Dini), che mettevano in allarme da alcuni pericoli. Si
trattava di informative relative ai vertici di Quebec e, in
previsione, al vertice di Barcellona della Banca mondiale in cui si
affermava chiaramente che era estremamente pericoloso immaginare la
possibilità di autorizzare le manifestazioni perché i
Black bloc utilizzavano le manifestazioni pacifiche per
scopi che nulla avevano a che spartire con le manifestazione di idee.
Qual è stata, allora, la determinazione che ha portato a
tale dialogo e alle decisioni che poi sono state adottate?
La
seconda domanda è più specifica e si riferisce al fatto
che solo alla fine di giugno le delegazioni, credo in particolare la
delegazione gli Stati Uniti, hanno sciolto le riserve sul luogo in
cui sistemarsi; non più fuori dalla cinta urbana di Genova, ma
all'interno dell'area rossa. A quel punto, essendosi ristretta l'area
di interesse che doveva essere blindata (una delle scelte
più decisive e significative del Governo è stata quella di garantire comunque lo svolgimento del vertice, perché nessuno poteva mettere in discussione la legittimità e la serietà di quanto si stava facendo a Genova in quei giorni), quando è stato deciso che la zona rossa era la zona in cui tutti sarebbero stati presenti (e quella era la zona da difendere), quali sono state le decisioni assunte dal punto di vista non solo dell'ordine pubblico ma anche della protezione del vertice? Vorrei inoltre una conferma dell'ambasciatore Vattani e possibilmente alcune delucidazioni sui motivi per i quali tali scelte sono giunte così tardi. Quali erano le preoccupazioni delle delegazioni straniere, in particolare della delegazione statunitense, nell'aver sciolto così tardi le riserve rispetto alla loro allocazione logistica?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Un dialogo con le organizzazioni non governative da parte italiana c'è stato, da anni; un dialogo con le ONG, in particolare, nell'ambito delle Nazioni Unite. È stato promosso anche quando l'Italia aveva assunto la presidenza delle Nazioni Unite e del Consiglio di sicurezza. Nel 1996, ad esempio, proprio in quella occasione, fu promosso un incontro con la conferenza delle organizzazioni non governative a New York per discutere sui problemi della pace, della sicurezza e sulla prevenzione dei conflitti. Successivamente, anche presso l'ECOSOC, nel 1999, quando l'Italia ne assunse la presidenza, si parlò molto con le organizzazioni non governative; anzi si riuscì a farle dialogare nel momento in cui i ministri erano presenti in quella sede. Infine, abbiamo più volte sottolineato alle ONG italiane l'opportunità di iscriversi e di chiedere lo status consultivo all'ECOSOC; cosa abbastanza facile da ottenere. È sufficiente, infatti, dimostrare di impegnarsi per gli stessi scopi per i quali lavora l'ECOSOC, cioè rispetto universale per i diritti umani
e le libertà fondamentali senza distinzioni di razza,
sesso, lingua e religione e per la soluzione dei problemi economici
sociali e sanitari internazionali. Il dialogo quindi c'è
sempre stato, ovviamente con le organizzazioni che si occupano di
cooperazione e di difesa dei diritti dell'uomo.
Un dialogo con i
gruppi violenti è impossibile. Con la violenza si esce dal
diritto civile e si entra in quello penale. Non è questione di
dialogo, non si può discutere con i violenti.
Le vicende
di Göteborg hanno messo in evidenza come, nell'ampia galassia di
organizzazioni non governative, impegnate a promuovere le stesse
finalità di cui le Nazioni Unite si erano fatte paladine
soprattutto nell'assemblea del millennio, si siano infiltrati anche
alcuni violenti. Io stesso ero presente nella delegazione italiana a
Göteborg. Abbiamo tutti visto in televisione con quanta
brutalità e violenza alcuni gruppi hanno attaccato le forze di
polizia, operando atti di vandalismo. Indubbiamente, quindi, i fatti
di Göteborg hanno accentuato la preoccupazione delle ambasciate
a Roma e delle missioni preparatorie del G8 ed hanno in un certo
senso facilitato quella conclusione riguardo all'alloggio e alla
sistemazione delle delegazioni proprio perché si è
capito che sarebbe stato molto difficile sorvegliare un numero
abbastanza elevato di alberghi sparsi per la città e
addirittura nel golfo del Tigullio, consentendo ai capi delegazione,
Capi di Stato e di Governo di raggiungere il luogo delle riunioni.
Sarebbe bastato un gruppo anche relativamente piccolo di
dimostranti per rendere impossibile l'uscita dagli alberghi. La
soluzione delle navi rappresentava, da questo punto di vista, un
fatto di grande vantaggio. Avremmo potuto praticamente far partire
dallo stesso luogo, cioè la stazione marittima, verso il
palazzo Ducale le delegazioni secondo l'ordine protocollare; si
sarebbe assicurato il rientro al termine delle sessioni di
lavoro; si sarebbero potuti svolgere anche gli eventi, quali
pranzi e cene di lavoro, in maniera molto più semplice.
Riuscimmo pertanto a convincere le delegazioni, che fino a quel
momento si erano ostinate a prenotare delle stanze in tutta la città,
e direi in tutta la Liguria, a venire finalmente insieme.
Perché
così tardi, chiede l'onorevole Bressa? E come mai tanta
difficoltà per convincere le delegazioni a quella che sembrava
essere una soluzione facile e comoda per tutti? Ebbene, qui vi sono
diverse spiegazioni. La prima è che ognuna di tali delegazioni
è composta di un numero di persone che si occupano delle
telecomunicazioni, dei problemi della cifra, della sicurezza. Questi
soggetti appartenenti a tali delegazioni preferiscono operare in un
ambiente in cui sono soli. Non hanno vicino un'altra delegazione o
altri esperti di telecomunicazioni. Tradizionalmente, è sempre
avvenuto così.
La prima volta in cui siamo riusciti a
sistemare nella stessa nave, che aveva 768 cabine, quasi tutte le
delegazioni (nove su dieci) è stato a Genova. Non è
stato facile fare convivere in comparti di questa grande nave una
accanto all'altra tutte le delegazioni.
Questi problemi delle
telecomunicazioni possono sembrare eccessivi ad alcuni. Tuttavia,
quando si pensa alle responsabilità che alcuni di questi paesi
hanno, non vi è dubbio che questo è uno dei temi
principali che hanno ostacolato, sino alla fine, una soluzione.
Quali altre motivazioni vi possono essere? Ogni delegazione cerca
di assicurarsi in questi casi un albergo più vicino al luogo
della riunione. In tal senso, molte richieste erano rivolte
all'albergo Bristol, che è più vicino a palazzo Ducale.
Tuttavia, non era possibile accontentare tutti in quel posto. Altre
avevano insistito - in particolare la delegazione degli Stati
Uniti - per la sistemazione a Rapallo, semplicemente perché
si tratta di un albergo - l'Excelsior- estremamente comodo ma
distante dalla zona. Sarebbe pertanto stato difficile risolvere i
problemi di trasporto.
Il secondo problema riguarda i numeri.
Abbiamo dovuto far fronte a delegazioni composte anche da 900 persone
(quelle degli Stati Uniti), da 350 (quelle del Giappone) e da 300 (la
Russia).
LUCIANO VIOLANTE. Quando avete avuto questi dati?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore.
Abbiamo avuto questi dati successivamente. Si era parlato all'inizio
di gruppi più ristretti, ma col crescere dell'aspettativa per
il vertice, i numeri sono lievitati notevolmente.
Sistemare una
delegazione di 900 persone in una città dove la ricettività
è di 2150 stanze dà un'idea di quelle che erano le
complessità che abbiamo dovuto affrontare. Ho ricordato poco
fa: 2.000 delegati e 4.750 giornalisti.
LUCIANO VIOLANTE. È importante conoscere i tempi. Non per responsabilità nostra, ma tutte queste delegazioni vi dicevano un certo giorno. Quando avete avuto il quadro definitivo delle delegazioni? Questo per capire i problemi che avete dovuto affrontare.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Posso dirle che nella seconda metà di aprile si erano configurate abbastanza chiaramente le richieste delle diverse delegazioni. Molte di loro avevano già prenotato per proprio conto degli alberghi: per esempio, presso lo Sheraton all'aeroporto, lo Star Hotel fuori della zona rossa. Fu un lavoro negoziale non facile quello di convincerle a venire, una dopo l'altra, sulla nave. Il fatto di
esserci finalmente riusciti ci ha consentito di dedicarci alla soluzione dei problemi logistici, come quello dei trasporti. Dovevamo avere presso la stazione marittima un numero sufficiente di parcheggi, di uffici, dal momento che le delegazioni ci avevano chiesto degli uffici non soltanto all'interno del palazzo Ducale, ma anche alla Stazione marittima e nei Magazzini del cotone, dove si trovava il centro stampa. Pertanto, abbiamo dovuto far fronte a delle richieste complesse e molteplici che riguardavano proprio la possibilità per queste delegazioni di svolgere il loro lavoro in tre diverse località.
GIANCLAUDIO BRESSA. È stato ricordato che la delegazione degli Stati Uniti aveva sciolto le sue riserve solo alla fine di giugno. Corrisponde a verità o è una data fittizia?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. È così. La prima delegazione a farci conoscere la decisione di salire a bordo fu quella francese. Essendo riusciti a convincere il presidente Chirac a salire a bordo ed essendo egli poi il decano del gruppo del G8 oltre che capo di Governo e di Stato, è stato più semplice ottenere anche l'ingresso sulla European Vision della delegazione tedesca, di quella canadese ed infine delle altre. L'ultima delegazione che aveva insistito sino alla fine per rimanere a terra e, in particolare, a Rapallo, era stata la delegazione statunitense. Anch'essa alla fine si è resa conto della bontà della soluzione della stazione marittima, in parte sulla nave, in parte all'albergo Marina Jolly.
GIANCLAUDIO BRESSA. Come mai è stato deciso di discostarsi in qualche modo dalla linea tenuta sino a quel momento dal Governo, ovvero di tenere separato il momento delle manifestazioni da quello del vertice?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore.
Non era mai stato chiaro esattamente quando questi manifestanti
avrebbero voluto organizzare a Genova delle dimostrazioni. Si diceva
a luglio. Nel corso del mese di giugno cominciano ad apparire dei
calendari con una folle messe di incontri, discussioni, dibattiti ed
eventi. Ci accorgemmo già a giugno che avevamo in pratica
l'intero calendario di luglio pieno di manifestazioni. Le richieste
si fecero sempre più pressanti. Non eravamo noi a prendere
delle decisioni in questo campo; tuttavia, non potevamo fare a meno
di notare che la pressione per poter manifestare - l'espressione che
veniva adoperata al riguardo era dissenso - si faceva sempre più
importante.
Le aspettative del vertice crescevano. Si sapeva di
tale importante riunione. Si può dire che i giornali e i media
non parlavano di altro.
Posso solo dire che ci fu un crescendo di
richieste per organizzare a Genova, in numero immenso, eventi di
carattere musicale, tavole rotonde, discussioni tematiche, che
andavano dai problemi dello sviluppo, ai problemi dell'AIDS, alla
lotta contro le epidemie, ai problemi del rispetto dell'ambiente, il
ricorso alle energie rinnovabili e così via. Quindi si
trattava effettivamente di una continua richiesta di dimostrazioni di
questo gruppo così eterogeneo di organizzazioni, alcune che
inseguivano argomenti specifici, altre, invece, temi di carattere più
generale, come la semplice opposizione alla globalizzazione.
MARCO BOATO. Signor ambasciatore, come lei ha già detto all'inizio - ed è ovvio - i temi che interessano in particolare questo Comitato di indagine soltanto marginalmente richiamano i compiti istituzionali del Ministero degli affari esteri, e il suo compito, in particolare. Tuttavia, visto che c'è qualche momento di intersezione tra i vari aspetti e le
domande che i colleghi le hanno rivolto mi soffermerei su questi
aspetti, cercando anche di capire il quadro più generale dal
punto di vista istituzionale.
