PARLAMENTO ITALIANO |
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Seduta di Giovedì 6 settembre 2001 |
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Audizione del dottor Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa social forum, |
di Massimiliano Morettini, portavoce del GSF genovese, |
di Stefano Kovac, rappresentante dell'ICS (Consorzio italiano di solidarietà), |
Pag. 12 |
Pag. 121 |
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del dottor Maurizio Gubbiotti, rappresentante di Legambiente, |
di Fabio Lucchesi, rappresentante dell'associazione Rete Lilliput, |
di Chiara Cassurino, rappresentante del movimento denominato «Tute bianche», |
di Raffaella Bolini, rappresentante dell'ARCI |
del dottor Luigi Bobba, presidente delle ACLI, |
di Anna Scalori, rappresentante dell'associazione Pax Christi: |
Audizione del dottor Vittorio Agnoletto, portavoce
del Genoa social forum,
di Stefano Kovac, rappresentante
dell'ICS (Consorzio italiano di solidarietà),
di
Massimiliano Morettini, portavoce del GSF genovese,
di Chiara
Cassurino, rappresentante del movimento denominato «Tute
bianche»,
di Fabio Lucchesi, rappresentante
dell'associazione Rete Lilliput,
del dottor Maurizio Gubbiotti,
rappresentante di Legambiente,
di Raffaella Bolini,
rappresentante dell'ARCI,
del dottor Luigi Bobba, presidente
delle ACLI,
di Anna Scalori, rappresentante dell'associazione Pax
Christi:
Anedda Gian Franco, Presidente ... 90
94
95
134
Bruno Donato, Presidente ... 8
12
49
50
63
81
85
87
88
100
101
102
111
112
116
119
132
134
135
Agnoletto Vittorio, Portavoce del Genoa social forum ...
12
50
66
69
77
80
81
82
87
88
92
94
95
101
102
103
111
112
120
128
129
132
134
135
Bassanini Franco (DS-U) ... 74
Boato Marco (Misto-Verdi-U) ... 116
119
Bobba Luigi, Presidente delle ACLI ... 9
64
Bolini Raffaella, Rappresentante dell'ARCI ... 50
83
88
115
116
Cicchitto Fabrizio (FI) ... 74
80
82
Cassurino Chiara, Rappresentante del movimento «Tute
bianche» ... 74
104
128
Del Pennino Antonio (Misto-PRI) ... 130
132
Dentamaro Ida (Mar-DL-U) ... 122
126
129
Fontanini Pietro (LNP) ... 63
Gubbiotti Maurizio, Rappresentante di Legambiente ... 60
Iovene Antonio (DS-U) ... 67
iazione Pax Christi ... 56
Turroni Sauro (Verdi-U) ... 97
100
103
Kovac Stefano, Rappresentante del Consorzio italiano di
solidarietà ... 72
74
100
101
120
Lucchesi Fabio, Rappresentante dell'associazione Rete Lilliput
... 58
103
125
134
Mascia Graziella (RC) ... 85
87
Mazzoni Erminia (CCD-CDU) ... 107
112
Morettini Massimiliano, Portavoce del Genoa social forum
genovese ... 121
126
Scalori Anna, Rappresentante dell'assoc
Audizione di Luca Casarini, portavoce del movimento denominato «Tute bianche»:
Bruno Donato, Presidente ... 135
153
154
162
Boato Marco (Misto-Verdi-U) ... 160
Casarini Luca, Portavoce del movimento «Tute bianche»
... 135
155
156
158
Mancuso Filippo (FI) ... 153
Mascia Graziella (RC) ... 154
Saponara Michele (FI) ... 162
Sinisi Giannicola (MARGH-U) ... 156
Soda Antonio (DS-U) ... 157
Audizione del ministro della giustizia, Roberto Castelli:
Anedda Gian Franco,
Presidente ... 185
Bruno Donato, Presidente ... 163
171
172
173
195
196
201
202
203
214
218
219
225
226
227
228
229
Boato Marco (Misto-Verdi-U) ... 182
195
204
207
210
211
212
213
218
219
Bressa Gianclaudio (MARGH-U) ... 191
Castelli Roberto, Ministro della giustizia ... 164
171
172
173
182
188
189
190
192
196
201
202
203
204
209
210
211
212
213
215
217
218
219
220
222
223
225
226
228
229
Falcier Luciano (FI) ... 173
Magnalbò Luciano (AN) ... 220
Mancuso Filippo (FI) ... 206
213
Mascia Graziella (RC) ... 185
189
Monti Cesarino (LNP) ... 189
Palma Nitto Francesco (FI) ... 216
Petrini Pierluigi (MARGH-U) ... 194
195
224
Saponara Michele (FI) ... 228
Sinisi Giannicola (MARGH-U) ... 214
Soda Antonio (DS-U) ... 170
171
172
173
197
201
202
203
226
227
228
Turroni Sauro (Verdi-U) ... 220
222
Zanotti Katia (DS-U) ... 211
BOZZA NON CORRETTA |
COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI,
DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
1a (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL
CONSIGLIO E DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
COMITATO PARITETICO
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 9,25.
Indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
Sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni,
dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.
Comunico
che sono pervenute al Comitato due lettere, una da parte del dottor
Vincenzo Canterini, comandante del I reparto mobile di Roma, e
l'altra da parte del prefetto Arnaldo La Barbera, contenenti
precisazioni in ordine ad alcuni aspetti oggetto della loro
audizione, nonché una lettera da parte del comandante generale
dell'Arma dei carabinieri, generale Sergio Siracusa, contenente
alcune precisazioni rispetto all'audizione del generale Giampaolo
Ganzer.
Comunico altresì che sono pervenute al Comitato,
da parte degli ispettori ministeriali dottor Lorenzo Cernetig e
dottor Salvatore Montanaro, due lettere di identico contenuto
rispetto a quella inviata dal dottor Pippo Micalizio, di cui ha dato
lettura nella seduta di ieri. Copia di tali lettere sarà
distribuita, unitamente ad altra documentazione da ultimo pervenuta,
ai componenti del Comitato.
Per quanto attiene alla lettera del
dottor Canterini, lo stesso precisa: «La prego di voler
accettare una rettifica circa una mia risposta alla domanda
rivoltami, durante l'audizione di ieri, dal presidente Violante e
tendente a conoscere se avessi
o meno consegnato dei documenti al senatore Taormina. A detta
domanda ho risposto negativamente e quindi in maniera erronea, in
quanto, al suddetto parlamentare, nell'occasione dell'incontro
descritto, ho effettivamente consegnato una documentazione che lo
stesso ha successivamente inviato all'autorità giudiziaria di
Genova. La prego di ritenere tale terrore come assolutamente
involontario e frutto di una momentanea amnesia».
Do
lettura della lettera inviata dal dottor La Barbera: «Ritengo
necessario, nell'esclusivo fine di consentire all'onorevole
Commissione che lei presiede di conoscere la reale dinamica dei
fatti, puntualizzare alcune circostanze in relazione alle
dichiarazioni rese dal dottor Canterini nel corso dell'audizione che
ha avuto luogo ieri. Ovvie esigenze di carattere funzionale non
consentono infatti a codesta Commissione di procedere ad un
contraddittorio che, in ogni caso e come mi auguro, in sede penale
potrà fare piena luce su eventi, circostanze, condotte e
singole responsabilità.
Preso atto che il dottor Canterini
nega di aver mai ricevuto dallo scrivente il consiglio di valutare
attentamente l'eventualità di procedere alla perquisizione
all'interno del complesso convenzionalmente definito «scuola
Diaz», osservo: a prescindere dall'effettivo ruolo che il
comandante del reparto mobile di Roma rivestiva nel contesto in
questione, ribadisco che quello che gli rivolsi è stato un
consiglio, un invito a valutare attentamente lo «stato di
tensione» che avevo percepito nelle fasi antecedenti
all'irruzione e a riflettere sull'opportunità di procedere.
Non trattandosi di ordine si rivelava quindi come del tutto
ininfluente la posizione rivestita dal dottor Canterini: nella
circostanza io ho parlato al collega, al comandante di uomini, non al
dipendente; non ho fatto menzione dell'episodio nella mia relazione
del 25 luglio ultimo scorso, inoltrata
al capo della Polizia, così come, nel medesimo contesto,
non ho accennato al prospettato uso di lacrimogeni avanzato in sede
di riunione preliminare dal dottor Canterini, sia perché, in
entrambi i casi, non ho rilevato alcun comportamento disciplinarmente
censurabile, sia in quanto non è mio costume segnalare
superiormente iniziative o scelte di colleghi che, pur non condivise,
rientrano comunque nella sfera di competenza agli stessi riferibile;
diversamente, una volta sentito in qualità di persona
informata sui fatti dalla procura di Genova, a fronte di precise
domande, ho doverosamente fornito una dettagliata cronistoria dei
fatti senza omettere nulla ed in tale contesto ho rappresentato il
colloquio intercorso tra me ed il dottor Canterini, esattamente negli
stessi termini esposti avanti codesta onorevole Commissione.
Ribadisco anche in questa sede il più pieno convincimento che
la perquisizione doveva essere fatta e mi assumo «in toto»
la responsabilità di detta affermazione. Parallelamente la
prego di consentirmi di non nascondere la profonda amarezza di
dovermi confrontare addirittura con un collega sulla veridicità
di quanto si afferma essere accaduto. Sotto questo profilo mi riservo
di agire legalmente nelle sedi competenti nei confronti del dottor
Canterini. Sono comunque certo che la giustizia farà il suo
corso e non solo chiarirà che cosa sia realmente successo a
Genova la notte di sabato 21 luglio, ma anche e soprattutto quale sia
l'ordine di responsabilità che ciascuno si è assunto in
base a quanto dichiarato in seguito«.
Do lettura della
lettera a firma del generale Siracusa: «In relazione
all'audizione del generale di brigata Giampaolo Ganzer,
vicecomandante del raggruppamento operativo speciale dei carabinieri,
mi preme fornire a lei ed ai membri del Comitato opportuna
precisazione in merito ad un quesito riguardante l'ufficiale dei
carabinieri più elevato in grado
presente in Genova. Come riportato a pagina 191 del resoconto
stenografico, alla domanda postami su chi fosse l'ufficiale più
elevato in grado a Genova, ho risposto testualmente: »a Genova
vi è il comandante della regione Liguria. Ma la competenza
territoriale è del comandante provinciale, un colonnello (...)
per la circostanza il colonnello Tesser«. Desidero
puntualizzare che il comandante della regione è un ufficiale
generale dell'Arma - nel caso concreto il generale di brigata Angelo
Desideri - e che la responsabilità di tutte le attività
operative delle provincia è sempre affidata al comandante
provinciale, membro, tra l'altro, del comitato provinciale per
l'ordine e la sicurezza pubblica e, quindi, nel caso specifico,
interlocutore per l'Arma nei confronti del questore per tutte le
attività di ordine pubblico».
Ricordo infine che le
due lettere pervenute a nome degli ispettori Montanaro e Cernetig
sono simili, nel contenuto, a quella pervenuta ieri, di cui ho già
dato lettura.
LUCIANO VIOLANTE. Signor presidente, vorrei sapere se sia possibile chiedere al dottor Canterini di farci pervenire copia dei documenti che ha consegnato all'avvocato Taormina.
PRESIDENTE. Credo che sia possibile, anche se l'avvocato Taormina ne ha inviato a sua volta copia all'autorità giudiziaria. Si tratta comunque di una richiesta che l'ufficio di presidenza avanzerà.
Audizione del dottor Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa social forum, di Stefano Kovac, rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà, di Massimiliano Morettini, portavoce del GSF genovese, di Chiara Cassurino, rappresentante del movimento denominato «Tute bianche», di Fabio Lucchesi, rappresentante dell'associazione Rete Lilliput, del dottor Maurizio Gubbiotti, rappresentante di Legambiente, di Raffaella Bolini, rappresentante dell'ARCI, del dottor Luigi Bobba, presidente delle ACLI, e di Anna Scalori, rappresentante dell'associazione Pax Christi.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca,
nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione
del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del dottor Vittorio
Agnoletto, portavoce del Genoa social forum, di Stefano Kovac,
rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà, di
Massimiliano Morettini, portavoce del Genoa social forum
genovese, di Chiara Cassurino, rappresentante del movimento
denominato «tute bianche», di Fabio Lucchesi,
rappresentante dell'associazione Rete Lilliput, del dottor Maurizio
Gubbiotti, rappresentante di Legambiente, di Raffaella Bolini,
rappresentante dell'ARCI, del dottor Luigi Bobba, presidente delle
ACLI e di Anna Scalori, rappresentante dell'associazione Pax Christi.
Prima di dare inizio alle audizioni in titolo, ricordo che
l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La
pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata
secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del
regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione
stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è
garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche
mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso,
che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in
separati locali.
Ricordo, in proposito, di aver già
disposto l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Comunico che il dottor Bobba chiede di essere accompagnato dal
dottor Fabio Protasoni. Se non vi sono obiezioni, così rimane
stabilito.
Ringrazio i presenti ed invito il dottor Luigi Bobba,
presidente delle ACLI, a riferire al Comitato. Dottor Bobba, se ha
predisposto una relazione scritta, la prego di darne lettura.
LUIGI BOBBA, Presidente delle
ACLI. Non ho preparato una relazione scritta, ma intendo comunque
svolgere alcune brevi annotazioni.
Ringrazio, innanzitutto, il
Comitato per l'invito rivoltoci (tra l'altro, anche le ACLI avevano
sollecitato l'istituzione di una Commissione di indagine). Sono qui
per due ragioni: per rispetto verso le istituzioni e per rispetto nei
confronti di coloro che, membri della nostra associazione,
individualmente o a piccoli gruppi, hanno partecipato ad alcuni
avvenimenti svoltisi a Genova.
È noto, infatti, che la
posizione ufficiale dell'associazione era differenziata rispetto ad
altre realtà. In particolare, insieme a molte altre
associazioni cristiane, avevamo ritenuto di assumere un'iniziativa,
15 giorni prima del vertice G8 (in particolare il giorno 7 luglio),
per mettere l'accento sull'insieme dei temi, dei problemi contenuti
nell'agenda politica del G8.
Avevamo preso quell'iniziativa,
valutando anche una ragione di prudenza rispetto a quanto si andava
preparando per quei giorni. Naturalmente, si tratta di una
valutazione opinabile, ma coloro (in particolare, il sottoscritto)
che erano stati tra i promotori della manifestazione del 7 luglio,
successivamente non avevano ritenuto di aderire ad altre iniziative
in ragione di una valutazione di prudenza sulla possibilità di
svolgere nel modo più appropriato le manifestazioni pacifiche.
Detto ciò, le osservazioni che vorrei portare alla vostra
attenzione sono quattro; esse mi derivano sostanzialmente dalle
testimonianze inviatemi da coloro che, al contrario, hanno ritenuto,
individualmente o a piccoli gruppi, di partecipare
alle manifestazioni del 20 e del 21 luglio ed anche dalla mia
presenza (il giorno 20) alla veglia di Boccadasse che, come sapete,
era stata promossa da un insieme di realtà religiose e di
associazioni cristiane come segno di preghiera, di testimonianza e
modo pacifico con il quale affrontare quei giorni.
La prima
osservazione è la seguente: la valutazione di prudenza che ci
aveva indotti ad assumere questa posizione derivava dal fatto che una
parte delle forze che avevano deciso di intraprendere delle
iniziative si erano andate concentrando su un unico obiettivo, da noi
ritenuto sbagliato e comunque non significativo, ovvero quello di
varcare, seppure simbolicamente, la zona rossa. Quell'obiettivo, e
l'insieme dell'immaginario verbale, quasi in una specie di guerra
civile, ha coperto in qualche modo le iniziative, la cultura, il
linguaggio e la presenza di tanti altri, che costituivano la
grandissima maggioranza, direi la quasi totalità, recatisi a
Genova per manifestare pacificamente e per dire qualcosa nel merito
dei problemi che erano oggetto del vertice.
La seconda
osservazione, che scaturisce dalle testimonianze, è la
seguente: le difficoltà sono state determinate anche dal fatto
che un insieme molto composito e variegato (e questa ne è
anche la sua forza) delle presenze non aveva una capacità
organizzativa - potremmo dire un servizio d'ordine - tale da
consentire che i gruppi violenti non s infiltrassero all'interno del
grande corteo pacifico. Diversi fra coloro che hanno partecipato mi
hanno evidenziato questo aspetto come un limite: nel momento in cui
ci si è trovati in una situazione di difficoltà,
soltanto quelle parti di corteo che si erano minimamente organizzate
sono riuscite a respingere l'infiltrazione di gruppi violenti.
La
terza osservazione, che mi deriva dalle testimonianze delle persone
che erano a Genova - si tratta peraltro di
vicenda nota perché diffusa ampiamente dagli organi di
stampa -, è che la difesa, vorrei dire un po' ossessiva, della
zona rossa ha «distratto » o non ha concentrato
l'attenzione delle forze dell'ordine su un numero limitato ma
organizzato di gruppi violenti che hanno potuto agire in gran parte
indisturbati.
La quarta ed ultima osservazione attiene al fatto
che in quella situazione molti di coloro che hanno partecipato si
sono trovati a subire le cariche della polizia, in una situazione in
cui non vi era più distinzione fra coloro che manifestavano
pacificamente e coloro che invece erano lì per ben altri
motivi, con le note conseguenze. Al riguardo, ho molte testimonianze
di persone che si sono trovate a subire situazioni di difficoltà
e di violenza.
Da ultimo, vorrei sottolineare, avendo anch'io
partecipato alla veglia di Boccadasse, la mia sorpresa nell'arrivare
da fuori Genova, dopo aver ascoltato le notizie tragiche - era già
avvenuta la morte di Carlo Giuliani - con il mio mezzo privato;
ebbene, devo confessare di aver attraversato tutta la città ed
essere arrivato fin sotto la chiesa, «stranamente» senza
incontrare una sola pattuglia delle forze dell'ordine. Ciò mi
ha alquanto sorpreso, dal momento che molti mi chiedevano come sarei
potuto arrivare lì. Invece, pur in quella situazione così
complicata, sorprendentemente un privato cittadino poteva recarsi a
questo appuntamento.
Concludo dicendo che l'intenzione della
nostra realtà associativa, e spero anche quella delle
istituzioni parlamentari, è di lasciarsi in un certo senso
dietro i veleni che tale realtà ha portato con sé,
valorizzando e riconoscendo invece la grande spinta positiva e la
voglia di cambiamento che la grandissima maggioranza di coloro che
hanno partecipato, prima durante e dopo, alle iniziative vuole oggi
esprimere. Una
iniziativa pacifica, una voglia di dare un contributo in ordine a problemi che, seppur globali, ci riguardano poi così da vicino; un modo insomma di essere cittadini attivi e di non lasciarsi semplicemente guidare dagli avvenimenti, cercando invece di fare la nostra, seppur piccola, parte.
PRESIDENTE. Invito ora il dottor Agnoletto a svolgere la sua relazione per conto del Genoa social forum.
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. Come ricorderete, il Genoa
social forum aveva chiesto che il Parlamento istituisse una
Commissione d'inchiesta. Pur non avendo questo Comitato poteri
d'inchiesta, riteniamo comunque che esso rappresenti una opportunità
importante. Siamo pertanto qui con lo spirito che si accerti la
verità come condizione assolutamente necessaria per consentire
che si faccia giustizia. Verità e giustizia sono gli elementi
che ci guidano.
Parlo a nome dell'intero Genoa social forum e
pertanto la relazione (che non sarà brevissima) che mi accingo
ad illustrare rappresenta l'insieme delle associazioni che hanno
aderito al Genoa social forum.
Abbiamo ritenuto opportuno
iniziare con una presentazione del Genoa social forum e con
una ricostruzione del percorso, in modo da poter comprendere in quale
contesto si siano situate le giornate di Genova.
Dopo Seattle,
sin dalla primavera del 2000, appare evidente che a Genova convergerà
nei giorni del G8 un numero enorme di persone appartenenti a
movimenti e a campagne organizzate in tutto il mondo. Fra le diverse
organizzazioni italiane si comprende la necessità di
costituire un coordinamento unitario che riesca ad offrire un punto
di riferimento per le realtà nazionali e internazionali
interessate a organizzare un
momento che sia caratterizzato da una partecipazione popolare e
pacifica. È con questo obiettivo, la costruzione di un
coordinamento per iniziative di massa e pacifiche, che tra ottobre e
novembre 2000 - quindi quasi un anno prima della scadenza del G8 -
nasce il coordinamento chiamato Patto di lavoro, che, in una fase
successiva si trasformerà, con un elemento di assoluta
continuità, nel Genoa social forum.
Il Patto di
lavoro, da iniziale coordinamento locale, diviene poi una realtà
nazionale, e successivamente, quando si trasforma in Genoa social
forum diventa una realtà internazionale. Il patto tra i
firmatari, che trovate in allegato alla documentazione che ho
consegnato al Comitato, parte da un'analisi condivisa delle
ingiustizie prodotte dalla globalizzazione. Vorrei precisare che non
ci troviamo di fronte a un documento politico, ma piuttosto a un
documento teso a valorizzare la partecipazione, anche differenziata
ed eterogenea, che però si fonda su alcune discriminanti: il
diritto ad esprimere il dissenso, anche attraverso manifestazioni, la
non legittimità di otto paesi a decidere per tutti, le forme
pacifiche e non violente delle manifestazioni; in altre parole, è
una critica non alla globalizzazione in generale, ma a questa
globalizzazione, che permette la libera circolazione delle merci e
non delle persone, e che, in assenza di regole politiche condivise,
facilita l'accumulazione di altri profitti da parte dei più
ricchi. Chiariamo subito: il Patto di lavoro intende rappresentare
non l'insieme di tutto il movimento, di tutto coloro che arriveranno
a Genova, ma quelli che decidono di sottoscrivere questo patto.
Fin
dal dicembre 2000, si avviano i primi contatti con le istituzioni,
nella convinzione che l'organizzazione degli eventi a Genova
necessiti di un ampio periodo di preparazione. Nel gennaio 2001,
quindi a sette mesi dal G8, parte la raccolta di
firme per la petizione «Genova città aperta»,
che è accompagnata da una lettera aperta ai cittadini genovesi
perché si vuole costruire un rapporto con la città.
Il
Patto di lavoro, e poi il Genoa social forum, decide di tenere
in ogni fase di confronto istituzionale un atteggiamento di
trasparenza, oltreché di correttezza: in altre parole,
decidiamo di informare sempre, pubblicamente e in modo assolutamente
trasparente, i nostri interlocutori e la pubblica opinione di quello
che abbiamo intenzione di fare e di come abbiamo intenzione di agire.
Si tratta del tentativo di confrontarci con i rappresentanti
istituzionali sugli spazi di accoglienza, sul diritto a manifestare,
sulla libera partecipazione, e così via, tentativo che poi,
come vedremo, resta senza risposta per diversi mesi. In particolare,
dal 9 febbraio, con l'incontro in prefettura con il Tavolo inerente
il G8, e fino ad aprile, attraverso sit-in in tutta Italia e
iniziative anche di pressione davanti al Viminale, cerchiamo un
rapporto con le istituzioni.
Nel frattempo vi è un
avvenimento importante per comprendere cosa si stava realizzando.
Alla fine di gennaio 2001 si tiene il forum sociale mondiale a
Porto Alegre: in contemporanea con l'incontro dei potenti a Davos, ci
si trova nel sud del mondo con i movimenti, le associazioni e le ONG
per discutere di un altro mondo possibile. È da quella
scadenza che il Patto di lavoro si trasforma in Genoa social forum
- siamo al 27 febbraio - diventando un organismo di coordinamento
internazionale a cui far riferimento gran parte delle associazioni
che vengono a Genova.
La grande preoccupazione che anima il Genoa
social forum è quella di coniugare la centralità
dei contenuti di critica a questa globalizzazione con le
mobilitazioni: ecco perché nel programma che cominciamo ad
elaborare fin dall'inizio di
quest'anno, parliamo innanzitutto del public forum, ossia
di organizzare una settimana di dibattiti a Genova, dal 16 al 22
luglio, a cui possano assistere e partecipare migliaia di persone,
con centinaia di relatori provenienti da tutto il mondo. Il public
forum affronta i temi della finanza, dei diritti dei lavoratori
in tutto il mondo, la famosa questione della riduzione del tempo di
possesso dei brevetti sui farmaci da parte del WTO, il problema,
della anti-democraticità, a nostro parere, dell'Organizzazione
mondiale del commercio. Per esempio, si discute della necessaria
riconversione dell'industria bellica e della remissione del debito ai
paesi poveri: si affronta inoltre, la famosa questione della quota da
destinare alla cooperazione internazionale, passando dall'attuale
livello italiano dello 0,2 per cento al 7,5, nonché quella
dell'accordo di Kyoto come elemento di base, ma non sufficiente, per
una tutela dell'ambiente. Questi sono alcuni dei temi posti al centro
del public forum: ne ho citati alcuni, ma ce ne sono tanti
altri; che potete trovare nell'appendice.
Contemporaneamente,
rivendichiamo il diritto di manifestare il dissenso in modo visibile,
tranquillo e pacifico; con modalità pacifiche e non violente,
per non attaccare in alcun modo la città né le persone:
ovviamente, qualunque persona, in divisa o meno. Questa è la
dichiarazione solenne del 5 giugno 2001, diffusa poi anche
pubblicamente, dal titolo. Rispetteremo la città e non ci
saranno attacchi contro le persone, né contro le cose. In essa
si afferma che abbiamo fatto tra di noi un patto «e
solennemente dichiariamo: noi scegliamo di agire nel pieno rispetto
della città; noi scegliamo di non compiere attacchi contro
alcuna persona»; noi scegliamo una pratica pacifica e non
violenta; in seguito, viene illustrato cosa intendiamo fare.
Vi è la questione del confronto con il Governo, sulla
quale in seguito entrerò più nel merito, e cominciano
le comunicazioni dirette con la questura, che viene informata sui
percorsi e sulle piazze in cui il Genoa social forum intende
tenere le proprie iniziative. Si parla, quindi, del corteo
internazionale dei migranti del 19 luglio, che intende porre al
centro il diritto alla libera circolazione dei migranti in un mondo
in cui si muovono le merci ma non le persone, anche recuperando
alcune situazioni drammatiche degli anni passati: e pensando a quello
che sta avvenendo su quella nave che viaggia con centinaia di persone
a bordo, senza che vi sia qualcuno che le ospiti e che riconosca loro
i diritti umani. Per il 20 luglio si prevedono iniziative finalizzate
ad accerchiare i luoghi di svolgimento del vertice del G8: si tratta
di varie e molteplici iniziative, promosse da diversi gruppi aderenti
al Genoa social forum, in base alla prassi che abbiamo scelto,
ossia in un contesto unitario di riconoscimento di contenuti - Patto
di lavoro - e della dichiarazione solenne, ovviamente tenendo conto
anche delle diversità all'interno di questi patti, della
storia delle differenti associazioni. Questa giornata è
dedicata a portare in piazza i contenuti del forum, le famose
piazze tematiche.
Per sabato 21 luglio è prevista la
manifestazione conclusiva, con il corteo per le vie di Genova, alla
quale noi diciamo inizialmente che parteciperanno almeno centomila
persone. Il percorso del corteo viene definito lungo un itinerario
non tangente alla zona rossa per evitare qualunque elemento di
tensione. Contemporaneamente, visto il complesso dei divieti
previsti, si comincia ad affrontare la questione della zona gialla -
che poi riprenderemo -, istituita con un'ordinanza del prefetto di
Genova il 2 giugno. Alla luce di quanto è avvenuto da altre
parti, non ultimo a Göteborg, si pensa comunque di
organizzare un servizio sanitario e un servizio legale per tutti
coloro che decidono di venire a Genova, come supporto per eventuali
situazioni di tensione che noi non vogliamo creare, ma che ovviamente
non sempre dipendono dal Genoa social forum e dai
manifestanti.
Il Genoa social forum, durante i mesi di
preparazione, si riunisce regolarmente in assemblee plenarie aperte
circa ogni tre settimane. La continuità del lavoro fra le
assemblee viene assicurata da un consiglio di portavoce, composto da
18 rappresentanti delle maggiori organizzazioni aderenti al Genoa
social forum, che rappresentano in qualche modo le diverse
affinità. Si tratta di centinaia di associazioni; pertanto è
ovvio che si inseriscano le più grandi, che poi tengono i
contatti con quelle affini come contenuti e come ispirazione.
Nella
seconda metà di maggio viene indicato un portavoce nazionale,
inizialmente per una conferenza stampa, poi confermato nella persona
del sottoscritto. Per assicurare il coordinamento con le realtà
internazionali aderenti al Genoa social forum si tengono due
riunioni con le associazioni europee ed estere; ovviamente vi sono
tutti gli allegati di quanto detto.
A questo punto, entrerei un
po' più nel merito; chiedo scusa se mi dilungherò, ma
credo che sia utile.
Nell'ottobre 2000 si avvia da parte di
alcune organizzazioni genovesi un percorso che porta al Patto del
lavoro. Gli allegati relativi a questa seconda parte - mi riferisco
ai rapporti tra Genoa social forum ed istituzioni - vi
verranno consegnati in un secondo momento, poiché non sono ora
disponibili.
Il 27 ottobre 2000 viene redatto il primo documento
intitolato: «Un mondo diverso è possibile». Il
Patto di lavoro è, quindi, nato in breve tempo e raccoglie,
tra le adesioni, quella della Rete contro G8, un altro coordinamento
che già da qualche tempo aveva rapporti con il comune di
Genova; era
un coordinamento soprattutto locale, che poi confluì nel
Patto di lavoro; dopodiché tutto si trasforma in Genoa
social forum. Il 19 dicembre 2000 il documento «Un mondo
diverso è possibile» viene sottoscritto da tantissime
associazioni. A seguito di richieste scritte e di incontri nei giorni
compresi tra il Natale 2000 ed i primi giorni di gennaio 2001 si
susseguono i primi incontri istituzionali con la provincia (27
dicembre 2000), con il comune (27 dicembre 2000), con il prefetto (11
gennaio 2001) e poi, subito dopo, con il ministro Vinci Giacchi. A
tutti viene chiesta l'istituzione di un tavolo di coordinamento
comune tra i diversi enti locali. Il presidente della regione
Liguria, Biasotti, nonostante due lettere di richiesta di incontro,
non fornisce alcuna risposta.
Il 21 dicembre, presso la
Presidenza del Consiglio, si tiene un primo incontro tra la
dottoressa Marta Dassu' ed alcuni rappresentanti di ONG ed altre
associazioni. Nell'incontro viene illustrata l'intenzione del Governo
di promuovere un progetto intitolato «Genoa non governmental
initiative» finalizzato a facilitare l'apporto della
società civile ai contenuti dell'agenda. Le ONG informano i
rappresentanti della nascita del Patto di lavoro.
Il 5 gennaio,
presso la sede dell'Istituto affari internazionali, si svolge la
presentazione ufficiale di tale progetto e le organizzazioni fanno
presente, anche in questa situazione, la necessità di creare
una sede di confronto sulle manifestazioni. Nel mese di gennaio
lanciamo la petizione accompagnata dalla «Lettera aperta ai
genovesi».
Si giunge così al 29 gennaio 2001, quando
una delegazione del Patto di lavoro viene ricevuta in prefettura,
oltre che dal prefetto Di Giovine, dai massimi rappresentanti di
comune, provincia e regione (come si evince dagli allegati). Durante
tale
incontro, viene rinnovata la richiesta di un tavolo comune di
coordinamento e cominciamo ad illustrare le prime richieste ritenute
necessarie per l'accoglienza.
Il 30 gennaio, cioè il
giorno dopo, si tiene l'incontro tra Amato, il prefetto, il sindaco
ed altri ancora e viene comunicato che la dottoressa Margherita
Paolini, della struttura di missione governativa, è stata
incaricata di dialogare con le organizzazioni.
Arriviamo all'8
febbraio: è una data importante perché il Patto di
lavoro è convocato in prefettura per un incontro con il
prefetto Di Giovine, con l'architetto Margherita Paolini, con il
presidente della provincia Marta Vincenzi, con il vicesindaco Claudio
Montaldo e con il consigliere regionale Fabio Broglia. Durante
l'incontro avanziamo in modo sufficientemente preciso alcune
richieste e proponiamo la costituzione di una cittadella che
chiamiamo «la cittadella della solidarietà» nella
quale possano svolgersi i dibattiti e gli incontri, cioè il
public forum. Illustriamo le manifestazioni previste e
ipotizziamo che nella zona di levante della città possa
svolgersi anche il corteo.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIAN FRANCO ANEDDA
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. Il 27 febbraio, durante una
riunione, il Patto del lavoro assume la denominazione di Genoa
social forum.
In attesa delle risposte ufficiali da parte del
Governo, il 19 marzo il Genoa social forum invia ai capigruppo
e ai presidenti dei consigli degli enti locali un documento, affinché
si esprimano su «Genova città aperta».
Il 29 marzo il Genoa social forum invia due lettere ai
candidati Premier, Rutelli e Berlusconi, chiedendo di essere
ricevuto e, comunque, di esprimersi sulle questioni relative ai temi
della globalizzazione e al diritto a manifestare.
Il 30 marzo il
GSF risponde ad una richiesta del sindaco di La Spezia che si rende
disponibile ad alcune iniziative.
Ai primi di aprile si tiene la
conferenza internazionale conclusiva del progetto GNG di cui abbiamo
parlato prima.
Il 3 aprile a Genova Piero Fassino, allora
ministro della giustizia in carica e candidato Vicepremier di
Rutelli, riceve una delegazione del Genoa social forum; a lui
ripetiamo tutte le nostre richieste; Rutelli poi, risponderà
il 26 aprile. Nulla si blocca fino al 4 aprile; in tale data,
infatti, parte il «telegram day»: attraverso
centinaia di fax, telegrammi ed e-mail, mandiamo
messaggi al ministro dell'interno Bianco e al Presidente della
Repubblica Ciampi chiedendo un confronto e la disponibilità a
discutere sull'accoglienza; a livello internazionale riceviamo
messaggi che ci chiedono come sia possibile che ancora nulla sia
stato organizzato.
Il giorno dopo, il 5 aprile, in tutta Italia
si svolgono decine di presidi assolutamente pacifici davanti alle
prefetture per chiedere che Genova sia città aperta. A Roma si
svolge un presidio di fronte al Viminale per chiedere al ministro
Bianco di essere ricevuti. Il capo di gabinetto Sorge insieme al
prefetto di Genova Di Giovine, riceve una delegazione del Genoa
social forum composta da Bolini, De Fraia, Agnoletto, De Cesari e
Suor Pasini. Nell'incontro ripetiamo le nostre richieste e ci viene
comunicato che il prefetto Di Giovine sarà il nostro
interlocutore. Egli ci dice che probabilmente la cittadella sarà
autorizzata e ci assicura che non vi è l'intenzione di
chiudere
le frontiere. Il prefetto Di Giovine chiede di avere maggiori
dettagli sulle richieste del GSF, dettagli che vengono consegnati una
settimana dopo, l'11 aprile.
Il 20 aprile una delegazione del GSF
viene convocata dal prefetto. A questa riunione partecipano anche il
capo della DIGOS di Genova, Spartaco Mortola, e Margherita Paolini.
La delegazione del GSF spiega nuovamente tutte le proposte; si è
trattato dell'ultimo incontro ufficiale prima delle elezioni. Poi si
ferma tutto: fino a quella data non avevamo ottenuto alcuna risposta
ai documenti presentati l'8 febbraio.
Il 4 e il 5 maggio si
riunisce a Genova la prima assemblea internazionale del Genoa
social forum; si discute e da parte di tutti viene confermato il
carattere assolutamente pacifico e non violento delle manifestazioni;
su questo documento abbiamo ottenuto anche l'adesione delle
associazioni internazionali.
L'8 maggio il GSF riceve per
conoscenza una lettera di molti parlamentari liguri, inviata ad
Amato, con la quale si sollecita una risposta alle richieste del GSF.
Il 9 maggio il GSF presenta nuovamente le richieste formali al
prefetto, al questore, al sindaco e al comandante dei vigili urbani.
Il 10 maggio il sindaco di La Spezia si fa avanti nuovamente per
proporre alcune iniziative che poi verranno stabilite.
Il 15
maggio il GSF fornisce ulteriori richieste.
Il 24 maggio
inoltriamo due lettere al Presidente della Repubblica e al Premier
in pectore Berlusconi (perché non sapevamo ancora chi
fossero i ministri): ripercorriamo la storia del GSF e chiediamo di
avere delle risposte; anticipiamo che in data 2 giugno, in occasione
della festa della Repubblica, abbiamo intenzione di sviluppare
iniziative a sostegno del diritto a manifestare.
Nella medesima giornata, i portavoce Vittorio Agnoletto e
Chiara Cassurino incontrano i media sotto la sede del Comitato
parlamentare di controllo delle attività dei servizi di
informazione per criticare alcune veline apparse sulla stampa, che
avevano cercato di prospettare scenari incredibili (sangue infetto
lanciato dagli aeroplani, tentativi di rapire singoli rappresentanti
delle forze dell'ordine e così via); secondo queste sarebbe
dovuto succedere di tutto. Pertanto assumemmo iniziative per
protestare.
Il 5 giugno approviamo il documento di cui vi abbiamo
detto sul modo di manifestare.
Il 12 giugno, giorno
dell'insediamento di Scajola, inviamo una lettera al ministro
chiedendogli un incontro (il testo di questa lettera è
disponibile).
Insomma, alla fine gli enti locali si dichiarano
genericamente disponibili, ma non si esprimono, non avendo
indicazioni né dal Governo precedente né da quello
appena insediato.
Arriviamo al 24 giugno del 2001; ormai siamo a
meno di un mese dall'iniziativa: avevamo presentato le richieste l'8
febbraio. Domenica pomeriggio si svolge l'incontro con il capo della
Polizia, Gianni De Gennaro, alla presenza del vicecapo Ansoino
Andreassi, del questore di Genova, Colucci, dell'addetto stampa
Sgalla e di altri funzionari. Questo incontro è convocato su
mandato del Governo e dura circa due ore. De Gennaro ci comunica
l'intenzione del Governo di fare svolgere le manifestazioni in
concomitanza con il vertice del G8. Non essendo una trattativa, e
visto che De Gennaro stesso ci rassicura circa il fatto che il
diritto a manifestare non era in discussione, l'incontro si concentra
su alcune questioni organizzative: chiediamo garanzie sull'apertura
delle frontiere, sul funzionamento dei trasporti per giungere a
Genova, sull'organizzazione
dell'accoglienza. Il Genoa social forum chiede anche che le
forze dell'ordine (siamo dopo Göteborg) impegnate in prima linea
non siano dotate di armi da fuoco ed avanza la richiesta che la
cosiddetta zona gialla sia cancellata. Appare subito chiaro che gli
interlocutori presenti non sono in grado di fornire alcuna risposta,
non avendo a loro volta ricevuto precise indicazioni politiche. Il
Genoa social forum decide di sospendere la riunione e chiede
l'incontro col ministro Scajola.
Il 28 giugno abbiamo l'incontro
alla Farnesina con il ministro degli esteri Ruggiero e con il
ministro dell'interno Claudio Scajola. La prima parte dell'incontro è
gestita da Ruggiero il quale ci chiede di sottoscrivere un documento
attraverso cui il Governo italiano invita alcune personalità
del sud del mondo ad un incontro a Roma. Cominciamo a discutere dei
contenuti: in circa 40 minuti di discussione è ovvio che non
si raggiunge alcun accordo. Poniamo il problema della Tobin tax, il
problema dei brevetti ed un'altra serie di questioni, senza arrivare
a sottoscrivere alcun documento. Il ministro Scajola conferma la
decisione del Governo di far svolgere le manifestazioni proposte dal
Genoa social forum, sconfessando in quella sede il
Vicepremier Fini, che il giorno prima aveva affermato che a
Genova si sarebbe usato l'esercito in piazza per fronteggiare i
manifestanti. Respinge al mittente la richiesta che le forze
dell'ordine impegnate in prima fila non siano armate affermando che,
contrariamente a quanto successo a Göteborg, «le forze
dell'ordine italiane in piazza non sparano perlomeno finché io
sarò ministro degli interni». Accenno inoltre, ad alcune
strutture da destinarsi all'accoglienza, rimandando i dettagli,
nonché la definizione della zona gialla, delle frontiere e
della viabilità ad un'ulteriore riunione.
Il 30 giugno in prefettura abbiamo un incontro con il prefetto
Di Giovine, il capo della Polizia De Gennaro, il questore Colucci, il
capo della DIGOS Mortola e qualche altro funzionario. L'incontro dura
cinque ore. De Gennaro comunica che chiederà al Governo di
applicare le clausole del trattato di Schengen relative alla
riattivazione dei controlli alle frontiere, affermando che le nuove
misure sarebbero state gestite con grande elasticità, al fine
di bloccare l'entrata in Italia di gruppi violenti, sulla base di
segnalazioni mirate. Il capo della Polizia assicura poi che,
relativamente alle autostrade, a levante queste rimarranno aperte e
De Gennaro, a differenza di quanto reso pubblico fino a quel momento,
dichiara che la stazione di Brignole rimarrà aperta,
contrariamente alla stazione di Principe. Le manifestazioni saranno
autorizzate solo a levante. Protestiamo per questa limitazione, che
poi nei fatti viene modificata, tant'è che poi si tenne una
manifestazione a ponente. Rispetto allo cosiddetta zona gialla, dopo
una lunga discussione, aperta dall'affermazione di De Gennaro,
secondo la quale «la zona gialla non è la Bibbia»,
si arriva alla conclusione che per tutto quello che concerne le
questioni di ordine pubblico, per le quali è necessaria
preventiva comunicazione alla questura (quindi manifestazioni,
presidi, volantinaggi) la zona gialla può ritenersi non più
esistente per quanto ci riguarda: se rimane è per una
questione di posteggio delle macchine e per impedire che si aprano
nuovi cantieri di lavoro.
Presentiamo lo schema generale delle
manifestazioni. Evidenziamo come il 20 l'assedio alla zona rossa
avverrà attraverso iniziative diverse (dalla veglia di
preghiera, ai sit-in, ai cortei) e che alcuni degli aderenti
al Genoa social forum praticheranno forme di disobbedienza
civile. Facciamo presente che questi ultimi sono consapevoli di voler
superare la
legge e che sono pronti a pagare le conseguenze del loro gesto.
Spieghiamo come la disobbedienza avverrà nel rispetto delle
scelte comuni del Genoa social forum: non attaccare le città,
non attaccare le persone e non usare strumenti atti ad offendere. Il
capo della Polizia ci risponde che la repressione di tali violazioni
sarà certamente commisurata ai comportamenti dei manifestanti.
De Gennaro afferma che le forze dell'ordine non sparerebbero mai sui
manifestanti.
Tutte le altre autorizzazioni e decisioni rispetto
alle manifestazioni le avremmo dovute chiedere, poi, alle autorità
competenti.
Raffaella Bolini afferma che probabilmente avrebbero
partecipato 200 mila persone. Qui c'è un nodo: De Gennaro dice
che egli ha gestito eventi simili con la presenza di oltre un milione
di persone e che, quindi, non c'è motivo di preoccuparsi,
perché, secondo le sue informazioni, comunque a Genova non
arriveranno più di 40 mila persone.
Veniamo ora al secondo
capitolo: organizzazione e gestione dell'accoglienza. Per organizzare
l'accoglienza abbiamo cominciato nel dicembre del 2000 con il
percorso che vi abbiamo illustrato. Non è stato possibile
impostare alcuna ipotesi concreta fino all'incontro con la prefettura
in data 30 giugno. Le risposte di un via libera per comune e
provincia da parte del Governo non arrivavano.
Dopo il 30 giugno
comincia un complesso lavoro per arrivare alla stesura di un piano
dettagliato. Si trattava di indicare strutture idonee e via dicendo.
Non sempre il percorso è stato semplice e lineare. Possiamo
ricordare il caso macroscopico dello stadio di atletica Villa Gentile
prima concesso (fu addirittura uno dei due o tre luoghi promessi dal
ministro degli interni) e poi negato senza una chiara motivazione
alla vigilia dell'inizio della predisposizione dell'attività.
Solamente il 10 luglio abbiamo avuto una risposta formale ed i
montaggi delle strutture cominciano il 12 e il 13 luglio. La
struttura inizia a funzionare per l'accoglienza dal 16 luglio, tranne
alcuni campi che vengono consegnati il 17, il 18 e perfino il 19
luglio: e noi le richieste le avevamo presentate l'8 febbraio!
Il
Genoa social forum organizza la gestione dei luoghi assegnati
attraverso un punto di convergenza. Da domenica 15 luglio cominciano
ad arrivare le persone che vengono indirizzate nei centri di
accoglienza già pronti. Man mano che passa il tempo vengono
attivati altri luoghi di accoglienza, ma già mercoledì
18 ci rendiamo conto che, come avevamo previsto, i posti disponibili
non sarebbero stati sufficienti. Infatti, il vincolo imposto
dall'amministrazione delle forze dell'ordine di utilizzare solo le
aree a levante e le difficoltà, visti i tempi, di montare
altri campi, faceva sì che la capienza totale non superasse i
25 mila posti contro gli oltre 40 mila di cui avremmo avuto bisogno.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. Nella settimana dal 15 al 22
vengono effettuate senza problemi diverse perquisizioni nelle
strutture assegnate al Genoa social forum, tutte con esiti
negativi.
Giovedì sera (il 19) intorno alle 22 comincia a
piovere copiosamente e tutti i tendoni collettivi predisposti si
allagano. La situazione peggiore è quella del SEDI, il cui
tendone è posto in fondo ad una discesa asfaltata: verso le
23,30 nel tendone ci sono 40 centimetri d'acqua. Negli altri campi la
situazione non è molto migliore e siamo costretti a chiedere
l'intervento del 118 per due o tre persone colpite da ipotermie e da
sindromi da raffreddamento. I vigili del fuoco intervengono al
Carlini, mentre le persone che occupano via dei Ciclamini riescono
a risolvere il problema da sole.
Dopo una serie di consultazioni
con l'amministrazione comunale, vengono aperte le gradinate della
piscina Sciorba, mentre al SEDI i Cobas ottengono direttamente
dall'assessore Massolo l'apertura della seconda palestra e di un
piccolo auditorium.
A causa della pioggia, molte persone che
dormivano nei tendoni allagati o all'aperto cercano una sistemazione;
alcune di loro vengono accolte presso la scuola Pertini, nella
palestra. Vengono richiesti agli enti locali interventi di emergenza,
distribuzione di bevande calde e coperte, ma, purtroppo, ci viene
riferito che tali interventi non sono fattibili. Nelle stesse ore, il
Genoa social forum effettua sopralluoghi in tutti i centri di
accoglienza, e al SEDI si nota - siamo, quindi, alla sera del 19
luglio - che alcuni sconosciuti stanno danneggiando la palestra. La
situazione è tesa; i COBAS, nella persona di Paolo Arado,
avvisano l'assessore Massolo di quanto sta avvenendo; ci informano
altresì dell'imminente arrivo di quest'ultimo sul posto la
sera stessa (e così, poi, avviene). Quindi, informata
immediatamente la provincia, l'assessore arriva sul posto.
La
mattina successiva, durante una riunione in comune, alla presenza di
vari esponenti dell'amministrazione comunale e provinciale, alcuni
responsabili del Genoa social forum avvisano nuovamente
l'assessore di quanto visto la sera precedente. L'assessore,
ovviamente, dice che ne era già abbondantemente a conoscenza.
I centri di accoglienza rimangono attivi, senza ulteriori
problemi, sino alla notte del 21 luglio. A seguito della diffusione
di notizie riguardanti le modalità e gli effetti della
perquisizione alla scuola Pertini (63 feriti di cui alcuni gravi),
molte delle persone ancora presenti nelle strutture decidono di
abbandonarle, nel timore che vengano intraprese quella notte analoghe
iniziative.
Per quanto riguarda i giorni delle manifestazioni ed
i fatti di Genova, la nostra memoria cerca di ricostruire quanto
avvenuto attraverso resoconti qualificati forniti da chi di noi era
presente, nonché attraverso le oltre 200 testimonianze e
denunce di singoli cittadini; ovviamente, tra queste, alcune non le
abbiamo ancora esaminate: per quanto compete, le consegneremo
all'autorità giudiziaria, alla magistratura. Il nostro intento
è fornire elementi affinché si possano ricostruire gli
eventi più controversi.
Il Genoa social forum ritiene
che, in occasione del vertice del G8 di Genova, non siano stati
garantiti i più elementari diritti dei cittadini e siano stati
fortemente limitati i diritti costituzionali di espressione, di
informazione e manifestazione. La strategia che ha guidato il
comportamento delle forze dell'ordine ha di fatto permesso, in tutti
e due i giorni, 20 e 21 luglio, la distruzione sistematica della
città da parte dei cosiddetti black bloc; essa è
sempre intervenuta, invece, in maniera violenta contro le
manifestazioni promosse del Genoa social forum.
Qui di
seguito vogliamo dare un'idea di quali siano i nodi più
problematici. Prima di entrare nel merito di quanto avvenuto il 20 ed
il 21, vorremmo solo ricordare che a partire dal 16 luglio si è
svolto il Public forum (che ha visto migliaia di partecipanti)
mentre, il 19 luglio, si è avuta, senza alcun incidente, la
grande manifestazione dei migranti. Nei mesi precedenti, con una
costanza impressionante, vengono divulgate dai media presunte
relazioni dei servizi segreti, del tutto fantasiose e puntualmente
smentite dagli accadimenti. Si sprecano le notizie su attentati
terroristici di oscure organizzazioni.
Tali notizie, su imprecisate frange più estreme dei
manifestanti che starebbero meditando di colpire duramente le forze
dell'ordine attraverso rapimenti, arrivano agli organi di stampa,
mentre si susseguono sui media cronache sugli allenamenti dei reparti
mobili della Polizia di Stato a Roma.
Nei primi giorni di luglio
vengono effettuate alcune perquisizioni anche nelle residenze di
esponenti del Genoa social forum, senza alcun esito. Il 16
luglio, alle 10,30 del mattino un pacco bomba esplode a Genova tra le
mani del carabiniere Stefano Torri, ferendolo ad un occhio ed alle
mani. Una delegazione del Genoa social forum si reca in visita
presso l'ospedale San Martino, esprimendo solidarietà a
Stefano Torri e condannando il vile attentato. Si susseguono allarmi
bomba in tutto il paese, alcuni purtroppo reali ed altri frutto della
psicosi che si era generata. Tra gli altri, ricordiamo un ordigno
incendiario ad orologeria trovato sotto un camper davanti allo
stadio Carlini, poi neutralizzato dagli artificieri. Inoltre, il 17
luglio arriva una busta al sindaco di Genova che contiene un
messaggio di morte per il portavoce del Genoa social forum
Vittorio Agnoletto e due proiettili calibro 38. Aggiungo che io
vengo a saperlo dall'agenzia ANSA la quale mi chiede una
dichiarazione il giorno dopo, durante il convegno sindacale; ricevo
poi conferma di ciò da una telefonata di miei amici, da
Milano: infatti, la notizia, è apparsa già in video.
Avvisato, alle ore 1,30 del 18, a ventiquattr'ore di distanza, dal
Vicecapo della polizia Andreassi, vengo convocato alle 5,30. Quando
chiedo come mai non fossi stato avvisato precedentemente, mi viene
risposto: dottore, deve capire, siamo anche noi in uno stato di
confusione assolutamente totale. Mi legge la relazione, dalla quale
emerge che, oltre a me, il proiettile era rivolto anche a Casarini;
chiedo se Casarini fosse stato avvisato. In quella riunione, presenti
le varie autorità, vengono chiamati
tutti i sottoposti, che dichiarano all'unisono di non averlo
avvisato. Andreassi dice di avvisare immediatamente Casarini, il
quale viene avvisato in serata (alle 18,30 non era ancora stato
avvisato). Questo è il clima che si respira in città
quando, nella notte tra il 17 e il 18 luglio, vengono innalzate
barriere di cinque metri di altezza attorno alla zona rossa,
dividendo in due la città e recludendo di fatto circa
trentamila abitanti.
La tensione si stempera, per fortuna, il 18
sera, quando abbiamo organizzato il concerto di Manu Chao. Il 19
luglio è il giorno della manifestazione dei migranti, che si
conclude a piazzale Kennedy: 50 mila persone, nessun incidente.
Arriviamo al 20 luglio, venerdì. Innanzitutto ricordiamo
che quel giorno, le iniziative sono state: il presidio di piazza
Manin/via Assarotti (organizzato da rete Lilliput, Legambiente,
Marcia delle Donne e Rete ControG8); il presidio di piazza Dante
(dove si erano concentrati ARCI, Attac, LILA, Rifondazione comunista,
Fiom, UDU, UDS, alcuni centri sociali); il presidio di piazza Paolo
da Novi (organizzato dai Cobas); il corteo di piazza Montano, da
piazza Montano a piazza Di Negro (organizzato dalla CUB); il corteo
di corso Gastaldi (organizzato dalle Tute bianche e dai Giovani
comunisti). Cosa avviene a piazza Paolo da Novi? Questo ci sembra uno
degli elementi fondamentali della relazione. La piazza è
occupata, già alle 11 di mattina, dai cosiddetti black
bloc; viene, quindi, abbandonata dai COBAS e dagli attivisti del
Network per i diritti globali che avevano organizzato il presidio
preventivamente autorizzato ai COBAS. Questi ultimi ed il Network si
dirigono verso il mare, dove improvvisano un concentramento
all'altezza di piazza Rossetti. Il concentramento nella piazza
tematica doveva avvenire alle ore 12. Attorno alla stazione
ferroviaria di Brignole, durante la notte, erano stati disposti degli
sbarramenti con container. Reparti in tenuta antisommossa
erano disposti ad elle, chiudendo la piazza in direzione non solo
di piazza Verdi ma anche di via della Libertà.
Successivamente, il reparto in via della Libertà veniva
riposizionato. Tra le 11,30 e le 11,45, mentre stavano arrivando alla
spicciolata le prime delegazioni di manifestanti e di contadini, gli
avvenimenti sono precipitati. Da una parte, alcune decine di
giovanissimi, senza segni distintivi evidenti, hanno iniziato a
lanciare contro il reparto schierato in corso Buenos Aires oggetti
che si erano procurati da una cantiere di ristrutturazione, svellendo
le pavimentazioni intorno alle aiuole della piazza. Alcuni esponenti
dei COBAS sono rimasti coinvolti; in particolare, uno di essi, nel
tentativo di disarmare queste persone, è stato colpito e
ferito alla testa. Le agenzie hanno dato ampio risalto all'episodio.
Nel mentre, da corso Buenos Aires sopraggiungeva un corteo di forse
200 persone, quasi tutte a volto coperto, che attaccavano le vetrate
di una banca e poi iniziavano a muoversi verso piazza Tommaseo, in
direzione contraria rispetto alla zona rossa. A questo punto, i
reparti antisommossa sembravano pronti ad intervenire; quindi i
manifestanti della piazza tematica, per non trovarsi coinvolti nelle
cariche, anche se il concentramento non era ancora concluso, hanno
dovuto abbandonare la piazza. Alcune centinaia di essi hanno cercato
di allontanarsi, uscendo insieme da piazza Paolo da Novi, in un primo
tempo in direzione di piazza Palermo; poi, resisi conto che lì
non si poteva andare perché si stavano verificando incidenti,
si dirigevano verso piazzale Kennedy. Un certo numero di persone
vestite di nero hanno tallonato il corteo per farsene scudo e hanno
continuato ad incendiare cassonetti e ad infrangere vetrine.
Arriviamo alla vicenda di corso Gastaldi. Alle 13,30 parte il
corteo dei disobbedienti, il cui preavviso era stato notificato
alla questura di Genova il 16 luglio, in termini precisi, per
quanto riguarda tutto il percorso (vedi allegati). Attenzione: il
giorno 19 luglio, infatti, ci avevano comunicato che di questa
manifestazione era stata vietata la parte finale (piazza Verdi,
piazza delle Americhe, piazza della Vittoria e via XX Settembre) e
che quindi, la manifestazione era regolarmente autorizzata fino alla
fine di via Tolemaide. Qui, abbiamo il testo, che possiamo
consegnare, con le prese d'atto e le autorizzazioni per lo sviluppo
di questo corteo con i limiti prima citati.
Alla testa del
corteo, alcune file di scudi collettivi montati su strutture mobili e
dietro altre migliaia di persone, con giubbotti nautici e protezioni
individuali, tutti senza strumenti atti ad offendere. D'altra parte,
questi strumenti di difesa erano stati abbondantemente filmati e
pubblicati sui giornali. Fino dall'altezza dell'ospedale di San
Martino era possibile scorgere, mentre il corteo ancora stava
avanzando, dense colonne di fumo ed elicotteri a bassa quota alcuni
chilometri più in basso. Il corteo viene rallentato per capire
cosa sta accadendo e avanza con estrema lentezza fino all'incrocio
con via Montevideo, dove incontra la carcassa di un'autovettura
ribaltata, bruciata e ormai solo fumante. Il corteo, fin dallo stadio
Carlini, è preceduto, ad alcune centinaia di metri, da un
«gruppo di contatto», composto da portavoce, parlamentari
e giornalisti, delegato, appunto, a prendere contatto con i dirigenti
delle forze dell'ordine. È da lì che si sente il gruppo
di contatto, che con il megafono continua a dire, mentre il corteo
avanza: «guardate quella carcassa, noi non c'entriamo, chi l'ha
fatta? È stata fatta prima di noi». È tutto
registrato nei video. Ma il gruppo di contatto non riuscirà a
svolgere alcuna funzione, pur essendosi spinto fin quasi alla
stazione di Brignole, senza incontrare alcun interlocutore.
Il corteo arriva a pochi metri dall'incrocio tra via Tolemaide
e corso Torino, dove un centinaio - e qui è importante - di
carabinieri sta inseguendo un piccolo gruppo di persone che fugge
verso il tunnel sotto la ferrovia che immette in corso Sardegna. Il
gruppo dei carabinieri, giunto all'incrocio con via Tolemaide,
desiste improvvisamente dall'inseguimento e, sparando lacrimogeni,
svolta di 90 gradi nella suddetta via caricando, non quelli che
stavano scappando e che inseguivano prima, ma la testa del corteo.
Nel giro di pochissimi minuti dalla stazione di Brignole avanzano
i cellulari dei carabinieri, fino ad allora fermi, che sostengono
l'azione di carica, supportati da un'incessante pioggia di
lacrimogeni proveniente anche dai tetti dei palazzi e, in un secondo
momento, anche dal ponte della ferrovia. Vorrei far presente per chi
non è di Genova che siamo ancora nel mezzo del corteo
autorizzato e non siamo minimamente arrivati dove c'è il
divieto. Da questo punto in poi le cariche saranno continue, mentre
il corteo arretra lentamente e tutto attorno la situazione si fa più
confusa.
Il corteo continua ad indietreggiare sotto la pressione
dei lacrimogeni e per l'avanzare dei mezzi blindati, lanciati ad alta
velocità contro i manifestanti (come dimostrano filmati e
foto); la calca è terribile, le persone soffocano per i gas e
vengono schiacciati. In assenza di vie di fuga alcune centinaia di
manifestanti si disperdono nelle vie laterali, bloccate dai
carabinieri e, per aprirsi la strada in modo non organizzato,
ingaggiano i primi scontri. Mentre il grosso del corteo composto da
20 mila persone tenta con difficoltà di ritirarsi verso lo
stadio Carlini, nella zona continuano violenti scontri, che, poco
dopo, porteranno alla morte di Carlo Giuliani.
A questo punto, in
via Tolemaide avanzano due grossi automezzi della polizia dotati di
idranti, usati come arieti
contro la testa della manifestazione e nel corteo si diffonde la
notizia che le forze dell'ordine hanno usato armi da fuoco e che uno
o più manifestanti sono rimasti colpiti. Poco dopo arrivano la
conferma della morte di un ragazzo e la voce di altri due decessi
(solo in serata si saprà che il morto è uno ed ha le
generalità di Carlo Giuliani).
Il corteo indietreggia,
incalzato dalle cariche lungo corso Gastaldi per più di un
chilometro, con una sorta di caccia all'uomo e pestaggi
indiscriminati. All'incrocio con via Corridoni alcune centinaia di
poliziotti, nonostante parte del gruppo di contatto avesse più
volte comunicato che il corteo stava rientrando allo stadio Carlini,
si aggiungono alle cariche, che cessano solo alcune centinaia di
metri prima dello stadio stesso, dove il corteo rientra a partire
dalle 18,30.
Cariche, pestaggi ed arresti continuano nelle ore
successive nei quartieri di san Martino e alla Foce nei confronti di
chi si era perso o attardato.
A piazza Manin c'era la Rete
Lilliput ed altri che cominciano ad arrivare alle ore 9,30. Qui ci
sono scene diverse: banchetti delle botteghe del commercio equo e
solidale, cartelloni, iniziative e via dicendo. In questa piazza non
c'è alcuna presenza delle forze dell'ordine, che fino al
giorno prima, invece, la presidiavano; convergono qui gli aderenti
del pink bloc, ecopacifisti in prevalenza del centro e nord
Europa. Nonostante le autorizzazioni scritte, alcuni organizzatori
del presidio di piazza Manin martedì 17 luglio mattina si
recano a una riunione operativa in questura con il capo della DIGOS
Spartaco Mortola, durante la quale si chiariscono tutte le questioni
concrete. Il pomeriggio stesso, dopo aver fissato un appuntamento,
Rete Lilliput - attraverso Alberto Zoratti -
incontra nuovamente il capo della DIGOS e si specificano i
banchetti e le iniziative previste; stessa cosa avviene il 19 luglio.
Alle assicurazioni da parte del capo della DIGOS non sono seguiti
fatti concreti, tanto meno durante la carica a piazza Manin il giorno
20 pomeriggio. In quell'occasione, nonostante si richiedesse agli
operatori di polizia presenti in piazza chi fosse il funzionario
responsabile, gli organizzatori non ricevevano risposte. Contattato a
questo proposito per telefono, il dottor Mortola rispondeva «levatevi
di lì». Ciò per quanto riguarda i rapporti con la
questura.
Nella tarda mattinata del 20 luglio, si concentrano
nella piazza circa 2-3 mila persone e verso le 12,30 si decide di
cominciare a scendere per via Assarotti per effettuare un sit in
pacifico davanti alle barriere di piazza Corvetto e di piazza
Marsala. Giunti alla fine di via Assarotti inizia il sit in e
dopo una breve trattativa con le forze dell'ordine, insieme a Don
Gallo e Franca Rame, le stesse consentono agli attivisti non violenti
di attaccare messaggi e striscioni alle grate di piazza Corvetto.
Alle 13,30 giungono via cellulare a vari manifestanti notizie
riguardanti le incursioni dei presunti black bloc e verso le
14 viene segnalato che un gruppo degli stessi aveva assaltato il
carcere di Marassi e si stava dirigendo verso piazza Manin, prendendo
via Peschiera e via Monte Grappa. A quel punto gli organizzatori
della manifestazione decidono di far arretrare il grosso dei
manifestanti oltre via Peschiera e, infine, di guadagnare di nuovo
piazza Manin, dove stazionavano nella mattina, mentre alcune decine
rimangono in piazza Corvetto.
Alle 14,30 irrompono nella piazza,
dove non sono presenti le forze dell'ordine, i black bloc ed
altri gruppi armati di spranghe e bastoni, facendo marce e caroselli.
Gli attivisti non
violenti si frappongono tra i cosiddetti black bloc e
l'imbocco di via Assarotti per impedire a questi ultimi di imboccarla
e di mettere in pericolo chi è rimasto davanti alle grate.
Dopo pochi minuti presunti black bloc stanno sganciandosi,
cominciano a imboccare corso Armellini per andarsene e, a quel punto,
in piazza cominciano a piovere candelotti contro il gruppo dei
manifestanti non violenti che avevano fatta opera di interposizione.
Subito dopo una cinquantina di agenti della Polizia di Stato
irrompono nella piazza, accanendosi sui banchetti e manganellando gli
ecopacifisti e le femministe.
Alcuni dei presenti contano
perlomeno una decina di ragazzi e ragazze con la testa insanguinata
ed una ragazza con una frattura alla mano. I gruppi che denominiamo
black bloc, nel frattempo, procedono in tutta calma per corso
Armellini improvvisando barricate con i cassonetti e le campane dei
rifiuti e sfasciando le macchine in sosta. All'altezza di piazza San
Bartolomeo degli Armeni viene organizzata un'altra barricata e un
drappello di una decina di black bloc attende l'arrivo di
altri: c'è un lancio di bottiglie, di lacrimogeni e, a quel
punto, anche gli ultimi black bloc si muovono per raggiungere
gli altri lungo corso Solferino.
I poliziotti, invece di
inseguirli, deviano verso l'adiacente piazza San Bartolomeo dove si
erano rifugiati gruppi di pacifisti, li aggrediscono e continuano la
caccia al militante non violento anche lungo via Assarotti. I black
bloc, nel frattempo, agiscono indisturbati lungo via Palestro,
mentre la polizia si attesta immobile a piazza Marsala. L'opera di
distruzione dei black bloc continua in tutta tranquillità
anche per corso Magenta e corso Paganini.