Innanzitutto, le chiederei di
spiegare bene al Comitato (stavo cercando di ricostruire i fatti in
base alla cronologia piuttosto complessa che abbiamo a disposizione,
ma non vorrei sbagliarmi, quindi lo chiedo a lei) le fasi di
passaggio dalla responsabilità in capo alla Presidenza del
Consiglio dei ministri - stiamo parlando, evidentemente, di un
periodo antecedente all'attuale Governo - al momento in cui con il
Governo Amato, non più con il Governo D'Alema, si decide che
l'ambito istituzionale di imputazione prevalente non è più
la Presidenza del Consiglio dei ministri, ma il Ministero degli
affari esteri. Ovviamente, resta la responsabilità della
Presidenza del Consiglio: tuttavia, c'è uno spostamento di
baricentro tra i due ambiti. Le chiedo, quindi, di spiegare meglio
questa fase.
La seconda questione riguarda le ONG: e
indirettamente, lei ha già fornito una spiegazione. Il
Ministero degli affari esteri ha ormai una lunga tradizione di
rapporto con queste organizzazioni; anzi, lei ha spiegato che spesso
siete voi a sollecitare le ONG ad acquisire lo status consultivo
presso l'ECOSOC. In questo caso, ci siamo trovati di fronte ad un
passaggio graduale, in relazione alla preparazione del G8 - mi
riferisco anche ai molti mesi precedenti, non all'imminenza
dell'evento - da una interlocuzione iniziale con le ONG tradizionali
- chiamiamole così, per intenderci - a quella con le
associazioni che via via si sono riconosciute, prima sotto la sigla
del Patto di lavoro, e poi sotto quella del Genoa social forum.
Da questo punto di vista, la pregherei, nei limiti di tempo che
riterrà, di spiegare questo cambio, del tutto comprensibile
perché è avvenuto in rapporto agli avvenimenti (quindi
la mia non è una osservazione critica, ma una richiesta
puramente conoscitiva), questo tipo di interlocuzione diversa.
Inoltre - mi rivolgo a lei, poi, semmai, lo chiederemo al ministro
Vinci Giacchi - desidero un chiarimento sul ruolo che in una prima
fase, ha avuto (poi è venuto meno proprio per il cambio di
interlocutori) la dottoressa architetto Paolini. Inizialmente mi pare
sia incaricata del rapporto con le ONG e poi, nel momento in cui il
rapporto non è più con le ONG tradizionali, ma con il
costituito o costituendo Genoa social forum (perché ci
sono varie sigle precedenti), mi sembra che l'interlocuzione non
avvenga più con questo tramite. Questo ho capito: sto
chiedendo a lei, signor ambasciatore, se ce lo può spiegare.
In questo contesto, lei ha ricordato, giustamente (e risulta sia
da tutte le nostre ricostruzioni, quelle del prefetto, sia dalla
cronologia comparata), la riunione del 28 giugno scorso alla
Farnesina, che fa parte di una serie di riunioni che si sono tenute
nel giugno 2001, quindi, quasi nell'imminenza del vertice, ormai dopo
il cambio di Governo. Alcune riunioni erano già avvenute in
aprile, da quanto si ricostruisce dal documento del prefetto, quindi
all'epoca con il ministro Bianco e il ministro Dini, come riferimenti
istituzionali, dal 5 al 20 aprile. In mezzo, sappiamo tutti che ci
sono state le elezioni politiche, quindi, una sorta di comprensibile
interruzione e poi un'altra serie di riunioni dal 24 giugno al 30
giugno: il 24 giugno incontro in questura con il Gsf; il 28 giugno
alla Farnesina con il ministro degli affari esteri e con quello
dell'interno (e mi pare di capire che anche lei fosse presente a
questo incontro). Lei è in grado di spiegarci - non penso ci
sia alcun aspetto clamoroso - di cosa in particolare si è
discusso in quella occasione alla Farnesina? Più o meno
conosciamo le richieste che il Genoa social forum ha avanzato
nei vari incontri e le risposte. Tuttavia, per la parte specifica
della Farnesina, lei è in grado di dettagliarcelo? È in grado di dirci come era composta la delegazione del Genoa social forum, perché noi abbiamo in nota, da parte del prefetto, la composizione delle varie delegazioni per ogni incontro. L'unico su cui il prefetto non è in grado di darci la composizione della delegazione è quello del 28 giugno a Roma dove egli afferma «un'altra delegazione, sempre del Genoa social forum, della cui composizione non ho notizie è ricevuta alla Farnesina». Glielo chiedo perché in nota, in relazione agli altri incontri, abbiamo sempre la composizione della delegazione e sono presenti alcuni elementi fissi, altri sono variabili. Infatti sappiamo che il Genoa social forum era una sigla che copriva una quantità molto ampia di organizzazioni: quindi, può dirci la composizione della delegazione che avete incontrato alla Farnesina il 28 giugno? In ogni caso, l'aspetto più interessante è questo modificarsi progressivo dell'interlocuzione: intanto il passaggio del rapporto prima con la Presidenza del consiglio poi con il Ministero degli affari esteri; in seguito, l'interlocuzione con le ONG tradizionali e poi con i nuovi soggetti che stavano emergendo, e come tutto questo si sia sviluppato per la parte di nostra competenza, il che, da questo punto di vista, non era forse la parte principale. Tuttavia, le chiedo di spiegarcelo.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Vorrei ricordare che la preparazione del G8 riflette il fatto che questa non è un'organizzazione internazionale, non ha un segretariato, non sostituisce fori come le Nazioni Unite, l'OCSE o altro. Quindi, in base al criterio che ogni anno la presidenza del G8 passa da un paese all'altro, è giocoforza istituire una missione che organizzi questo incontro. Si fa sempre così, lo facciamo noi,
lo fanno anche i nostri partner: si crea una struttura di
missione incaricata dello svolgimento dell'organizzazione
dell'incontro.
Ora, trattandosi di un impegno che riguarda, in
primo luogo, il capo del Governo (naturalmente anche i ministri degli
esteri e delle finanze, ma soprattutto il capo del Governo), la
struttura di missione tradizionalmente viene istituita nell'ambito
della Presidenza del Consiglio dei ministri. Ciò non toglie
che il Ministero degli affari esteri, trattandosi di una riunione a
carattere internazionale, la segua con attenzione, soprattutto per
l'elaborazione dei temi e dell'agenda. Il 2 febbraio 2001, dopo che
la struttura di missione aveva riferito soprattutto sulla propria
attività alla Presidenza del consiglio, il Presidente del
consiglio Amato pregò il ministro Dini di volerla seguire più
da vicino.
Dopo circa un mese e mezzo, di fronte alla difficoltà
(cui lei ha fatto riferimento precedentemente) di risolvere alcuni
problemi essenziali come quello della sistemazione delle delegazioni
(non riuscivamo, infatti, a convincerle a salire sulla nave), fu così
che il ministro Dini mi chiese di seguire personalmente tale
attività. In primo luogo, discussi con le diverse delegazioni
per trovare una soluzione al problema dell'alloggio. Naturalmente, in
parallelo, vi era il problema della sistemazione dei giornalisti,
degli operatori televisivi e così via. I problemi erano
proprio questi e, connesso ad essi, vi era quello di accelerare
l'allestimento e la messa a punto delle sale di riunione nel palazzo
Ducale e nei Magazzini del cotone, che stavano procedendo; tuttavia,
tenuto conto della complessità dei numeri si temeva di non
essere pronti in tempo. Pertanto, fui pregato di esercitare una
supervisione di carattere generale proprio per portare avanti un
programma così complicato in due mesi. Anche la stessa
preparazione
delle guide e dei documenti (ne ho portati alcuni, dietro ai quali
vi è la preparazione e l'elaborazione dei punti di vista della
delegazione italiana e della presidenza italiana sui diversi
argomenti) fornisce un'idea della complessità del lavoro
preparatorio.
La fase di passaggio, quindi, è avvenuta nel
modo seguente. A febbraio il Presidente del Consiglio scrive al
ministro degli affari esteri pregandolo di seguirlo e, a sua volta,
il ministro Dini, dopo aver seguito la fase preparatoria
personalmente per un certo periodo, chiede a me di farlo: il che ha
comportato numerose visite a Genova e contatti con tutti gli
esponenti delle autorità locali, oltre che con i responsabili
della Stazione marittima e così via.
Per quanto riguarda
la seconda domanda, concernente il passaggio di dialogo da quelle che
l'onorevole Boato ha definito le ONG tradizionali al Genoa social
forum, vorrei svolgere le seguenti considerazioni. Confermo
anzitutto che il Ministero degli affari esteri intrattiene da sempre
molti contatti con il mondo del volontariato ed il forum del terzo
settore, soprattutto in due campi.
Il primo è quello della
cooperazione allo sviluppo. Tutti conoscono l'importanza del ruolo
svolto da alcune ONG come «Medici senza frontiere» ed
alcune cooperative: si tratta di persone che prestano il proprio
lavoro perché hanno la vocazione ad aiutare gli emarginati, le
persone e gli strati più deboli della popolazione, soprattutto
nei paesi in via di sviluppo. Ebbene, noi lavoriamo molto con loro e
continuiamo a farlo anche dopo i fatti Genova e indipendentemente da
essi.
Un altro campo nel quale intratteniamo con tali
organizzazioni un rapporto costante è quello dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tutti ricorderanno la
conferenza che si è svolta a Roma per l'elaborazione di uno
statuto della
Corte penale internazionale. Ebbene, il ministro degli affari
esteri in quei mesi fu in prima linea. Si tratta di due mesi che si
conclusero positivamente, nonostante i dubbi e le difficoltà
considerevoli che venivano frapposte da molte delegazioni. Era
un'operazione che si svolgeva nel quadro dell'ONU e che si concluse
con la firma, a Roma, del nuovo statuto della Corte penale
internazionale. Fummo così attivi che nei due mesi in cui lo
statuto della Corte rimase depositato presso la Farnesina, riuscimmo
a farlo firmare a circa 60 paesi. Si tratta di una cifra importante,
perché non è la firma che fa entrare in vigore lo
statuto, bensì la ratifica. Il fatto di avere raccolto un
numero di firme così elevate in così breve tempo fu un
grande successo del nostro Governo.
Signor presidente, posso
anche aggiungere un'altra cosa che forse gli onorevoli senatori e
deputati già conoscono: nella riforma del Ministero degli
affari esteri abbiamo inserito nella dizione della direzione generale
degli affari politici multilaterali l'espressione «e dei
diritti umani». Siamo l'unico Ministero degli affari esteri in
Europa che non solo ha un ufficio (che naturalmente hanno tutti) per
la difesa dei diritti umani, ma che ha addirittura portato a livello
del direttore generale la responsabilità per la nostra azione
in difesa dei diritti dell'uomo e delle libertà.
Perché
si è passati ad una formula che si riassume normalmente sotto
la dizione Genoa social forum? Perché la galassia di
queste ONG è così numerosa (supera le 750 unità)
che loro stesse progressivamente, nel corso dei mesi che hanno
portato al vertice di Genova, hanno conosciuto una forma di
associazione e rappresentazione che ha portato, in qualche modo, alla
loro compattazione. Quando si è tenuta la riunione del 28
giugno alla Farnesina (mi riferisco in questo momento alla riunione
richiamata dall'onorevole Boato)...
MARCO BOATO. Quella del 28 giugno.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore.
...sapevamo che sarebbero venuti un numero di rappresentanti compreso
tra otto e dieci. Non ci era possibile sapere esattamente chi si
sarebbe presentato perché tali organizzazioni si andavano
organizzando per presentarsi a Genova al loro interno e nel loro
foro. La parola nuova era Genova; occorreva decidere in che modo tali
organizzazioni avrebbero partecipato a manifestazioni che avevano
come punto di riferimento il mese di luglio 2001, manifestazioni che
non si sarebbero svolte né prima e nemmeno dopo: la riunione,
quindi, verteva su cosa fare a Genova nei giorni del vertice. Tutto
ciò avveniva progressivamente; non voglio dire che questo
fosse un obiettivo determinato e scelto di proposito con molto
anticipo: le cose si sono svolte in questa maniera, man mano che si
andava avanti.