Nel frattempo - sono le
ore 16,30-17,00 - giunta la notizia che il Genoa social forum
ha deciso di smobilitare i presidi e di convocare un'assemblea in
piazzale Kennedy, il grosso dei
militanti imbocca via monte Grappa e scende da una scalinata
dietro Brignole, sulla sponda destra del Bisagno all'altezza di ponte
Sant'Agata, dove arriva alle 17,30. Mentre nella zona i black bloc
stanno mettendo a ferro e fuoco il quartiere di Marassi, i pacifisti
che vogliono raggiungere piazzale Kennedy trattano con un reparto di
Polizia che presidia l'uscita della galleria in fondo a via Canevari,
il quale gli impedisce il passaggio per circa un'ora.
La Rete
Lilliput cerca di sbloccare questa situazione pericolosa e, alla
fine, i mille riescono a guadagnare corso Torino ed arrivare in
piazzale Kennedy.
Per quanto riguarda l'altra piazza tematica,
piazza Dante, intorno ai giorni 16-17 luglio ARCI, Attac, Fiom CGIL,
Rifondazione comunista, Unione degli studenti, alcuni centri sociali,
la LILA ed altri, decidono di svolgere le iniziative previste.
Spieghiamo tutto e si depositano alla questura tutte le richieste. Il
giorno 19 luglio al mattino si svolge una riunione delle
organizzazioni che sarebbero state presenti nelle piazze Carignano e
Dante. Studiamo come organizzarci per garantire la piena pacificità
delle manifestazioni e, in particolare, si decide di collocare alcune
persone in luoghi strategici pronte ad avvisare se succede qualcosa.
Si fissa il concentramento alle ore 12 in piazza Carignano e si
decide comunque di avere già una presenza nelle piazze alle
10,30 per presidiarle. Attac France sarebbe partita in corteo da
piazzale Kennedy per arrivare lì.
Noi prevediamo la
presenza di due sound-system (camioncini con casse per la
musica), spettacoli di teatro di strada, attività creative e
quant'altro. Alle ore 11 del 19 luglio Massimiliano Morettini e
Fiorino Iantorno si recano in questura da Spartaco Mortola per
informarlo sull'organizzazione delle piazze nei minimi particolari.
Dopo un breve colloquio
il Mortola li accompagna a parlare con il questore e vengono
fornite tutte le garanzie. La mattina del 20 luglio alle ore 11 nelle
piazze vi sono alcuni di noi che stanno organizzando il tutto.
In
piazza Carignano viene notato un motorino con alcuni fili scoperti,
che pareva abbandonato e che aveva sul serbatoio un adesivo della
Polizia di Stato. Viene avvisata la questura almeno tre volte perché
controlli che non ci siano ordigni: nessun intervento.
Alle ore
12 le due piazze si cominciano a riempire. Nel frattempo, cominciano
ad arrivare le prime notizie di incidenti in altre zone. In piazza
Dante la manifestazione si svolge in modo abbastanza tranquillo; ogni
tanto qualche momento di tensione, qualche attacco alla rete, sempre
a mani nude, veniva interrotto dai getti degli idranti con acqua
urticante. In piazza c'è musica e spettacoli di teatro. Il
clima teso che si avvertiva per quello che avveniva in città
ha fatto sì che noi rinunciassimo a costruire la torre di
Babele, un grande «piedone», cioè cose creative.
Il servizio di sorveglianza della piazza - il nostro servizio - ha
funzionato togliendo ad alcune persone oggetti trovati per strada
(bastoni, cartelloni stradali) e allontanando qualche esagitato.
Intorno alle 14 uno dei nostri punti di sorveglianza, intorno
alla chiesa di piazza Carignano, ci informa di incidenti tra forze
dell'ordine e cosiddetti black bloc in piazza Alessi. Una
decina di persone appartenenti ad Attac si dirigono verso piazza
Carignano e restano bloccate dagli scontri; alcuni attivisti di Attac
cercano di raggiungerli, l'operazione riesce, ma due attivisti
vengono picchiati.
Alle ore 15,45 - sono molto sicuro dell'orario
e in seguito verificheremo che ciò corrisponde con i «lanci»
ANSA - mi telefona il sindaco di Genova, Giuseppe Pericu (io ero a
piazza
Dante), il quale mi dice di essere furibondo (l'ANSA testimonia
esattamente quello che dice): le forze dell'ordine stanno
fronteggiando iniziative non violente, organizzate dal Genoa
social forum, mentre la città è totalmente
abbandonata ai black bloc. Il sindaco mi chiede di dare un
segnale, con un corteo che rientra, al quale egli avrebbe fatto
seguire una dichiarazione molto dura - che, infatti, fece - chiedendo
alle forze dell'ordine di non abbandonare il resto della città.
A quel punto ha telefonato ai vari cortei, ho coordinato
l'iniziativa, ho fatto un breve comizio in piazza Dante e, alle 16,15
ho richiamato il sindaco, comunicandogli che sarebbero rientrati
tutti i cortei, non uno solo, che si sarebbero trasferiti in piazza
Kennedy. A questo punto ho chiesto al sindaco di avvisare anche le
forze dell'ordine del nostro rientro e che, dunque, non saremmo
rimasti fino alle 20. Ho telefonato io direttamente al vicecapo della
polizia, dottor Andreassi; al telefono ho risposto un'altra persona,
alla quale riferito di aver concordato con il sindaco che tutti i
cortei tornassero tornati in piazzale Kennedy, specificando anche gli
itinerari e che quindi quello di piazza Dante avrebbe seguito il
percorso della manifestazione del 19, comunicando anche gli itinerari
degli altri.
Alle 16,30, concluso un breve comizio in piazza
Dante, do disposizione per la formazione del corteo; il corteo si
dirige per via Fieschi per risalire verso piazza Carignano, che è
praticamente vuoto. Da un lancio dell'ANSA delle 16,50 risulta che ce
ne siamo andati, dunque, questi sono i tempi, non altri. A quel
punto, con la piazza vuota, cominciano a partire una serie di
lacrimogeni dalle forze dell'ordine contro il corteo che era in via
Fieschi, alcuni lacrimogeni vengono lanciati dalle finestre di via
Fieschi e io vengo colpito direttamente da un lacrimogeno sul braccio
destro.
Per quanto concerne il corteo da piazza Montano a piazza
Dinegro, il sindacato di base CUB ai primi di maggio dà
comunicazione alla questura del corteo dei lavoratori. Negli incontri
tra GSF e responsabili della polizia si spiegano le ragioni di questo
corteo; che prima non viene autorizzato poi, ad un certo punto, viene
autorizzato.
Nella giornata di martedì, alle ore 15, la
delegazione CUB si reca in questura e viene ricevuta dal responsabile
della DIGOS, dottor Mortola e solo dopo vari tentativi di far
cambiare percorso, si arriva ad una proposta, che prevede una
riduzione drastica del corteo, con partenza da piazza Montano e
conclusione a piazza Dinegro.
Alle ore 21 circa si interrompe, in
attesa di autorizzazione definitiva; alla ripresa, alle 22,30, viene
proposta un'autorizzazione verbale e, solo di fronte alle proteste
della delegazione del sindacato di base CUB, il corteo viene
autorizzato per iscritto con alcune prescrizioni.
In piazza
Montano a metà mattinata ci sono migliaia di lavoratori. Il
corteo si svolge regolarmente anche con la presenza di delegazioni di
altri gruppi. Per garantire che tutto andasse secondo le previsioni i
lavoratori hanno esercitato azioni di controllo.
All'arrivo in
piazza, la polizia ha indossato le maschere antigas, come se si
stesse apprestando al lancio di lacrimogeni, quando la situazione era
tranquilla. Dopo una serie di proteste i responsabili delle forze
dell'ordine hanno fatto togliere le maschere.
All'ingresso nella
piazza, da vie laterali, nella piazza di probabili provocatori è
stato deciso di accelerare la chiusura della manifestazione in piazza
Dinegro e di far tornare il corteo al punto di partenza. Durante il
ritorno in piazza Montano si è avuta notizia, lontano dal
percorso del corteo,
di episodi di distruzione di cassonetti e banche da parte dei
cosiddetti black bloc. Si notava, tra l'altro, che in modo
inspiegabile la sede FIAT lungo il percorso non era più
presidiata.
Sono stati necessari ripetuti interventi e richieste
di chiarimenti perché le forze dell'ordine a presidio di
piazza Montano (in particolare carabinieri) mostravano una
particolare tensione, anche se nella piazza tutto era calmo. Gran
parte dei manifestanti erano in viaggio alla tragica notizia della
morte di Carlo Giuliani.
Occorre aggiungere che tutti i cortei -
non i CUB, ma gli altri cioè i cortei delle tute bianche e
quello di via Manin - dopo essersi consultati con me e dopo che io
avevo comunicato il rientro al sindaco e al vicecapo della polizia,
attraverso il suo centralino telefonico, lungo gli itinerari sono
stati attaccati, mentre tutti stavamo cercando di tornare in piazzale
Kennedy, che rappresentava il punto di convergenza comunicato, sulla
base di quanto ci era stato richiesto dal sindaco per un corteo e che
noi, invece, stavamo attuando per tutti.
Per quanto concerne il
corteo internazionale del 21 luglio, occorre ricordare che in quella
data è prevista l'iniziativa del corteo pacifico, il cui
percorso è depositato in questura da tempo e prevede via
Cavallotti, corso Italia, svolta in corso Torino, corso Sardegna e
conclusione in piazza Galileo Ferraris.
La giornata si presenta,
fin dalle prime ore del mattino, con un'enorme partecipazione,
arriveranno circa 300 mila persone. Appare subito strano - per chi di
cortei ne ha visti - il fatto che davanti alla testa del corteo non
si dispongano le forze dell'ordine per proteggerne lo svolgimento,
come normalmente accade. Questa scelta, per noi imprevista, causerà
numerosi problemi, come vedremo in seguito.
Nella tarda mattinata, il capo della DIGOS genovese, Spartaco
Mortola, telefona a Massimiliano Morettini, uno dei coordinatori del
Genoa social forum, per avvertirlo che nella piazza ci sono
dei gruppi di black bloc che vogliono accodarsi in fondo al
corteo, chiedendo al Genoa social forum di non farli inserire.
Il coordinatore, Massimiliano Morettini, esprime contrarietà
al fatto che la Digos non intervenga a bloccare i black bloc,
sapendo che ci sono e che sono dietro al corteo e invita le forze
dell'ordine a muoversi per prevenire l'aggancio dei black bloc
al corteo. Infatti, noi, avendo parlato di iniziative pacifiche,
eravamo con le mani alzate, mentre quelli erano armati e di certo,
per definizione, questo compito non spettava a noi, ma a loro.
Nonostante questa richiesta non succede assolutamente nulla.
I
primi problemi si verificano nei pressi della caserma dei carabinieri
di San Giuliano dove un gruppetto di persone estranee al corteo,
aspettano - secondo la solita logica, sono lì indisturbati -
che arrivi la manifestazione e cominciano a lanciare oggetti contro
la caserma. Immediatamente alcuni manifestanti del corteo
intervengono per allontanare il gruppetto.
Quando la testa del
corteo giunge nei pressi dell'incrocio tra corso Marconi e via
Rimassa, trova di fronte a sé un gruppo di un centinaio di
persone che si fronteggiano con le forze dell'ordine schierate, che
erano già lì. Nonostante ciò, la testa del
corteo svolta per via Rimassa senza problemi.
A metà di
corso Torino la testa del corteo trova una situazione potenzialmente
rischiosa: infatti, gruppi di persone stazionano nelle vie laterali
in palese atteggiamento non pacifico, a poca distanza dalle forze
dell'ordine; sono lì, si fronteggiano.
Temendo che possano approfittare del passaggio del corteo per
provocare incidenti, la testa del corteo decide di fermarsi e le
prime file - sono io lì davanti insieme ad altri, che do le
indicazioni - si siedono in terra. Noi non ci muoviamo per non
passare lì in mezzo dove si fronteggiano black bloc e
forze dell'ordine. Nel frattempo, si presentava un problema, perché
dallo spezzone di corteo che transitava da corso Marconi (a circa un
chilometro dalla testa del corteo) ci continuavano a telefonare
dicendo di proseguire avanti per evitare di essere coinvolti dal
lancio di lacrimogeni che avveniva dietro. Noi non volevamo andare
avanti, perché vi era quello situazione rischiosissima e
dietro c'erano i lacrimogeni: quindi, quelli davanti erano seduti e
quelli dietro spingevano per proseguire.
In piazza Rossetti,
alcune persone incendiano i locali della banca distrutta il giorno
prima, agendo per circa mezz'ora del tutto indisturbati. Dallo
schieramento di polizia, rimasto fermo in fondo a corso Marconi,
partono alcuni lacrimogeni, a cui viene risposto dopo mezz'ora con
lancio di sassi, incendi di auto e con la costruzione di una
barricata fatta di cassonetti, stand e auto sfasciate da
piazza Rossetti. Più indietro, il corteo cerca di sfilare
tenendosi a distanza, decidendo di non svoltare più in via
Rimassa, come previsto, ma nella traversa precedente, via Casaregis,
cercando di uscire da quella situazione a rischio. Mentre cerchiamo
di deviare per portare via il corteo, improvvisamente parte la carica
della polizia e anche l'accesso a via Casaregis viene bloccato. Da
quel momento in poi, nonostante le richieste, nessuna via ulteriore
viene lasciata libera dalle forze dell'ordine per far defluire decine
di migliaia di persone, a quel punto completamente bloccate e
imbottigliate in corso Italia. Da lì in poi, corso Italia
diventa teatro di ripetuti pestaggi gratuiti su manifestanti inermi,
spesso a braccia alzate, senza tener conto della presenza di persone
anziane, famiglie e, per giunta, persone in carrozzella, come
numerosi servizi giornalistici hanno mostrato. Vengono, inoltre,
utilizzati blindati lanciati sulla folla a velocità sostenuta.
Molti manifestanti inseguiti si rifugiano sulle spiagge, sugli scogli
o in strade laterali che però, sono tutte bloccate da file di
camionette, che costringono la gente a rimanere imbottigliata su
corso Italia ed a subire le cariche. Ovviamente - è inutile
che lo ripeta ogni volta - il gruppetto lì davanti che ha
tirato le pietre e sfasciato le auto se ne era andato in modo
assolutamente tranquillo.
Nel frattempo, la parte del corteo che
ha girato per via Casaregis cerca di riordinarsi e di ricongiungersi
a quelli più avanti. Imbocca via Morin per reimmettersi su via
Rimassa, dove trova però un fitto cordone di polizia,
schierato lungo il lato della strada. Si decide allora di procedere
con lentezza, a mani alzate, ripetendo la parola «non
violenza», sfilando davanti alla polizia senza creare la minima
tensione (bisogna ricongiungersi, non c'è altra strada).
Giunti all'imbocco di via Rimassa, i manifestanti sono investiti da
un fitto lancio di lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo, che li
disperde nuovamente e li costringe a tornare su via Casaregis, mentre
una parte, pur nella difficoltà di essere sotto il tiro dei
lacrimogeni, cerca di tenersi unita e imbocca una traversa più
avanti per arrivare in corso Torino. Chi rimane in fondo a via
Casaregis, isolato o a piccoli gruppi, diventa oggetto di una vera e
propria caccia all'uomo e di pestaggi da parte della Polizia e della
Guardia di Finanza. La coda di questa parte del corteo viene caricata
anche alle spalle.
Torniamo alla testa del corteo. Dopo il sit-in
improvvisato sopra descritto, i responsabili che stanno alla
testa del corteo comunicano con i responsabili della questura. Vado
davanti - tutto il filmato lo dimostra -, chiedo di parlare con il
responsabile e gli dico che non ci muoveremo di lì se le
forze dell'ordine non ci avessero precederanno, garantendo il
defluire del corteo, e che non passeremo mai tra loro e gli altri
gruppi. Ne discutiamo e, ad un certo punto, le camionette si mettono
alla testa del corteo per qualche centinaio di metri, poi scompaiono
un'altra volta (pur rimanendo in altre zone).
Il comizio di
chiusura si svolge in un clima di fretta e di tensione, perché
giungono continue notizie di incidenti nella zona di piazza Giusti.
Dopo lo scioglimento del comizio, migliaia di persone si
trasferiscono davanti allo stadio di Marassi cercando di muoversi per
raggiungere treni e pullman. Quando da un lato e dall'altro del
Bisagno si muovono piccoli gruppi di cosiddetti black bloc che,
inseguiti dalla polizia, cercano di infiltrarsi, costoro vengono
respinti e isolati dai manifestanti che sostano davanti allo stadio.
Ciò nonostante, i reparti di polizia si attestano sulla riva
opposta del Bisagno e fanno partire un fitto lancio di lacrimogeni
contro i manifestanti pacifici, che non reagiscono in alcuna maniera.
Solo dopo molto tempo la situazione si normalizza, permettendo alle
persone di raggiungere i mezzi di trasporto, anche grazie ai pullman
navetta messi a disposizione dal comune di Genova.
Prima
dell'ultimo passaggio, vorrei riassumervi una questione specifica che
mi riguarda. Dopo gli incidenti di cui veniva data notizia, alla fine
del corteo, con una macchina, insieme ad un parlamentare e ad altre
persone, ho cercato di capire che cosa era accaduto. In corso Italia
mi sono fermato all'altezza di Punta Vagno, cercando di ottenere
degli spazi per far defluire le persone che non sono arrivate al
comizio finale, per permettere loro almeno di andare a prendere il
treno. Dato il mio ruolo, sono andato a parlare con le forze
dell'ordine, cercando di risolvere il problema. In corso Italia,
all'altezza di Punta Vagno, la strada ormai era deserta e cosparsa
di effetti personali (abiti, scarpe, borse e tantissimi occhiali).
Ciò è sufficiente per capire la violenza delle cariche:
chi è fuggito lo ha fatto nel panico totale, qualcuno vaga
ancora per la strada. A questo punto, scendo e vedo il questore con
altri rappresentanti delle forze dell'ordine in divisa di ordinanza.
Chiedo spiegazioni sui disordini, il questore si assenta, compaiono
altri funzionari in borghese distinguibili dal casco della polizia
(hanno maglie nere con una testa di leone gialla stilizzata). Uno dei
funzionari verifica telefonicamente la situazione dei disordini,
poiché avevo chiesto cosa stesse succedendo e per quale
ragione un pezzo del corteo era ancora bloccato. I funzionari di
polizia mi dicono che tutto è finito (lo vediamo da soli), e
che sarebbe utile andare a via Sturla dove a loro risulta in corso un
attacco a una caserma dei carabinieri. Allora con la macchina andiamo
in via Caprera, dove incrociamo altre migliaia di persone che
intasano la strada. Chiediamo dove possiamo transitare, ma, mentre
passiamo secondo le indicazioni delle forze dell'ordine veniamo
assaliti da un gruppo di persone che, al grido di «infame»
rivolto al sottoscritto, lanciano tutto ciò che hanno a
disposizione contro la macchina. Riusciamo ad andare via
immediatamente, solo grazie alla prontezza di chi guidava. Consegnerò
anche questa memoria, ma vorrei capire perché mi è
stato detto di dirigermi verso quella strada per raggiungere l'altra
zona, quando poi l'assalto non c'era e sono finito in una situazione
molto pesante (Interruzione del deputato Menia).
Veniamo
al blitz alla «Pertini» e all'irruzione al
Indymedia Center del Genoa social forum. Nella scuola
Pertini è ospitata la NGO House ovvero gli uffici a
disposizione delle ONG straniere. Dalla notte del 19, come abbiamo
spiegato, alcune
persone vanno a dormire nella scuola. La notte di sabato, l'irruzione avviene verso la mezzanotte. Quando arrivano le forze dell'ordine, le luci alle finestre sono accese (dalle immagini video si vede chiaramente). Il cancello esterno viene sfondato con una camionetta, i reparti stazionano qualche istante nel cortile, poi entrano nella scuola. Vi sono sia agenti in divisa, sia funzionari in borghese, sia poliziotti in borghese ma con casco e fazzoletto a coprire il volto. Dalla strada si sentono richieste di aiuto e lamenti. Sulla strada cominciano a confluire numerose persone e molti giornalisti. Le forze dell'ordine fanno un cordone davanti al cancello della scuola. Insieme ai parlamentari Malabarba e Mantovani, al consigliere regionale Nesci e a qualche avvocato, tentiamo di entrare nell'edificio, ma ci viene impedito. Insieme all'onorevole Mantovani e al consigliere Nesci, veniamo sospinti e malmenati fuori dalla scuola, mentre sentiamo provenire le urla dal piano superiore. Arrivano le autoambulanze. Molto lentamente iniziano ad uscire i feriti. Nonostante il clima di grande tensione, alcuni responsabili del Genoa social forum lì presenti si adoperano per evitare che la situazione trascenda. Si costituisce un cordone di protezione per tenere separate le forze dell'ordine dalle persone lì presenti. In ogni caso, i presenti mantengono un atteggiamento responsabile e non si registra nessuna reazione violenta. La manovra di ritirata della polizia è lentissima. Le forze dell'ordine danno il tempo ai cellulari di allontanarsi, arretrando di pochi metri ogni dieci minuti. Quando tutto finirà, saranno ormai già le 3. Mentre si stanno portando via i feriti e gli arrestati, nel cortile della scuola il responsabile dell'ufficio stampa della polizia, Sgalla, rilascia una prima dichiarazione in cui dice: «è stata fatta una perquisizione e non è stato toccato nessuno. I feriti e il sangue già rappreso che si possono notare sono conseguenze degli
scontri del corteo del pomeriggio». Basterà entrare
nella scuola per vedere che tutto ciò non corrisponde al vero.
Veniamo al blitz alla scuola Diaz, sede del centro stampa
del Genoa social forum. Alla scuola Diaz si trovano l'ufficio
stampa, gli uffici legali, le sale riunioni e il centro stampa. Il
venerdì e il sabato viene approntata un'infermeria per i
feriti delle manifestazioni (chi vorrà troverà allegati
i promemoria dei sanitari, oltre a quelli dei legali). Dopo che
l'irruzione alla Pertini è iniziata, la Polizia entra di forza
nella Diaz. I poliziotti obbligano le persone presenti al pianterreno
ad entrare nella palestra e salgono ai piani superiori dove irrompono
nelle aule che ospitano i sanitari e gli avvocati del Genoa social
forum. Si accaniscono soprattutto nel locale degli avvocati, dove
sfasciano i computer e manomettono gli hard disk, rendendoli
inutilizzabili. Salgono al terzo piano, dove vengono sottratte alcune
videocassette (anche con le registrazioni dell'irruzione alla
Pertini), sequestrano documenti legali (denunce, testimonianze sui
fatti accaduti) e pongono in stato di fermo - questo è
interessante - una sola persona: il coordinatore dei legali Giuseppe
Scrivani. Nei locali del Media Center del Genoa social
forum - la scuola chiamata Diaz/Pascoli, per capirci - le persone
presenti vengono prima fatte stendere a terra e poi fatte mettere in
ginocchio, faccia al muro, lungo i corridoi. Nemmeno la presenza
dell'europarlamentare Luisa Morgantini serve a farsi dare spiegazioni
su quanto sta accadendo.
Alle richieste di un mandato si risponde
«Non siamo in America, facciamo quello che vogliamo». Al
mio arrivo, più tardi, alla stessa domanda, il capo della
DIGOS genovese, Mortola, dirà che il mandato potrà
essere visto entro mezz'ora. Ma ciò non è mai avvenuto.
Alla fine i poliziotti se ne vanno senza neanche aver fatto un
verbale di tutto il materiale danneggiato o sottratto: hard disk,
videocassette, cellulari e documenti.
Aggiungo che, rispetto al
blitz alla Diaz - solo perché si sappia, ma, comunque,
è documentato - alle 9,30 di quella sera in una televisione
nazionale, La 7, durante una trasmissione coordinata da Gad
Lerner - a cui ero presente insieme ad altri esponenti del Genoa
social forum - veniva presentato un video dove si vedevano
persone, vestite come black bloc, parlare tranquillamente con
le forze dell'ordine. Era una cassetta. Noi non sappiamo dire - non
vogliamo fare delle ipotesi - se fossero contatti tra black Bloc
e forze dell'ordine, se erano forze dell'ordine che dovevano fare il
loro mestiere di infiltrazione. Aggiungo che se l'hanno fatto,
l'hanno fatto proprio malissimo perché poi abbiamo visto cosa
è successo. Dico solo, come sequenza temporale - relativamente
al fatto che nella scuola Diaz si cercava materiale documentale,
eccetera - che alle 9,30 di quella sera, a La 7, abbiamo
mostrato quella cassetta.
Vi ringrazio moltissimo per
l'attenzione che ci avete prestato. Mi scuso per la lunghezza
dell'intervento, ma pensiamo di avervi consegnato, comunque, una
memoria ampiamente documentata. Ho parlato a nome di tutti; poiché
sono stato chiamato qui e alcuni sono stati indicati come miei
consulenti - Kovac, Morettini e Cassurino -, le associazioni
chiamate, che condividono e hanno sottoscritto questo documento del
Genoa social forum, vorrebbero svolgere una breve
dichiarazione.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Agnoletto. Vorrei sapere quali soggetti intendono intervenire.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Si tratta delle quattro associazioni chiamate per conto loro...
PRESIDENTE. Quindi parliamo dell'ARCI, della Rete Lilliput, delle «Tute bianche»...
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Le quattro che sono state chiamate per conto loro, che sono l'ARCI, la Rete Lilliput, Pax Christi e Legambiente. Kovac, Morettini e Cassurino li ho indicati io come consulenti, perché non erano stati da lei convocati.
PRESIDENTE. Prego il portavoce dell'ARCI di procedere con la relazione e le sue osservazioni.
RAFFAELLA BOLINI,
Rappresentante dell'ARCI. Sono la responsabile internazionale
dell'ARCI che, come forse sapete, è un'associazione di
promozione sociale e culturale. L'ARCI è tra i fondatori e gli
animatori del Genoa social forum. Le nostre strutture in tutta
Italia hanno organizzato la partecipazione a Genova, migliaia dei
nostri associati hanno preso parte alle manifestazioni. Io,
personalmente, ho rappresentato e continuo a rappresentare l'ARCI nel
consiglio dei portavoce del Genova social forum, per cui posso
dirvi che la mia associazione ha contribuito a determinare tutte le
scelte del Genoa social forum fin dal suo nascere. Per questo
abbiamo ritenuto del tutto naturale essere auditi insieme agli altri
componenti del Genoa social forum ci riconosciamo nella
relazione che il dottor Agnoletto ha svolto a nome di tutti noi.
Vorrei approfittare del tempo a disposizione e della vostra
pazienza per offrire un contributo al vostro lavoro su due punti: uno
riguarda l'inizio di questa storia e l'altro i giorni cruciali di
luglio.
Per quanto riguarda il primo punto, per l'ARCI la scelta di
contribuire alla nascita del Genoa social forum è stato
un atto di responsabilità civica. Già un anno prima del
vertice G8 era evidente che migliaia di persone sarebbero arrivate a
Genova in quei giorni dall'Italia, dall'Europa e da tutto il mondo.
Lo abbiamo considerato un fatto assolutamente positivo; crediamo che
la partecipazione dei cittadini ai grandi temi della politica, in
particolare delle questioni internazionali, sia un valore e un motivo
di orgoglio per un paese democratico, tanto più per un paese
dove spesso ci si preoccupa per il disinteresse e la disaffezione
alla vita civica dei cittadini e, in particolare, dei giovani. Era un
segnale in controtendenza.
Proprio per il grande affollamento che
si prevedeva a Genova, siamo stati fra coloro che hanno ritenuto
essenziale fornire un forte e solido riferimento culturale ed
organizzativo alla preparazione e alla gestione degli eventi di
Genova, in modo che il faro della mobilitazione fosse la
partecipazione popolare, di massa, pacifica, coerente con i contenuti
positivi che movimenti sociali esprimono attraverso lo slogan
«Globalizzazione dal basso». Da questo punto di vista, il
Genoa social forum - che nel suo patto fondativo sottolinea la
scelta pacifica e non violenta come propria discriminante essenziale
- ha svolto un ruolo assolutamente positivo nella preparazione e
nella gestione dei giorni di Genova. Le mille e più
organizzazioni italiane ed internazionali che vi hanno aderito, hanno
accettato, come primo passo nel loro cammino verso Genova, di
dichiarare pubblicamente la loro adesione a tali valori, iniziative
pacifiche e non violente.
Noi siamo stati accusati in questi mesi
di ambiguità, di collusioni con i violenti. Vorrei
sottolineare in questa sede che riteniamo che il Genoa social
forum abbia fornito, al contrario, un grande contributo a
consolidare questo nuovo e crescente
movimento su un terreno dichiaratamente democratico. E ve lo dice
un'organizzazione che crede talmente nel valore della non violenza da
averla ascritta come valore fondativo nel proprio statuto: l'ARCI è
per statuto un'organizzazione non violenta e non so quante
organizzazioni e partiti possano dire altrettanto. Anzi, penso che la
politica e la gestione dell'ordine pubblico abbiano molto bisogno di
non violenza perché l'uso della forza non è in
contrapposizione con il valore della non violenza (Commenti).
Il secondo punto che vorrei sottolineare - mi scuso per questa
considerazione - è il seguente. Ho personalmente seguito,
nella divisione dei compiti del Genoa social forum, il
coordinamento e l'organizzazione della giornata del 20, il cosiddetto
accerchiamento della zona rossa. Avevamo deciso di realizzare
l'accerchiamento della zona rossa attraverso molteplici iniziative
promosse dai diversi aderenti al Genoa social forum nel
rispetto delle differenze che abbiamo sempre considerato una
ricchezza. Le iniziative erano diverse nelle forme, negli obiettivi e
nelle metodologie di svolgimento: cortei, sit-in, la veglia di
preghiera dei missionari, il teatro di strada, manifestazioni nelle
aree adiacenti alla zona rossa. Alcune di esse, che riguardavano
l'accerchiamento, prevedevano forme di disobbedienza civile, come il
blocco non violento dei varchi promosso dalla rete contro il G8 e il
tentativo dichiarato di cercare di valicare i confini della zona
rossa da parte del corteo del Carlini. Le iniziative di disobbedienza
civile si sarebbero svolte nell'ambito delle scelte comuni del Genoa
social forum già richiamate dalla relazione di Agnoletto:
non attaccheremo la città, non attaccheremo le persone neppure
se in divisa, non porteremo strumenti offensivi.
Questo è
ciò che avevamo previsto ed organizzato per il 20 ed è
ciò che abbiamo illustrato alle istituzioni e ai responsabili
delle forze dell'ordine, - incaricati dal Governo di avere
relazioni con noi, sempre più nei dettagli - siamo partiti da
un quadro generico poi, nel corso della nostra discussione, l'abbiamo
definito - fino alla comunicazione in questura di tutti gli
appuntamenti con i promotori, al punto che le informazioni sono
uscite sui maggiori giornali italiani e noi abbiamo anche predisposto
20 mila copie di una cartina sulla quale erano indicati tutti gli
appuntamenti previsti per comporre l'accerchiamento del vertice, che
è stata distribuita in tutta Genova a tutti i partecipanti.
Dico ciò, non solo per sottolineare che, a differenza di
quanto si è sentito dire in questa sede, i dettagli
dell'organizzazione della giornata del 20 - che ovviamente era la più
delicata - erano conosciuti fin nei minimi particolari dalle
istituzioni e delle forze dell'ordine, ma soprattutto per rilevare un
altro aspetto. Lo scenario del 20, per quanto riguarda ciò che
competeva agli organizzatori delle manifestazioni, - era chiarissimo
nei particolari ai responsabili delle forze dell'ordine e si è
anche realizzato esattamente come lo avevamo previsto. Noi abbiamo
rispettato tutti gli appuntamenti; i cortei sono partiti alla stessa
ora e le manifestazioni si sono svolte come avevamo previsto e
comunicato.
Nessuno fra i responsabili dell'ordine pubblico e le
istituzioni ci ha mai fatto presente che questo fosse uno scenario
ingestibile, foriero di tragedie, ingovernabile. Il rapporto con le
forze dell'ordine, al contrario, è stato, anche sui problemi
relativi al giorno 20, un rapporto sempre sereno e molto
collaborativo. Noi abbiamo ascoltato alcuni loro consigli, abbiamo
spiegato loro, alle volte, i motivi per cui facevamo determinate
scelte e nessuno ci ha mai detto: ragazzi, se fate questo succede una
tragedia!
Vorrei ricordare che neppure la presenza di gruppi estranei al
Genoa social forum era imprevista (mi riferisco ai gruppi
violenti, i cosiddetti black bloc). Nel corso degli incontri
con le forze dell'ordine - faccio riferimento, in particolare,
all'incontro del 30 giugno a Genova, di cui ha già parlato
Agnoletto -, siamo stati informati del fatto che i gruppi avrebbero
cercato di infiltrarsi nelle nostre manifestazioni e ci è
stato chiesto se fossimo in grado di evitarlo. Abbiamo risposto
negativamente perché non intendevamo sostituirci alle forze
dell'ordine; credo sia addirittura vietato dalla legge mettersi a
difendere, militarmente o con le armi, una propria manifestazione;
del resto, le forze dell'ordine ci avevano sempre detto che era loro
preciso dovere difendere i manifestanti. Il Capo della polizia ci
aveva detto, in quella sede, che era comunque compito delle forze
dell'ordine reprimere o isolare manifestanti violenti e che, quindi,
non erano fatti nostri. Ciò che intendo evidenziare con questa
ulteriore dichiarazione è che nemmeno la presenza di gruppi
violenti, di black bloc, o comunque di tentate infiltrazioni
all'interno delle manifestazioni previste, era una novità.
Non è, dunque, dal versante dei manifestanti che è
cambiato lo scenario definito nei giorni precedenti; dal versante dei
manifestanti, noi Genoa social forum, e perfino i gruppi
estranei al GSF poiché già da giorni si sapeva
più o meno ciò che avrebbero tentato, lo scenario non è
cambiato. È dal versante delle forze dell'ordine che lo
scenario è cambiato, producendo l'evoluzione drammatica di
quel giorno e dei giorni seguenti. Allora, ci chiediamo perché.
Io confido caldamente che il vostro prezioso lavoro aiuti a
sciogliere questo nodo.
I vertici della Polizia, incaricati dal
Governo, ci hanno detto che era loro compito proteggere, a Genova,
tre categorie: i
partecipanti al vertice, i cittadini ed i manifestanti pacifici;
ci avevano detto che era loro compito isolare eventuali gruppi
violenti che volessero infiltrarsi nelle manifestazioni; ci avevano
detto, con una battuta, che sarebbero stati buoni con i buoni e
cattivi con i cattivi e che avrebbero commisurato la risposta
repressiva al comportamento di chi avesse violato la legge. Tutto ciò
ci era stato comunicato nella giornata del 30 giugno, quando avevamo
presentato le iniziative di disobbedienza civile dicendo che le
persone che manifestavano la disobbedienza civile sapevano,
ovviamente, di esporsi ad una risposta da parte delle forze
dell'ordine e se ne assumevano la responsabilità, ma che le
forze dell'ordine avrebbero dovuto tener presente che queste
iniziative si sarebbero svolte in maniera non offensiva, senza alcuna
volontà di attaccare né la città né le
persone. Oltre a ciò, ci avevano assicurato, come ha ricordato
Agnoletto, che la polizia italiana non avrebbe sparato. Forse siamo
stati ingenui a non calcolare la differenza che passa tra il dire
«polizia italiana» e dire «forze dell'ordine
italiane»; in ogni caso, quando ci è stato assicurato
che la Polizia italiana non avrebbe sparato abbiamo pensato che, a
Genova, nessun rappresentante delle Forze dell'ordine lo avrebbe
fatto.
Per finire, mi chiedo se abbiamo sbagliato a fidarci di
quanto ci è stato detto dai responsabili delle forze
dell'ordine incaricati dal Governo. Io credo di no. Abbiamo sempre
considerato molto seriamente gli interlocutori che avevamo di fronte,
non avevamo motivo di credere che ci dicessero cose non vere e
continuo a ritenere che abbiamo avuto di fronte persone credibili che
facevano affermazioni in cui credevano e che erano convinte di poter
realizzare i propri propositi. Ma, cosa è successo? Cosa ha
fatto sì che quello scenario si trasformasse? Già nei
giorni precedenti, infatti, esso appariva
molto chiaro sia per quanto riguarda le azioni che noi avremmo portato avanti, sia per le azioni delle forze dell'ordine, e addirittura, anche per quanto riguarda le azioni dei gruppi che nulla avevano a che fare con noi o con le forze dell'ordine e che avrebbero potuto costituire un problema, comunque già individuato per il quale sembrava fossero pronte le risposte. Cos'è che ha modificato questo scenario, così pesantemente, tanto da trasformare una situazione che - non a nostro dire, ma a dire di tutti i soggetti coinvolti - sembrava assolutamente gestibile, in una tragedia di cui noi ci consideriamo vittime?
ANNA SCALORI, Rappresentante
dell'associazione Pax Christi. Sono vicepresidente
dell'associazione Pax Christi, movimento cattolico internazionale per
la pace. La mia presenza qui serve a testimoniare che anche noi
abbiamo deciso di Aderire al Genoa social forum poiché
l'impegno per la pace è inevitabilmente collegato all'impegno
per una globalizzazione che sia una globalizzazione dei diritti e
delle pari opportunità e sicuramente non la globalizzazione
neoliberista cui assistiamo e che sta producendo i danni ben visibili
a tutti.
Siamo stati presenti a Genova, prevalentemente a
Boccadasse, per un'evidente affinità con tutti i missionari ed
i volontari con cui abbiamo condiviso il digiuno, il silenzio, la
preghiera e soprattutto la passione e l'impegno per la costruzione di
un altro mondo possibile.
In realtà ci siamo trovati in
una situazione estremamente difficile da sostenere e posso dire che
non ci è stato garantito il diritto di manifestare
pacificamente, così come previsto dal nostro ordinamento e
così come credevamo di poter fare.
Al di fuori della zona rossa la sensazione era che la città
fosse, nella migliore delle ipotesi, abbandonata; cioè, la
zona rossa era ciò che doveva essere tutelato e fuori da tale
zona poteva accadere tutto ciò che si voleva.
Abbiamo
provato sgomento e sconcerto di fronte alle cariche indiscriminate
della polizia che, a detta di nostri testimoni, colpivano, senza
distinzione, chiunque fosse presente. La sensazione di parecchi dei
nostri partecipanti era di vera e propria paura e di non saper più
cosa fare.
Un conto è partecipare ad azioni dirette di
disobbedienza civile dove forse si può anche pensare che possa
verificarsi un confronto, pur rimanendo nell'ottica della più
totale ed assoluta non violenza - che è l'elemento base che
contraddistingue il nostro movimento -; ma in questo caso, anche le
persone che erano semplicemente andate per partecipare alla
manifestazione si sono trovate in condizione di dover temere per la
propria incolumità fisica, in qualunque luogo si trovassero. I
timori provenivano, davvero, da parte di chiunque e non nascondo in
maniera estremamente significativa, anche da parte delle forze
dell'ordine.
Io stessa sono stata travolta negli scontri vicino
piazzale Kennedy, in via Casaregis dove abbiamo sperimentato la
solidarietà di buona parte delle famiglie genovesi, come anche
diversi partecipanti ci hanno riferito: io ho bussato ad una porta ed
ho avuto accoglienza. Oggi non ho segni visibili, quanto meno sulla
pelle; «dentro», la questione è tutt'altra.
Altri
nostri partecipanti hanno raccontato che il giorno prima della
manifestazione, il 20 luglio, hanno visto con i propri occhi gruppi
di persone, i cosiddetti black bloc (comunque persone non
identificabili, estranee alla manifestazione) che si aggiravano
sfasciando e distruggendo diverse cose; inoltre, hanno assistito
personalmente - perché in
contatto con persone genovesi che conoscevano - alla chiamata
delle forze dell'ordine, riferiscono di non aver visto l'intervento
di alcuno. In questa situazione, il giorno 20 luglio avevamo
addirittura invitato i nostri aderenti a non prendere parte al
corteo, non tanto perché volessimo, come è stato poi da
alcuni interpretato, dissociarci dal Genoa social forum,
quanto perché temevamo per l'incolumità fisica delle
persone che non erano preparate a sostenere una certa eventualità;
infatti, proprio perché la non violenza caratterizza
fortemente il nostro movimento, volevamo trovare modalità che
sottolineassero ulteriormente questo aspetto. Abbiamo dunque invitato
chi decideva di partecipare - ognuno era libero di fare ciò
che voleva - ad essere presente a Boccadasse.
Vorrei sottolineare
infine che, proprio perché impegnati da sempre per la pace
come movimento pacifista, siamo assolutamente certi che la pace sia
solo ed esclusivamente frutto della giustizia. Da questo punto di
vista, confidiamo davvero nei lavori del Comitato, così come
di tutte le autorità che sono preposte a far luce e chiarezza
sui fatti, perché riteniamo che gli episodi verificatisi a
Genova abbiano prodotto profonde lacerazioni sociali. Crediamo che la
costruzione della pace passi anche attraverso la capacità di
stabilire con certezza lo svolgimento dei fatti.
FABIO LUCCHESI, Rappresentante dell'associazione Rete Lilliput. Faccio parte della segreteria della Rete Lilliput, formata da diverse associazioni nazionali di cui fanno parte: Pax Christi, i Beati costruttori di pace, i Missionari comboniani e molte altre realtà che si occupano di giustizia e di cooperazione internazionale. Abbiamo, in modo convinto, lavorato nel Genoa social forum perché ritenevamo che soltanto dalla collaborazione e dal coordinamento delle attività di tante associazioni, a livello non solo nazionale ma anche
internazionale, non solo dei paesi europei ma anche del sud del
mondo, fosse possibile aprire una discussione che è oggi più
che mai indispensabile. Ciò significa che chi in quei giorni è
stato a Genova ha rivendicato non tanto un diritto a manifestare per
sé, ma una necessità, un'esigenza sempre più
profonda di porsi in maniera critica nei confronti di questo modello
di sviluppo. Non possiamo, ed io per primo non voglio, dimenticare
che i giorni che hanno preceduto le ultime due drammatiche giornate
di Genova sono state forieri di una discussione, non solo a Genova ma
sui giornali e, credo, nell'opinione pubblica in generale,
ricchissima ed importantissima. Credo che se qualcuno pensasse di
presentare questa mobilitazione come un semplice problema di
rivendicazione del diritto a manifestare di qualcuno, commetterebbe
uno sbaglio enorme. Questo lavoro è stato importantissimo.
Svolgerò un'altra considerazione molto breve per
sottolineare un aspetto che è già stato evidenziato,
che concerne non soltanto la mia esperienza, ma anche quella della
Rete Lilliput, durante le due giornate del 20 e del 21 e riguarda ciò
che è successo a piazza Manin: abbiamo saputo con tre quarti
d'ora d'anticipo che probabilmente un gruppo di black bloc si
stava avviando verso piazza Manin e le nostre informazioni non si
possono certamente considerare più potenti di quelle della
polizia. Tre quarti d'ora dopo abbiamo visto arrivare un gruppo di
black bloc con la polizia alle spalle, dopo che questi avevano
sicuramente percorso almeno due chilometri per giungere in quella
zona: nonostante avessimo difeso la piazza ed i black bloc se
ne fossero andati, siamo stati caricati dalla polizia. Questo non ci
sembra frutto di un eccesso di funzionari o di singoli poliziotti, ma
un fatto che trascende questo tipo di ragionamento. Come è
potuto succedere? Mi riconosco pienamente nella relazione che ha
svolto Vittorio Agnoletto,
però non so quanto fosse chiaro in quella relazione che il momento violento che c'è stato lungo il corso principale, davanti a piazzale Kennedy, e che ha causato lo spezzarsi del corteo, è avvenuto a 100 o 200 metri dal punto principale di concentramento delle forze dell'ordine. Ciò ha costituito anche una sfida oggettiva per le forze dell'ordine. Ma com'è possibile che di fronte a quelle migliaia di poliziotti si sia potuto per mezz'ora, tre quarti d'ora, creare un putiferio (senza nessuna prevenzione), che ha provocato prima lo spezzettamento del corteo e poi le cariche della polizia contro i manifestanti indifesi, contro persone sedute per terra con le mani alzate? Ciò è avvenuto non per un attimo, nel momento in cui i violenti fuggivano, ma per mezz'ora, tre quarti d'ora, mentre la gente era costretta tra il mare, da una parte e i lacrimogeni dall'altra. Non si tratta di un eccesso di un funzionario di polizia o di un singolo poliziotto. Ribadisco ciò che poco fa diceva Raffaella Bolini dell'ARCI: ricordo perfettamente la dichiarazione rilasciata dal capo della Polizia De Gennaro e, attraverso di lui, anche dal Governo, quando disse che a Genova le forze dell'ordine avevano il compito di difendere il vertice G8, la città, i manifestanti. Questo non è avvenuto e non credo si possa affermare che sia stato così a causa di un semplice incidente: credo sia compito principale di questo Comitato capirne, in maniera effettiva, il motivo.
MAURIZIO GUBBIOTTI, Rappresentante di Legambiente. Faccio parte della segreteria nazionale di Legambiente e sono la persona che ha seguito i lavori del Genoa social forum per conto della nostra associazione. Credo nell'importanza del lavoro di questo Comitato, dell'audizione di oggi alla quale abbiamo voluto partecipare, proprio perché pensiamo che l'esperienza del Genoa social forum sia stata rilevante e che esso abbia ancora opportunità molto valide, nelle quali crediamo.
Tuttavia, è bene che in un momento come questo si evidenzi
maggiormente il ruolo delle associazioni presenti all'interno di un
movimento molto ampio .
Penso che i temi di cui stiamo discutendo
oggi siano importantissimi; tra le questioni più rilevanti di
cui si sta occupando il Comitato segnalo la necessità di
coinvolgere con il public forum, con azioni dirette non
violente oppure con i classici cortei, con i concerti e quant'altro i
cittadini che, in maniera pacifica e non violenta, vogliono
manifestare il proprio dissenso, il proprio consenso, le proprie
proposte, le proprie idee su temi fondamentali come quelli della
globalizzazione, del modello di sviluppo e così via.
Questo
è il motivo per cui sin dall'inizio abbiamo seguito tutta la
preparazione di quelle giornate ed abbiamo partecipato al public
forum, così come alle azioni del venerdì, alla
manifestazione dei migranti del giovedì ed al corteo del
sabato.
Un altro elemento molto importante è che
attraverso l'esperienza del Genoa social forum, di un momento
cioè di incontro di centinaia di associazioni, anche molto
diverse tra loro per interessi, per storia, per tradizioni e per
impegni, si è giocata la scommessa di portare avanti temi e
questioni, di fronte ai quali oggi la maggioranza del nostro paese è
attenta e interessata, nonché quella di riunire la maggior
parte di noi per costituire un momento comune. Ciò, come
veniva ricordato bene prima, si è verificato a partire anche
dall'iniziativa di Porto Alegre; per continuare questo percorso che
tornerà a Porto Alegre il prossimo anno, vorremmo che ci
fossero altri momenti così importanti, prevedendo un
arricchimento ancora più forte di contenuti.
Chiusa questa
parentesi sulle motivazioni che ci hanno portato, e che ci portano,
ad essere partecipi di questa esperienza, per quanto riguarda i fatti
concreti, che rappresentano
poi l'elemento più importante per questo Comitato, ritengo
che la relazione oggi consegnatavi e letta da Agnoletto, richiami
molto bene ciò che è successo. Poi, ognuno di noi ha
vissuto molte situazioni; personalmente ero presente in piazza Manin,
perché come Legambiente abbiamo trascorso la giornata di
venerdì partecipando alle iniziative di quella piazza ed
abbiamo seguito in modo molto costante anche il corteo del sabato. In
questi giorni abbiamo messo a disposizione la nostra sede di Genova
per consentire la raccolta di materiale necessario e per ospitare gli
avvocati che si stanno occupando di questi aspetti.
Ho notato che
il Comitato ha prestato particolare attenzione alla relazione letta
da Agnoletto; pertanto, ritengo abbiate percepito molto bene ciò
che in essa viene detto, anche se credo sia bene soffermarsi su
alcuni passaggi per rendersi conto che ciò che è
scritto riflette quello che è successo, la situazione nella
quale ci siamo trovati noi e centinaia di migliaia di cittadini del
tutto pacifici e non violenti, i quali si sono recati a Genova per
manifestare sui temi della globalizzazione. Dico questo anche perché
penso sia importante, in qualità di rappresentante di una
delle tante associazioni, portare a conoscenza di tutti la
responsabilità, l'esperienza e il peso di tante manifestazioni
che in questi decenni abbiamo organizzato e realizzato nel nostro
paese, con centinaia di migliaia di cittadini che vi hanno
partecipato in maniera del tutto pacifica e non violenta.
Ritengo
che questo sia un altro aspetto che vada sottolineato. Sui fatti
ancora più specifici, penso che la relazione presentata dal
movimento sia molto completa. Rimaniamo, quindi, anche noi a
disposizione per eventuali chiarimenti o domande che il Comitato
volesse porci.
PRESIDENTE. Propongo di sospendere brevemente i lavori della Commissione per consentire a ciascun gruppo di articolare le domande da rivolgere ai nostri ospiti.
La seduta, sospesa alle 11,40, è ripresa alle 12,10.
PRESIDENTE. Riprendiamo i lavori del Comitato con l'intervento dell'onorevole Fontanini, al quale chiedo di specificare i destinatari delle sue domande.
PIETRO FONTANINI. Vorrei porre
alcune domande al dottor Bobba, presidente delle ACLI, e al dottor
Agnoletto.
Dottor Bobba, ieri sul quotidiano la Stampa lei
ha rilasciato un'intervista che vorrei sapere se conferma. Le parole
riportate dal giornale sono le seguenti: «L'antagonismo li
portò invece a sostenere l'illegalità del G8, il che
francamente è una sciocchezza. Né ci piaceva la
compagnia: c'erano i resti dei partiti comunisti di mezzo mondo, con
cui non abbiamo nulla a che spartire. Dicevano: »Rappresentiamo
600 sigle«, ma 70 sono soltanto le sezioni di Rifondazione
comunista. Ora io non ho nulla contro Rifondazione, ma un movimento
serio non si fa cavalcare da un partito». Dottor Bobba, le
chiedo se conferma al Comitato tale suo giudizio e se vuole
specificarlo in maniera più puntuale per quanto riguarda il
Genoa social forum.
Per il dottor Agnoletto leggo una nota
informativa dell'architetto Paolini, datata 27 giugno 2001, inviata
alla capostruttura di missione: «Questo contributo
all'introduzione di approfondimento dovrebbe risultare di qualche
utilità, anche in considerazione dell'atteggiamento che sta
assumendo il nuovo Governo in merito a quanto disatteso dal
precedente». Dottor Agnoletto, anche a lei risulta che il nuovo
Governo Berlusconi è stato più attento rispetto a
quello Amato? Vorrei porre
un'altra domanda: nella relazione si parla di una componente dura,
antagonista per definizione, che sarebbe rappresentata dal terzo
blocco. Nella relazione dell'architetto Paolini si afferma che essa
non è interessata a stabilire terreni di mediazione o di
legittimazione con il summit ufficiale e considera la protesta
di per sé già portatrice di contenuti. Chiedo a lei se
condivide tali giudizi dell'architetto Paolini. Questa terza
componente è formata dai centri sociali Ya basta!, di
ispirazione zapatista, e vi figurano anche altre aggregazioni (COBAS,
CUB, Network di azione antiglobale, duri e presenti
soprattutto in Toscana, Lazio, Campania e Calabria).
Vorrei porre
l'ultima domanda al dottor Agnoletto. Non vi siete accorti di dove
dormissero e di come si muovessero i famigerati black bloc durante
la fase precedente alle azioni di guerriglia che hanno commesso a
Genova e anche successivamente ad esse? Avete tentato di informare la
polizia e le forze dell'ordine per quanto riguarda l'operatività
o i momenti più delicati dell'opera dei black bloc?
LUIGI BOBBA, Presidente delle ACLI. Come sempre i giornalisti semplificano un po' quello che si dice: una conversazione di 20 minuti la riducono in tre righe, quindi ringrazio l'onorevole Fontanini che mi consente di precisare e di esplicare meglio il mio pensiero. Per quanto riguarda il primo punto, vi erano alcune forze, che hanno promosso iniziative e manifestazioni a Genova, che consideravano non illegale, ma illegittima la riunione del G8. Ritengo - e in ciò è pertinente ciò che è stato scritto sul giornale - che fosse una sciocchezza, in quanto penso che i capi di Governo possano legittimamente riunirsi come e quando vogliono. Il tema che mi sta a cuore riguarda ciò di cui discutono e quello che decidono: se vi è un giudizio che noi diamo sulla conclusione
del vertice è che si sono rinnovate le promesse già
formulate nei vertici di Colonia e Okinawa e si è deciso di
stanziare qualche spicciolo - per così dire - per la lotta
all'AIDS (dieci volte inferiore rispetto a ciò che aveva
chiesto il segretario generale dell'ONU, Kofi Annan).
Per ciò
che riguarda la seconda domanda, anche in questo caso il giornalista
ha semplificato un po' la questione, che poi è molto semplice.
Come giustamente ha osservato il dottor Agnoletto, il Genoa social
forum si è ispirato ad un criterio di totale trasparenza:
ognuno di voi può conoscere la lista degli aderenti visitando
il sito del GSF e osservare le caratteristiche, le provenienze e le
connotazioni, anche politiche, dell'insieme degli aderenti. La mia
osservazione significava affermare come tra gli appartenenti al Genoa
social forum vi fossero molte forze variegate e ve ne fossero
diverse, un certo numero, rispondenti ad un criterio propriamente
politico. In base al nostro modo di operare e a prescindere dalla
collocazione di tali forze di natura politica, non condividevamo ciò,
poiché riteniamo che una rete di associazioni debba essere
costituita unicamente da realtà del mondo associativo e non
anche da realtà appartenenti a forze politiche.
Per quanto
riguarda la terza e ultima osservazione, è chiaro che il
nostro modo di operare come associazione è volto non tanto a
impedire, limitare o, tanto peggio, non consentire la possibilità
di espressione, bensì a fare in modo che tale possibilità
sia, nei fatti, pacifica e non violenta. Tanto ciò è
vero che, non da soli ma insieme a tanti altri, stiamo preparando una
grande iniziativa con un marchio DOC non violento, quello di Aldo
Capitini, il 14 ottobre: la storica marcia Perugia-Assisi, che avrà
uno slogan in positivo, non «contro», ma «per»
cibo, acqua e lavoro. Si tratta, insomma, di un'altra
globalizzazione: quella dei diritti e della solidarietà.
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. Relativamente alla prima
domanda non ho nulla da dire: non credo che siamo qui per esprimere
giudizi relativamente ai governi, ma per cercare di appurare la
verità dei fatti (almeno noi siamo qui per questo). In ogni
caso, i rapporti con il Governo Amato e con quello Berlusconi sono
ampiamente documentati nella lunga, purtroppo forse lunghissima,
relazione che ho consegnato. È certo che sulle proposte da noi
avanzate l'8 febbraio sostanzialmente non siamo riusciti ad avere
alcuna risposta fino al 30 giugno: ciò riguarda, quindi, sia
il Governo Amato che quello Berlusconi. È chiaro che, con il
passare del tempo, l'esigenza di avere delle risposte diventava
sempre più necessaria.
Non so bene cosa sia la storia
della terza componente; in ogni caso, l'associazione Ya Basta!
si occupa di cooperazione internazionale e lavora, in particolare, in
progetti di sviluppo con il Chiapas, ma non soltanto con esso. COBAS
e CUB sono due strutture sindacali non appartenenti al sindacato
confederale ma a quello di base. Si tratta di tre realtà che
partecipano al Genoa social forum e, considerata tutta la
documentazione che abbiamo presentato, mi sembra proprio che esse non
ritengano che la protesta sia di per sé autosufficiente: basta
vedere la partecipazione di tali realtà ai dibattiti del
public forum, sia rispetto alla cooperazione internazionale,
sia rispetto ai temi del mondo del lavoro.
Circa la terza
questione, mi limito a rimandare a quanto scritto nella relazione in
riferimento alle azioni dei black bloc: quando ad esempio vi è
stato il problema della scuola della provincia, già il 19 sera
chi era presente sul posto ha avvisato telefonicamente l'assessore
facendolo venire in loco (e lo ha ripetuto il giorno
seguente); ancora, quando si sono verificati i problemi con i black
bloc in piazza Da Novi la mattina del
20 verso le ore 11, abbiamo ampiamente documentato cosa abbiamo
cercato di fare. Anzi aggiungo, per spiegare bene cosa è
successo, che i COBAS si sono trovati in difficoltà perché
la loro piazza era già occupata da quest'altra realtà
che stava agendo come abbiamo detto nella relazione. A quel punto un
componente dei COBAS mi ha chiamato dicendomi che avrebbero cercato
di spostarsi e chiedendomi di ottenere dalle forze di polizia la
possibilità di farlo, in quanto dovevano defluire da quella
piazza. Cosa che io ho fatto, avvertendo che in piazza Da Novi, una
piazza in cui noi eravamo stati autorizzati a manifestare, vi era
quella data situazione e che quindi i COBAS si sarebbero dovuti
spostare, come risulta dalla relazione. Abbiamo quindi dei dati
rispetto ai problemi che si sono creati per noi, e quando abbiamo
potuto abbiamo cercato di segnalare la presenza dei black bloc.
Lei però mi sta chiedendo se abbia delle informazione sui
black bloc quando gli otto servizi segreti più potenti
del mondo, con tutte le informative che possono avere e con i blocchi
alle frontiere, sono riusciti a far sì che arrivassero tutti
questi gruppi violenti nel centro di Genova, lasciandoli liberamente
«scorrazzare». Lei capisce che è come chiedermi
perché non si sia riusciti noi stessi a fermare i black
bloc dopo che il 21 luglio aveva telefonato il dottor Mortola.
Noi in quella circostanza siamo stati chiarissimi, invitandolo ad
agire, in quanto sia egli sia le forze di polizia avevano l'autorità
e gli strumenti per farlo, mentre noi non avevamo né l'uno né
gli altri.
ANTONIO IOVENE. Ringrazio i partecipanti all'audizione: credo che il vostro contributo sia stato molto utile per i nostri lavori. In particolare vorrei chiedere al dottor Agnoletto di rilasciare alcune precisazioni rispetto all'ampia esposizione svolta. Nella relazione si ricostruisce tutto l'itinerario dei
rapporti politici ed istituzionali che il GSF e, prima, il Patto
di lavoro hanno avuto con il Governo. Il 28 giugno si fa riferimento
ad un incontro con i ministri Ruggiero e Scajola presso la Farnesina;
in quell'incontro, così come in quelli precedenti e
successivi, si è discusso di come sarebbe stato organizzato
l'ordine pubblico nei giorni del vertice e delle manifestazioni a
Genova? In particolare, in che cosa consistevano le assicurazioni che
il ministro Scajola diede in quella data e di cui si è
parlato? Sempre in relazione ai rapporti con il Governo, a più
riprese nel corso delle audizioni ci è stato riferito che si
era discusso anche della possibilità di far svolgere le
manifestazioni del GSF in data diversa, cioè una settimana
prima del vertice stesso. Cosa ha fatto tramontare questa possibilità
e cosa ha portato a far coincidere le manifestazioni con le date di
svolgimento del summit?
Una seconda questione riguarda i
rapporti con le forze dell'ordine: è stato ricordato come vi
siano stati nei giorni precedenti alle manifestazioni, così
come nei giorni 19, 20 e 21, frequenti contatti con la questura di
Genova, con i dirigenti della Polizia. Come erano organizzati questi
rapporti? A cosa erano tesi? Mi è sembrato di capire che si
tentasse di governare gli eventi. Ci sono stati rapporti anche con
altre forze di polizia (Carabinieri, Guardia di finanza) presenti in
piazza in quei giorni?
Terza questione: dalla documentazione che
è stata consegnata mi è sembrato di capire che la
manifestazione attaccata il giorno 20 in via Tolemaide fosse fin lì
autorizzata; fu cioè vietato a tale manifestazione di
proseguire per una parte del percorso che, però, non era
ancora stato intrapreso quando iniziarono le cariche. Vorrei avere
conferma di questo fatto. Inoltre desidererei sapere se, accanto alla
denuncia riportata nella sua relazione rispetto ad atteggiamenti
«strani» e
verifiche effettuate nelle sedi dei centri di accoglienza, ce ne
siano state delle altre in relazione a situazioni o presenze
equivoche.
Vorrei poi sapere dal signor Kovac, che è stato
chiamato in causa a più riprese nelle audizioni precedenti in
relazione ad una telefonata che avrebbe preceduto la perquisizione
alla scuola Diaz, con chi ebbe quella telefonata e quale fosse il suo
contenuto.
Le ultime informazioni che vorrei avere sono relative
alle vicende che si sono registrate alla caserma di Bolzaneto (nella
relazione non vi è infatti praticamente cenno alla situazione
relativa ai fermati e agli arrestati in seguito alle manifestazioni
ed alla perquisizione alla scuola Diaz) e all'eventuale presenza in
piazza, nei giorni delle manifestazioni del 20 e del 21 luglio, di
esponenti e organizzazioni fasciste o neofasciste. Tale presenza è
stata infatti una questione ripresa più volte nel corso del
nostri lavori e di cui si parla in alcune informative sia dei Servizi
segreti sia della DIGOS e dell'UCIGOS, nonché nell'ordinanza
del questore del 12 luglio. Considerato che a tal proposito abbiamo
ricevuto sia smentite sia conferme, vorrei sapere se voi - dottor
Agnoletto o altri oggi presenti all'audizione - eravate a conoscenza
di eventuali notizie in merito a tale presenza, così come si
era vociferato nei giorni precedenti e come era stato confermato, lo
ripeto, anche dai rapporti dei servizi segreti e della DIGOS/UCIGOS.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Relativamente alla riunione del 28 giugno, posso semplicemente confermare ciò che è scritto. Il ministro Scajola confermò cioè l'intenzione di far svolgere le manifestazioni nei giorni in cui le proponevamo, senza entrare nel merito. Inoltre, dato che si erano già verificati i fatti di Göteborg, che era viva la discussione sull'utilizzo in piazza delle armi da parte delle
forze dell'ordine, e dato che il giorno prima, almeno così
mi sembra di ricordare, il Vicepresidente del Consiglio Fini aveva
rilasciato dichiarazioni circa l'utilizzo dell'esercito, il ministro
ci disse che sicuramente l'esercito non sarebbe stato impiegato,
rimandando poi tutto all'incontro che si sarebbe tenuto due giorni
dopo. Non fu detto altro.
Noi abbiamo sempre chiesto, prima come
Patto di lavoro e poi come Genoa social forum, la
contemporaneità nell'organizzazione degli eventi, cioè
negli stessi giorni in cui si sarebbe dovuto svolgere il G8 e
comunque non prima. Riguardo alla modifica dei comportamenti
governativi, ciò risulta agli atti; bisognerebbe chiederlo a
chi governava e chi governa.
Per quanto riguarda i contatti con
le forze dell'ordine, sono già stati illustrati. In
particolare, ho avuto alcuni incontri: il 24 giugno con De Gennaro e
Andreassi, il 28 con i ministri (tra gli altri soggetti era presente
anche De Gennaro). C'è stato poi l'incontro del 30 e quello
relativo all'informativa sui proiettili a me indirizzati, il 18.
Per
il resto si sono susseguite una serie di telefonate, soprattutto in
situazioni di difficoltà. Quando si è verificata la
vicenda di piazza Da Novi, sono stato contattato per il problema di
fare defluire le persone, così come a proposito della vicenda
di piazza Dante illustrata prima. Dopo l'appello del sindaco, sentito
da tutti, abbiamo dovuto comunicare il percorso che avremmo scelto.
Ho avuto anche un altro contatto telefonico: verso mezzanotte circa
di sabato 21 luglio, durante le operazioni delle forze dell'ordine,
ho chiamato il dottor Andreassi per chiedergli cosa stessero
facendo.Vi rendete conto della gravità? Mi è stato
risposto: «Così è stato
deciso». Ho posto termine immediatamente alla telefonata
perché ho capito che non c'era nulla da fare e la questione
andava risolta intervenendo direttamente sul posto.
Mi risulta
che non abbiamo mai avuto contatti con i Carabinieri e la Guardia di
finanza. Il problema è che abbiamo avuto solo contatti
formali; il Governo ha sempre mandato agli incontro il capo della
Polizia ed il vicecapo della Polizia. Ciò che è
accaduto il 20 luglio ha avuto altri protagonisti: i Carabinieri. Noi
quindi - lo ripeto - non abbiamo partecipato agli incontri dove si è
sempre presentata la Polizia.
Relativamente alla questione di via
Tolemaide - poi lascerò parlare Chiara Cassurino che si
trovava in quel corteo poiché faceva parte delle tute bianche
- non abbiamo denunciato altri luoghi dove si erano insediati i black
bloc perché non li conoscevamo e non li conosciamo.