L'onorevole Boato ha fatto riferimento a due tipi
di riunioni che si sono tenute in quel periodo da aprile in poi e che
vorrei aiutare a distinguere. Alcune riunioni avevano per oggetto la
predisposizione di un piano generale di sicurezza perché il
vertice si potesse svolgere in maniera tranquilla e sicura. Ciò
ci veniva chiesto soprattutto alla luce dei fatti che poi si
verificarono a Göteborg. Quelle riunioni, pertanto, avevano un
duplice carattere: ve ne erano alcune di carattere interno (quelle
che organizzava il Viminale e alle quali eravamo presenti, magari per
ascoltare le varie riflessioni) mentre le altre con le ambasciate le
abbiamo organizzate alla Farnesina (sono le due riunioni cui ho fatto
riferimento nel mio intervento) ed in esse abbiamo voluto spiegare,
anche con l'aiuto di una cartina della città di Genova e della
Liguria, ciò che avremmo fatto, in modo da dare le opportune
assicurazioni sull'attenzione con la quale il Governo italiano
avrebbe predisposto il piano generale di sicurezza. Questi sono i due
tipi di riunioni che si sono tenute: alcune interne, tra
amministrazioni dello Stato (in particolare quelle che si sono
occupate della sicurezza) e quelle che, invece, si sono svolte alla
presenza di rappresentanti di ambasciate o di missioni estere giunte
nell'occasione per preparare il loro arrivo a Genova.
La riunione
che si è tenuta alla Farnesina del 28 giugno cui lei,
onorevole Boato, ha fatto riferimento, è di un terzo tipo. In
essa i ministri Ruggiero e Scajola incontrarono quella che si
autodefinì una rappresentanza del Genoa social forum.
Ricordo che tra le persone presenti vi era certamente il dottor
Agnoletto oltre ad altre persone; tuttavia, non posso dire che si
fosse passati effettivamente da un tipo di dialogo con alcuni ad un
dialogo con altri, perché nel Genoa social forum
finivano per confluire un po' tutti i rappresentanti delle ONG e loro
stessi avevano molta cura a sottolineare il carattere rappresentativo
del loro gruppo.
MARCO BOATO. Esiste un documento conclusivo del G8 o c'è solo un comunicato stampa? Se esiste, è possibile averlo?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Ringrazio molto l'onorevole Boato per questa domanda: certamente esiste un documento conclusivo del G8. Esso, in passato, finiva con l'essere estremamente articolato e complesso, nel quale ogni delegazione voleva che figurassero certi punti di vista che le stavano a cuore. Il successo del vertice di Genova è stato, invece, quello di riunire in questo comunicato finale - che sarò molto lieto di mettere a disposizione del Comitato - i temi principali senza perdersi in tanti altri temi accessori. Il tema principale di questo vertice di Genova era proprio come varare, con un sistema di partnership tra paesi industrializzati, paesi in via di sviluppo, organizzazioni internazionali, agenzie
interessate a questi temi, settore privato e settore no-profit
del volontariato gli elementi di una strategia integrata per cercare
di prevenire i conflitti risolvendo, alla base, i problemi della
povertà.
Ora, 2 miliardi e 800 milioni di persone vivono
con una cifra che va da 0 a 2 dollari al giorno a testa: quasi la
metà del globo vive, in realtà, in condizioni di
sottosviluppo e di povertà. Come fare per aiutarli? Governando
la globalizzazione, aprendo i mercati, facilitando i commerci,
incrementando l'educazione, sconfiggendo flagelli che da noi non
esistono quasi più, come la tubercolosi e la malaria, ma che
sono, invece, ancora molto presenti. Basti pensare che, nel mondo, un
milione di persone l'anno muore di malaria e quasi due milioni di
tubercolosi, sembra quasi incredibile. Inoltre, 36 milioni di persone
al mondo sono infette da AIDS, di cui 25,3 milioni soltanto in
Africa, dove sono colpiti soprattutto i bambini nelle zone rurali.
Ebbene, il successo del vertice di Genova è stato quello di
affrontare in maniera molto decisa questi problemi.
Vorrei
ricordare due momenti molto importanti di questo vertice. Il primo
nel quale ci fu l'annuncio, fatto congiuntamente dal Presidente del
Consiglio Berlusconi e dal Segretario generale delle Nazioni Unite
Kofi Annan, relativo alla creazione del fondo globale per combattere
l'AIDS, la tubercolosi e la malaria. Tale fondo raccolse, superando
di gran lunga le prospettive, 1 miliardo e 300 milioni di dollari, ai
quali si sono aggiunti 500 milioni di dollari dal settore privato. Si
tratta di un piano che, grazie all'insistenza del capo della
delegazione italiana, diventa operativo entro la fine di quest'anno.
Il secondo momento particolarmente importante di questo vertice fu
quello dell'outreach, che registrò la partecipazione
molto estesa di paesi in via di sviluppo tra i più poveri
dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina ed una ricca
rappresentanza delle organizzazioni internazionali. Debbo dire che
ciò è riuscito a dare ai problemi dell'Africa una
visibilità che non vi era mai stata prima.
Insieme a
questi due momenti va ricordata l'attenzione alla cancellazione del
debito di cui l'Italia si è fatta promotrice, trascinandosi
dietro gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Germania. Tale
cancellazione ha portato da 9 a 23 il numero dei paesi per i quali si
è addivenuti al 100 per cento di cancellazione dei debiti non
solo di aiuto, ma anche commerciali (sto riferendomi ai paesi più
altamente indebitati, più poveri del pianeta). Vorrei
aggiungere che non si è proceduto in relazione a determinati
paesi soltanto perché sono in conflitto con i loro vicini o
perché non rispettano in alcun modo i principi della
democrazia, dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali. In essi, ad esempio, si pratica uno sfruttamento senza
limiti del lavoro minorile e dei bambini.
Dunque, il successo del
vertice di Genova sta nel fatto di aver riunito, per la prima volta,
tanti elementi che si conoscevano già da prima. Mi riferisco,
ad esempio, alla necessità di fare in modo che gli aiuti non
siano legati a forniture del paese che li concede: ciò è
avvenuto su pressione della delegazione italiana a marzo all'OCSE.
Inoltre vi è la necessità di un aumento degli aiuti
allo sviluppo scesi, nell'ultimo decennio, da una media dello 0,33
allo 0,22 per cento del PIL. Abbiamo visto, purtroppo, che negli
ultimi dieci anni gli aiuti pubblici allo sviluppo hanno conosciuto
soltanto una tendenza al declino e, quindi, abbiamo riaffermato la
necessità - ed il Presidente Berlusconi ha preso l'impegno -
di riportarli a livelli più alti. Vi sono, poi, il problema
riguardante l'apertura dei mercati occidentali ai paesi che non ne
hanno accesso, perché hanno soltanto alcuni prodotti di base,
senza incontrare
barriere doganali o contingenti quantitativi; i problemi della
lotta alle epidemie. Insomma, quell'insieme di problemi che, proprio
perché tengono questi paesi in uno stato di sottosviluppo,
sono forieri di conflitti che, a loro volta, non possono non
aggravare le stesse condizioni di malnutrizione, di fame e di povertà
assoluta.
Questo sforzo della delegazione italiana è
chiaro dal comunicato che avrò l'onore di trasmettere al
Comitato e che credo, per il commento positivo e l'apprezzamento
vastissimo che ci è venuto dai Capi di Stato e di Governo di
tutti gli altri paesi, rappresenti un momento alto della politica
estera italiana. Vorrei anche dire che i Capi di Stato e di Governo
hanno tenuto a ringraziare gli abitanti di Genova per l'ospitalità
che hanno offerto ed hanno condannato la violenza così come
gli atti di vandalismo che hanno, purtroppo, causato danni alla
città. Molti positivi commenti ci sono arrivati anche dai
rappresentanti dei corrispondenti italiani e stranieri che hanno
seguito le vicende del vertice.
Astraendo, per un momento, dai
problemi dell'ordine pubblico direi che è un paradosso che non
si sia riusciti a dimostrare quanto si voleva dimostrare con queste
riunioni con le ONG. Mi riferisco al fatto che l'agenda che sarebbe
stata discussa a Genova non era che l'agenda che avrebbero desiderato
vedere discussa i paesi poveri dell'universo. Si trattava della
stessa agenda che le Nazioni Unite, nell'assemblea speciale del
millennio del 2000, avevano suggerito perché tali temi
venissero affrontati dai paesi più industrializzati.
La
strategia dell'ascolto che avremmo voluto vedere avviarsi con queste
organizzazioni non governative, purtroppo non ha dato i risultati che
ci auguravamo. Nulla è perso: continueremo a farlo. Uno degli
elementi che non siamo riusciti a portare avanti è quello di
distruggere slogan puramente
negativi del tipo: «Assediamone otto per liberare tutti» che non è certo uno slogan che apre al dialogo. Non si è riusciti sufficientemente a farlo, nonostante i vari incontri tra i quali l'ultimo, menzionato dall'onorevole Boato, del 28 giugno alla Farnesina alla presenza del Genoa social forum con il ministro Ruggiero ed il ministro Scajola. In quell'incontro si era cercato, per l'appunto, di spiegare come questo vertice, lungi dall'affrontare temi di interesse dei paesi industrializzati, fosse tutto rivolto ad affrontare le tematiche dello sviluppo, della prevenzione dei conflitti, della lotta contro le epidemie, del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali che con tanto successo poi, nella realtà, obiettivamente parlando, si è riusciti a fare a Genova.
ANTONIO SODA. Queste ultime sue
considerazioni rimandano a problemi sui quali certamente il
Parlamento doveva portare la sua attenzione e caricano anche il
Comitato della necessità di comprendere per quale ragione oggi
nel nostro paese il dibattito si sia risolto sulla questione
dell'ordine pubblico. Quindi, non entrerò in queste sue ultime
riflessioni.
Lei ha indicato l'incontro del 28 giugno fra quelle
iniziative, a carattere anche originale rispetto al passato, di
apertura verso l'esterno del dialogo e della discussione sui temi
della globalizzazione. Ha anche affermato che il dialogo è con
tutti: l'unica esclusione è nei confronti dei violenti. Il 28
giugno sono quindici, come risulta da un documento che ci è
stato trasmesso, i rappresentanti di associazioni o movimenti
aderenti al Genoa social forum. Tra questi i rappresentanti di
LILA, Lilliput, ARCI, Sdebitarsi, Ya Basta, tute bianche, la Marcia
mondiale delle donne, Rete contro G8, settimanale Carta, COBAS,
Network, CGIL, CUB, Associazione emigrati, Rifondazione
comunista. Vi sono due delegazioni, una del Ministero dell'interno,
guidata dal ministro Scajola, e l'altra
del Ministero degli affari esteri, di cui lei fa parte: si tratta
di delegazioni e nutrite. Orbene, in questa riunione
Anzitutto,
le chiedo una sua considerazione, avendo lei partecipato alla
riunione (seppure, certamente, non con responsabilità
politiche), sulle responsabilità che si volevano perseguire e
che senz'altro si saranno delineate; le domando altresì di
esporci il contenuto del dialogo ivi svoltosi, nonché
l'analisi che si è compiuta rispetto agli eventi imminenti;
eventuali accordi di massima raggiunti; manifestazioni comuni di
intenti ed eventuali differenziazioni all'interno dei rappresentanti
del GSF e delle sue componenti. Le domando, inoltre, se vi è
stata, in particolare, una valutazione dell'incidenza che tale
dialogo - e quindi l'apertura che si realizzava, diretta a consentire
presenze e manifestazioni, secondo me, legittime, giuste - avrebbe
avuto sulla ordinanza prefettizia del 2 giugno, ordinanza cardine,
sulla quale si è costruito il piano di sicurezza. Le chiedo,
infine, se, dopo questa riunione, vi furono autonome o congiunte
valutazioni per lo sviluppo di ulteriori incontri e dialoghi tra la
delegazione del Ministero degli affari esteri e quella del Ministero
degli interni.
UMBERTO VATTANI. Ambasciatore.
L'onorevole Soda ha ricordato la composizione della delegazione
giunta alla Farnesina il 28 giugno; molto precisamente, ha anche
detto che si trattava di una riunione congiunta tra il ministro degli
esteri e il ministro dell'interno.
Per quanto riguarda le
finalità della riunione, vi era, da parte del Ministero degli
affari esteri (e, invero, il ministro Ruggiero, in quella occasione,
si è soffermato molto su tali aspetti) l'illustrazione di una
agenda del vertice, agenda che, per i motivi poc'anzi ricordati, non
poteva essere rigettata dalle organizzazioni non governative.
Infatti, i temi all'ordine del giorno erano in larga parte quelli
reclamati dalle ONG; se
ciò poteva sembrare sorprendente, è pur vero che non
si chiedeva ad esse altro che di voler prendere atto del tema
principale del vertice, la fissazione di una strategia integrata per
la lotta contro la povertà. Si voleva, anzi, che la
comprensione di questa agenda rendesse più costruttivo il
rapporto con gli esponenti della società civile ed il mondo
del volontariato che affrontavano gli stessi temi.