Qualcuno può dire che si è trattato di debolezza e di
ingenuità, ma non esisteva un sistema informativo particolare
del Genoa social forum, che era e rimane un coordinamento di
associazioni.
Relativamente a Bolzaneto, si tratta di una vicenda
che segue le giornate di Genova in merito alla quale disponiamo di
tantissimo materiale, documentazioni, testimonianze che i nostri
avvocati hanno ritenuto di consegnare alla magistratura nell'ambito
delle inchieste.
Relativamente alla questione delle
organizzazioni fasciste, consegneremo tutto il materiale alla
magistratura. Tuttavia, posso dire che è arrivata una
telefonata (probabilmente il 18, sera in cui si sarebbe tenuto il
concerto di Manu Chao) da parte di una persona che desiderava parlare
con qualcuno. Poiché la questione sembrava delicata, sono
stato chiamato per andare a rispondere. La ragazza ci ha dato alcuni
riferimenti precisi in merito a due pullman di esponenti di estrema
destra che sarebbero partiti da una certa zona (alcuni come volontari
e altri coinvolgendo non gratuitamente tifoserie di calcio della
destra) dicendomi: «Mi risulta che sono già arrivati a
Genova e sono collocati in alcune zone». Dopo aver ricevuto
l'informazione in questione, ne ho parlato con gli altri portavoce
con cui al momento ero in riunione (eravamo mi pare 18) per adottare
la decisione più saggia. Di una notizia di tale tipo non si
può fare un manifesto. Abbiamo telefonato alle forze
dell'ordine per comunicare la segnalazione che ci è stata
fatta e abbiamo chiesto loro di provvedere. Per i dati che ci sono
stati forniti, (dal modo indicatoci per individuare la persona che ci
ha telefonato), l'informazione ci è sembrata credibile. Dopo
due ore mi hanno richiamato dalla questura (credo che fossero le 10
perché stavo andando a fare un intervento al concerto di Manu
Chao) e mi hanno detto: «Dottor Agnoletto, sia tranquillo,
abbiamo controllato, non c'è assolutamente nulla; non c'è
ombra di presenza di estrema destra, a noi non risulta».
Posso
semplicemente dire, data anche la delicatezza della questione di cui
si deve occupare la magistratura, che questa persona ci ha
richiamato, al termine delle vicende di Genova, e ci ha confermato
quanto detto. Ha avuto la conferma da queste persone in merito a ciò
e si è resa disponibile a testimoniare; noi pensiamo che sia
giusto che lo faccia. Ovviamente la sua testimonianza non è
relativa solo ad una presenza poiché è a conoscenza di
alcuni fatti, i cui protagonisti sarebbero persone di estrema destra,
fatti che successivamente sono accaduti. Ripeto, si tratta di una
questione che presenta aspetti di delicatezza e di riservatezza per
la persona che si espone e quindi pensiamo che se ne debba occupare
la magistratura.
STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. Ringrazio il senatore Iovene per la domanda che
precedentemente mi ha rivolto, perché mi dà
l'opportunità di chiarire una vexata quaestio che da
alcuni giorni circola sugli organi di stampa. Parliamo della sera del
21, fra le 21,30 e le 22,30 (se ricordo bene). Ricevetti una
telefonata dal dottor Mortola il quale, in un primo momento, mi
domandò esclusivamente se la scuola Pascoli fosse a
disposizione del Genoa social forum per l'accoglienza. Io
spiegai che tale scuola era nello stesso edificio della scuola Diaz e
quindi si trovava nella nostra disponibilità. Spiegai,
inoltre, che anche la scuola Pertini era nella nostra disponibilità
perché ci è stata assegnata dalla provincia. A quel
punto mi riferì che alcune auto della Polizia erano state
oggetto di un lancio di due bottiglie da parte di alcune persone che
si trovavano lì e mi chiese anche la funzione di queste due
scuole. Io risposi, come è stato già detto
precedentemente, che nella prima si trovava il centro stampa ed altri
uffici mentre nell'altra la people house cioè
uffici per le organizzazioni straniere che si trovavano a Genova. Ho
specificato che vi dormivano alcune persone trasferite dai vari
centri il giovedì notte quando pioveva. Ciò mi ha
insospettito e di conseguenza gli domandai se stesse per succedere
qualcosa. Mi ha fornito risposte evasive e pertanto gli dissi
testualmente: «Mi raccomando, la situazione è molto tesa
in città; ti prego di evitare di intraprendere iniziative che
possano aumentare la tensione». Mi rispose dicendomi di non
preoccuparmi, perché non stava accadendo niente e di essere
tranquillo. A quel punto la telefonata si concluse.
Potrei anche
specificare che il lunedì successivo il dottor Mortola mi ha
richiamato per un altro motivo chiedendomi un parere sulla questione
della Diaz, senza accennarmi al fatto, poi riportato dai verbali,
riferito dal dottor Colucci, che io sarei stato informato. In quel
momento non mi trovavo alla Diaz, ma a piazzale Kennedy. Se fossi
stato informato, sarei
andato immediatamente sul posto, come è capitato nei giorni in cui si sono verificati problemi in tutte le strutture che erano sotto la mia responsabilità.
FRANCO BASSANINI. Le avrebbe detto che erano ospitati alcuni black bloc?
STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. Lo escludo nel modo più assoluto; non avrei potuto saperlo perché non mi trovavo lì in quel momento. Inoltre, se lo avessi saputo, avrei agito diversamente.
CHIARA CASSURINO,
Rappresentante del movimento «Tute bianche». Prima
di rispondere, vorrei fare una precisazione in ordine ad una notizia
ANSA, giunta pochi minuti fa, secondo la quale l'audizione di Luca
Casarini sarebbe prevista in separata sede e sarebbe motivata dal
fatto che Luca Casarini avrebbe da dire cose in contraddizione dal
punto di vista politico con ciò che invece stiamo affermando
in questa sede. Tengo a precisare che tale notizia è
assolutamente falsa.
Rispondo alla domanda del senatore Iovene
per confermare che in via Tolemaide la carica che il corteo ha subìto
è stata effettuata all'incrocio fra corso Torino e la stessa
via Tolemaide, a circa 500 metri; pertanto, prima della fine di via
Tolemaide e quindi del luogo in cui l'autorizzazione alla
manifestazione esauriva i suoi effetti. Peraltro, vorrei aggiungere
che alla fine di via Tolemaide, e precisamente in prossimità
della stazione di Brignole, si potevano scorgere reparti schierati
della Polizia di Stato italiana in divisa di colore blu, con un
funzionario che indossava una fascia tricolore. Ritengo di non dover
aggiungere altro.
FABRIZIO CICCHITTO. Vorrei formulare alcune domande al dottor Agnoletto. La prima è la seguente: qual è in sostanza
la vostra forma di coordinamento interno, in particolare sul
campo, considerato che siete stati impegnati in grandi manifestazioni
di massa e vista la estrema eterogeneità dei gruppi facenti
parte del Genoa social forum? Infatti, leggendo la lista delle
diverse sigle, notiamo che emergono molte anime, forse troppe, tra
loro anche in contraddizione: si va dal Gruppo Abele, alle Donne in
nero, alla Federazione delle chiese evangeliche del Piemonte, alle
«Tute bianche», allo Ya Basta!, ai Fighters
della Juventus. Pacifisti cristiani e persino combattenti
juventini: non si tratta di una miscela pericolosa che può
esplodere nelle piazze?
La seconda domanda: vi dichiarate
pacifisti, tuttavia più volte abbiamo sentito affermare, in
particolare nei suoi interventi e in quelli di altri esponenti del
Genoa social forum:« Sfonderemo la zona rossa. Lo Ya
Basta! ha dichiarato:» Il nostro scopo sarà quello
di invadere la zona rossa, usando il corpo come strumento di impatto
«. Matteo Iade, esponente delle tute bianche, ha dichiarato:»
Circa le strategie della manifestazione vi sono due grossi filoni
metodologici: l'assedio e l'invasione della zona rossa «.
In
un libro intitolato « Da Seattle a Genova » pubblicato
dal movimento delle tute bianche si iafferma:« Il Genoa
social forum è riuscito a chiarire quali modalità
di lotta metterà in atto nei giorni della protesta: 1)
assediare la zona rossa; 2) invaderla e ignorarne i divieti.»
Non vi rendete conto che già tale terminologia trasuda
violenza (Commenti del deputato Mantovani) e che tale tipo di
obiettivo, messo sul campo a contatto con componenti anche estranee
alla vostra, totalmente violente, ha contribuito ad accentuare la
miscela infernale di cui parlavamo in precedenza e che si è
vista sul campo?
Terza domanda: non vi è dubbio che le manifestazioni e
le iniziative del Genoa social forum sono state attraversate
dalle azioni di violenza italiane e straniere. Il concetto di
servizio d'ordine non prevede soltanto la presenza di persone che,
fisicamente, emarginino i violenti, bensì anche l'attivazione
di iniziative che prevengano l'inquinamento delle manifestazioni da
parte dei facinorosi, prime fra tutte la segnalazione all'autorità
di fatti o notizie utili a prevenire la violenza. Vorrei chiederle,
essendo stato lei un interlocutore delle forze politiche e del
Governo, se tale azione di prevenzione sia stata svolta o se sia
stata negata. Lo dico perché in una dichiarazione del 28
giugno, lei dichiarava: «Terremo lontano chiunque cerchi lo
scontro fisico. Dobbiamo ancora pensare a come organizzare un
servizio d'ordine nel corteo, ma non accetteremo gruppi violenti ».
In una nota ANSA del 19 luglio vi era scritto che il portavoce
del Genoa social forum, Vittorio Agnoletto, aveva annunciato
che per il grande corteo pacifico e non violento di sabato 21 luglio
sarebbe stato organizzato un servizio d'ordine. Perché poi
tale servizio d'ordine non c'è stato ed anzi addirittura si è
teorizzato il contrario?
Le chiedo inoltre se, considerato lo
scopo pacifista di partenza, corrisponda al vero ciò che è
detto anche nella sua relazione, ossia che il corteo di ventimila
manifestanti che parte dallo stadio Carlini aveva alla testa alcune
file di scudi collettivi montati su strutture mobili. E comunque,
quali sono i rapporti tra le varie organizzazioni qui presenti e le
tute bianche?
Un'altra domanda: vi siete dichiarati contrari alla
chiusura delle frontiere. Alla luce di ciò che è
avvenuto ed anche della fortissima presenza fra i black bloc di
componenti straniere, ritenete che quella vostra presa di posizione
sia stata valida?
Qui è stata tracciata una ricostruzione del confronto con i
Governi. Ad un certo punto l'architetto Paolini, è stata
delegata a tenere i rapporti con le associazioni che rappresentate.
Ciò ha facilitato il rapporto o si è trattato di
un'iniziativa pura e semplice del Governo Amato?
Un'ulteriore
domanda: nella lettera che voi avevate inviato l'11 aprile,
salutavate positivamente il fatto che il Governo Amato avesse
rinunciato a porre la questione relativa alla sospensione degli
accordi di Schengen e che avesse accettato la concomitanza delle
manifestazioni. Come mai avete affermato ciò? Infatti,
successivamente, nei giorni 13 e 14 luglio, ciò si ritrova
come presa d'atto del Governo, ossia quando oramai le manifestazioni
dovevano tenersi.
Un'altra domanda: lei il 28 giugno, in
occasione di un forum sulla stampa, avanzava un dubbio che
riporto testualmente:« Qualcuno pensa o spera che i giorni
segnati da gravi incidenti possano portare alla sconfitta del Genoa
social forum e ad una critica di massa al Governo, incapace di
gestire la situazione, consentendo in questo modo ad una sinistra
moderata e liberista di raccogliere cocci ed onore ». Dopo gli
eventi recenti, conferma tale giudizio o lo ha modificato totalmente?
Infine, un'ultima domanda: si è presentato alle elezioni
politiche per Rifondazione comunista (Commenti del deputato
Mantovani)?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Partiamo dall'ultima domanda, perché per ora non mi risulta che questo sia un reato o qualcosa per cui si debba essere inquisiti. Sì, mi sono presentato - lo si sa abbondantemente, è stato riportato dai giornali - come indipendente: credo che questa sia una cosa ampiamente documentata. Ritengo di aver risposto a quest'ultima domanda.
Sull'organizzazione del Genoa social forum, noi ci
siamo strutturati con un consiglio di portavoce composto da 18
persone rappresentative delle associazioni e che, come ho già
spiegato, avevano come riferimento delle aree di affinità, nel
senso che, non potendo fare un consiglio di centinaia di persone, le
associazioni più grandi tenevano i contatti terminali con le
altre.
In questo consiglio dei portavoce il mio ruolo era quello
di presentare, soprattutto all'esterno, la sintesi del dibattito che
il più delle volte è apparso ampiamente sui media,
sui giornali. In occasione delle iniziative, nelle piazze tematiche
del 20 luglio, dove erano presenti diverse associazioni o sindacati
avevamo preparato e consegnato una cartina ai giornali per far sapere
a tutti dove si andava. Se dovevo sentire quelli di piazza dei Novi,
sentivo il portavoce dei Cobas che era nel consiglio; se dovevo
sentire quelli della CUB, che stavano a Ponente, sentivo il loro
rappresentante, e via dicendo; lo stesso per il corteo delle tute
bianche e per la Rete Lilliput, cioè per piazza Manin. Questo
era il nostro modo di operare.
Per quanto riguarda la
manifestazione dei migranti del 19 luglio, l'organizzazione era
costituita dai rappresentanti di coloro che si occupavano delle
associazioni dei migranti, che avevano un loro portavoce tra i 18 del
consiglio dei rappresentanti delle associazioni. Mi permetto di dire
- non voglio dare lezioni a nessuno - che si tratta di un grandissimo
risultato. Siamo riusciti a tenere insieme, - o meglio, a stare
insieme - perché nessuno li ha tenuti insieme - tra realtà
così diverse, sulla base della sottoscrizione di due
documenti: il Patto di lavoro relativo alla critica a questo tipo di
globalizzazione, e la dichiarazione solenne del 5 giugno sulle forme
di azione pacifiche e non violente. Anzi, lavorando collettivamente,
con questa contaminazione - per fortuna questa volta non di virus,
ma di idee - qualcuno ha fatto delle scelte aiutato da altri: mi
sembra una cosa molto positiva.
Riferendomi alla seconda domanda,
sicuramente c'è stato a volte un problema di linguaggio: l'ho
detto pubblicamente. Noi dobbiamo imparare - ma questa è una
questione culturale complessa - ad abbandonare certi linguaggi di
violenza da cui siamo bombardati in questa società. Per
esempio, a un certo punto abbiamo cercato di non usare più il
termine «assedio» della zona rossa, ma «liberare»
il centro di Genova, che noi riteniamo occupato dai grandi del G8, ma
poi il piano della comunicazione non è sempre così
semplice.
Tuttavia, per rispondere alla sua domanda, mi sembra
che il nodo che lei pone, se ho capito bene, è la questione,
della disobbedienza civile. Non vorrei essere presuntuoso, ma credo
di poterle ricordare che la disobbedienza civile ha una lunga
tradizione all'interno dei movimenti pacifisti e non violenti.
Abbiamo tutti l'esempio del grande maestro, Gandhi, che, con la
marcia del sale, realizza un atto di disobbedienza civile. Qual è
la caratteristica della disobbedienza civile? Una persona si assume
la responsabilità di non rispettare una norma che non ritiene
accettabile sul piano etico e in quel modo si espone alle
conseguenze, decidendo di non avere con sé strumenti
offensivi, quindi, si pone ad un rischio. Questa è stata la
scelta: quindi, anche in qualcosa, chi ha deciso di compiere
quell'azione, l'ha discussa dentro il Genoa social forum,
scegliendo questo tipo di filosofia. Gli strumenti a cui lei ha fatto
riferimento, assolutamente pubblici, sono strumenti di difesa e, come
documentato da vari filmati, non vi erano all'interno dei percorsi
del Genoa social forum strumenti di offesa.
A questo proposito c'è stato un grande problema, che vi
vorrei porre: all'interno di alcuni pezzi del GSF, noi abbiamo fatto
quest'opera di pratica, di disobbedienza civile, nell'ambito di un
quadro democratico costituzionale. Il Capo della Polizia ci ha detto
che avrebbero trattato bene i buoni e male i cattivi, affermando che
il livello di repressione, sarebbe stato correlato alle misure
adottate: quindi, se uno avesse tentato di passare la linea rossa
senza strumenti di offesa, ci sarebbe stato un certo livello di
risposta. Il problema è che è successo altro! C'erano
blindati che andavano a 60 all'ora, c'è stato chi ha sparato,
c'è stata la violenza micidiale e documentata. Pertanto, si è
determinato un grosso problema per chi ha preparato un percorso di
disobbedienza civile, all'interno di un quadro democratico, perché
non tutti sono Gandhi. Lo dico con chiarezza: questo è stato
il problema al quale ci siamo trovati di fronte. A voi parlamentari
vorrei anche dire che ci preoccupa moltissimo il rischio di una
costrizione, di un restringimento degli spazi di democrazia pacifici
e non violenti, perché questa restrizione nella storia è
sempre stata pericolosa per gli effetti che può produrre.
In
relazione alla terza questione, speravo che nessuno mi ponesse questa
domanda, perché mi mette profondamente a disagio che dei
rappresentanti del Parlamento chiedano a noi, quasi rimproverandoci,
perché non abbiamo organizzato dei servizi d'ordine. Mi
chiedo: siamo in uno Stato da Far West...
FABRIZIO CICCHITTO. Io ho detto un'altra cosa.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. ....oppure esistono strutture delle Forze dell'ordine che devono garantire lo svolgimento delle manifestazioni e il rispetto dei diritti.
PRESIDENTE. Dottor Agnoletto, mi perdoni. Mi pare che la domanda facesse riferimento a talune sue dichiarazioni.
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. Prima delle dichiarazioni
c'era un'introduzione.
Noi abbiamo scelto una pratica pacifica e
non dovevamo costituire, in qualche modo, pezzi separati di servizio
d'ordine, che vanno per conto loro. Il problema che ci siamo posti,
visto il livello di tensione, era come poter difendere il corteo.
Noi, che eravamo lì, come sono io adesso, abbiamo tentato di
fare un servizio d'ordine tenendoci per mano ma è stata una
cosa che non ha retto minimamente. Le dico con molta tranquillità,
ed è quanto ho dichiarato nelle due date da lei ricordate, a
giugno e a luglio che questo è il discorso che abbiamo fatto;
infatti nel corteo del 21 luglio abbiamo tentato di fare il servizio
d'ordine tenendoci per mano, ma ciò non è stato
minimamente sufficiente rispetto allo scenario.
Oggi è in
corso una discussione nel Genoa social forum sul modo per
tutelare in futuro le nostre iniziative: si tratta di una discussione
difficile, perché non vogliamo costruire gruppi separati.
Questo è ciò che è avvenuto, così come
l'abbiamo vissuto.
Per quanto riguarda la quarta domanda, per
quello che mi compete, mi pare di aver risposto.
Sulla questione
della chiusura delle frontiere, il problema è che, dopo aver
applicato la clausola restrittiva, secondo gli accordi di Schengen -
perché questo è quanto è avvenuto - è
accaduto esattamente il contrario di quello che ci era stato detto.
Infatti, i pacifisti greci, mi pare del gruppo Synaspismos
sono stati bloccati per di più anche con interventi
«extraterritoriali» delle forze dell'ordine sulla nave;
alcuni treni sono stati bloccati al confine con la Francia, mentre
molti violenti - non voglio provocare qualcuno dicendo «tutti»
i violenti -,
a proposito dei quali ci era stato detto che si sarebbero fatti i
blocchi alle frontiere per fermarli, sono arrivati tranquillamente
nel centro di Genova e hanno fatto quello che hanno fatto. La nostra
preoccupazione, relativamente alla chiusura delle frontiere,
onorevole Cicchitto, era che non avvenisse quello che è
accaduto per Nizza, dove la chiusura delle frontiere ha impedito a
manifestanti pacifici di raggiungere la città.
Alla
domanda riguardante la dottoressa Paolini risponderà Raffaella
Bolini, che al riguardo è più competente.
Per
quanto concerne la questione della concomitanza delle manifestazioni,
abbiamo diffuso il comunicato l'11 aprile - come documentato - non
abbiamo ottenuto alcun tipo di risposta; rinvio, quindi, alla
documentazione depositata.
Il 28 giugno abbiamo partecipato
all'incontro menzionato in precedenza, dove abbiamo detto quanto
riferito; dopodichè abbiamo ripreso il 16.
Onorevole
Cicchitto, qual era l'ultima domanda?
FABRIZIO CICCHITTO. Forse era quella relativa a Rifondazione comunista.
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. No, a quella domanda ho già
risposto. Non era nemmeno relativa alle tute bianche; si riferiva
alla questione dei Democratici di sinistra-l'Ulivo.
Credo che
tale domanda implichi dei giudizi e non credo che siamo qui per
esprimere giudizi. Ritengo che sia avvenuto qualcos'altro di
estremamente grave (ma questa è una mia ipotesi). Il problema
è quello che ha posto prima Raffaella Bolini cioè come
mai ad un certo punto, nonostante le rassicurazioni che c'erano state
date, a seguito degli incontri cui avevamo preso parte, sia saltato
tutto. Mi chiedo quale sia
l'elemento nuovo - che noi non comprendiamo - che si è inserito il 20 luglio e cosa sia accaduto il 20 luglio, quando abbiamo trovato le nostre piazze occupate dai black bloc ed è successo ciò che tutti conosciamo, con le cariche indiscriminate e così via. Ciò non rifletteva quanto ci era stato detto da De Gennaro e che puntualmente alla fine delle riunioni riportavamo. Credo, quindi, che sia accaduto qualcosa di molto diverso. Mi fermo qui, perché non credo di dover avanzare delle ipotesi; d'altra parte, siete voi che avete il compito di accertare la verità.
RAFFAELLA BOLINI,
Rappresentante dell'ARCI. Quando abbiamo saputo dell'incarico
affidato alla dottoressa Paolini, alcuni di noi sono stati molto
contenti. Era un momento difficile - si era agli inizi di gennaio -
perché avevamo già compreso che vi sarebbero state
difficoltà a far partire la macchina del rapporto con le
istituzioni per le manifestazioni di Genova; quindi, siamo stati
contenti, perché alcuni di noi già conoscevano
l'architetto Paolini. Quest'ultima, infatti, al tempo in cui era
incaricata degli aiuti umanitari per l'ex Jugoslavia per il Ministero
degli affari esteri, era stata l'animatrice e la coordinatrice del
tavolo di coordinamento per tali aiuti. Si trattava di un tavolo di
coordinamento fra le istituzioni e la società civile, che ha
rappresentato un'esperienza molto interessante, fatta oggetto di
studi addirittura da agenzie ed enti internazionali che l'hanno
considerato un modello positivo di rapporto fra istituzioni e società
civile. È stata un'esperienza durata cinque anni e passata
attraverso governi di tutti colori, grazie alla quale l'Italia ha
fatto un'ottima figura in tutte le repubbliche della ex Jugoslavia
durante la guerra.
Molti di noi avevano aderito al Genoa
social forum e avevano partecipato al movimento per la
globalizzazione
democratica proprio a partire dall'esperienza di volontariato e di
cooperazione internazionale, così come molti di noi, ed io
personalmente, avevano partecipato all'esperienza del tavolo di
coordinamento come animatori dalla parte della società civile.
Pertanto, avendo visto i risultati prodotti da quel tipo di
esperienza ed avendo constatato che la dottoressa Paolini aveva una
grande esperienza nel cercare di oliare i rapporti fra istituzioni e
società civile - che spesso usano linguaggi e metodologie
diversi ed hanno problemi differenti - siamo stati contenti
dell'incarico affidatole.
Abbiamo sperimentato il rapporto con la
dottoressa Paolini, in generale, per ciò che riguarda le
relazioni fra Genoa social forum ed istituzioni, ma alcune
delle associazioni ed organizzazioni che fanno parte del Genoa
social forum l'hanno anche sperimentato in occasione
dell'incarico affidatole nel progetto GNG a cui avevano partecipato.
Per quanto riguarda il rapporto tra Genoa social forum e
istituzioni per la soluzione della questione relativa alla gestione
delle manifestazioni a Genova, credo che in qualche modo la
dinamicità, l'intelligenza, l'esperienza e la competenza che
avevamo constatato nell'opera della dottoressa Paolini si siano
potute esercitare poco, perché per molto tempo la macchina del
rapporto fra istituzioni e GSF è rimasta completamente
bloccata. Certamente eravamo informati di tutto il lavoro che lei
svolgeva a livello istituzionale, ma mancava l'oggetto del
contendere. Ci aspettavamo, infatti, di essere chiamati ad affrontare
e risolvere, con il suo aiuto, tutti i problemi legati
all'accoglienza, e speravamo di poterlo fare in sei mesi; invece,
siamo stati costretti ad affrontarli e risolverli in 15 giorni.
Da
questo punto di vista, abbiamo potuto godere del suo supporto, con la
limitazione dovuta al fatto che quello che
pensavamo sarebbe stato un rapporto di collaborazione, magari della durata di un anno, per preparare bene la manifestazione di Genova, in realtà poi si è ridotto ad un meccanismo di pressione alla ricerca di questo rapporto, mentre il vero e proprio lavoro di confronto si è realizzato in pochissimo tempo; potete immaginare la fatica che ciò ha comportato per noi ed, immagino, anche per lei.
PRESIDENTE. Avverto che il dottor
Bobba ha comunicato alla Presidenza di avere impegni inderogabili per
le 14. Chiedo, quindi, ai colleghi Mascia, Anedda, Turroni, Mazzoni,
Boato, Dentamaro e Del Pennino, che hanno preannunziato di voler
parlare, se intendano rivolgergli domande.
Constatato che nessuno
ha intenzione di intervenire, procediamo pertanto nello svolgimento
del dibattito. Dottor Bobba, lei può rimanere fino a quando lo
ritiene opportuno; noi la ringraziamo sin d'ora per la sua
collaborazione.
GRAZIELLA MASCIA. Signor
presidente, vorrei rivolgere una domanda a nome dei colleghi del
gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, che se ne sono
dimenticati. Per quanto riguarda piazzale Kennedy, volevano sapere da
chi fosse gestito e con quali funzioni, perché nella relazione
ciò non è stato riportato.
Per quanto mi riguarda,
formulo innanzitutto due richieste di precisazione. La prima riguarda
la presenza dell'estrema destra alle manifestazioni; avevo posto tale
questione, ricordata dal dottor Agnoletto, al dottor De Gennaro, il
quale aveva risposto di essere intervenuto in quel frangente senza
riscontrare nulla.
Avevo anche rivolto un'altra domanda relativa
al fatto che nell'ordinanza del 12 luglio del questore si faceva
riferimento alla presenza di 25-30 personaggi dell'estrema destra
provenienti
da Torino che avrebbero tentato, attraverso alcune lamette, di
fare provocazioni nel corteo delle tute bianche. Avevo chiesto al
questore se ciò fosse stato oggetto di un confronto col Genoa
social forum; poiché vi è questa interlocuzione, di
fronte ad una segnalazione così precisa ed anche preoccupante,
ritenevo che ciò dovesse rientrare in un rapporto costruttivo
che mi sembrava si fosse intrapreso. Vorrei un'opinione al riguardo,
in particolare, vorrei sapere chi di voi abbia intrattenuto tali
rapporti.
Infine, l'ultima domanda riguarda la questione
dell'autorizzazione del corteo del 20 luglio presso lo stadio
Carlini. Dopo aver preso visione della documentazione che ci avete
fornito, ho compiuto alcune verifiche; in effetti anche il questore
ci ha detto di aver ricevuto il 19 luglio il preavviso in cui si
annunciava lo svolgimento del corteo, senza precise indicazioni di
orario, con partenza da corso Gastaldi, precisando che in pratica la
prosecuzione del corteo del Genoa social forum oltre piazza
Verdi era impedita. Ciò, di fatto, conferma quanto riportato
nella documentazione che ci avete consegnato; egli, però,
aggiunge di non essere mai stato messo a conoscenza di ciò che
succedeva nelle piazze tematiche e di chi fossero i titolari. Egli
dice, per esempio, di non sapere che la Rete Lilliput fosse in piazza
Manin, dopodichè svolge una serie di considerazioni; infine,
afferma che tale corteo non era autorizzato e che, comunque, non si
trattava di un corteo bensì di una massa di persone.
Lo
stesso capo della Polizia sulla questione del corteo e
dell'autorizzazione fa riferimento a tutto ciò che è
avvenuto e parla di un affollato corteo non autorizzato, visibilmente
già predisposto ad affrontare i reparti di polizia.
A tale proposito, vorrei capire se voi abbiate avuto un
chiarimento diretto (oltre ai pezzi di carta che si comprendono da un
punto di vista formale) con la questura o con il capo della Polizia.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. In questura è stata spiegata tutta l'iniziativa: lo ha fatto Morettini, e, tra l'altro, in data 16 luglio abbiamo presentato una richiesta inerente a tutte le nostre iniziative, con le varie firme. Successivamente, abbiamo ottenuto le autorizzazioni. Quella che abbiamo fornito al presidente è datata 19 luglio e autorizza, anzi; precisa quali sono i divieti. La nostra richiesta è del 16 ed il 19 viene vietato il corteo tra piazza Verdi, piazza della Vittoria, via XX Settembre e piazza De Ferrari. Questi sono dati ufficiali corredati dai timbri.
GRAZIELLA MASCIA. C'è una differenza tra non autorizzato e vietato.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Qui c'è scritto semplicemente vieta il transito del corteo...
PRESIDENTE. C'è un documento, credo che tutti siamo in condizione di leggerlo, al di là dell'interpretazione. Dottor Agnoletto, può proseguire.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Sulla questione di Rete Lilliput, più che stampare una cartina di tutta Genova, con tutte le iniziative, le associazioni...
PRESIDENTE. Possiamo acquisire agli atti tale cartina?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Certamente. Vuole acquisire agli atti anche la nostra richiesta formale?
PRESIDENTE. Produca tutto quello che ritiene opportuno.
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. Dunque, sulla giornata del
20 abbiamo avuto l'autorizzazione come detto e sulla questione di
Rete Lilliput abbiamo illustrato per tutte le piazze quello che
sarebbe avvenuto e chi vi sarebbe stato. Relativamente alla domanda
di Rete Lilliput, nella documentazione che ho letto e che è
stata consegnata, è spiegato tutto il percorso che Alberto
Zoratti, responsabile di Rete Lilliput, traccia nei giorni precedenti
con la questura (si indica addirittura con chi parla) per le
autorizzazioni. Per i Cobas è segnata, addirittura, l'ora in
cui è stata data la risposta. Più precisi di così...
Circa la questione della presenza di estremisti di destra, posso
solo dire che la segnalazione a cui mi riferivo è ulteriore
rispetto a quella di Torino (erano provenienti da altra zona). In
quella occasione ho parlato con Andreassi (poi, invece, mi ha
richiamato un altro funzionario della questura) ed ho spiegato anche
in quale zona a noi risultavano accampati e in quale zona risultavano
sistemati negli alberghi. Di questo non vi è mai stata alcuna
altra segnalazione, neanche da parte delle forze dell'ordine.
RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. Ritengo che sia utile puntualizzare una cosa: il modo in cui noi avremmo dovuto presentare le richieste per svolgere le manifestazioni ci è stato spiegato, per filo e per segno, dal Capo della Polizia nell'incontro del 30 giugno. Durante tale incontro dichiarammo, in maniera più esatta di come avevamo fatto fino ad allora (poiché il processo decisionale era arrivato ad un punto quasi conclusivo) i giorni delle le manifestazioni del (19, 20 e 21).
Ho davanti proprio i miei appunti di quel giorno in cui De
Gennaro ci spiega come avremmo dovuto fare. Ci ha detto che non
avremmo avuto autorizzazioni alle manifestazioni perché in
Italia - come si sa - una manifestazione non si può svolgere
solo se è vietata, dato che il diritto a manifestare è
garantito dalla Costituzione; dunque, la regola è che le
manifestazioni si possono svolgere. De Gennaro ci disse di comunicare
in questura l'intenzione di manifestare in determinate piazze, di
svolgere il corteo da un certo punto ad un altro e di attendere tre
tipi di risposte. Se non ci avessero risposto, avrebbe significato
che la richiesta era stata accettata. Se ci avessero risposto,
sarebbe stato o per vietare la manifestazione in questione o per
fornire alcune prescrizioni (è il caso, ad esempio, del corteo
di cui stiamo parlando, che non è stato vietato ma sono state
segnalate alcune prescrizioni: il corteo non sarebbe dovuto arrivare
oltre un certo punto del percorso). Noi ci adeguiamo alle indicazioni
di De Gennaro alla fine di quella riunione, nel momento in cui
vengono chiarite le dinamiche, gli orari ed i luoghi delle varie
manifestazioni noi comunichiamo in questura l'intenzione di svolgere
manifestazioni in determinati luoghi e con determinate
caratteristiche.
Avevamo un gruppo di lavoro del Genoa social
forum che si occupava delle manifestazioni, del loro
coordinamento e della loro organizzazione. In particolare, abbiamo
discusso a lungo sulle manifestazioni del 20 perché, essendo
previste per l'accerchiamento del vertice diverse iniziative, ci
siamo dovuti mettere d'accordo tra di noi su chi sarebbe andato in
quella piazza, chi in quell'altra, sugli orari, e così via.
Abbiamo presentato comunemente, a firma di tutte le organizzazioni
presenti nel consiglio dei portavoce del Genoa social forum,
la richiesta complessiva per le manifestazioni. Ci terrei a segnalare
che, anche se è vero che dopo il 30 giugno non abbiamo
più avuto incontri formali con il Capo della Polizia sulle
questioni delle manifestazioni, abbiamo però avuto incontri
tecnici. Le persone che rilasciavano le autorizzazioni, ovviamente,
ci chiedevano il motivo della scelta di una particolare piazza o di
un determinato orario; ci sono stati fatti dei rilievi, noi abbiamo
posto delle questioni. Alcune volte parlavamo a nome di tutto il
Genoa social forum, in altri casi andavano i promotori delle
diverse manifestazioni. Mi riferisco, ad esempio, ai sindacalisti
della CUB che, ossessionati dall'idea di vedere i manifesti in tutta
Italia con l'indicazione del corteo, senza saper dire da dove sarebbe
partito, stavano in questura un giorno sì e un giorno no a
cercare di «spingere» perché il loro corteo
venisse autorizzato.
Quindi, anche se formalmente non abbiamo più
avuto incontri, vi sono state, però, molte occasioni di
dialogo che hanno consentito di conoscere compiutamente il quadro
delle manifestazioni prima che queste si svolgessero.
GIAN FRANCO ANEDDA. Vorrei sottoporre i seguenti quesiti alla cortese attenzione del dottor Agnoletto. Anzitutto, le chiedo se, nei giorni del vertice G8 ed in quelli precedenti, abbia avuto incontri, contatti, scambi di opinione con Canterini. Le domando, poi, se, nella fase preparatoria, sia stata presa in considerazione, nelle riunioni da voi svolte, l'eventualità che, in occasione delle manifestazioni, potessero essere posti in essere atti di violenza da parte dei manifestanti. Ancora, a proposito dell'equipaggiamento di cui moltissimi manifestanti erano muniti - si trattava, come lei ha ricordato, di caschi, imbottiture, scudi (addirittura, scudi collettivi) -, le chiedo se ciò le sia apparso indispensabile per consentire ai manifestanti di difendersi da attacchi non motivati della polizia.
Nel documento del 5 giugno 2001 avete scritto che uno degli
scopi delle manifestazioni sarebbe stato l'isolamento della zona
rossa il 20 luglio. Vi siete espressi dicendo che sarebbe stata
un'iniziativa comune, che si sarebbe svolta attraverso azioni
molteplici e diverse: con la contestazione e la disobbedienza, con
l'accerchiamento dei corpi e delle parole, con la disobbedienza al
divieto di accesso alla zona rossa. Le chiedo allora come si
intendesse disobbedire al divieto di accesso alla zona rossa: si
tratta di parole che sono tutto sommato sinonimo di quelle usate da
coloro che avevano detto che intendevano sfondare la zona rossa in
termini assolutamente pacifici, quali erano quelli che voi vi
proponevate. Le chiedo, dunque, atteso che esisteva un divieto, che
esso era largamente «protetto» e che a difesa
dell'osservanza del medesimo era schierata la Forza di polizia, come
avreste inteso pacificamente non ottemperare al divieto, rectius
sfondare la zona rossa e con quali pacifici strumenti.
È
stato riferito che venne trovato un furgone attrezzato con
medicamenti e che anche nella scuola era stata allestita una sorta di
infermeria. Così è stato riferito, ma lo dice anche lei
nell'allegato in cui parla delle attrezzature sanitarie: perché
avevate previsto tali attrezzature? Evidentemente, dovevate aver
previsto anche atti di violenza.
Conseguentemente, le domando da
chi pensavate che sarebbero venuti gli atti di violenza se la
partecipazione e l'intervento degli uomini del blocco nero sono stati
- così come lei ha detto, aggiungendo, anzi, per imprevidenza
delle forze dell'ordine - del tutto imprevisti.
Oltre a quanto
scritto da lei e da tutto il Genoa social forum il 5 luglio,
era a conoscenza della dichiarata intenzione delle tute bianche di
portare il corteo a sfondare la zona rossa?
Inoltre, lei che ha partecipato ai cortei e li ha seguiti, ha
avuto occasione di vedere manifestanti (parrebbe - il condizionale è
d'obbligo - appartenenti alle tute bianche; in ogni caso,
manifestanti da definirsi pacifici) che abbiano «coperto»
(perché ciò è stato riferito) persone certamente
violente e vestite di nero, al fine di impedire alla polizia di
raggiungerle e di isolarle?
Ancora, devo osservare che,
ripetutamente, anche nelle risposte, avete detto che vi è
stato impedito di manifestare pacificamente. La domanda è: vi
è stato impedito perché non siete stati tutelati a
sufficienza oppure perché sono state vietate alcune
manifestazioni? Nel caso fosse giusta la prima ipotesi - quella della
inadeguata tutela da parte della polizia dei manifestanti pacifici -,
come collega questo fatto con quanto da lei sostenuto, mi pare
proprio ieri, in sede europea, e cioè che in Italia sarebbero
stati sospesi i diritti democratici, in particolare il diritto a
manifestare?
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. Dunque, il signore o dottor
Canterini non l'ho mai incontrato, non lo conosco; a meno che non
fosse uno dei funzionari presenti a due incontri (quello con De
Gennaro e quello col ministro), non l'ho mai né incontrato né
conosciuto.
Abbiamo sempre chiarito - come risulta da conferenze
stampa e articoli di giornale - che potevamo, ovviamente, parlare e
rilasciare dichiarazioni a nome del Genoa social forum; non a
nome di tutti coloro che sarebbero venuti a Genova. Non possediamo
l'onnipotenza!
Da parte del Genoa social forum è
ovvio che io le risponda che non abbiamo visto assolutamente alcun
tipo di violenza. Altrettanto ovvio è che sapevamo - e lo
sapevano tutti, perché bastava leggere i giornali, anche se,
forse, trattavano dell'aspetto in modo un po' troppo da «romanzo»
- della
possibile presenza del blocco nero, anche alla luce di quanto
avvenuto in altre città. Quindi, noi - proprio per chiarire
che rappresentavamo altra cosa e che avevamo un patto che ci legava
sulla non violenza - abbiamo condotto tutta l'operazione nella
trasparenza. Infatti, abbiamo comunicato ogni passo, ogni azione,
tutto ciò che avremmo fatto.
Quindi, e arrivo alla terza
domanda, sempre in tale ottica, c'è stata sempre estrema
trasparenza e visibilità sul fatto che alcune delle
organizzazioni e delle associazioni aderenti al Genoa social forum
avrebbero praticato la disobbedienza civile attraverso l'utilizzo
anche degli scudi; peraltro, si è trattato anche, a mio
avviso, di episodi soltanto mediatici: le riviste, i giornali erano
pieni della storia sulla vestizione, gli scudi, eccetera. Quindi, la
questione era assolutamente di pubblico dominio. Gli scudi, per
definizione, servono per difendersi, non per attaccare; d'altra
parte, dobbiamo ricordare la vicenda di Göteborg. Ricordate che
alla vigilia del vertice di Genova, ancora nessuno sa se il
manifestante di Göteborg sia vivo o morto. Dunque, si è
posto un problema di difesa per persone che hanno deciso di
attraversare la linea rossa come atto di disobbedienza. Inoltre, se
non sbaglio (è presente nella memoria da noi consegnata),
proprio il 19 mattina si svolge la perquisizione da parte delle forze
dell'ordine allo stadio Carlini, durante la quale vengono trovati gli
scudi. Dunque, non erano nascosti e, infatti, vengono considerati
legittimi, non vengono requisiti. Pertanto, la terza domanda che lei
mi ha rivolto credo sia collegata alla quarta: mi riferisco a quando
lei dice che nella nostra dichiarazione del 5 luglio parliamo di
accerchiamento dei corpi e delle parole nonché di
disobbedienza rispetto alla zona rossa. È evidente che, se
all'interno del Genoa social forum una parte pratica la
disobbedienza civile - e questa viene riconosciuta come una pratica
pacifica
e non violenta dall'insieme del movimento -, la stessa parola,
tuttavia, dice «disobbedienza». Quindi, chi la pratica -
come sempre, in tutto il mondo, nella storia della disobbedienza
civile - se ne assume la responsabilità penale nonché i
rischi fisici, connessi appunto all'uso sia pure non violento, civile
e senza strumenti offensivi, della disobbedienza.
Quindi, gli
scudi erano uno strumento di difesa nei confronti di una prevedibile
reazione delle forze dell'ordine rispetto al fatto che una parte dei
manifestanti avrebbe cercato pacificamente di entrare nella zona
rossa. Ho forse sbagliato la domanda ?
GIAN FRANCO ANEDDA. Lei ha descritto la reazione delle forze dell'ordine alla disobbedienza civile, fermi restando i vostri legittimi convincimenti, non ritiene che fosse legittima anche la reazione della Polizia per fare in modo che si ottemperasse al divieto di accesso ?
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. Mi scusi, è quello
che non è avvenuto. Non vi sarebbe stata una reazione della
Polizia - tra l'altro qui c'è proprio un gioco di parole -
qualora il corteo delle tute bianche avesse commesso dei reati, cioè
avesse superato il divieto a manifestare (vale a dire la zona non
autorizzata), tentando di arrivare alla zona rossa.
È
chiaro che ci sarebbe stata una reazione, come diceva De Gennaro,
commisurata alla pratica: un tentativo di passaggio non violento solo
con gli scudi è diverso da altri tipi di pratiche. Tutto
questo non c'è stato ed era il terreno su cui le persone che
hanno deciso di praticare la disobbedienza civile si sarebbero
assunte la loro responsabilità; c'è stata un'altra
vicenda, che documentiamo tramite una memoria, quella relativa al
comportamento dei carabinieri che hanno
attaccato un corteo assolutamente pacifico che stava percorrendo
una zona autorizzata: questa è la situazione che si è
determinata.
Dal mio punto di vista, il problema è di
capire se esista la possibilità di coniugare un atto di
disobbedienza con un atto pacifico: in proposito vi è una
lunga tradizione storica di personaggi, che meritano ben altre
citazioni rispetto a noi, lo diciamo in punta di piedi, e quindi
pensiamo che chi ha tentato di praticare quella iniziativa si sia
voluto richiamare a quel filone.
GIAN FRANCO ANEDDA. In punta di piedi .... !
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. Ho usato il termine in punta
di piedi calibrando le parole per rispetto nei confronti delle
persone (Gandhi ed altri) a cui mi riferisco.
La quinta domanda è
relativa al furgone attrezzato per i medicamenti. Vorrei fare una
precisazione perché su questo punto vi è stata una
grande confusione. Il servizio sanitario del Gsf operava nella scuola
Diaz, dove c'era il centro stampa, non nella scuola Pertini. Provi a
mettersi nei nostri panni ed a leggere su tutti i giornali notizie di
camere mortuarie che si preparavano, di armi di tutti i tipi che
dovevano arrivare, di campi di preparazione e di allenamento per
nuovi strumenti da utilizzare in piazza e via dicendo; poi pensi alle
storie precedenti, come Göteborg.
Avete già sostenuto
che, forse, siamo stati degli irresponsabili perché non
abbiamo organizzato il servizio d'ordine, ma si rende conto che, se
non avessimo organizzato un minimo di assistenza sanitaria - lo
affermo anche come medico - sul piano etico sarebbe stato
inaccettabile, vista la difficoltà e il ritardo enorme con cui
in quel contesto molte volte arrivano
i soccorsi pubblici? Tra l'altro, con questi ultimi e con
l'impiego delle varie ambulanze il servizio sanitario del Genoa
social forum ha collaborato perché c'erano delle
situazioni di emergenza. Persone che, come noi, hanno questo ruolo,
ovviamente, hanno dovuto assolutamente prevedere tutto questo.
Sulla
questione delle tute bianche e della zona rossa credo di avere già
risposto. Lei mi dice che parrebbe che le tute bianche abbiano difeso
i neri: no, è successo altro. Anche nei cortei delle tute
bianche sono state bloccate ed espulse - e anche su questi episodi vi
sono documentazioni filmate - persone che volevano praticare scelte
diverse da quelle del Genoa social forum e che avevano cercato
di inserirsi all'interno di quel percorso.
Poi vi sono altre
testimonianze, ma tutto ciò fa parte di accertamenti, dei
quali non vi abbiamo portato la documentazione, circa episodi
relativi all'espulsione di qualcuno dal corteo. Vi sono testimonianze
di alcune di queste persone che hanno un diverso rapporto con i
carabinieri: questo è ciò che è avvenuto. Sono a
conoscenza che oggi pomeriggio ascolterete Luca Casarini, ma non è
un mistero che egli sia stato accusato da determinate aree di aver
tenuto lontano le tute nere: tutto ciò mi sembra importante.
La penultima domanda verteva sulla questione relativa alla
mancata effettuazione di manifestazioni democratiche. È
evidente che le manifestazioni erano state autorizzate, quindi vi era
stato un aspetto di rispetto formale della democrazia, a cui non è
conseguito un rispetto reale, perché quelle autorizzazioni non
si sono tradotte in un diritto a manifestare: il corteo delle tute
bianche è stato attaccato dalle forze dell'ordine quando
seguiva un percorso autorizzato. Non parliamo di quello che è
successo ai manifestanti di Lilliput che, camminando
con le mani colorate di bianco verso l'alto, ne hanno prese più
che a sufficienza; in piazza Dante sono stati lanciati anche i
lacrimogeni.
Non è stato rispettato il diritto di
manifestare, anche se le dimostrazioni in piazza Dante e piazza Manin
erano state autorizzate.
Passando all'ultima domanda, certamente
io ho sostenuto - anche lì calibrando le parole - che vi sono
stati momenti di sospensione della democrazia e mi riferivo alle
giornate di Genova: a Genova il diritto costituzionale a manifestare
in modo pacifico, ovviamente con la tutela delle forze dell'ordine, è
stato, più di una volta e non per qualche minuto, sospeso.
Ritengo anche che sia stato ampiamente sospeso (argomento che oggi
stiamo trattando molto poco perché avete avuto varie
audizioni, materiale e, soprattutto, perché non abbiamo voluto
interferire con il lavoro della magistratura e dei nostri avvocati)
in diversi atti di violenza compiuti dalle forze dell'ordine su
manifestanti pacifici: lì si sospende il diritto democratico,
perché esse hanno il dovere di tutelarlo, senza parlare di
Bolzaneto ed altro, perché su quei fatti vi sono inchieste
della magistratura.
SAURO TURRONI. Ringrazio per la
ricostruzione che ci è stata fornita che, per la verità,
è la prima così puntuale. Vorrei chiedere se vi siano,
insieme a questa ricostruzione scritta, e se intendiate
consegnarceli, raccolte di filmati in ordine cronologico e fotografie
che documentino temporalmente la successione dei fatti.
Io ho
ascoltato molto attentamente quanto avete riferito e risulta anche
dalla relazione consegnata che vi è stata una dettagliata e
costante azione di informazione di quello che sarebbe successo a
piazza Manin, a piazza Dante e via dicendo.
Noi avevamo avuto sulla ricostruzione della questione
dell'accerchiamento della zona rossa e delle piazze tematiche una
diversa interpretazione dei fatti, vale a dire che quello che sarebbe
successo nelle piazze tematiche era del tutto ignoto e che le
informazioni che voi avevate fornito erano assolutamente generiche.
Vorrei dunque conoscere esattamente - insieme a tutti gli altri
colleghi - se le informazioni su ciascuna presenza, su ciascuna
partecipazione e su ciascuna azione che avveniva in ognuna delle
piazze tematiche, corrisponde a quello che è stato enunciato
per queste due.
Ancora, con riferimento al corteo che è
stato coinvolto negli scontri di via Tolemaide, le informazioni che
noi avevamo, desunte da precedenti audizioni che abbiamo svolto,
dicono esplicitamente che il corteo non era autorizzato. L'ordinanza
del 19 luglio del questore, invece, prevede un'altra cosa - come si
evince dalla stessa ordinanza -, vale a dire che era vietato un
tratto di corteo tra piazza Verdi, via XX Settembre e piazza De
Ferrari.
Vorrei porvi alcune domande. In primo luogo, nel momento
in cui avviene l'attacco al corteo, che il dottor Agnoletto ha
indicato, questo corteo si trovava già nel tratto compreso tra
piazza De Ferrari e piazza Verdi, cioè nel tratto vietato,
oppure si trovava ancora nel tratto che non era stato vietato
dall'ordinanza del questore?
Seconda domanda: chi ha comandato la
carica? Si trattava di un funzionario di pubblica sicurezza cui la
legge affida la responsabilità dell'ordine pubblico e la
direzione delle operazioni?
Avete detto che davanti al corteo vi
era un gruppo di contatto; nello svolgimento del corteo, che pare
parta dallo stadio Carlini intorno alle ore 13,30, fino al momento in
cui vi è stata la carica nei confronti dello stesso corteo,
questo
gruppo ha avuto contatti con responsabili dell'ordine pubblico che
dovevano essere, secondo le altre ordinanze, a fianco o avanti ad
esso, per occuparsi del corteo medesimo?
Vorrei chiedervi
un'ultima cosa in merito a tale corteo: che cosa hanno incontrato i
manifestanti dalla partenza fino al momento in cui il corteo è
stato attaccato? Vorrei sapere, cioè, se vi erano, lungo il
corteo, luoghi che erano stati già oggetto di precedenti
manifestazioni, scontri, cariche, incendi, devastazioni e così
via.
Ultime due domande, presidente. Vorrei che il dottor Kovac
ci raccontasse in dettaglio, con maggiore precisione, il contenuto
della telefonata intercorsa fra lui e il dottor Mortola, che a suo
dire è avvenuta nell'intervallo di tempo tra le 21,30 e le
22,30 della sera del 21 luglio.
L'ultimissima domanda riguarda la
questione delle luci. Il dottor Agnoletto ha detto che le luci erano
accese, a noi è stato ripetuto più volte che le luci
erano spente. Vorremmo comprendere cosa è successo alle luci
nella cosiddetta people house. Dunque, c'è stata
un'irruzione, una perquisizione, nonché feriti sia fra le
forze dell'ordine sia tra i manifestanti. Dai documenti di cui voi
disponete, risulta che luci fossero accese o spente? Chiedo ciò
in modo che si possa comprendere cosa è successo. C'erano, ad
esempio, elicotteri con fari accesi?
L'ultima domanda,
presidente, riguarda la vicenda del centro stampa. Nelle precedenti
audizioni abbiamo saputo che la perquisizione al centro stampa è
avvenuta per errore e che il funzionario che dirigeva l'operazione o
che aveva un'alta responsabilità nella vicenda avrebbe - non
appena saputo di questo incidente di percorso (cioè, il fatto
che sia stata effettuata questa perquisizione indebita) -
immediatamente interrotto la perquisizione, dicendo a chi vi era
entrato erroneamente di allontanarsi. Lei, nella sua relazione e nei
suoi interventi, afferma cose sostanzialmente diverse. La Polizia entra con la forza nella scuola Diaz: vorremmo capire come sia avvenuto questo ingresso, in quanto, fino ad ora, non lo abbiamo saputo.
PRESIDENTE. Senatore Turroni, la invito a concludere.
SAURO TURRONI. Ho quasi finito,
presidente.
Seconda questione: dottor Agnoletto, quando lei è
arrivato c'erano ancora i poliziotti all'interno? Inoltre, del
materiale che è stato sequestrato e distrutto, quello
sequestrato è stato restituito? Che fine ha fatto? Chiedo ciò
perché ci è stato detto testualmente da chi abbiamo
ascoltato che, se fossero stati sequestrati documenti, carte, hard
disk e quant'altro - atteso che il sequestro era avvenuto in modo
indebito -, il materiale sarebbe già stato restituito dal
magistrato (testuali parole).
PRESIDENTE. Darei subito la parola al dottor Kovac, il quale credo che abbia già riferito sul punto.
SAURO TURRONI. Se può ripetere...
PRESIDENTE. Se deve ripetere, può leggersi lo stenografico, altrimenti, se ha qualcosa da aggiungere...
STEFANO KOVAC, Rappresentante
del Consorzio italiano di solidarietà. Su questo punto non
ritengo di dover aggiungere nulla di più rispetto a ciò
che ho già detto. Le cose sono quelle, tra l'altro vi è
anche una dichiarazione all'ANSA della sera in cui è stato
ascoltato il questore nella quale ripetevo più o meno le
stesse cose.
Presidente, volevo solo segnalarle che sono in
debito di una risposta all'onorevole Mascia in merito a piazzale
Kennedy.
PRESIDENTE. Se vuole colmare la lacuna, prego.
STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. A piazzale Kennedy vi erano sostanzialmente due cose principali. Il punto di informazione, dove le persone ricevevano la cartina che abbiamo consegnato prima e che è agli atti, che riguardava le manifestazioni, e un'altra cartina che riguardava i posti di accoglienza. Le persone, inoltre, ricevevano anche altre informazioni e venivano smistate tra i vari campi. Vi era, poi, un punto in cui si reclutavano eventuali volontari per attività di traduzione o altro, vi era un grande spazio per spettacoli e concerti, che in realtà è stato utilizzato limitatamente, in quanto da venerdì sera in segno di lutto avevamo deciso di sospendere tutte le attività, per così dire, ludiche, e un grande spazio di ristorazione.
PRESIDENTE. A questo punto credo che debba intervenire il dottor Agnoletto in merito alle domande poste dal senatore Turroni.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Per quanto concerne la prima domanda, relativa al materiale video, qualcosa verrà già proiettata da Luca Casarini questo pomeriggio. Vedo che sono stati già allestiti gli schermi per la proiezione.
PRESIDENTE. Dottor Agnoletto, ha capito male. Gli schermi sono utilizzati per altre finalità. Casarini ci fornirà una cassetta che poi visioneremo, non vedremo il filmato con Luca Casarini.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Mi scusi, ho interpretato male la presenza in aula degli schermi: come vede, è sempre meglio rimanere ai fatti.
Dunque, una cassetta verrà consegnata da Luca Casarini e il
resto del materiale è in mano ai nostri avvocati per tutte le
questioni processuali. Comunque, mi farò sicuramente parte
attiva nel porre questa questione, che non avevamo considerato.
Le
informazioni sulle piazze sono state date in modo molto preciso e,
oltretutto, faccio presente che nel documento che abbiamo consegnato
al presidente si dice che il questore prende atto delle pubbliche
manifestazioni stanziali nelle seguenti piazze: Manin, dello Zerbino,
Paolo Da Novi, Dante e Carignano, che poi sono quelle nelle quali si
sono verificate le cariche. Comunque, su tali aspetti vi è,
poi, Fabio Lucchesi di Lilliput che chiedeva di poter dire una cosa.
Non dico nulla relativamente alle domande sulle tute bianche, in
quanto c'è Chiara Cassurino, posso solo dire che a noi i
documenti arrivati sono quelli (se poi dopo non li hanno autorizzati
e si sono dimenticati di comunicarcelo, non lo so).
Per quanto
riguarda la questione delle luci, esiste un video - un filmato di
Indymedia - il quale dimostra che, al momento dell'ingresso delle
forze dell'ordine, le luci erano accese.
PRESIDENTE. Può cortesemente ripetere alla presidenza il nome della rete televisiva?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Indymedia. Possiamo provvedere a consegnarlo noi stessi, se lo ritiene opportuno.
PRESIDENTE. Le saremmo molto grati.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Confermiamo la questione dell'elicottero che sorvolava le scuole durante lo svolgimento dei fatti.
Relativamente al centro stampa, quando sono intervenuti hanno
travolto le persone che erano davanti, di cui possiamo fare i nomi
(per esempio, Stefano Renzi, che è il responsabile
dell'ufficio stampa del Genoa social forum). Questo
relativamente alla Diaz. Il materiale che è stato asportato
non ci è stato restituito, ma il problema è che mi
risulta manchi anche un verbale di sequestro. Quindi, la questione è
ancora più complicata.
Relativamente alle questioni delle
tute bianche e di piazza Manin, lascerei la parola agli altri,
nell'ordine che deciderà la presidenza.
SAURO TURRONI. Mi scusi, dottor Agnoletto, vorrei sapere se coloro che perquisivano fossero ancora dentro l'edificio quando lei è arrivato.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Erano dentro l'edificio quando sono entrato, cercando di capire cosa stava succedendo, e sono rimasti dentro per parecchio tempo.
SAURO TURRONI. Si riferisce alla scuola Diaz, sede del centro stampa?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Sì, alla Diaz. Non fino alle 3 (quando si è chiusa l'operazione alla Pertini), ma per molto tempo sono rimasti dentro.
FABIO LUCCHESI, Rappresentante dell'associazione Rete Lilliput. Credo sia abbastanza facile capire la risposta alla domanda sulle piazze. È stato prodotto anche un documento che riguarda il corteo, non solo la richiesta di autorizzazione, ma anche la risposta. Non ne ricordo la formulazione, ma esso cita esplicitamente le piazze da occupare; quindi non c'era
semplicemente un atto a conoscenza dell'amministrazione, ma c'era un atto dell'amministrazione. Su quello che sarebbe stato fatto nelle varie iniziative, credo che ci sia stata la massima chiarezza. Avevamo detto chiaramente che avremmo utilizzato la piazza per tutta una serie di attività informative (così come gli agricoltori, per esempio, avevano comunicato che le avrebbero svolte di fronte a piazzale Kennedy). Eravamo stati estremamente espliciti nel chiarire tutto quello che sarebbe stato fatto: abbiamo precisato che in piazza Manin avremmo tenuto un presidio con banchetti e materiale informativo su tutta una serie di questioni riportate nella relazione; avevamo detto molto chiaramente che avremmo utilizzato via Zarotti fino in fondo alla rete, per accerchiare la rete stessa; tutto questo era stato comunicato in maniera molto precisa. Evidentemente, però, poiché anche l'accerchiamento della zona rossa, tutto sommato, non era un atto che l'autorità pubblica potesse autorizzare, non è stata fornita risposta da parte dell'amministrazione. Però la comunicazione c'è stata, in termini chiarissimi (Commenti del senatore Turroni). La comunicazione precisa di quello che si intendeva fare nelle varie zone è stata fatta, anche se è chiaro che non vi è una risposta autorizzativa, perché si trattava di attività che, in ogni caso, le forze dell'ordine non potevano autorizzare.
CHIARA CASSURINO, Rappresentante del movimento «Tute bianche». Cercherò di dare ordine ad alcuni elementi che sono emersi. Confermo che questo corteo era autorizzato - come abbiamo detto prima - fino alla fine di via Tolemaide. La carica dei carabinieri è avvenuta all'incrocio tra corso Torino e via Tolemaide, 300 o 500 metri prima della fine di via Tolemaide, quindi in pieno percorso di corteo autorizzato. In merito alla domanda su chi abbia comandato questa carica, voglio descrivere a cosa ci siamo trovati di fronte quando
siamo arrivati. Come sapete, siamo partiti dal Carlini intorno
alle 13,30. Premetto che prima della nostra partenza - che ha
richiesto un po' di tempo perché eravamo molti, circa
ventimila - già circolavano voci di scontri in giro per la
città tra «blocco nero» e polizia. Allora abbiamo
meditato lungamente sulla strada da intraprendere e ci siamo convinti
del fatto che, poiché avevamo chiesto l'autorizzazione per il
corteo e questo era stato autorizzato sino a quel punto, non dovevamo
cambiare il nostro percorso, altrimenti ciò sarebbe stato
avvertito come un cambiamento immotivato dell'ultimo momento. Siamo
arrivati, quindi, all'altezza dell'ospedale San Martino (che si trova
molto prima del luogo dove è avvenuta la carica) e da lì
abbiamo cominciato a vedere alcuni segnali, del fumo nero, molto
distanti da noi. Ma non abbiamo visto segni di devastazione, banche o
negozi devastati, perché sul percorso non ce ne erano, tranne
un Blockbuster (tra l'altro!), a cui però non era stato
arrecato alcun danno ed era proprio all'uscita del Carlini. Quel
negozio, che tra l'altro doveva essere un obiettivo sensibile, non
presentava alcun danno.
Ci siamo quindi incamminati verso il
corteo e ad un certo punto abbiamo visto, all'altezza di via
Montevideo - non so se abbiate una cartina, ma comunque è
facilmente rintracciabile - una carcassa di automobile che era stata
data alle fiamme. Dal momento però che non usciva fumo,
abbiamo immaginato - si vede, del resto, anche dalle immagini - che
fosse stata incendiata molto tempo prima. Una cosa curiosa è
che non abbiamo visto per terra, nei dintorni, alcun segno di
«guerriglia» (sassi, bastoni); quindi la macchina è
stata data alle fiamme, ma non c'è stata alcuna colluttazione
tra chi ha incendiato la macchina e la polizia, perché non
c'erano segni visibili.
Ad un certo punto abbiamo imboccato via Tolemaide, che, fra
l'altro, è molto stretta (alla destra vi è anche il
cavalcavia della ferrovia). È proprio un imbuto, infatti
alcuni di noi la chiamano «trappola», perché è
stata una trappola: ci siamo trovati lì dentro imbottigliati.
Non abbiamo visto davanti a noi i carabinieri che poi ci hanno
caricato, perché sono sbucati improvvisamente da corso Torino,
svoltando di novanta gradi verso la testa del nostro corteo.
Premetto che quando siamo giunti all'angolo, abbiamo visto una
cinquantina di individui - non vestiti di nero - che sembrava
stessero tirando sassi, o altro. Abbiamo visto i carabinieri
rincorrere, per un certo tratto, queste persone, le quali sono
fuggite nel sottopassaggio che poi si immette in corso Sardegna; i
carabinieri hanno desistito dall'inseguimento, hanno svoltato di 90
gradi e hanno caricato l'intero corteo. Questo è ciò
che è successo.
Quindi, la carica non è stata
ordinata da alcun funzionario, non c'era alcun funzionario in fascia
tricolore che l'abbia ordinata. Noi ci siamo trovati i carabinieri
davanti, con una improvvisa pioggia, incessante, di lacrimogeni, una
carica a freddo, come si suol dire. Tra l'altro, in lontananza, si
vedevano a Brignole. Io, personalmente, ho il mio gruppo di contatto
che è il gruppo preposto per prendere, appunto, contatto con
il funzionario. Sono, peraltro, rimasta coinvolta nella
colluttazione, sono stata fortunatamente tirata dietro uno scudo e
sono riuscita, in qualche modo, a proteggermi. Una parte del gruppo
di contatto è riuscita a salvarsi ed ha cercato di percorrere
la strada fino a Brignole per vedere se trovava un funzionario con la
fascia tricolore, ma a quel punto - a parte la pioggia di lacrimogeni
- era meglio salvarsi e cercare di respirare. Quindi, anche la parte
del gruppo di contatto che
si è spinta - come dichiariamo nella nostra relazione - un
po' più avanti non ha incontrato, comunque, alcun funzionario
in fascia tricolore.
Mi è stato chiesto se lungo il
percorso della carica, avessimo avuto dei contatti, con il questore,
le forze di polizia. Personalmente ero nel gruppo di contatto e non
ho ricevuto alcuna telefonata. Posso anche assicurare che gli altri
portavoce non hanno ricevuto telefonate e non c'è stato alcun
colloquio con gli stessi. Tra breve sentirete anche Luca Casarini,
che vi dirà se personalmente ha ricevuto telefonate. In quel
momento, comunque, questa era la situazione.
ERMINIA MAZZONI. Vorrei
chiedere al dottor Agnoletto sia è in grado di chiarirmi lo
schema attraverso il quale si aderiva prima al Patto di lavoro e poi
al Genoa social forum. C'erano dei processi? C'erano dei modi
di acquisizione e di verifica dei soggetti che aderivano a questa
struttura, a questo soggetto più ampio? E quale verifica si
faceva dei requisiti di appartenenza? In base a ciò che lei ha
detto, dalle relazioni e da ciò che abbiamo acquisito nei
giorni scorsi, emerge che i soggetti che hanno aderito al Genoa
social forum, lo hanno fatto per sottoscrizione, per adesione,
quindi, sembra che da parte vostra non ci fosse un'effettiva
verifica. Le pongo questa domanda per chiarire due dubbi che
rimangono ancora oscuri.