Dal punto di
vista del Viminale, la questione di maggiore importanza era
costituita dalla finalità di incanalare il movimento nella
adesione al principio fondamentale secondo cui è consentita
ogni forma di dissenso civile ma non la violenza. E, quindi, direi
con che i due temi, pur diversi, miravano, comunque, a gettare le
basi di un atteggiamento dei rappresentanti del GSF il più
possibile costruttivo e, ad ogni modo, civile.
L'obiettivo di
costoro era, principalmente, ottenere spazi e occasioni perché
potesse svolgersi tutta una serie di eventi da loro ritenuti
importanti, in quanto richiesti dagli aderenti alle organizzazioni
menzionate: mi riferisco, cioè, alla possibilità che si
discutesse del problema della cancellazione del debito, del rispetto
dell'ambiente, della sicurezza alimentare, dei limiti alla
globalizzazione o comunque di regole ferree per limitarne gli eccessi
e così via. Non ricordo che alcuno dei presenti nella
delegazione o nel gruppo del GSF abbia mai negato il principio
secondo il quale la violenza non poteva avere diritto di cittadinanza
in questo campo.
Quindi, alle richieste di poter partecipare, in
modo anche «muscolare» - intendendo con tale espressione
la possibilità della presenza di un alto numero di aderenti,
per vari giorni, in concomitanza proprio con gli eventi del vertice
-, si accompagnò, però, la generale ammissione che la
violenza fosse altra cosa. Al termine della riunione vi fu un
incontro
con la stampa; i primi a uscire ed a rilasciare dichiarazioni ai
corrispondenti furono proprio i rappresentanti del GSF. Seguirono
brevissime dichiarazioni del ministro Scajola e del ministro
Ruggiero.
Credo che tale incontro non avesse altra finalità
che cercare di contenere il dialogo o il dissenso entro limiti che
comunque fossero civili. Successivamente non si sono più avuti
incontri strutturati allo stesso modo tra il ministro degli esteri e
il ministro Scajola; infatti, gli ulteriori incontri si sono svolti
in modo molto meno formale, attraverso contatti con le associazioni
cattoliche, con quelle del forum del terzo settore o con
altri, tesi soltanto a capire meglio quanto i manifestanti pensassero
di organizzare a Genova proprio nei giorni del vertice.
FRANCO BASSANINI.
Ambasciatore, le rivolgo tre domande alle quali ha parzialmente già
risposto e, tuttavia, per noi è importante ottenere ulteriori
precisazioni.
Anzitutto, le chiedo quando, in modo definitivo,
voi possedeste tutte le indicazioni delle delegazioni relativamente
al numero dei partecipanti, all'accettazione di usare i mezzi navali
e così via. Le domando, cioè, quale sia il momento nel
quale è stato possibile, per l'organizzazione, cominciare -
avendo il quadro definitivo delle delegazioni presenti, del numero
delle persone da alloggiare, nonché delle loro disponibilità
ad un alloggio su di una nave piuttosto che in un albergo ubicato
nella zona rossa - ad occuparsi delle questioni operative: i
parcheggi, le macchine e così via. Ciò è
importante, perché l'impressione da noi tutti registrata è
che ritardi, anche nella disponibilità delle delegazioni a
dare i numeri definitivi, ad accettare il ricorso ai mezzi navali, ad
accettare, diciamo, tali condizioni, abbiano poi costretto
l'organizzazione a procedere affannosamente.
La seconda domanda che le rivolgo, ambasciatore, è la
seguente: dagli elementi da noi già raccolti è emerso
con chiarezza, che si aveva un quadro di pericolosità di
alcune organizzazioni, che non erano le più numerose: rispetto
ai 200 o 300 mila manifestanti, queste consistevano, probabilmente,
di alcune migliaia di persone. Oltre alla pericolosità di
talune organizzazioni, emergevano l'ambiguità di alcune altre
ed una gran massa di organizzazioni pacifiste. Emerge anche che la
tecnica di guerriglia utilizzata dalle organizzazioni più
violente era quella di infiltrarsi nel corteo pacifico nascondendosi
in esso per poi effettuare i raid e le violenze. Dunque, le
domando se in questi incontri - e sicuramente in quello occorso il 28
giugno - sia stato posto ai leader del Genoa social forum,
con chiarezza, non solo l'argomento del rifiuto della violenza, ma
anche la questione afferente a come si debbano organizzare le
manifestazioni legittime (costituzionalmente tutelate) in modo tale
che contribuiscano all'azione di isolamento dei violenti. Infatti, se
ciò è certamente compito delle forze dell'ordine,
tuttavia sarebbe stato utile coinvolgere il movimento nel
perseguimento dell'obiettivo del rinvenimento di forme organizzative
le più adeguate ad isolare i violenti.
La terza ed ultima
questione riguarda un po' meno l'ordine pubblico ma penso, però,
che la Commissione, dovendo elaborare un rapporto, debba pensare
anche al futuro. Lei ha detto che il tema centrale del G8 era una
strategia integrata per la lotta contro la povertà per cui,
lungi dall'affrontare temi di interesse dei paesi industrializzati,
abbiamo affrontato, nel G8, in maniera efficace, problemi che
riguardano l'intero globo. Ambasciatore Vattani, ritengo che il
problema sia proprio questo: il G8, prima G5, poi G7, è nato
come il circolo
dei paesi industrializzati. Finché affronta i temi dei
paesi industrializzati, quei Capi di Stato e di Governo sono
pienamente legittimati, democraticamente legittimati.
Nel momento
in cui si affrontano i problemi del globo questi ultimi non possono
dimenticare di rappresentare un quinto, un sesto, un ottavo - dica
lei quanti - dei cittadini del mondo e qui nasceva un problema: in
che termini si è posto, questo, con il Genoa social forum.
Io ho l'impressione che il diverso atteggiamento verso il vertice FAO
deriva anche dal fatto che tale vertice raggruppa tutti i Governi del
mondo.
Il G8, con le massime buone intenzioni, è il
vertice dei paesi più industrializzati che, nel momento in cui
si occupano non di se stessi ma del resto del mondo, manifestano un
problema di legittimazione democratica che ha offerto ragioni o
pretesti - a seconda dei casi - alle organizzazioni antagoniste per
contestare la sua stessa legittimazione.
Vi siete posti questo
problema? Lo avete affrontato? Avete trovato soluzioni, magari
rinviando alle Nazioni Unite decisioni in materia?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Con la prima domanda si chiede quando abbiamo finalmente conosciuto le decisioni delle varie delegazioni, prima sul tema della sistemazione e poi sui numeri. Ho ricordato poco fa che i primi che riuscimmo a convincere furono i francesi, che avevano fatto sapere che sarebbero arrivati con circa 120 delegati; successivamente i tedeschi, venuti in numero analogo, e i canadesi, forse un po' più numerosi. I problemi portati a nostra conoscenza dai giapponesi, dai russi e dagli statunitensi erano legati ai numeri dei delegati, che salivano considerevolmente (intorno a 300-350 unità), e al rifiuto di questi di salire su una nave nella quale fossero presenti anche tutti gli altri.
Gli inglesi, addirittura, fecero dipendere la loro risposta
dalle elezioni in Inghilterra, affermando che il Prime Minister
Blair l'avrebbe comunicato soltanto dopo il 7 giugno, cioè
dopo le elezioni. Naturalmente, noi facemmo presente che non c'era
più tempo per cambiare nulla e che, quindi, per noi non
sembrava esserci un'opzione, ma soltanto una mancanza assoluta di
alternative.
Non posso dire adesso esattamente - potrei forse
cercare di ricordare - le date, però rammento che,
praticamente, per tutto il mese di maggio continuò questa
trattativa durissima, in particolare con i giapponesi, con i russi e
con gli inglesi, che fecero sapere solo alla fine - addirittura
questi ultimi dopo il 7 giugno - le loro intenzioni.
Mi si chiede
se questo ritardo abbia creato problemi particolari sotto il profilo
della sicurezza: ebbene, ciò nonostante, noi avevamo detto che
pensavamo di riuscire, in ogni caso, a far salire praticamente tutti
a bordo. Forse non sarebbe venuta una parte della delegazione
americana, ma, malgrado la mancata risposta, avevamo ragione di
credere che saremmo riusciti a farli salire tutti a bordo,
sottolineando proprio le caratteristiche - ricordate poco fa - di
Genova: non si tratta di una città dotata di tantissimi
alberghi e recettività; in più, occorreva alloggiare,
oltre alle delegazioni, anche i rappresentanti della stampa. In
definitiva, pensavamo di avere sufficienti argomenti da far valere
per portarli progressivamente, così come poi è
avvenuto, sulla nave.
Una volta definita dal Viminale la zona
rossa, ci è stata mostrata su una cartina e noi ne abbiamo
preso atto.
FRANCO BASSANINI. Ma è vero che il Presidente Bush ha sciolto la riserva solo a fine giugno?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore.
Fu abbastanza tardi, credo di ricordare verso la seconda metà
di giugno.
A favore di una concentrazione delle delegazioni nel
porto della stazione marittima ha senz'altro giocato il fatto che la
stessa riunione dei ministri degli esteri, prevista due giorni prima
del vertice e che avrebbe dovuto aver luogo a Portofino, fosse
spostata a Roma. Io stesso, quando venni a conoscenza che i ministri
degli esteri si sarebbero fatti accompagnare da circa 650 delegati,
occupando nella zona di Portofino numerosi alberghi, premetti per
questa soluzione e, quindi, spostammo la riunione a Roma, dove si è
svolto tutto perfettamente a Villa Madama.
Non credo che la
decisione per la sistemazione delle delegazioni, anche se è
intervenuta relativamente tardi, abbia modificato alcunché
sulla precedente determinazione della zona rossa nella città
di Genova e non credo neppure che abbia, in un certo senso, reso più
difficile il lavoro del Viminale, anche perché man mano che si
concentravano sulle navi, diminuiva la necessità di attenzione
su tutto resto della città. Per quanto riguarda la posizione
assunta da diverse organizzazioni - alcune decisamente pacifiche,
altre forse un po' più ambigue ed altre ancora pericolose -
debbo dire che si sapeva, soprattutto dopo Göteborg, della
difficoltà di distinguere i pacifici dai violenti, finché
quest'ultimi non avessero cominciato a ricorrere alla violenza: non
si può distinguere se una persona è violenta o meno
vedendola, ma soltanto nel momento in cui agisce. Tutti riconoscevano
che a Göteborg c'era stata la presenza di violenti tra i
manifestanti pacifici e ciò fu fatto presente nella riunione
del 28 giugno, chiedendo alle organizzazioni presenti nel Genoa
social forum in che modo intendessero isolare i violenti.
La risposta fu che queste organizzazioni si conoscevano, che
in qualche modo si sarebbero respinte quelle più ambigue e che
lo stesso fatto di poter manifestare pacificamente un dissenso
avrebbe attenuato la tensione, avrebbe scoraggiato il passaggio a
posizioni più violente proprio perché il fatto di poter
manifestare ed esprimere le proprie ragioni avrebbe, in un certo
senso, contribuito ad isolare i pacifici dai violenti. Questo ricordo
delle discussioni che si ebbero in quel momento.
Per quanto
riguarda la terza domanda dell'ex ministro Bassanini, in merito alla
legittimità del G8 e a come esso si pone nei riguardi del
resto del mondo, il G8 non può certamente pretendere di agire
come «governo del mondo», nel senso di diventare il luogo
dove, in qualche modo, viene assicurata la governance della
globalizzazione: questo spetta alle Nazioni Unite. Proprio il legame
con le Nazioni Unite non è mai apparso così chiaro come
nella riunione di Genova. I riferimenti all'Assemblea del Millennio,
approvati all'unanimità dai 186 paesi delle Nazioni Unite - la
stragrande maggioranza dei quali appartiene proprio alla categoria di
paesi in via di sviluppo - fanno sì che sia difficile mettere
in discussione la legittimità del G8, dal momento che esso
discute proprio dei temi che le Nazioni Unite, all'unanimità,
considerano i temi principali del mondo.