Vorrei infatti comprendere come possa
affermare, con grande sicurezza, che all'interno dei gruppi che si
riconoscevano nel Genoa social forum - e che quindi
partecipavano alle manifestazioni da voi programmate, comunicate e
condotte - non vi fossero anche coloro che non avevano aderito alla
«nonviolenza», che non volevano manifestare in maniera
pacifica.
Allo stesso tempo, mi resta un altro dubbio sulla
modalità di organizzazione della struttura della quale lei è
portavoce.
Devo fare un accenno seppure minimo al merito del vostro esistere
e di un soggetto che manifesta legittimamente, con riconoscimento
costituzionale; nel merito, contestate il diritto di otto vertici di
assumere decisioni che riguardano i singoli Stati e la
regolamentazione dei rapporti tra gli Stati stessi e che incidono, o
possono incidere, anche su soggetti terzi. Vorrei sapere che tipo di
logica si segua quando poi un soggetto che si costituisce senza uno
schema, senza una verifica, senza una procedura di accertamento,
manifesta, esprime pensieri, scende in strada, contrasta a nome di un
soggetto globale, di una popolazione mondiale.
Rispetto al dato
che lei annuncia, le richieste che lei rivolse al Governo per
collaborare alla gestione di questo vertice - manifestanti e
istituzioni - ricordo che lei aveva posto alcune condizioni: blocco
alle frontiere, forze dell'ordine non armate ed altro. In sostanza,
lei fa un'elencazione e da ciò deriva anche il suo
atteggiamento di contestazione nei confronti dell'istituzione che non
ha aderito immotivatamente - da quanto mi sembra di capire - a
richieste a suo avviso scontate. Allora, data anche la sua esperienza
nell'ambito dei movimenti di piazza e di organizzazioni, le chiedo:
cosa avrebbe dovuto fare uno Stato per la sicurezza di una città,
dei cittadini e delle strutture, ben sapendo che, anche quando si fa
una processione religiosa, occorre predisporre un piano di sicurezza,
al fine di evitare che la semplice concentrazione di massa di persone
arrechi danno a cose e persone?
Rispetto all'impianto di
sicurezza, mi sorge un altro dubbio. Non mi sembra di aver sentito
alcun collega chiederle perché non abbiate provveduto voi alla
tutela dell'ordine pubblico, ma era una domanda. Lei ha colto,
comunque, l'occasione per dire non eravamo noi a dover provvedere
all'ordine pubblico. Lei
ha colto l'occasione comunque per dire che non eravate voi a dover
provvedere all'ordine pubblico, ma le forze dell'ordine. Giustissimo.
Allo stesso modo, allora, le dico che non eravate voi a dover
provvedere al pronto soccorso e all'assistenza sanitaria dei feriti
ma le strutture che normalmente esistono e che si attivano in una
organizzazione di questo tipo, nell'organizzazione di un vertice,
quindi di una manifestazione di tale imponenza. In realtà
queste strutture c'erano. Quindi non capisco come mai, per questa
specificità, voi abbiate ritenuto di allestire un'infermeria e
non di sostituirvi a chi istituzionalmente è preposto altro.
Rispetto poi al dato della ricostruzione complessiva di tutte le
vicende che lei fa nella relazione - alla quale si sono associati
tutti gli altri, Legambiente, ARCI - l'ho sentita più volte
dire che sullo stato dell'arte, prima e dopo le elezioni,
dell'organizzazione, della strutturazione logistica del vertice -
soprattutto nell'azione ai manifestanti - non bisognava chiedere a
lei una valutazione su chi governava o chi governa oggi. Non credo
che questo fosse lo spirito delle domande. Sicuramente non è
questo lo spirito della domanda che le rivolgo; non voglio sapere
cosa pensi personalmente del Governo di prima o di oggi al di là
di quello che si intuisce o già si conosce. Dalla sua
relazione traspare che - in alcuni momenti di grande evidenza lei lo
afferma in modo esplicito - le forze dell'ordine caricavano il Genoa
social forum ed evitavano il black bloc, evitavano i
violenti; questa situazione è stata determinata da un
volontario atteggiamento delle forze dell'ordine - e quindi sarebbe
necessario rettificare qualche punto della sua relazione se non è
questa la sua opinione - oppure, più comprensibilmente, si può
attribuire questa situazione di disagio, queste falle create, ad una
mancata
organizzazione nei tempi giusti, come lei ha detto in apertura di
relazione? Lei ha detto che avete iniziato da gennaio ad organizzare
ma non vi siete ritrovati ad avere un dialogo continuativo con le
istituzioni, con il Governo, se non a partire dalla metà di
giugno, da fine giugno - la data non la ricordo esattamente - quando
siete stati convocati e avete cominciato a relazionarvi e a parlare
di cose concrete. Non è una valutazione sul Governo di prima o
di oggi ma una risposta a ciò che lei enuncia nel corpo di
tutta la sua relazione. Rispetto ai fatti relativi alla denuncia di
presenze neofasciste che lei dichiara di avere fatto, del controllo
con esito negativo, lei forse parla di documentazioni perché,
agli atti non risultano queste presenze e non vi è nulla su
cui continuare a discutere. Ho letto alcune sue dichiarazioni in
merito, anche in altre situazioni, in altri momenti: lei dichiara di
essere in possesso di documentazione che accerta e testimonia, in
maniera ineccepibile, quanto da lei denunciato e non verificato sul
momento. Come mai questa documentazione, che si ripromette ad ogni
dichiarazione di consegnare alla magistratura, non è ancora
stata consegnata, al fine di arrivare ad un chiarimento effettivo
della realtà da lei denunciata verbalmente, ma senza un
elemento documentale che lo sostanzi?
Ancora, mi permetto di
chiederle un ulteriore chiarimento sul concetto di disobbedienza
civile; per me il concetto di civiltà risale al senso civico,
al rispetto di una regola di normale e buona convivenza poiché,
quando si vive in un contesto sociale, ci si danno delle regole che
vanno rispettate per evitare che si creino situazioni di caos e di
difficoltà. Pertanto, la semplice disobbedienza credo sia
inopportuno - definirla civile in quanto tale aggettivo è in
contrasto con il concetto di disobbedienza - va automaticamente in
direzione del disordine, del caos, che deve essere disciplinato,
quindi è
un presupposto che alimenta una situazione di difficoltà:
non voglio definirla violenta e neanche non pacifica, ma si tratta
comunque di una situazione di difficoltà che richiede un
preciso intervento delle forze dell'ordine.
Un'ultima ....
PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Mazzoni, il tempo a sua disposizione è terminato.
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. Se il presidente lo
consente, lascerei la prima domanda, relativa ai meccanismi di
appartenenza al Genoa social forum, a Raffaella Bolini, che ha
seguito proprio questi aspetti.
Relativamente alla seconda
domanda vorrei precisare che noi non contestiamo otto vertici, ma
contestiamo, la legittimità del fatto che otto Stati, assumano
decisioni le cui conseguenze ricadono sull'insieme del pianeta.
Questo è ciò che noi contestiamo, poiché
riteniamo che gli otto governanti siano stati eletti per governare le
loro nazioni e non per assumere decisioni che coinvolgono miliardi di
persone, che sono persone deboli, individualmente e collettivamente,
perché vivono in paesi dove la povertà domina e dove
oltre un miliardo 300 milioni di persone vivono con meno di un
dollaro al giorno. Noi contestiamo questo tipo di decisioni;
contestiamo strutture come il G8 e il WTO, che nessuno ha eletto, ma
che prendono alcune decisioni (quale quella relativa alla proprietà
intellettuale sui farmaci per 20 anni, che impedisce ad altri di
produrli, oppure le decisioni relative allo scudo spaziale, e via
dicendo) che ricadono anche su altri. Tuttavia credo che questo - se
lei desidera se ne può discutere in altra sede - non
appartenga al ruolo ....
PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Agnoletto, non credo che la domanda si riferisse a questo aspetto.
ERMINIA MAZZONI. Come ho detto in premessa, non voglio entrare nel merito, ma sarei ben lieta di poterne discutere approfonditamente. Ho chiesto, proprio in tema di strutturazione, come mai contestiate il diritto dei vertici di Stati, di otto capi di Stato, di assumere decisioni che possano incidere sul destino di altri - lei ha detto poco fa che contesta il WTO perché non è stato eletto - quando poi lei parla a nome di una collettività, senza essere stato eletto. Non riesco a capire quale sia la struttura che lo ha legittimato, da chi è composta questa struttura, e neanche lei mi ha dato una risposta diretta, rinviandomi alla signora Bolini. Vorrei sapere se esistano dei documenti, uno schema preordinato, che riguardino la costituzione del Genoa social forum. Se ci sono, credo che lei dovrebbe conoscerli.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Mazzoni, la domanda ora è chiara.
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. Non credo di dover
rispondere a questa domanda, perché non credo sia il caso di
iniziare un dibattito politico in questa sede, non è questo il
mio ruolo. Posso solo permettermi di dire che il Genoa social
forum non pretende di assumere decisioni per nessun altro: questa
è la grande differenza. Se noi prendiamo una decisione, questa
non ricade sul Sudafrica, ma fa parte di un dibattito politico.
Alla
sua domanda risponderà Raffaella Bolini soltanto perché
ha seguito, in particolare, questi aspetti; tuttavia, ribadisco che
tutto è scritto, con esattezza, nei nostri documenti, che in
parte abbiamo consegnato ed in parte vi saranno fatti pervenire nei
prossimi giorni soltanto perché abbiamo dimenticato di
portarli a Roma: riguardano l'adesione al Genoa social forum.
È evidente che per aderire ad un coordinamento si
devono sottoscrivere e condividere le opzioni per cui esiste quel
coordinamento e tali opzioni riguardano sia i contenuti che gli
obiettivi. Si sta insieme perché si è contro questa
globalizzazione e perché si condividono le modalità per
tradurre in pratica quelle opinioni. I documenti fanno parte del
materiale consegnato: questo è ciò che posso dire, poi
Raffaella Bolini entrerà nel dettaglio.
Con riferimento al
problema della sicurezza, anche se non sono ministro, non voglio
sottrarmi a questa domanda. Lei ha portato un esempio, quello della
processione: se me lo consente, ne farò un altro: tutte le
domeniche, ultimamente anche di sabato, ci sono le partite di calcio
e, quando ci sono dei gruppi di facinorosi e di esagitati che
compiono atti di violenza - non so se lei sia tifosa ma comunque
credo le sia capitato di assistere a tali episodi - cosa accade? Le
forze dell'ordine si concentrano su quell'area per cercare di
limitare le violenze oppure, se soltanto cinquemila persone sono
violente e vogliono invadere il campo, le forze dell'ordine decidono
di caricare tutte le 80 mila persone presenti nello stadio o
addirittura decidono di attaccare gli altri 75 mila lasciando che i 5
mila facciano ciò che vogliono? Questo è il problema
dell'ordine pubblico dal nostro punto di vista: i black bloc hanno
perpetrato le loro azioni violente in modo assolutamente tranquillo
ed indisturbato, mentre gli altri sono stati caricati. Le ho portato
l'esempio dello stadio perché mi sembra rappresenti piuttosto
bene la situazione. Il problema, per quanto ci riguarda, non è
mettere in discussione la sicurezza, ma è capire di che tipo
di sicurezza stiamo parlando. Se la concezione della sicurezza
consiste nel creare un centro blindato, con 30 mila persone, per
permettere ad otto Grandi di fare una riunione, mi chiedo se tale
concetto non comprenda
anche la tutela dei diritti di tutti, previsti dalla nostra
Costituzione, cioè anche la tutela di coloro che manifestano
pacificamente. Mi sembra che l'immagine dello stadio rappresenti bene
ciò che è accaduto e ciò che invece sarebbe
dovuto accadere.
Relativamente alla questione delle strutture
sanitarie, vorrei dire che c'è una differenza. Intanto a me
risulta che per prestare soccorso non sia necessario chiedere
permessi o autorizzazioni, mentre per altri aspetti si pongono
problemi diversi. Vorrei anche chiederle: quante volte nel corso di
manifestazioni di questo tipo si sono presentati problemi di ritardi
nei soccorsi? Poiché stiamo parlando di persone, di vite
umane, credo sia stato un gesto di grandissima responsabilità
da parte nostra. Tra l'altro, la nostra azione è stata
coordinata con quella delle strutture pubbliche ed è stato un
bene aver collaborato e coordinato, visto poi cosa è successo!
Oltretutto, le posso dire, a posteriori, che aver attivato
quella struttura di primo soccorso è stata una fortuna
considerato cosa è accaduto in alcuni ospedali. In ogni caso
vi sono altre inchieste in corso su questi aspetti e non voglio
superare i limiti.
Relativamente alla domanda sui ritardi potrà
risponderle Fabio Lucchesi entrando un po' di più nel merito.
Mi permetterò soltanto una battuta: il ritardo nella
disponibilità delle strutture logistiche ed il fatto che
queste ultime fossero il 50 per cento di quelle che noi avevamo
ritenuto necessarie ha costituito sicuramente un grave danno per lo
svolgimento dei dibattiti, dei public forum e per
l'accoglienza, ma, il modo di intervenire in piazza, in una zona
della città piuttosto che in un'altra, non dipende dal fatto
che 20 mila persone abbiano o meno un tetto sotto cui dormire: è
una scelta autonoma. Ognuno si prenda le proprie responsabilità.
Da cosa è dipeso? Lo chiedo io, da cittadino, alle
istituzioni. Mi limito a constatare quanto è accaduto.
Riguardo alla documentazione sulla presenza della destra, non
potevamo fare nulla di più che indicarla alle forze
dell'ordine. Lei mi ha chiesto perché non l'abbiamo
verificato. Mi guardo bene dal verificare di persona se nella zona
indicata fossero arrivati pullman di gruppi di estrema destra:
abbiamo intenzione di fornire materiale. Ovviamente, la persona che
si espone a testimoniare ha seguito un percorso di riflessione,
poiché si tratta di questioni delicate. Prima di parlare in
questa sede ho chiesto alla persona se fosse definitivamente
disponibile a testimoniare, altrimenti non avrei detto nulla. Oggi
sono in grado di riferirvi che una persona, a cui ho chiesto di
mettere per iscritto questa decisione affinché potessi
comunicarla, testimonierà presso la magistratura. Mi sembra un
percorso corretto.
Francamente, non so cosa rispondere sulla
questione della convivenza civile, perché dovremmo aprire un
dibattito sull'educazione civica nella scuola. Ho già spiegato
cosa penso riguardo alla disobbedienza civile: mi limiterei a quello:
non ritengo di aggiungere altro. Mi pare che Fabio Lucchesi non abbia
da aggiungere nulla; lascio quindi la parola a Raffaella Bolini sulla
questione delle pratiche di adesione.
RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. La mia risposta sarà deludente per chi ha posto la domanda perché per aderire al Genoa social forum era sufficiente sottoscrivere l'appello costitutivo dello stesso del Genoa social forum medesimo che si richiamava alla contestazione del G8 attraverso iniziative pacifiche e non violente. Forse sarà deludente, però vorrei fosse chiaro che la società civile è una cosa seria. Non so se esista un magistrato...
PRESIDENTE. Mi scusi, signora, la domanda è: come si aderisce?
RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. Non sto commentando; dico che si aderisce al Genoa social forum esattamente nei modi previsti per l'associazione ai partiti, alle coalizioni, ai programmi, esattamente nella stessa maniera. La sottoscrizione pubblica del patto del Genoa social forum costituisce un'assunzione di responsabilità culturale e politica. Riguardo a ciò, mi permetto di esprimere un rammarico: mi dispiace molto di non aver potuto portare le registrazioni televisive. Ero a piazzale Kennedy (ma so che sono state fatte riprese anche al Carlini) dove ricordo che il Tg1 ha filmato tutte le assemblee che si sono tenute il 20 luglio nel pomeriggio, dopo le cariche e dopo la morte di Carlo Giuliani. Da queste registrazioni risulta ciò che tutti i portavoce del GSF, dagli esponenti delle organizzazioni più moderate (uso un termine giornalistico) a quelli delle associazioni più radicali, hanno detto e fatto per tenere calma e tranquilla la gente che, tornata dalle manifestazioni, dopo aver visto cariche infernali ed essere stata oggetto di pestaggi, ferimenti e arresti e dopo la morte di un ragazzo, ovviamente, era in uno stato di tensione e di fibrillazione (Commenti). Tutti gli esponenti del Genoa social forum hanno fatto il possibile per mantenere la calma, dimostrando così di aver preso molto sul serio il patto sottoscritto con un atto politico.
MARCO BOATO. Vorrei ringraziare sia i rappresentante del Genoa social forum, nelle sue varie articolazioni, sia i due esponenti delle ACLI, che ora si sono allontanati, per il contributo che stanno fornendo al nostro lavoro; un lavoro di ricostruzione dei fatti, non un dibattito politico su movimenti, partiti e associazioni, che costituisce oggetto dell'attività parlamentare,
politica e della società civile, ma che non può
avere luogo in questa sede. Condivido in modo particolare
l'affermazione della rappresentante di Pax Christi riguardo l'utilità
del nostro lavoro, anche sotto il profilo della pace.
La
questione più importante che oggi emerge per quanto riguarda
la conoscenza degli eventi (oltre alla ricostruzione dei fatti, che
non richiamo) è stata focalizzata con attenzione da parte dei
rappresentanti del Genoa social forum: si tratta del preavviso
consegnato il 16 luglio alle autorità di pubblica sicurezza,
con le varie richieste, che ora abbiamo in copia, ma che non è
contenuto nel materiale che il prefetto di Genova ci ha consegnato.
Il materiale che ci ha inviato il prefetto di Genova si ferma, per
quanto riguarda il Genoa social forum, al 13 luglio. L'atto
fondamentale, l'ultimo preavviso riguardo le manifestazioni, o le
piazze tematiche richieste, del 16 luglio che oggi abbiamo acquisito,
non compare nella documentazione di cui disponevamo.
L'altro
elemento fondamentale è il decreto del 19 luglio (noto che
formalmente si chiama così, o anche provvedimento, come
risulta dall'audizione del questore); ciò che qualcuno ha
detto, e che ha affermato anche il prefetto De Gennaro mi sembra
correttissimo. Egli ha sostenuto che non si autorizza, ma che ci sono
dei preavvisi, rispetto ai quali, per motivi di ordine pubblico, si
deroga alla regola generale secondo cui si può sempre
manifestare pacificamente. Correttamente, l'ordinanza del 19 luglio,
rispetto ai preavvisi, stabilisce ciò che è vietato,
prendendo atto, invece, in particolare, di due fattori: di alcune
piazze tematiche (non ricordo quali, ma sono state citate più
volte) e di una manifestazione fino a piazza Verdi, se non ho capito
male. Ciò presuppone (anzi era detto
esplicitamente) che nel tratto compreso tra piazza Verdi e piazza
De Ferrari il transito del corteo preavvisato fosse vietato.
Dal
punto di vista del nostro lavoro si tratta della questione
fondamentale, perché nella giornata del 20 luglio, prima di
quel corteo, sono avvenuti numerosi episodi di violenza che gli
stessi rappresentanti del Genoa social forum hanno denunciato
(denunciato qui; se erano al corteo non partecipavano agli episodi di
violenza), ricordandone la gravità (penso sia compito della
polizia giudiziaria, in particolare, fare queste denunce). Vi sono
stati molti episodi di violenza durante la mattina del 20 luglio, ma
ciò che cambia la dinamica è il rapporto tra le forze
di polizia ed il corteo che parte dallo stadio Carlini, che, per
espressa dichiarazione del questore, è vietato da piazza Verdi
a piazza De Ferrari. Chiedo di prestare attenzione a questo
avvenimento, che costituisce la novità dal punto di vista
della ricostruzione del fatto.
Poiché ho poco tempo a
disposizione, chiedo al dottor Agnoletto, o a chi voglia rispondere,
di specificare se il contenuto dei primi due capoversi («abbiamo
appreso, abbiamo apprezzato») della lettera dell'11 aprile,
corrisponda al vero.
Per quanto riguarda l'episodio della sede
distaccata di Quarto, avvenuto la sera del 19 luglio, chiedo quale
sia stata la dinamica del cambio di utilizzo di quella sede
distaccata da parte di esponenti del Genoa social forum prima,
e da parte di altri dopo. Per quanto riguarda il rapporto tra il 19 e
il 20 luglio, chiedo se siano a conoscenza di riunioni di persone non
appartenenti al Genoa social forum che si sarebbero
eventualmente tenute la sera del 19 luglio, riunioni di cui abbiamo
notizia dai rapporti dei Servizi di sicurezza, che non potete conoscere e che ufficialmente non possiamo neppure citare perché sono coperti da riservatezza...
PRESIDENTE. Onorevole Boato, deve rivolgere la sua domanda su questo punto.
MARCO BOATO. La domanda è
se abbiate notizia di riunioni avvenute la sera del 19 sera da parte
di altri in relazione ad azioni da mettere in atto il giorno
successivo.
Inoltre, vorrei sapere se, in relazione alla
manifestazione di via Tolemaide, abbiate avuto contatti con il dottor
Gaggiano, che ci è stato detto essere il responsabile
dell'ordine pubblico in quella circostanza, come risulta, d'altronde,
anche dagli atti.
Infine, vorrei sapere se possiate esibire, o
trasmettere, al Comitato, complementarmente all'autorità
giudiziaria...
PRESIDENTE. Onorevole Boato, devo toglierle la parola perché è esaurito il tempo a sua disposizione. Del resto, l'ho già fatto in precedenza con un'altra collega. Lei dovrebbe formulare prima la domanda e poi eventualmente svolgere le sue considerazioni; invece, ha l'abitudine di far precedere le domande da un intervento. L'avevo avvisata un minuto prima che il tempo a sua disposizione scadesse; credo che lei avesse l'obbligo di formulare le domande per rispetto dei confronti degli altri colleghi.
MARCO BOATO. Posso almeno terminare la domanda che stavo formulando?
PRESIDENTE. Concluda rapidamente.
MARCO BOATO. Stavo chiedendo, e concludo, se possiate fornire al Comitato la documentazione, che invierete sicuramente
all'autorità giudiziaria - ma che stiamo acquisendo anche noi, non sulle responsabilità, ma sui fatti -, che riguarda la caserma di Bolzaneto e il rapporto, ipotizzato in documenti citati più volte, fra esponenti dell'Arma dei carabinieri e presunte tute nere.
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. Relativamente alla questione
del dottor Gaggiano, noi qui presenti non sappiamo nulla e non lo
conosciamo, così come non siamo al corrente di riunioni, non
del Genoa social forum, che si sarebbero verificate in quei
giorni.
Con riferimento alla documentazione da inviare al
Comitato, trasmetteremo agli avvocati la richiesta relativa alla
documentazione riguardante la caserma di Bolzaneto, così come
per quella riguardante Bolzaneto, così come per quella che
riguardante l'eventuale rapporto tra forze dell'ordine e tute nere.
Per quanto riguarda la struttura di Quarto, posso dire che tra il
19 e il 20 non c'è stato alcun cambio d'uso, nel senso che
tale struttura ha sempre avuto come finalità quella di essere
un dormitorio, pur non essendolo. Non ha avuto, quindi, cambi d'uso.
STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. Per quanto riguarda la sede di Quarto, l'unica cosa che ci siamo limitati a dire è che nel momento in cui si sono verificati dei problemi, (in particolare la vicenda della palestra), è stato avvisato, da parte di una persona indicata nella relazione, mi pare Paolo Arado del direttivo dei Cobas di Genova, l'assessore Massolo, che si è recata nella struttura. Abbiamo detto solo questo, a parte il fatto dell'allagamento, e non abbiamo notizie che siano cambiate persone.
MASSIMILIANO MORETTINI,
Portavoce del Genoa social forum genovese. Nella relazione
abbiamo detto che l'11 aprile 2001 abbiamo inoltrato al prefetto Di
Giovine, il primo, se non ricordo male, documento organico delle
richieste complessive, che comprendeva anche un piano di accoglienza,
dettagliato rispetto ai tempi, in quel momento non era stata ancora
emessa l'ordinanza del prefetto sulla zona rossa e sulla zona gialla.
C'erano, pertanto, ancora mille variabili possibili sulla
configurazione della città.
Si tratta, quindi, del primo
documento che fa riferimento all'incontro della delegazione del Genoa
social forum con il capo di gabinetto dell'allora ministro
Bianco, mi sembra Sorge, nel corso del quale - non posso che
confermare quanto qui scritto - fu manifestata l'intenzione di
permettere la realizzazione della «cittadella» (l'ipotesi
di un complesso in cui realizzare un public forum, dei
concerti e la prima accoglienza per le persone), nonché lo
svolgimento delle manifestazioni, e venne, altresì, comunicato
che le frontiere non sarebbero state chiuse dall'Italia in quelle
giornate.
Pertanto, abbiamo appreso in quella riunione
l'intenzione del Governo italiano di lavorare in tali direzioni. In
conseguenza di ciò, inoltrammo la lettera, che inizia, se non
ricordo male, con le parole «apprendiamo con piacere che lei,
signor prefetto», e via dicendo, «è il referente
unico». Oltre a quella lettera, gli chiedemmo di incontrarlo e
gli fornimmo la prima documentazione, più o meno organica,
delle richieste, secondo le indicazioni che nella riunione del 5
aprile lo stesso aveva espresso alla nostra delegazione per
cominciare ad acquisire informazioni sulle nostre proposte. Dopo di
chè, (lo specifico perché mi sembra un punto
importante) consegnammo il materiale l'11 aprile; venimmo ricevuti di
nuovo in delegazione il 20 aprile e in quell'occasione, come è
qui scritto, apprendemmo
che in realtà - ovviamente non ne conosciamo le ragioni -, il prefetto non entrò mai nel dettaglio delle nostre richieste, né confermò o tanto meno autorizzò alcuna delle richieste che avevamo avanzato. Se questa fosse una decisione del prefetto o un cambio di direzione da parte del Governo, ovviamente non posso saperlo.
IDA DENTAMARO. Vorrei rivolgere
prima di tutto una domanda al rappresentante della Rete Lilliput, il
signor Fabio Lucchesi.
Apprendiamo che al presidio di piazza
Manin si sapeva, con un anticipo di almeno 30 minuti, dell'imminente
arrivo di uomini del black bloc. Le chiedo, pertanto, se di
questo abbiate avvertito, o abbiate cercato di avvertire, le forze
dell'ordine, o altro, e comunque se le risulti che le stesse forze
dell'ordine ne fossero al corrente, così come lo eravate voi.
Al dottor Morettini, intervenuto per ultimo, vorrei chiedere
qualche ulteriore approfondimento sull'incontro del 20 aprile.
Innanzitutto vorrei sapere se sia possibile avere copia della lettera
e di tutta la documentazione consegnata l'11 luglio. Riguardo poi
l'incontro del 20 aprile, vorrei capire un po' meglio: è
strano che il prefetto vi abbia convocati sostanzialmente per non
dirvi nulla. Quindi vorrei sapere come, in realtà, si sia
svolto l'incontro. Che cosa è stato detto? Non sono state
nemmeno ventilate, lasciate trasparire, le ragioni per le quali non
si era in grado di fornire approfondimenti rispetto a quel documento
da voi consegnato nove giorni prima. E comunque, quella riunione si è
conclusa con una qualche forma di impegno a rivedersi a breve? Si è
capito che aria tirava? Si è capito che in quel breve scorcio
di legislatura con quel Governo che restava in carica fino alle
elezioni del 13 maggio, non ci sarebbe stata più
interlocuzione sul punto con il prefetto di Genova (che era stato
delegato, a tutti gli
effetti, dal Governo ad occuparsi dell'organizzazione)? Non so se
è chiara la domanda: che cosa vi siete detti con precisione?
Oppure avete soltanto preso atto che il prefetto vi aveva convocato
per non dire nulla, in quanto non aveva nulla da dire?
Vorrei
porre una domanda a chi riterrà di rispondere. Ci consta che
comunque il Governo Amato abbia continuato, almeno fino al 5 giugno,
a intrattenere rapporti con la GNG - (Genoa non governmental
initative) - sto leggendo le parole testuali scritte dal
presidente Amato al presidente di questo Comitato - «retta da
un comitato rappresentativo appunto delle ONG, compresi alcuni dei
promotori del Genoa social forum: ARCI, Campagna sdebitarsi,
WWF, rete Lilliput, oltre alla presenza italiana delle ONG». Un
certo numero di rappresentanti delle ONG sarebbero stati ricevuti a
palazzo Chigi il 5 giugno. Chiedo se qualcuno del Genoa social
forum fosse presente a tale incontro. Ho compreso che tutti i
fatti organizzativi delle manifestazioni parallele al vertice di
Genova non erano oggetto specifico di interesse della GNG, ma in
quella occasione si parlò comunque di aspetti organizzativi
riguardanti il vertice di Genova?
Vorrei continuare ad
approfondire i rapporti tra Governo e Genoa social forum.
Colgo l'occasione per darvi atto che il GSF è stato
legittimato come interlocutore per opera di due governi della
Repubblica italiana: ciò dovrebbe dissipare alcuni dubbi. Se
ho capito bene - ma vi chiedo di confermare - il 24 giugno, con il
nuovo esecutivo, attualmente in carica, si è svolta la
riunione in cui definitivamente il Governo dichiara di accettare lo
svolgimento delle vostre manifestazioni in concomitanza con il
vertice. Il 28 giugno vi riunite con i ministri Scajola e Ruggiero,
senza affrontare in dettaglio aspetti di ordine pubblico: il ministro
Scajola vi rassicura e vi fornisce
le massime garanzie sulla libertà di manifestare, senza
trattare specificamente le modalità attraverso le quali si
sarebbero svolte le manifestazioni e sarebbe stato garantito l'ordine
pubblico. Vi chiedo di confermare ciò.
Le chiedo, poi
dottor Agnoletto, se è vero quanto pubblicato da Il
giornale l'11 luglio scorso, cioè che il ministro Ruggiero
le chiese di farsi promotore di un incontro con il cantante Manu
Chao. Ci risulta che il 13 luglio vi sia stato l'incontro del
ministro Ruggiero e della dottoressa Paolini con le ONG e con il
forum del terzo settore: chiedo se qualche rappresentante del
Genoa social forum fosse presente.
Vorrei porre una
domanda a Chiara Cassurino, che si è soffermata sul corteo di
via Tolemaide: è vero che non avete visto - se ho capito bene
- il funzionario di pubblica sicurezza con fascia tricolore che
comandava il contingente di carabinieri che ha caricato? Dico questo
in quanto, da ciò che si desume dalle immagini forniteci, quel
funzionario si trovava dietro, alle spalle del contingente, e voi
quindi non avreste potuto vederlo. Lei, però, non può
escludere che vi sia stato un ordine in questo senso. Mi rendo
perfettamente conto che è normale immaginare che un ordine di
caricare provenga da chi si trova alla testa del contingente e non da
chi è alle spalle, però lei non può escludere
che tale ordine vi sia stato.
Chiedo ancora al dottor Agnoletto -
ma anche ad altri, se riterranno opportuno rispondere - se abbia
avuto notizia nel corso di quei tre giorni - e, in caso positivo, la
prego di parlarne dettagliatamente - di violenze o di attacchi, in
particolare, nei confronti delle forze dell'ordine, perpetrati da
persone non identificabili, almeno presumibilmente, come uomini del
black bloc. Abbiamo sempre parlato dei presunti black bloc,
ma potrebbero esservi stati episodi compiuti da persone che non
appartengono a tale organizzazione.
Dottor Agnoletto, lei conferma la dichiarazione pubblicata da
Il foglio il 13 luglio circa la preparazione di un attacco
alla zona rossa con azioni innovative e studiate? Lei ha usato questi
termini?
Vorrei porre l'ultima domanda. Dalla scuola Pertini è
stato asportato del materiale da parte delle forze dell'ordine
mediante alcuni sacchi. Considerato che nel verbale riguardante le
armi improprie e gli oggetti contundenti sequestrati si registra una
quantità scarsissima di tale materiale, dobbiamo presumere
invece che si trattasse di oggetti rotti, deteriorati, sottratti alla
vostra disponibilità, o comunque materiale danneggiato nel
corso dell'irruzione. Lei, che era presente, è in grado di
dirci quanti sacchi di materiale, a sua memoria, sono stati portati
via dalle forze dell'ordine?