E poi, non si può
non intendere che i temi dell'agenda degli otto paesi rivelano la
consapevolezza che le decisioni di quei membri così importanti
della comunità internazionale hanno conseguenze in termini
economici e politici che non possono essere sottovalutate. Pertanto,
il problema della legittimità non viene posto nemmeno da quel
grande numero di organizzazioni non governative che collaborano
normalmente con le Nazioni Unite (in particolare nell'ECOSOC), perché
si rendono
conto che, se non vi fosse il G8, la globalizzazione e la liberalizzazione dei mercati porterebbe senza dubbio benefici ai paesi più ricchi. Infatti, la possibilità di un maggiore commercio giova a quelli che sono in grado di commerciare, non certo a quelli che non hanno i mezzi. Quindi, se il G8 non si occupasse del resto del mondo, quelli che rimangono in qualche modo ai margini dei benefìci della globalizzazione e dell'estensione dei mezzi tecnologici (che oggi sono rappresentati dall'information technology, dalle capacità digitali che sono così estese nei paesi industrializzati) lascerebbero questi paesi in condizioni sempre più difficili, invece di aiutarli ad inserirsi in questo processo di crescita stabile che i paesi in via di sviluppo sono in grado di conseguire. Sono, quindi, gli stessi paesi delle Nazioni Unite, il Segretario generale Kofi Annan e gli altri, a chiedere al G8 di occuparsi di questi problemi, a prenderne piena consapevolezza e ad assumersi gli impegni che a loro derivano proprio dall'essere così importanti sotto il profilo del commercio, della ricerca, dello sviluppo, dell'uso dell'energia, dell'ambiente, della sicurezza alimentare e così via.
FRANCO BASSANINI. Non ho parlato di legittimità, ma semmai di legittimazione democratica e, quindi, dell'opportunità di rimettere a sedi come le Nazioni Unite le decisioni finali. Non ho parlato di legittimità; ci mancherebbe altro: ho collaborato anch'io alla preparazione del G8 in un'altra veste.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Riparo molto volentieri e molto rapidamente a questo punto e ringrazio molto l'ex ministro Bassanini per quanto ha detto, perché anche io ne sono perfettamente convinto.
LUCIANO VIOLANTE. Signor ambasciatore, ho bisogno di sapere, prima di tutto, qual era il compito preciso della
struttura di cui lei faceva parte e quali rapporti intercorrevano
tra la sua struttura e quella del ministro dell'interno.
In
secondo luogo, vorrei sapere se i ritardi nella comunicazione del
numero, della composizione e dei desideri delle delegazioni hanno
comportato mutamenti nei piani che riguardavano l'ordine pubblico.
Terzo: vorrei sapere se ha colto una differenza tra il rapporto
con le organizzazioni non governative e il rapporto con il Genoa
social forum e, in particolare, se avevate avuto notizia delle
informazioni in possesso del Governo in ordine all'atteggiamento
delle varie componenti del Genoa social forum.
Infine,
vorrei chiederle, anche grazie alla sua vasta esperienza
internazionale, una valutazione su due «scarti». Il primo
è quello tra l'accuratezza con la quale il vertice è
stato preparato, anche dal punto di vista dell'ordine pubblico, e i
problemi concreti che si sono verificati. Inoltre, è un
paradosso - sulla base del quadro che lei ci ha fornito e che io non
ho nessuna ragione per criticare, contestare o non condividere - il
successo politico del vertice del G8 e, contemporaneamente,
l'immagine assolutamente deleteria che ha offuscato tutto. A suo
avviso, come si spiegano questi due scarti tra preparazione e
gestione da un lato e, dall'altro, tra esito politico ed esito
comunicativo del G8?
Infine, lei pensa che nel futuro questo tipo
di incontri debba essere modificato, anche nel rapporto con le
organizzazioni internazionali, al fine di collocarlo in un quadro
istituzionale più certo? Lo dico non per contestare il G8 -
lei sa che vi è anche stato un incontro tra i Presidenti delle
Camere dei paesi appartenenti al G8 qui a Roma -, quanto per inserire
questi risultati dentro un quadro internazionale più stabile,
duraturo e in grado di condurli ad esiti più certi.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore.
I compiti della struttura «Missione G8» - quella che fa
capo alla Presidenza del Consiglio e nei confronti della quale io ho
esercitato soltanto un'azione di supervisione - sono quelli di
organizzare il vertice, cioè di allestire le sale, prevedere
l'arrivo delle delegazioni, aiutarle a sistemarsi sul posto,
facilitare in tutti i modi lo svolgimento da parte loro di un'azione
che consenta ai Capi di Stato e di Governo, in un periodo così
concentrato, di toccare una serie di temi così vasti, in
maniera da consentire di arrivare a conclusioni significative. La
difficoltà di questi vertici risiede proprio in questo: fare
in modo che un gruppo di persone così numeroso che ruota
intorno ai capi di Stato e di Governo, possa, in un tempo
relativamente breve, consentire una discussione nella quale tutti
possano dire la loro opinione e giungere a delle conclusioni.
Ciò
che ha riscosso maggiore apprezzamento è stata proprio la
conduzione del vertice (vi tornerò ancora quando risponderò
all'altra domanda postami dal presidente Violante). Credo non si
possa negare che la struttura di missione abbia effettivamente
conseguito il risultato di far svolgere il vertice, nello spazio
della zona rossa (compreso tra la stazione marittima, il palazzo
Ducale e i Magazzini del cotone), in maniera tale che venissero
sviluppati tutti i temi da trattare, compresi quelli che per la prima
volta la delegazione italiana aveva voluto inserire e che, alla fine,
hanno molto complicato anche l'organizzazione: la riunione outreach,
le riunioni con i rappresentanti del mondo sindacale internazionale,
del mondo imprenditoriale internazionale sono state qualcosa in più
che ha arricchito due giornate che sarebbero state comunque già
piene ed estremamente assorbenti. Questi erano i compiti della
struttura, che riguardavano, naturalmente, tutti i membri delle
delegazioni, perché non potevamo aver cura soltanto dei Capi
di Stato e di Governo, ma, com'è precisato in queste guide
che ho davanti, dovevamo pensare anche a come fare in modo che i
membri di tutte le delegazioni, i rappresentanti dei media e tutti
gli altri potessero, in quel breve ma molto intenso periodo,
sviluppare nel modo migliore la loro azione.
Quali sono, invece,
i compiti del Viminale e i rapporti della struttura con il Viminale?
I rapporti con il Viminale sono stati sostanzialmente questi: ci
veniva chiesto - come accade in occasione di ogni vertice, da Seattle
in poi, a qualsiasi incontro internazionale - quali fossero le misure
di larga massima da adottare per assicurare che i Capi di Stato e di
Governo e i delegati potessero svolgere tranquillamente il proprio
lavoro. Quindi, c'è stato un rapporto nel quale chiedevamo e
ricevevamo risposta e a nostra volta la trasmettevamo.
LUCIANO VIOLANTE. C'erano interazioni?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. L'interazione è stata minima perché non abbiamo avuto alcuna capacità di influire sulla delimitazione della zona rossa...
LUCIANO VIOLANTE. Mi riferivo al fatto che una delegazione formata da 10 o da 100 persone cambia l'assetto dell'ordine pubblico e della sicurezza: credo che, man mano che ricevevate notizie, le comunicaste al Viminale e questo, di volta in volta, adattasse i piani. Dalle cose che ha detto ho ricavato questa impressione, ma vorrei avere certezze al riguardo.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Abbiamo sempre comunicato al Viminale l'evoluzione riguardante la situazione degli alloggi, delle sistemazioni e i numeri, ma, in realtà, grandi modifiche non si potevano apportare, essendo l'aeroporto
situato nella parte occidentale della città, gli alberghi
essendo quelli, le riunioni dovendosi svolgere comunque a palazzo
Ducale (che era stato già prestabilito come luogo di riunione)
e i Magazzini del cotone essendo l'unica grande struttura capace di
ospitare tutti i giornalisti convenuti. Una volta delimitata la zona,
non si poteva più modificare nulla. Si trattava di vedere dove
alloggiare tutte quelle persone e si è finito col farlo
distribuendo i giornalisti tra gli alberghi e i traghetti e le
delegazioni sulle navi, perché non c'era, fisicamente, altra
possibilità. Quindi, sin dall'inizio è stato chiaro -
per lo meno lo è stato nel periodo durante il quale ho seguito
da vicino questi problemi - che, delimitata la zona rossa, il nostro
compito era quello di risolvere i problemi indicati alla luce delle
disposizioni impartite dal Viminale.
Per quanto riguarda la
seconda domanda che il presidente Violante ha posto con specifico
riguardo al fatto che i ritardi nella definizione del numero e della
composizione delle delegazioni e dei loro alloggi avrebbe potuto
portare a modificazioni dei piani originari, non mi risulta che ci
siano state modifiche. Per quanto concerne, invece, la differenza di
rapporti che ci può essere stata tra le ONG, tradizionalmente
considerate nostri interlocutori, e il Genoa social forum, debbo
dire che le informazioni pervenuteci erano quelle di una continua
modifica, che poteva portare, che avrebbe portato, nel tempo, ad una
diversa rappresentazione di queste organizzazioni legate all'evento
di Genova. Non posso affermare che tali informazioni potessero
ingenerare l'idea di una metamorfosi dei nostri interlocutori
abituali - individuati nelle ONG - e di quelli che sarebbero poi
confluiti nel Genoa social forum. In quest'ultimo erano
presenti, come è stato ricordato poco fa, organizzazioni come
Lilliput, ARCI e così via, con le quali abbiamo dialogato
regolarmente.
Come spiegare lo scarto tra il successo politico del G8, che
indubbiamente c'è stato - ed è stato riconosciuto da
tutti nostri partners, dalle Nazioni Unite, dal Segretario generale
Kofi Annan, il quale non ne ha fatto mistero ed anzi ne ha parlato
diffusamente a Genova e in altre occasioni successive - e questa
immagine che, invece, ha prevalso, nei media - ovviamente -,
dell'ordine pubblico e degli scontri. Ebbene, è un po' la
stessa cosa che è successa, purtroppo, a Göteborg:
l'attenzione dei media finisce fatalmente per essere attratta
dal vandalismo, dalla guerriglia urbana, dalle tensioni.
LUCIANO VIOLANTE. Ricevevate informazioni dai Servizi?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Non in maniera specifica. Si aveva, del resto, una notevole informazione dai media. Il Secolo XIX ha rappresentato giorno dopo giorno, per mesi, su ciò che sarebbe accaduto a Genova, di quante organizzazioni sarebbero state presenti...
LUCIANO VIOLANTE. Mi riferivo proprio alle organizzazioni.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Debbo dire, presidente, che, per esempio, questa famosa espressione black bloc francamente l'ho sentita soltanto a Genova e non prima: è un'espressione che certamente mi avrebbe colpito, come credo abbia colpito tutti e che è venuta fuori quando ormai i manifestanti erano in piazza. Non ho mai sentito parlare di questi black bloc prima di quell'epoca. Avevo sentito parlare di alcune organizzazioni ed anche di alcuni slogan, quali: «Assediamone otto per liberare tutti!», oppure: «Dobbiamo entrare nella zona rossa!»; ho sentito cose di questo genere, ma quelli che le dicevano si guardavano bene dal dire che
avrebbero compiuto queste azioni usando violenza; anzi, molti
sottolineavano espressamente che le avrebbero compiute senza l'uso di
armi, con le mani nude.
Ora veniamo all'immagine, alla guerra
dell'immagine. Se consideriamo che erano presenti oltre 4.700
giornalisti, è lecito chiedersi se tutti costoro erano lì
per seguire i lavori del vertice o perché erano incuriositi da
quello che sarebbe potuto accadere nelle strade? Se facessimo un
esame dei rappresentanti dei giornali, delle televisioni...
FRANCO BASSANINI. È successa la stessa cosa a Napoli.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Non ne dubito affatto, senatore. Ho l'impressione che non ci fosse realmente interesse, da parte di molti rappresentanti della stampa, a seguire i lavori del vertice. C'erano certamente quelli che si occupano di politica estera, dei problemi dello sviluppo, dei problemi dell'ambiente, dei problemi in generale della sicurezza alimentare, dei problemi dell'e-government; certamente c'erano dei corrispondenti molto attenti e molto competenti in tali materie. Credo, però, che anche l'idea di andare a Genova d'estate - perché parliamo di un periodo estivo, per lo più di vacanza - per vedere cosa sarebbe accaduto abbia animato molti rappresentanti della stampa. Di qui il paradosso, lo scarto tra un vertice che ha sorpreso tutti i delegati ed in particolare i Capi di Stato e di Governo - i quali hanno tenuto a manifestare al Presidente Berlusconi, nel corso di tutta la riunione, la loro ammirazione per l'organizzazione - e l'immagine che ne è risultata. Tra l'altro, voglio ricordare che sono stati portati a termine lavori in 19 cantieri, sono state rifatte 21 facciate di palazzi di via Gramsci: Genova è una bellissima
città; lo era anche prima, ma è ancora più
bella oggi e, per fortuna, i danni che ha sofferto non sono poi così
gravi come erano apparsi dalle prime immagini televisive.
Sono
stati realizzati lavori molto importanti soprattutto alla stazione
marittima dove è ora in corso, e lo sarà ancora per
qualche settimana, una mostra di opere d'arte della raccolta della
Farnesina, raccolta che ci è stata chiesta dal sindaco Pericu,
dal presidente Biasotti e da Marta Vincenzi. Si tratta di una vera e
propria galleria nazionale d'arte moderna.
Si è dunque
trattato di interventi tesi a rappresentare l'Italia di oggi, non
abbiamo soltanto restaurato il palazzo Ducale, che è uno dei
più bei palazzi d'Italia, ma abbiamo fatto vedere, soprattutto
nella stazione marittima, ciò che, oggi, c'è di più
tecnologicamente avanzato in Italia. Abbiamo ricevuto i complimenti
del primo ministro giapponese, Koizumi, per la realizzazione di una
rete informatica che consentiva a tutti i delegati ed a tutti i
giornalisti di avere accesso, in tempo reale, a qualsiasi conferenza
stampa ed a qualunque documento preparatorio del vertice, a qualsiasi
dichiarazione ed a qualunque fatto che si riferisse, in qualche modo,
all'agenda del G8. Tutto ciò è stato però, come
ha detto il presidente Violante, in buona parte offuscato dai fatti
che riguardano l'ordine pubblico. Spiegherei in questo modo il
divario che ci è stato.
Le manifestazioni di solidarietà
che immediatamente, in apertura del vertice, ci sono state, non
appena si sono manifestati gli scontri e prima ancora di quella
perdita di vita umana, hanno fatto pronunciare a tutti i Capi di
Stato e di Governo parole di grande solidarietà ed appoggio al
Capo del Governo italiano, così come ai rappresentanti della
città e della regione Liguria ed agli abitanti di Genova. C'è
stata un'unanime condanna della violenza ed un'espressione forte di
appoggio e di solidarietà per ciò che stava
accadendo. Tale condanna è stata ripetuta il giorno dopo, in
apertura di riunione. Il secondo giorno, infatti, di nuovo, il
presidente Chirac, il presidente Bush e gli altri hanno voluto una
dichiarazione di condanna, a nome del G8, di ciò che stava
accadendo a Genova, e, con questa, il rifiuto dell'inerzia di fronte
a fenomeni che nulla hanno a che vedere con l'espressione del
dissenso e con una manifestazione civile di opposizione. Allo stesso
tempo hanno discusso di come agire in futuro.
La scelta del
prossimo presidente di turno del G8, Jean Chrétien, è
stata quella di tenere il vertice in un luogo piuttosto isolato, con
un'unica via di accesso, nelle Montagne rocciose. È una
soluzione: decidere di tenere il vertice laddove non siano possibili
manifestazioni di vandalismo che mettano in pericolo vite umane e di
diritti fondamentali delle persone a vivere in pace ed in
tranquillità e a non vedere se stessi o le rispettive
proprietà esposte a rischi.
Altra soluzione che è
stata discussa è stata quella di tenere questi vertici in una
cornice istituzionale stabile, non seguendo questa forma di
diplomazia peripatetica per cui ci si incontra una volta in un luogo,
un'altra volta in un altro, ma cercando, piuttosto, di concentrare le
riunioni in alcune sedi deputate a tale fine. Questa linea di
riflessione va avanti.
Una terza strada che non è
alternativa ma accessoria, parallela a queste due, è quella di
migliorare i sistemi di informazione tra i servizi di intelligence,
istituire una banca dati sugli attori e gli organizzatori di queste
manifestazioni violente, cercare di mettere insieme un sistema di
controllo alle frontiere più efficace in occasione di queste
riunioni, creare una maggiore cooperazione giudiziaria internazionale
in occasione di vertici di questo tipo, definire delle regole per
il mantenimento dell'ordine pubblico, formare delle forze di
polizia meglio adeguate a fronteggiare fenomeni di questo tipo e poi
la diffusione delle migliori prassi, le best practices, cioè
uno scambio di informazioni su ciò che si impara in queste
occasioni.
Un'altra corrente di pensiero porta invece a mantenere
aperto un dialogo con le organizzazioni non governative, a capire le
preoccupazioni e le attese di tanta parte della società civile
che ha un interesse reale a vedere discussi questi temi e cercare di
svolgere un'azione di informazione presso i media e presso
coloro che si fanno, poi, portavoce dell'azione dei Governi, perché
vengano meglio compresi gli obiettivi di queste riunioni.
Spero
di aver risposto alle sue domande.
PIERLUIGI PETRINI. Buongiorno
ambasciatore; le domande che avevo intenzione di rivolgerle sono già
state poste. Le risposte, tuttavia, invece di soddisfarmi, hanno
generato in me perplessità che ora le esporrò. Non si
tratta quindi di domande: veda se riesce, in qualche modo, a
confutarle.
La prima è la seguente: mi sembra che lei
cerchi di sminuire il ruolo del Ministero degli affari esteri e
specificatamente il suo ruolo in questa situazione. Lei dice che il
Ministero degli esteri ha incentrato la propria attenzione sulla
definizione dei temi e sull'organizzazione, in genere, del G8, e
tuttavia c'è un decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri che delega il Ministero degli affari esteri ad esercitare i
compiti del Presidente del Consiglio stesso concernenti l'attuazione
della legge n. 149 del 2000 avvalendosi della struttura di missione;
quindi il Ministero degli affari esteri diventa, a tutti gli effetti,
il soggetto responsabile della organizzazione del G8. D'altra parte è
difficile pensare che si possa disgiungere l'organizzazione in senso
stretto da quelli che sono i problemi
dell'ordine pubblico; le due cose vanno necessariamente insieme,
tant'è vero che nella struttura di missione afferiscono tutte
le competenze di questo tipo. A riprova di questo, noi abbiamo un
documento del prefetto di Genova che ci dice che, prima ancora di
convincere le delegazioni estere ad accettare la soluzione
dell'alloggio navale, è stato lei il proponente di questa
soluzione. Il prefetto ci dice che il Segretario generale del
Ministero degli affari esteri ha proposto la soluzione delle navi
albergo per le delegazioni ed è quindi chiara la sua
preoccupazione e competenza in ordine ai problemi non soltanto
logistici ma anche di ordine pubblico, perché logistica e
ordine pubblico, in questo caso, sono tutt'uno.
A dimostrazione
di ciò vale ancora il fatto che sia stato il Ministro degli
affari esteri - e precisamente il ministro plenipotenziario Achille
Vinci Giacchi - ad incaricare l'architetto Paolini del rapporto con
le organizzazioni non governative, sempre per questo motivo. Allora
risulta altrettanto chiaro che, nel momento in cui da parte del
ministro degli affari esteri lei viene nominato supervisore, in
qualche modo ella diventa la massima autorità ed ha la massima
responsabilità nell'attuazione del G8.
La seconda
perplessità riguarda il modo in cui sono state condotte queste
trattative. Pensare che fosse possibile convincere i manifestanti
della bontà degli intenti del G8 mi sembra utopistico per
usare un termine - diciamo - non offensivo. Come diceva il senatore
Bassanini, è chiaro che vi è una contestazione radicale
in ordine allo stesso G8, cioè viene contestata in generale,
in modo primario questa enorme diseguaglianza nella distribuzione
delle ricchezze che il vertice del G8 - che un po' impudicamente si
chiama riunione degli otto grandi - rappresenta; quindi in questo
senso, la contestazione è radicale.
Un rapporto - peraltro doveroso e positivo - con queste
organizzazioni e con questi contestatori, era necessario, ma non in
quei termini. Bisognava stabilire il modo in cui essi potessero
rappresentare la loro contestazione in modo comunque controllabile
per l'ordine pubblico e per la struttura.
Sostanzialmente è
questa la mia perplessità: come si poteva pensare che
un'assicurazione da parte di un mondo così evanescente,
magmatico, privo di una struttura gerarchica definita, potesse in
qualche modo risolvere la situazione nel momento in cui c'erano delle
informazioni e delle esperienze - vedi Göteborg - le quali ci
dicevano che queste manifestazioni sarebbero state parassitate da
componenti che avevano come primario obiettivo la violenza? Da qui
derivano le mie perplessità.
PRESIDENTE. Grazie senatore, le ricordo che è terminato il tempo assegnato al suo gruppo.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore.
Signor presidente, ringrazio il senatore Petrini per aver voluto
porre queste domande.
Non credo di aver fatto nulla per dare
l'impressione di voler sminuire il ruolo del Ministero degli affari
esteri ed il mio personale, anzi credo di aver rivendicato proprio
alla Farnesina e all'azione che ho potuto svolgere in quei due mesi
un ruolo particolarmente significativo. Praticamente eravamo arrivati
alla prima metà di aprile e non sapevamo neppure dove avremmo
potuto sistemare le delegazioni. Alle proposte fatte precedentemente,
non da me, ma dalla missione di struttura - prima che io mi occupassi
di questi problemi - di prendere alloggio sulle navi, tutte le
delegazioni avevano risposto in maniera negativa. Io non ho proposto
di portare le delegazioni sulle navi, ma poi sono riuscito a
convincerle ad
alloggiarvi, mentre altri non ci sono riusciti. Vorrei chiarire che sono stato io, dall'inizio, a negoziare prima con i francesi poi con gli altri. Francamente non vedevo soluzioni alternative. Ho ricordato poco fa la scarsa ricettività alberghiera di Genova: non so che cosa sarebbe successo se non fossimo riusciti a portare le delegazioni sulle navi. Ribadisco comunque che non si può affermare che sia stato io a proporre di utilizzare le navi per alloggiare le delegazioni.
PIERLUIGI PETRINI. Questo lo ha detto il prefetto.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Ripeto che io non ho fatto nulla per affittare le navi - ringrazio chi lo ha fatto -; so soltanto che i tentativi di convincere le delegazioni a prendervi alloggio erano tutti falliti finché ho cominciato ad occuparmene personalmente. Non vorrei sminuire il mio ruolo, poiché credo che sia stato abbastanza significativo.
PIERLUIGI PETRINI. Ho usato questa argomentazione proprio per affermare che...
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore.
Benissimo, la ringrazio! L'ordine pubblico certamente non è un
compito che spetta alla Farnesina, non ce ne siamo mai occupati,
forse potremmo occuparcene in futuro, ma certo non oggi.
La
Farnesina non si occupa di ordine pubblico. Noi prendiamo atto di
quello che fa chi si occupa di ordine pubblico, possiamo anche dare
dei suggerimenti, ma non possiamo assumerci responsabilità...
MARCO BOATO. Sarebbe extra legem.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Signor presidente, se permette vorrei rispondere. Ho dichiarato dall'inizio che era
presente un prefetto nella struttura di missione, che poi fu
successivamente sostituito. Il prefetto che fa parte della struttura
di missione dialoga con il proprio dicastero, quindi fa riferimento a
quanto gli viene detto dal Viminale per fare le sue considerazioni.
Una volta definita la zona rossa, posso dire che con questa non
abbiamo avuto niente a che vedere, l'abbiamo vista solamente
disegnata; bisognava semplicemente trovare il modo di risolvere i
vari problemi che, tra l'altro, abbiamo risolto molto bene. Come
molti forse avranno notato, anche seguendo i programmi televisivi,
l'arrivo al palazzo Ducale si è svolto con una precisione
raramente raggiunta. Tutte le delegazioni sono arrivate, sono state
accolte e portate nella sala di riunione; tutto si è svolto in
maniera assolutamente perfetta.
Noi ci assumiamo tutte le
responsabilità come Ministero degli affari esteri per aver
svolto una supervisione affinché il vertice si svolgesse con
successo. Credo che da questo punto di vista noi abbiamo raggiunto il
nostro obiettivo. Non posso sostenere che la presenza nella struttura
di missione - che, come ha ricordato il senatore Petrini, passava
effettivamente dalla supervisione della Presidenza del Consiglio a
quella del Ministero degli affari esteri - abbia avuto un'influenza
ai fini della sicurezza, perché la presenza nella struttura di
un funzionario del Viminale non vuol significare che egli prendesse
ordini da noi o che noi fossimo in grado di dargli istruzioni. Come è
stato appena detto dall'onorevole Boato, avremmo agito extra
legem.
Il senatore Petrini ha fatto un accenno alla presenza
nella struttura di missione dell'architetto Margherita Paolini, che
io ho avuto modo di conoscere e di incontrare più volte
durante il periodo in cui mi sono occupato del vertice.
MARCO BOATO. Lo avevo chiesto anch'io prima.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore.
Mi scuso: avevo dimenticato di riprendere questo punto.
L'architetto Paolini credo abbia svolto un'azione molto attenta, ben
fatta ed intelligente di collegamento con le organizzazioni non
governative. Ha anche riferito regolarmente ed aiutato a capire
l'eterogenea composizione che avevamo davanti. L'affermazione secondo
la quale noi abbiamo agito forse con eccessiva aspettativa, in
maniera utopistica, con delle organizzazioni - è stato detto
prima - che potevano avere obiettivi molto radicali, ambigui ed
altro, non è da me del tutto condivisa.
Io stesso, ad
esempio, ho avuto occasione di incontrare ONG cattoliche che il 7
luglio, a Genova, hanno presentato un manifesto: mi hanno chiesto di
commentarlo e di esprimermi in merito ad esso. Non potevo non
approvare quasi completamente il contenuto di quel manifesto, con il
quale si chiedeva, ad esempio, un processo credibile ed autentico di
riforma delle Nazioni Unite: l'Italia è in prima linea
riguardo questa richiesta; ci si chiedeva di affrontare tutti i
conflitti, anche quelli interni: grazie a noi sono stati inseriti,
nella discussione del vertice, due temi ai quali non aveva mai
pensato nessuno. Il primo tema riguarda il ruolo delle donne nei
conflitti (donne, quindi società civile), perché finora
la donna era stata considerata solamente come vittima nei conflitti
civili, mentre è un soggetto attivo per il ruolo che svolge
nella famiglia, come educatrice, perché sostiene gli aspetti
più drammatici di un conflitto. Abbiamo inoltre inserito nella
discussione del vertice la questione del ruolo delle imprese private
nei conflitti, perché riteniamo che sarebbe necessario aiutare
la destinazione degli investimenti a scopi di sviluppo sociale, così
come l'adozione di un codice di condotta che favorisca lo sviluppo
sostenibile. Abbiamo detto che volevamo rafforzare il ruolo della
società civile nelle aree
di conflitto: questo ci veniva chiesto dalle organizzazioni cattoliche, dal loro manifesto, che non ho potuto non condividere. Tali organizzazioni ci chiedevano di combattere il mercato delle armi, di fornire maggiori informazioni su tutte le operazioni di vendita e di acquisto e di non destinare ad esse nessuna copertura finanziaria pubblica: abbiamo detto loro che in tema di vendita di armi l'Italia è all'avanguardia, è il paese che più rigorosamente pone limiti, quello che cerca di esercitare la maggiore trasparenza. Il manifesto cattolico citava i problemi dell'ambiente: non potevo non condividere il contenuto del protocollo di Kyoto, così come la necessità di aumentare l'aiuto pubblico allo sviluppo o di combattere la malnutrizione e le epidemie. Non posso dunque condividere una illustrazione dell'attività delle ONG esclusivamente negativa, perché con molte di esse lavoriamo regolarmente: ne ho parlato più volte con il cardinale Tettamanzi, con il professor Riccardo Moro, con il professor Ferrucci e con molti altri. Non credo che quello delle associazioni sia un universo solo magmatico, dalle strutture non definite...
PIERLUIGI PETRINI. Parlavo del Genoa social forum, ambasciatore, non mi faccia dire quello che non ho detto...
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore.
Senatore, è stato ricordato che anche nel Genoa social
forum esistono organizzazioni come Lilliput od altre, con le
quali dialoghiamo regolarmente.
Vorrei anche ricordare che, in
occasione del vertice organizzato dalla Repubblica federale tedesca a
Colonia, si tennero delle grandiose manifestazioni di ONG che
chiedevano l'annullamento totale o parziale dei crediti vantati dai
paesi del G8 nei confronti di quelli in via di sviluppo: queste non
furono per niente «parassitate» - uso l'espressione
impiegata dal
senatore Petrini - da organizzazioni violente. Non credo, quindi, che sia utopistico il tentativo di dialogare con queste ONG, ritengo anzi che esse abbiano portato in prima linea attese della società civile, di cui i Governi debbono farsi carico e che abbiamo il dovere di approfondire insieme, non di scartare e di allontanare. Certo, ha ragione il senatore quando parla...
PIERLUIGI PETRINI. Non ho mai detto che è utopistico un dialogo con le organizzazioni non governative...
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore.
Mi scusi se ho dato questa impressione, senatore.
Parlando
delle trattative che abbiamo condotto, mi sembrava di aver colto
nelle sue parole che fosse utopistico da parte nostra pensare che si
potesse dialogare con organizzazioni radicali. Credo che lo stesso
Genoa social forum rappresenti una realtà più
variegata di quanto non appaia. Chiedo scusa perché forse ho
parlato troppo a lungo.
GRAZIA LABATE. Ambasciatore Vattani, premesso che chi le parla è anche deputato di Genova ed ha quindi seguito con particolare attenzione la sua relazione riguardo le modalità con cui è stato preparato il vertice, desidero soffermarmi sulla riunione del 28 giugno tenutasi alla Farnesina con i rappresentanti del Genoa social forum. Il collega Soda ed altri, tra i quali l'onorevole Boato, le avevano chiesto se si era a conoscenza dei partecipanti a quella riunione. Sono rimasta molto impressionata nel notare nell'elenco anche la sigla Ya basta!: durante questo faticoso lavoro di agosto - convinti tutti di svolgere bene il nostro lavoro istituzionale per giungere ad un obiettivo di verità - abbiamo letto molto attentamente sia i fascicoli che ci sono stati forniti dalle strutture che hanno
provveduto alle questioni di ordine pubblico, sia un ricco
materiale - anche riservato - che ognuno ha studiato con attenzione,
rispettandone la riservatezza. Dal materiali pervenuto apprendiamo -
poiché troviamo le date e i soggetti a cui viene inviato un
rapporto poderoso del gabinetto della questura di Genova e relazioni
a livello di intelligence, svolte addirittura dal 2000 fino ai
giorni del vertice G8 - che nei mesi di maggio e di giugno alla
Presidenza del Consiglio, struttura della missione, alla Farnesina,
oltre che al Viminale, vengono fornite ampie analisi circa la natura
dei movimenti. Per questo ho avuto un sussulto nel vedere la sigla Ya
Basta! compresa nell'elenco dei presenti a quell'incontro: nelle
analisi, la troviamo nel blocco giallo, con un fitto elenco di azioni
violente che si suoi aderenti sarebbero apprestati a compiere nella
nostra città.
L'altra domanda riguarda il fatto che
abbiamo notizia che, dopo la riunione del 28 giugno le trattative
sono proseguite fino all'ultima riunione del 14 luglio. Mi
permetterei di chiederle (se lei è in grado di rispondermi),
quali garanzie si sono ottenute dal movimento, e da chi, riguardo
l'atteggiamento non violento. Gradirei sapere se da quelle trattative
siano emerse maggiori elementi di chiarezza o di sicurezza per i
vertici centrali dello Stato.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Circa la riunione del 28 giugno alla Farnesina, credo di aver riferito poco fa che sapevamo solo che sarebbe arrivato un certo gruppo, ma soltanto quando si sono presentati - non sapevamo neppure esattamente chi fossero, perché conoscevamo solamente due persone - abbiamo progressivamente compreso che avevamo di fronte diverse componenti... (Interruzione del deputato Boato). Forse avevano indicato la delegazione, ma per noi quei nomi non significavano molto, non eravamo in grado di
comprendere esattamente la situazione. Abbiamo ascoltato,
naturalmente, le loro posizioni: non posso parlare di garanzie, ma
certamente i rappresentanti del Genoa social forum presenti
alla Farnesina il 28 giugno fornirono rassicurazioni che non ci
sarebbero stati atti di violenza e che anzi, consentendo loro di
manifestare pacificamente, si sarebbe determinato un isolamento dei
violenti e si sarebbe facilitato lo svolgimento di eventi di
carattere pacifico anche se, naturalmente, di dissenso e
contestazione riguardo lo svolgimento del vertice del G8. Dopo il 28
giugno, come Farnesina, non abbiamo più avuto occasioni di
incontrare il Genoa social forum.
Per parte mia, ho
riferito poco fa che ad un incontro che ebbi, su loro richiesta, con
le associazioni cattoliche al teatro Carlo Felice di Genova...
MARCO BOATO. È stato anche animato!
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. È stato animato, però devo dire che si è svolto tutto in maniera molto positiva, anche se la stampa certe volte sottolinea alcuni aspetti e non altri. Nel corso di tale incontro mi fu consegnato il manifesto a cui ho fatto riferimento poco fa, che del resto, ho potuto commentare, molto favorevolmente per la maggior parte dei punti che sollevava.
GRAZIA LABATE. Scusi presidente, non intendo fare una nuova domanda, ma vorrei che l'ambasciatore Vattani, avendo detto che non era a conoscenza neanche del blocco nero, rispondesse alla mia domanda cioè se era a conoscenza di questo documento che faceva parte del materiale dell'ordinanza, in cui i blocchi erano tutti ben definiti.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Non ne ero a conoscenza.
MARIA CLAUDIA
IOANNUCCI. La ringraziamo, ambasciatore, per la sua chiara relazione
e per le esaustive risposte che lei ha dato alle nostre domande.
Lei
ci ha già riferito che il ritardo nelle indicazioni delle
delegazioni non ha minimamente turbato la preparazione che era già
avvenuta, in quanto la zona rossa e l'indicazione dei punti
strategici in cui si sarebbe dovuto svolgere il vertice, erano già
individuati. Però, mi ha colpito un aspetto: fino ad aprile
2001, nulla o poco si sapeva, delle indicazioni delle delegazioni.
Mi domando, allora, visto che è stato incaricato proprio
in quella data, se lei abbia informato continuamente - così
come penso sarebbe dovuto avvenire - sia il ministro degli esteri
Dini, sia il ministro dell'interno, sia il Presidente del Consiglio
Amato, dei ritardi che si stavano registrando e se i ministri ed il
capo del Governo, nell'ambito dei loro poteri e delle loro
competenze, siano intervenuti presso gli Stati stranieri affinché
accelerassero le procedure di competenza perché poi il vertice
si potesse svolgere nella massima tranquillità. Mi domando,
quindi, se vi siano state omissioni sotto tale profilo.
Un'altra
domanda che mi pongo - visto che lei ha riferito che nella relazione
del G8 era stata inserita la remissione dei debiti, nonché
l'erogazione di contributi per combattere la malnutrizione, per la
cura delle malattie od altro - e dato che erano sorti dubbi in
proposito - è se la remissione dei debiti dovesse avere poi
una legittimazione democratica da parte di altri organismi o se fosse
sufficiente che essa avvenisse da parte dei creditori. Allo stesso
modo, mi domando se la raccolta e l'erogazione dei contributi per la
malnutrizione e la cura delle malattie avrebbero compromesso o
delegittimato il
potere e le competenze degli Stati interessati qualora fossero avvenute per iniziativa degli Stati più ricchi, ossia quelli del G8.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore.
Quando ho iniziato a seguire i problemi dell'organizzazione del G8,
non ho avuto bisogno di informare il ministro Dini o il Presidente
del Consiglio Amato, perché sapevano prima di me che non si
era riusciti, fino a quel momento, a far salire a bordo nessuna
delegazione. Avevamo avuto, infatti, delle risposte negative da parte
di tutti. Quindi, non c'era bisogno da parte mia di informare
qualcuno, che in realtà già informava me di questo.
Con riferimento al problema degli interventi, posso dire che
certamente furono fatti interventi ed altro ancora. Ricordo il
periodo: eravamo in fase quasi pre-elettorale. Da parte dei
rappresentanti di questi paesi c'era una netta preferenza - come mi
pare di aver già ricordato - per sistemarsi, come è
sempre avvenuto, ciascuno nel proprio albergo. Questa, infatti, è
stata la prima volta in cui siamo riusciti a riunirli tutti insieme,
perché, normalmente, la regola è un'altra: ogni
delegazione sceglie il proprio albergo e lì si stabilisce.
Quindi non c'è nulla di strano; piuttosto, è curioso
essere riusciti a farli convivere tutti nella stessa nave.
Per
quanto riguarda i temi del G8, ricordati dalla senatrice Ioannucci,
vorrei dire che le decisioni assunte nel quadro del G8 sono decisioni
che ciascun paese si impegna a mantenere e ad attuare attraverso
procedure che spesso, come ha ricordato la senatrice Ioannucci, sono
tipiche di altre organizzazioni internazionali. Per quanto riguarda,
per esempio, l'importante fondo che è stato costituito per la
lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria, l'Organizzazione
mondiale della sanità avrà un ruolo molto importante
nel valutarne i principi di attuazione. Per quanto riguarda la
cancellazione
dei debiti, parimenti, le procedure relative si realizzano nell'ambito di altre organizzazioni internazionali in cui vengono registrati gli impegni dei singoli paesi del G8 e vengono poi definite alla Banca mondiale o al Fondo monetario o al Club dei dieci a Parigi.
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Scusi presidente, non intendo fare un'altra domanda, ma solo chiedere all'ambasciatore Vattani se di questi interventi, che ci dice ci siano stati da parte del Governo Amato, vi siano atti o documenti che ne diano la dimostrazione.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Gli interventi di questo tipo avvengono per via diplomatica, agendo direttamente sugli ambasciatori accreditati a Roma, oppure attraverso la nostra rete diplomatica nei paesi del G8; possono avvenire per nota verbale, così pure, come sono anche avvenuti all'inizio da parte mia, partecipando a riunioni degli «sherpa». Questi, sono i nostri normali modi di agire nei confronti degli altri Stati per rappresentare le nostre attese. Ci sono, dunque, certamente e sono stati fatti ripetutamente.
PRESIDENTE. La collega Labate prima
ha chiesto all'ambasciatore se era a conoscenza delle tute bianche e
dei rappresentanti di Ya basta! Questa sera avremo un identico
problema, perché nella lettera di convocazione al dottor
Agnoletto lo stesso ci ha chiesto di essere accompagnato da quattro
persone, tra le quali anche Chiara Cassurino che dovrebbe essere la
legale rappresentante o la portavoce di Ya basta! Poiché
dobbiamo decidere circa l'ammissione o meno di queste persone, la
prego di riferire al suo capogruppo al fine di valutare insieme
l'ammissibilità o meno.
Mi scuso con il senatore Petrini,
perché ha ancora a disposizione un minuto.
Posso dunque dare, ma solo per un minuto, la parola al collega
Sinisi.
GIANNICOLA SINISI. Dalla stampa del 14 luglio leggo che il ministro degli esteri prosegue l'iniziativa del dialogo, incontra settanta ONG e riscontra un'apertura mai verificata in altri vertici da parte dei manifestanti. Le chiedo, ambasciatore, se c'è stato questo incontro il 13 luglio con settanta ONG ed eventualmente con quali ed, inoltre, quali sono state le conclusioni di tale incontro.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Personalmente di questo incontro ho letto solo sulla stampa, perché in quei giorni ero fuori, a Genova. Non ricordo se avvenne ai margini di una riunione internazionale alla quale partecipò il ministro Ruggiero. Potrei verificare, ma, ripeto, non ero a Roma e credo di ricordare che forse si svolse proprio ai margini di una riunione internazionale, forse a Roma o all'estero, ma non ricordo.
FRANCESCO NITTO PALMA. Le rivolgo una sola domanda, concordata con il nostro capogruppo, onorevole Saponara, che è stata già formulata dal presidente Violante e poi, con un successivo approfondimento, dal senatore Petrini. Sostanzialmente lui ha già risposto dicendo di non avendo ravvisato, al di là della composizione numerica o di altre caratteristiche, rilevanti differenze tra i contatti tenuti in precedenza con le organizzazioni governative e quelli avuti successivamente con il Genoa social forum, all'interno del quale erano ricomprese anche organizzazioni non governative (che, per prassi, si rapportano con voi). Tra l'altro, i contatti con il Genoa social forum, avevano avuto inizio nell'aprile 2001, quando era ancora in carica il Governo Amato. La mia domanda ha lo
scopo di chiarire se - come ha detto il presidente Violante - dalle forze dell'ordine vi fossero giunte notizie su tale organizzazione. In particolare: quando avete tenuto le riunioni con il Genoa social forum, alle quali lei ha partecipato, presso il Ministero degli affari esteri e in altre occasioni, eravate a conoscenza, dalle intercettazioni telefoniche, dalle acquisizioni informative e dalle investigazioni che erano in corso, che era stato acclarato che talune componenti, facenti capo al cosiddetto blocco giallo inserito nel Genoa social forum, avevano organizzato e deciso azioni violente nel corso del summit e che di conseguenzas - specialmente dopo la vittoria del centrodestra nelle elezioni politiche - i rapporti con il Genoa social forum erano da considerarsi non affidabili?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore.
Mi sembra di aver detto che con il Genoa social forum è
stata fatta una sola riunione, in occasione dell'incontro alla
Farnesina con i ministri Ruggiero e Scajola, e non confermo che mi
fossero giunte informazioni dell'esistenza di frange più
violente tra di loro; infatti, se fosse stato così, il nostro
comportamento sarebbe stato diverso - come ha ricordato un momento fa
il presidente - perché ci saremmo posto almeno il problema.
Ho voluto ricordare l'evoluzione di questo dialogo, essendo
sempre stato presente - nel corso di tutta la presidenza italiana -
il rapporto con la società civile e ritenendo importante -
prima ancora che entrassi in scena con la preparazione del vertice -
il confronto con tali associazioni, che comunque continueremo ad
avere anche dopo quello che poi è accaduto.
Che si veda la
nascita di una rappresentanza di queste organizzazioni è un
fatto puramente volontario; dall'enorme galassia di ONG, si arriva da
746 persone a 10 persone. È un processo interno che si svolge
lentamente (alcuni emergono,
altri scompaiono, e non è detto che coloro che emergono, debbano poi essere sempre presenti). Quindi, conoscere che cosa esattamente pensano gli interlocutori - come per esempio è avvenuto durante quella riunione - non si può che prendere at face value, cioè per quello che essi dicono. Non abbiamo infatti elementi per mettere in dubbio ciò che dicono. Abbiamo preso atto delle assicurazioni date sulla loro intenzione di organizzare manifestazioni pacifiche, con un alto numero di partecipanti durante le giornate del vertice e in zone che non fossero del tutto insignificanti. Se, infatti, avessimo proposto loro di farle a Valenza Po, sicuramente non ci avrebbero preso in considerazione.
LUCIANO VIOLANTE. Con tutto il rispetto per Valenza Po.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Sì, con tutto rispetto per Valenza Po, che è una ridente e bellissima cittadina.
PIERLUIGI PETRINI. Chiedo di parlare per una precisazione.
PIERLUIGI PETRINI. La risposta dell'ambasciatore alla mia domanda mi ha suscitato, seppure indirettamente, pensieri a me estranei. Non ho mai affermato che la Farnesina avesse o dovesse avere competenze di ordine pubblico: questo è ovvio. Ho invece affermato che la Farnesina presiedeva quel momento di coordinamento fra le varie competenze, rappresentato dalla struttura di missione. Inoltre, non ho mai affermato che sia utopistico, e quindi inutile, un rapporto dialogico con le organizzazioni non governative: il mio pensiero è esattamente l'opposto ed ho grande stima di esse. Ho affermato, invece, che fosse utopistico un dialogo volto a convincere il
mondo dell'anti-global della bontà del G8 (contestando esso direttamente la stessa essenza del G8) e che fosse altrettanto utopistico pensare di ottenere, da una struttura così evanescente come il Genoa social forum, rassicurazioni sull'ordine pubblico.
PRESIDENTE. Sicuramente il resoconto stenografico dell'odierna seduta terrà opportunamente conto delle sue precisazioni.
MARCO BOATO. Desidereremmo avere i documenti dell'incontro.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Certamente, vi consegnerò al più presto il manifesto e il comunicato finale del vertice.
LUCIANO VIOLANTE. Esistono i verbali della struttura di missione?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Posso chiedere al ministro Vinci Giacchi, che è il presidente della struttura di missione.
PRESIDENTE. Ringrazio
l'ambasciatore Umberto Vattani, rinnovando la richiesta di farci
pervenire al più presto i documenti che si è riservato
di mettere a disposizione del Comitato.
Sospendo brevemente la
seduta.
La seduta, sospesa alle 12,20, è ripresa alle 12,35.
Audizione del ministro plenipotenziario Achille Vinci Giacchi.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno
reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in
occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del ministro
plenipotenziario Achille Vinci Giacchi.
Prima di dare inizio
all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura puramente
conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità delle sedute
del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste
dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono
la resocontazione stenografica delle seduta.
La pubblicità
dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti
il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a
circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento
dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo
l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Ministro
Vinci Giacchi, la ringrazio personalmente e a nome del Comitato per
aver accettato l'invito di riferire sui fatti di cui è a
conoscenza relativamente al vertice G8 di Genova. Lei mi ha
anticipato di non aver preparato una relazione: le chiederei comunque
di illustrarci il compito da lei svolto in relazione al vertice.
ACHILLE VINCI GIACCHI, Ministro plenipotenziario. Signor presidente, onorevoli membri della Commissione di indagine parlamentare, sono il responsabile della struttura di missione della Presidenza del Consiglio per l'organizzazione dell'anno di presidenza italiana del G8 e del vertice di Genova. Sottolineo in modo breve questo punto, in quanto la struttura di missione ha il compito di organizzare l'intero anno di
presidenza : non si tratta quindi solo della pianificazione del
vertice di Genova, ma anche della predisposizione di tutte le
riunioni preparatorie a livello funzionari e di quelle successive al
vertice di Genova per dare attuazione alle indicazioni che il vertice
stesso ha fornito ai ministeri interessati. Ricordo che la presidenza
del G8 dura un anno e che il 31 dicembre passerà, in ordine
alfabetico, al Canada.
L'istituzione della struttura di missione
ha innovato leggermente rispetto alla prassi che tradizionalmente
lasciava al Ministero degli esteri l'organizzazione di questo tipo di
riunioni. Si decise ciò in base al fatto che la nuova
disciplina dell'organizzazione della Presidenza del Consiglio
consente l'attivazione immediata di una struttura con poteri, direi,
quasi da commissario di Governo, il che permette al titolare della
struttura stessa di disporre di una contabilità speciale e di
agire, in termini economici, molto rapidamente (sperando di trovare
il vaglio della Corte dei conti nel momento in cui rendiconteremo la
nostra attività). Ciò ha sicuramente consentito alla
struttura di fornire risposte immediate a tutte le esigenze che si
sono presentate, nonché ha permesso di adattare in corsa le
decisioni assunte, come veniva suggerito dal procedere degli eventi.
Sottolineo anche questo particolare perché, ad esempio, la
riunione dei ministri degli esteri, che era stata originariamente
prevista a Portofino all'antivigilia del vertice, venne poi
trasferita a Roma per ragioni di opportunità e per le
complicazioni logistiche che questa avrebbe comportato: ebbene, il
fatto di disporre di una struttura agile anche sul piano
amministrativo ha consentito di rispondere a questo tipo di esigenze.
La struttura di missione è composta, oltre che dal
sottoscritto, da una serie di funzionari designati dalle
amministrazioni interessate; in particolare, ricordo che è
stato sempre
presente un responsabile del Ministero dell'interno, cioè
il prefetto Aldo Gianni, fino al 30 giugno e di seguito, causa il
raggiungimento del limite di età da parte di questo, il
prefetto Andreassi.
La struttura di missione agiva quasi come un
consiglio di amministrazione, nel senso che i componenti si riunivano
periodicamente, si informavano sui fatti che venivano maturando per
poi ciascuno riferire al proprio ministero per la parte di propria
competenza. Inizialmente alla struttura di missione venne
raccomandato di integrare tra i propri componenti una persona di cui
avete sentito sicuramente parlare, cio&