FABIO LUCCHESI, Rappresentante
dell'associazione Rete Lilliput. Rispetto all'episodio di piazza
Manin, per essere precisi, abbiamo avuto notizie, non io
personalmente, ma Stefano Renzi, che ha ricevuto la telefonata da
qualcuno del GSF (onestamente non so da chi). Devo anche dire che noi
per tutta la mattina, durante la gestione della piazza, non siamo mai
riusciti, salvo una volta (la mattina presto, prima ancora di
cominciare - per così dire - l'assedio esterno alla rete), a
comunicare con il funzionario della questura, cioè il capo
della DIGOS, Mortola, di cui avevamo il numero e con il quale avremmo
dovuto relazionarci per i problemi che si sarebbero creati in piazza.
Abbiamo quindi provato a comunicare, senza però riuscirci.
Quello che si è verificato subito dopo è stato
complessivamente il frutto di una scelta del gruppo, che ha deciso
comunque di rimanere lì per non permettere l'invasione della
piazza da parte dei black bloc. Ciò è avvenuto
senza che sia stato più possibile comunicare con la questura.
Vorrei inoltre specificare un fatto che forse non è
stato prima ben chiarito: dal momento in cui abbiamo tolto il
presidio da piazza Manin per tornare in piazzale Kennedy (non
conoscendo esattamente la zona rimane difficile illustrare il
percorso da seguire: piazza Manin, in estrema sintesi, è
situata leggermente più in collina rispetto a piazzale
Kennedy, e, anche se non è molto distante, bisogna comunque
percorre un discreto tratto di strada per raggiunge tale piazzale)
abbiamo tentato diverse volte, dato che dovevamo transitare per la
zona di Marassi dove si stavano verificando alcuni scontri tra i
black bloc e la Polizia, di chiedere a quest'ultima di
facilitarci il rientro. Questo non ci è mai stato concesso;
anzi, da ultimo abbiamo dovuto trovare autonomamente un corridoio
attraverso gli scontri perché il cordone di Polizia che
chiudeva il sottopassaggio che dava verso la stazione di Brignole ci
aveva impedito il transito. Purtroppo in quella situazione
l'esperienza del contatto con le forze dell'ordine per cercare di
risolvere i problemi della piazza è stato per noi
assolutamente negativa.
MASSIMILIANO MORETTINI, Portavoce del Genoa social forum genovese. Innanzitutto accolgo la richiesta relativa al documento che abbiamo inviato al prefetto: sicuramente sarà trasmesso anche al Comitato. Le volevo poi chiedere un chiarimento: mi sembra che lei abbia fatto riferimento ad una data errata; lei ha infatti parlato del 5 luglio in relazione all'incontro con il capo di gabinetto del ministro Bianco.....
IDA DENTAMARO. L'incontro è invece avvenuto il 5 aprile.
MASSIMILIANO MORETTINI, Portavoce del Genoa social forum genovese. Esattamente. La ringrazio per il chiarimento. Circa la premessa dell'incontro che abbiamo avuto con il
prefetto, su di essa mi sono soffermato nel precedente intervento,
quindi non mi ripeto ora. Mi riferisco all'incontro con il capo di
gabinetto del ministro Bianco, dottor Sorge, all'invio della
documentazione al prefetto con quell'intestazione che ho ricordato
prima e alla contestuale richiesta di un incontro - vado un po' a
memoria perché ora non ho il documento a mia disposizione -
per cominciare a discutere nel merito delle richieste che erano state
illustrate nella riunione del 5 aprile. Non posso fare delle
supposizioni: mi attengo quindi ai fatti che si sono verificati in
quella giornata che, per molti aspetti, è stata un po'
surreale sia per una parte sia per l'altra. Dico questo perché
la delegazione del Genoa social forum si è presentata
in prefettura ed il prefetto, diciamo così, l'ha ricevuta con
la consueta cortesia, iniziando una disquisizione di circa un'ora
sulla questione del G8, sulla globalizzazione e sulle altre tematiche
relative al vertice.
Siamo rimasti leggermente sorpresi da questo
comportamento, perché credevamo che si potesse entrare subito
nel merito delle richieste da noi avanzate circa i luoghi di
accoglienza, la possibilità di svolgere le manifestazioni e
così via. Dopo aver - diciamo così - disquisito
amabilmente con il prefetto sui temi della globalizzazione, avanzammo
nuovamente nei suoi confronti la richiesta di poter entrare nel
merito delle questioni da noi poste. Il prefetto riprese però
di nuovo la sua disquisizione. Dopo un po' il clima si innervosì,
in quanto si era creata una situazione in cui si chiedevano alcune
cose e ne venivano invece risposte altre. Ci fu poi un chiarimento,
ma la conclusione dell'incontro avvenne in questi termini:
sostanzialmente noi chiedemmo, volendo in qualche modo forzare la
mano, che il prefetto convocasse qualche rappresentante degli enti
locali del territorio genovese per discutere anche insieme a loro
della situazione relativa all'accoglienza
ed alle manifestazioni. Il prefetto, se non ricordo male, rifiutò tale richiesta, al che - dopo aver tirato un po' per le lunghe la riunione, che infatti, se non ricordo male, si concluse intorno alle ore 9 - rilasciammo una dichiarazione ( penso che questa possa essere recuperata, anche se non ricordo se si trattasse di un comunicato stampa o di semplici dichiarazioni verbali) nella quale dicemmo di prendere atto del fatto che il Governo Amato non autorizzava manifestazioni ed accoglienza e che quindi si accollava la responsabilità di ritardare ulteriormente una discussione sui temi relativi all'organizzazione del contro-vertice. Da quel momento non abbiamo più avuto contatti con il prefetto se non quando questo è ricomparso, con il cambio di Governo, negli incontri che sono stati descritti prima.
CHIARA CASSURINO, Rappresentante del movimento «Tute bianche». Confermo di non essere in grado di escludere la presenza di un funzionario dietro questo centinaio di carabinieri. Dico che il gruppo di contatto non lo ha visto. Ci risulta comunque che quando viene operata una carica su un corteo, autorizzato o meno, deve esserne data comunicazione alle persone che stanno per subire tale azione. Questo, almeno, è ciò che è sempre accaduto durante le ultime manifestazioni.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Comincio con il rispondere alle questioni più semplici. Non sono mai stato contattato dal ministro Ruggiero, tanto meno per avvicinare Manu Chao. Se posso anzi permettermi, ero fortemente innervosito - a tal proposito vi sono diverse mie dichiarazioni sui giornali - dal fatto di continuare a leggere che il ministro chiedeva qualche cosa al Genoa social forum e ciò senza che in realtà lo abbia mai effettivamente fatto. Il
ministro Ruggiero continuava cioè a dire di volerci incontrare, ma noi non lo abbiamo mai incontrato se non in quella riunione.
IDA DENTAMARO. La riunione del 24 giugno?
VITTORIO AGNOLETTO,
Portavoce del Genoa social forum. No, in quella del 28 giugno.
Inoltre, nessuno di noi ha partecipato all'incontro con il ministro
Ruggiero e l'architetto Paolini.
Relativamente a quell'articolo
de Il Foglio, che non conoscevo, devo dire che non ho mai
parlato di un attacco con strumenti innovativi o qualcosa del genere.
Ciò anche perché non utilizzo mai la parola «attacco»;
anzi, ho già chiarito che possibilmente tendo a non utilizzare
mai un linguaggio che richiami in qualche modo la guerra.
Quell'articolo mi era sfuggito.
Circa l'incontro del 24 giugno,
posso ribadire solamente ciò che è scritto nel
documento. Quella riunione si concluse con un nulla di fatto: dopo
circa due ore, interrompemmo infatti l'incontro perché avevamo
di fronte interlocutori che non potevano rispondere assolutamente a
nulla, nel senso che continuavano a dire di non avere un mandato da
parte del Governo. Alle nostre richieste continuavano cioè a
rispondere dicendo che avrebbero dovuto chiedere, che avrebbero
dovuto sentire, che avrebbero visto cosa poteva essere fatto.
Considerato che non era il 24 gennaio ma il 24 giugno e che mancava
pochissimo tempo, abbiamo deciso di interrompere l'incontro,
ritenendo ovvio, se tutte le decisioni dipendevano dal ministro,
incontrare direttamente il ministro stesso.
Non siamo stati
informati di attacchi alle forze dell'ordine da parte di gruppi che
non fossero i black bloc. Noi utilizziamo sempre l'espressione
«i cosiddetti...» perché si tratta di
un'entità indefinita strutturalmente. Questo è il
motivo per il quale utilizziamo tale linguaggio giornalistico.
Comunque, non abbiamo avuto in quei giorni informazione di attacchi
alle forze dell'ordine da parte di altri.
Per quanto riguarda la
questione degli oggetti sequestrati, precisiamo che non abbiamo
potuto vedere nulla, né oggetti né altre cose. Come
ampiamente risaputo, non ci è stato permesso di entrare
all'interno della scuola, così come ai parlamentari, ai
rappresentanti istituzionali, ai medici, ai giornalisti. Sono medico
e ho la tessera di pubblicista, ma non sono potuto entrare, né
tantomeno come portavoce. Non abbiamo visto nulla da questo punto di
vista. Abbiamo visto però ciò che usciva da lì.
È uscito un solo sacco; non abbiamo ombra di dubbio perché
ci trovavamo lì quando uscivano per verificare se vi fossero
problemi relativi alle persone ferite (anche alcuni filmati
documentano il fatto che quando uscivano eravamo lì a
parlare).
Quanto al contenuto del sacco, posso solo dire che
abbiamo visto semplicemente un sacco chiuso, nient'altro.
ANTONIO DEL PENNINO.Vorrei rivolgere al dottor Agnoletto alcuni gruppi di domande. Con riferimento alla richiesta del Genoa social forum del 16 luglio relativa alle manifestazioni del 20 luglio e alla successiva ordinanza del questore che vietava alcune di queste manifestazioni e prendeva atto di altre, se ho esaminato bene la planimetria di Genova, mi sembra che alcune delle manifestazioni consentite, di cui si prende atto, siano collocate nella zona gialla, ed altre invece vietate sono anch'esse collocate nella zona gialla. Mi riferisco, se non erro, a piazza Dante e a piazza Carignano che mi sembra fossero collocate nella zona gialla. La mia domanda è la seguente: la presa d'atto, da parte della questura, delle manifestazioni di piazza Dante e di piazza Carignano è frutto
di una trattativa che si è svolta tra il Genoa social
forum e l'autorità di pubblica sicurezza o un'autonoma
decisione adottata dalla questura?
Nel suo intervento, dottor
Agnoletto, c'è come un filo rosso che tende a presentare le
responsabilità dei fatti di quei giorni come effetto di una
scelta da parte delle forze dell'ordine di non perseguire o di
perseguire in modo soft i black bloc e i gruppi
violenti e di caricare, invece, i cortei. A questo punto vorrei
ricevere da lei alcuni chiarimenti. Quando si riferisce all'episodio
di piazza Paolo Da Novi - in riferimento al quale mi sembra lei
sottintende tale considerazione - afferma che i COBAS e i Network,
che avrebbero dovuto svolgere la manifestazione in tale piazza, si
ritiravano perché i reparti antisommossa sembravano pronti ad
intervenire. Pertanto, i manifestanti della piazza tematica, per non
trovarsi coinvolti nelle cariche, hanno dovuto abbandonarla. In
merito a ciò, c'è stato un intervento da parte di
reparti antisommossa nei confronti dei black bloc? Si è
proceduto, sempre che lei ne sia a conoscenza, ad arresti nei
confronti dei medesimi o non vi è stato alcun atto?
Con
riferimento all'episodio di corso Gastaldi, lei sottolinea un'azione
da parte delle forze dell'ordine, che avrebbero desistito
dall'inseguire i gruppi che avevano messo in atto episodi di violenza
e che stavano contrastando le forze dell'ordine, per caricare il
corteo pacifico che si avvicinava. Dai rapporti della DIGOS e da
alcune dichiarazioni rese da esponenti delle forze dell'ordine,
consegnati poi al Comitato, leggiamo una versione che ci appare, se
non opposta, diversa. In un rapporto, per esempio, possiamo leggere:
«Un gruppo consistente di manifestanti, con in testa gruppi di
anarchici di varia provenienza, erano attestati all'inizio di via
Tolemaide.
In piazza delle Americhe un mezzo blindato dell'Arma dei carabinieri era avvolto dalle fiamme; altro personale veniva fronteggiato lungo il corso Buenos Aires...»
PRESIDENTE. Le manca un minuto, senatore.
ANTONIO DEL PENNINO.
...«Durante gli scontri di via Tolemaide si sono susseguite
alcune cariche per disperdere i facinorosi che, travisati, lanciavano
pietre, mattoni, bottiglie ed altri oggetti contundenti e tentavano
di aggredire i reparti in uniforme». Da tali rapporti risulta
una versione evidentemente differente da quella che lei ci ha
offerto.
Per quanto riguarda poi l'episodio di piazza Manin, in
riferimento al quale nella sua relazione si evidenzia un
atteggiamento che rappresenterebbe secondo lei il filo rosso del
comportamento della Polizia....
PRESIDENTE. Senatore la invito a formulare la domanda, altrimenti sono costretto a toglierle la parola.
ANTONIO DEL PENNINO.
....lei si riferisce anche ad un intervento della Polizia nei
confronti dei manifestanti che erano attestati in piazza Marsala. Le
chiedo però: piazza Marsala non risultava essere una delle
sedi vietate dalla questura?
Ultima domanda: il dottor Agnoletto
ha accennato a documenti da cui risulterebbero rapporti tra i
cosiddetti black bloc e le forze dell'ordine. Quali sono
questi documenti e perché non sono stati consegnati alla
magistratura?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa Social Forum. Quanto alla prima domanda, non c'era più la zona gialla dal punto di vista degli aspetti di agibilità politica; lo abbiamo dichiarato ai giornali e lo abbiamo scritto sugli atti che vi
abbiamo consegnato. Nella riunione del 30 giugno il Capo della
Polizia disse che la zona gialla non era la Bibbia (noi abbiamo
riportato esattamente tale frase) e che per le questioni di ordine
pubblico, ossia manifestazioni, presidi, volantinaggi, non sarebbe
più esistita la zona gialla. Rivolgendosi agli altri presenti
alla riunione, per esempio, che non si stava riferendo a questioni
relative a impalcature o posteggi di macchine; ciò sarebbe
rimasto per avere un certo livello di agibilità, ma lì
non c'era più la zona gialla. Non abbiamo fatto una
trattativa; abbiamo chiesto alcune piazze e indicato le iniziative
che volevamo assumere. Autonomamente il Capo della Polizia ha
risposto in tale modo. Francamente non sono in grado di dirvi - darei
solo alcune impressioni in merito e non mi sembra corretto - se il
Capo della Polizia rispose così d'accordo con il prefetto o il
questore o di sua iniziativa. Ma ciò fu quello che ci venne
detto.
Quanto alla questione della scelta delle forze dell'ordine
di non intervenire nei confronti dei black bloc, se mi
permette, non ho esposto la tesi del filo rosso ma ho letto e
riportato alcuni fatti dai quali tutti possono verificare ciò
che è accaduto. Non ho esposto una tesi precostituita. D'altra
parte tutti sappiamo, anche lei lo avrà letto sui giornali,
che i black bloc sui propri siti dicono, vantandosene,
che sono gli unici a non aver avuto nemmeno un arrestato a Genova. Si
tratta di dati di fatto.
Per quanto riguarda la questione di
piazza Da Novi e corso Gastaldi, ciò che abbiamo visto lo
abbiamo documentato. Se poi altri hanno dichiarato cose differenti,
non so cosa dire. Noi, ciò che abbiamo visto abbiamo
documentato.
In merito a piazza Marsala, essa era stata vietata
dalla questura per motivi che non conosciamo.
Sulla questione dei rapporti vorrei essere preciso, dal
momento che quando forniamo una documentazione è bene che non
le si sovrapponga l'interpretazione. In una trasmissione alla quale
eravamo presenti, sabato sera su La7, un regista ha presentato
una cassetta dove era possibile vedere alcune persone, che tutti
definiremmo appartenenti al gruppo del black bloc per il modo
in cui erano vestite, che erano vicine alle forze dell'ordine. Credo
di non avere nessuna difficoltà nel recuperare tale cassetta,
unitamente ad altro materiale, e a farlo recapitare al presidente.
PRESIDENTE. Mi sembra di aver compreso che la precisazione voleva formularla Fabio Lucchesi.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Ci mancherebbe!
FABIO LUCCHESI, Rappresentante dell'associazione Rete Lilliput. La precisazione riguardava l'episodio di piazza Manin, in quanto si faceva riferimento al fatto che in piazza Marsala vi fossero stati dei momenti di tensione con le forze dell'ordine. È vero che in un primo tempo in piazza Marsala era stato vietato l'accesso; tuttavia, nel momento in cui noi occupammo da piazza Corvetto, discutemmo con le forze dell'ordine la possibilità di andare nell'altra piazza. Ci furono momenti di tensione ma non è quella l'occasione in cui vi è stata una carica della polizia. Essa è avvenuta in piazza Manin quando arrivarono i black bloc, non in piazza Marsala. Si tratta di due episodi che non devono essere confusi.
GIAN FRANCO ANEDDA. Ho formulato una domanda al dottor Agnoletto chiedendogli se conoscesse il dottor Canterini. In realtà, mi riferivo al signor Casarini. La domanda è pertanto la seguente: ha conosciuto questa persona?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Certamente, conosco il signor Luca Casarini. Egli fa parte del Genoa social forum, è risaputo, è il rappresentante del movimento denominato «Tute bianche».
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Agnoletto, i signori Kovac, Cassurino, Morettini, il dottor Gubbiotti e i signori Lucchesi, Bolini e Scalori per la collaborazione.
Audizione di Luca Casarini, portavoce del movimento denominato «Tute bianche».
PRESIDENTE. L'ordine del giorno
reca nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti un
occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione di Luca
Casarini, portavoce del movimento denominato «Tute bianche».
Ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non
inquisitoria.
La pubblicità delle sedute del Comitato è
realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144
del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione
stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è
garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche
mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso
che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in
separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione
dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
LUCA CASARINI, Portavoce del movimento «Tute bianche». La relazione che mi appresto a leggere e a consegnarvi è frutto di una elaborazione collettiva svolta all'interno del movimento delle Tute bianche. È un contributo parziale ma importante
alla ricostruzione degli eventi di Genova, al loro svolgersi
concreto e al clima politico in cui sono potuti accadere. Prima di
ogni ragionamento alcune precisazioni:
Luca Casarini, cioè
il sottoscritto, è uno dei portavoce delle Tute bianche, non
il «leader» o il «capo». Le Tute bianche sono
da intendersi come una aggregazione sociale e politica aperta,
orizzontale, che si organizza sulla forma di rete e non di partito.
Per questo non ha leader, ma portavoce che svolgono le funzioni di
comunicazione, divulgazione e dichiarazione a nome di assemblee che
decidono.
Le Tute bianche si riconoscono pienamente nel Genoa
social forum e nel suo portavoce unico Vittorio Agnoletto; Luca
Casarini è membro, come uno dei portavoce delle Tute bianche,
del consiglio dei portavoce del Genoa social forum; Luca
Casarini e le Tute bianche si riconoscono pienamente nella relazione
unitaria presentata dal GSF a questo Comitato ed hanno contribuito
alla sua stesura.
Questa memoria verterà in particolare
sui fatti a cui io personalmente e le Tute bianche in generale
abbiamo assistito e cercherà di fornire ai membri del Comitato
quanti più elementi conoscitivi possibile, anche di contesto,
su quanto accaduto.
Cercare di fare piena luce su Genova, su come
sono andate le cose e sul significato da attribuire a ciò che
abbiamo tutti vissuto, è un compito ed una responsabilità,
personale e collettiva, che crediamo sia di interesse generale per
tutta la società civile e per chiunque abbia a cuore la
democrazia e la sua difesa in questo paese.
La discussione su
Genova, sull'appuntamento del G8, è iniziata dentro le Tute
bianche molti mesi prima del luglio 2001. Ha coinvolto in maniera
aperta e pubblica migliaia di giovani, e non in centri sociali,
scuole, università, luoghi di
lavoro, associazioni. Non vi sono e non vi sono stati «livelli
occulti» di discussione su cosa fare a Genova: il 90 per cento
della discussione ha riguardato il perché andare a Genova, il
perché opporsi al G8 e a ciò che rappresentava, il
perché nel mondo esiste un movimento che, da Seattle in poi,
mette radicalmente in discussione la globalizzazione neoliberista e
le sue strutture, dal WTO alla NATO, dal G8 al Fondo monetario
internazionale.
Non vi sono e non vi sono stai mai «secondi
fini» nascosti, tipo la caduta del Governo Berlusconi
attraverso la mobilitazione di piazza, dietro alla mobilitazione di
Genova. Certo, sia io che le Tute bianche siamo oppositori politici
del Governo Berlusconi e dei progetti neoliberisti e di svolta
autoritaria e liberticida che siamo profondamente convinti che esso
rappresenti. Ma mai e poi mai abbiamo ridotto l'appuntamento di
Genova ad una semplice, per così dire, questione nazionale.
Siamo stati, e, in particolare, io personalmente, a Seattle, a Praga,
a Nizza, a Quebec City e ovunque questo movimento si sia espresso.
Anche se al Governo ci fosse stato l'Ulivo, avremmo fatto ogni sforzo
per portare a Genova più gente possibile e per opporci al G8.
È certo che l'ascesa al Governo della destra ci ha molto
preoccupati. Chi ci ha sempre combattuto, anche dall'opposizione, con
tutti i mezzi e definiti più volte un'accozzaglia di
delinquenti o terroristi, non gode della nostra fiducia quando ha in
mano gli apparati dello Stato, come la polizia, i servizi, i
carabinieri. Credo che sia comprensibile. Chi ha fatto del «pugno
di ferro» contro i centri sociali uno dei suoi punti forti del
programma in campagna elettorale, non può che destare
preoccupazione in noi quando gestisce direttamente anche il
«monopolio dell'uso della forza». Sul piano politico
l'intera maggioranza, i suoi propositi e programmi politici, ci
sono apparsi ancora più direttamente legati al sistema di
sviluppo e governo globale che contestiamo in tutto il mondo. Quindi
queste valutazioni di certo ci sono state e ci sono, ma non abbiamo
mai pensato che l'obiettivo potesse essere quello di «usare»
il G8 per far cadere Berlusconi. La posta, francamente, ci sembra
molto più alta e la partita molto più complessa.
Investe le ragioni di un'esistenza basata sul modello neoliberista
globale, le scelte politiche e sociali che si fanno su scala
planetaria e non si risolve certo con la caduta di una maggioranza e
l'avvento di un'altra. Anche perché questo movimento nasce a
Seattle con l'era Clinton e si oppone fermamente anche ai progetti
neoliberisti del New Labour di Tony Blair, che pure non sono
inseriti nel centrodestra. Quindi, certamente la situazione ci ha
preoccupato molto con l'avvento al Governo di Berlusconi, Bossi, e
Fini, ma lo scopo della mobilitazione di Genova non era semplicemente
opporsi al Governo italiano: opporsi al Governo mondiale, quello del
G8, ci sembrava e ci sembra enormemente più difficile, ma
anche necessario ed importante.
In riferimento ad intercettazioni
che qualcuno, non sappiamo chi e come, avrebbe fatto su mie
conversazioni o di altri di noi al telefono, sul proposito di far
«cadere» Berlusconi o amenità simili, quanto sopra
valga come risposta. Sul capitolo intercettazioni, rivelazioni,
dossier e attività di spionaggio e controllo segreto
vario, tornerò più avanti, poiché esso appare
come un fatto assodato e che costituisce nella vicenda di Genova un
aspetto a dir poco inquietante.
Sulla dichiarazione di guerra,
scegliamo di partire dalla nostra «Dichiarazione di guerra ai
potenti dell'ingiustizia e della miseria», pronunciata a
Palazzo Ducale il 26 maggio 2001, oggetto di tante attenzioni. La
dichiarazione, che allego alla relazione, usava un linguaggio
allegorico e fu letta nel
corso di un vero e proprio rituale che ne rafforzava il carattere
simbolico. Con essa si esprimeva la ferma opposizione e contrarietà,
ribadita dall'intero GSF, alle politiche neoliberiste del G8. Come è
noto, le riunioni degli otto grandi non si fondano su alcuna
normativa o trattato internazionale: si tratta di un organo informale
che impone e dispone scelte di politica economica, scavalcando gli
spazi del confronto e della mediazione. La guerra è
un'allegoria nefasta, ma tali politiche sono nefaste, fomentano la
guerra e lo fanno fuor di metafora.
La nostra figura retorica era
anche atta a evocare il processo di militarizzazione della città
di Genova: è del 25 maggio la notizia che a Genova sarebbero
stati impiegati corpi militari a difesa del vertice. In quei giorni
lo stesso generale Angioni, ex-comandante del contingente di pace in
Libano, sottolineava la sproporzione delle misure di sicurezza: «A
Genova verranno impiegati 2.700 militari, io in Libano ne avevo
2.300».
Entrando nel merito della dichiarazione, noi
specificammo la composizione del nostro «esercito» -
fatto di sognatori, poveri e bambini, indios del mondo, donne
e uomini, gay, lesbiche, artisti e operai -, di che armi era dotato e
di come le avrebbe impiegate. Ci saremmo trovati di fronte ad un
esercito vero e avremmo utilizzato i corpi come uniche armi, nelle
forme della disobbedienza civile, che le Tute bianche praticano da
prima della «battaglia di Seattle». Al termine del
rituale, il nostro portavoce, cioè il sottoscritto, si
avvicinò a due funzionari della DIGOS di Genova, per
consegnargli questa dichiarazione.
Anche in risposta a
fraintendimenti più o meno interessati, alla dichiarazione di
guerra facemmo seguire quella di pace. L'allegato «Patto con la
città e i cittadini di Genova», consegnato pubblicamente
al sindaco Pericu e ai giornalisti il
3 giugno 2001, chiariva in modo inequivocabile che la nostra
disobbedienza non implicava alcun attacco alla città, ai suoi
beni pubblici o alle persone fisiche, anche quelle in divisa,
posizione ribadita e approfondita dal Genoa social forum nella
sua totalità. Sarebbe stato per noi un errore politico causare
danni a una città, non solo duramente provata dai preparativi
per il G8, ma anche interessata ai contenuti e alle proposte del
movimento. Consideravamo Genova «territorio amico», come
lo era stata Quebec City durante la contestazione al vertice
panamericano sul libero commercio dell'aprile 2001. Proprio come era
successo nella città canadese, decidemmo di ignorare gli
stessi simboli e marchi delle multinazionali che avversiamo,
concentrando la nostra azione sul muro della vergogna che delimitava
la cosiddetta zona rossa.
Riguardo al tema dell'«Impero e
chi lo assedia», poiché il summit del G8 era la
riunione di quello che noi chiamiamo l'Impero, adottammo un
linguaggio evocativo, ricco di riferimenti all'immaginario medievale
(la fortezza, il castello dei signori e, soprattutto, l'assedio). Il
concetto di Impero non ha nulla a che vedere con il vecchio
stereotipo dell'imperialismo yankee, come abbiamo più
volte specificato. Non ci troviamo più di fronte a
Stati-nazione che estendono i propri mercati e la propria influenza
geopolitica e militare. A fare il bello e il cattivo tempo sono enti
sovranazionali, spesso sganciati da qualunque vincolo giuridico e
legame con la Carta delle Nazioni Unite, ed enormi corporations
non più ancorate alla legislazione di un singolo Stato.
Talvolta, come nel caso delle ultime presidenziali americane, sono
esse stesse a influenzare direttamente elezioni e composizioni dei
governi nazionali, degradati a vassalli con funzioni esecutive. I
cittadini diventano sudditi che non sanno nemmeno chi siede sul
trono. Sovente, dell'Impero vedono solo i lanzichenecchi. Talvolta,
si ribellano.
Dal punto di vista comunicativo, il testo più
emblematico, anch'esso in allegato, fu «Dalle moltitudini
d'Europa in marcia contro l'Impero e verso Genova», diffuso per
vie telematiche, recitato nelle piazze e favorevolmente recensito
dallo storico Franco Cardini, su l'Espresso del 22 giugno
2001. Con questo testo si avviava un'operazione mitopoietica che
scavalcava a pie' pari il XX secolo ripercorrendo i sentieri di
rivolte più antiche.
Per dare corpo e tangibilità a
tutte queste allegorie, si immaginò anche una pratica di
piazza ispirata a certi dipinti e stampe d'epoca: ci figurammo l'uso
di carri allegorici muniti di arieti con cui abbattere il muro della
vergogna; si parlò anche di catapulte. Va ricordato che
durante la succitata mobilitazione di Quebec City, i dimostranti
avevano utilizzato una catapulta per lanciare orsacchiotti di peluche
oltre le recinzioni. Nel «Patto con la città di Genova»
parlammo di «una guerra... combattuta con i corpi, con le
parole e con diavolerie e strumenti meccanici congegnati nelle nostre
pacifiche officine della fantasia».
Seguendo l'insegnamento
zapatista, pensavamo di munirci di «armi» che servissero
a parlare e non, come dovrebbe essere evidente, a conseguire
obiettivi militari. Nel corso del dibattito in seno al GSF
sull'opportunità di evitare comportamenti percepibili come
aggressivi e offensivi, decidemmo di rinunciare ad arieti e
catapulte: avremmo messo in gioco «soltanto» i nostri
corpi. Su questo punto non c'è mai stata, né può
esserci imputata, alcuna ambiguità o reticenza. Lo confermano
i training pubblici ripresi dai telegiornali, la costruzione,
sempre in pubblico, di scudi e protezioni corporali, le notizie
riportate dai media, addirittura gli schemini pubblicati dai giornali
che dissezionavano pezzo per pezzo l'abbigliamento delle tute
bianche. Tra le tantissime zone
d'ombra delle settimane precedenti il G8 (riguardo alla funzione
che avrebbero avuto i militari, ai tentennamenti sulle autorizzazioni
dei cortei e la fruibilità dei trasporti, agli spazi dati a
veline di dubbia origine finalizzate ad alzare la tensione), non c'è
certamente la pratica di piazza che le Tute bianche e i disobbedienti
avevano scelto.
Abbiamo tenuto riunioni ed assemblee con le
finestre aperte, incuranti di essere intercettati, registrati ed
ascoltati. Non solo non abbiamo mai avuto niente da nascondere, ma
l'essere pubblici è un'altra delle nostre armi, la più
preziosa. La pubblicità e la trasparenza prevengono la
criminalizzazione, e permettono il confronto con persone ed
esperienze diverse. Su tali fondamenta, si è costruito il
Genoa social forum. Al suo interno, c'erano pratiche e
politiche diverse, valutazioni contrastanti, come quelle riguardanti
la «dichiarazione di guerra», riferimenti culturali
talvolta lontanissimi (dall'enciclica Solicitudo rei socialis,
ai grundrisse di Karl Marx, da Martin Luther King a Luther
Blissett, da José Martì a José Bové, da
Gandhi al subcomandante Marcos) ma un confronto franco e trasparente
non ha mai portato a fratture o distinzioni tra presunti buoni e
presunti cattivi.
Veniamo ora al conflitto e al consenso.
Riteniamo necessario ricapitolare il percorso della disobbedienza
civile «protetta», dal primo esperimento fino alle
giornate di Genova.
Per quasi tre anni, dall'autunno 1998, è
stata sperimentata una pratica inedita di piazza, un modo innovativo
di partecipazione politica e sociale, che non evita il conflitto ma
lo lega indissolubilmente al consenso, al progetto, alla
comunicazione.
La strategia del dire cosa si farà e fare
ciò che si è detto è stata visibile e
verificabile in occasione di diverse mobilitazioni: a Trieste per
permettere l'ingresso di una delegazione di giornalisti e
parlamentari che verificassero le condizioni di
invivibilità del CPT, centro di detenzione per migranti
«clandestini » (ottobre 1998); ad Aviano durante la
guerra del Kosovo (aprile 1999); a Milano per la chiusura del CPT di
via Corelli (gennaio 2000); a Bologna per impedire lo svolgimento di
un raduno neofascista (maggio 2000); a Genova, in occasione del
convegno-mostra Tebio sulle biotecnologie, per imporre il
principio di precauzione a tutela della salute dei cittadini (maggio
2000); ancora a Bologna, per contestare un incontro dell'OCSE (giugno
2000); a Praga, per contestare il vertice del Fondo monetario
internazionale (settembre 2000); a Ventimiglia, per opporci alla
sospensione della libera circolazione dei cittadini dell'Unione
europea in occasione del vertice di Nizza (dicembre 2000); a Roma ed
in Veneto contro Haider; in Messico, quando accompagnammo i
comandanti dell'EZLN dal Chiapas a Città del Messico,
disobbedendo alla legge messicana che impedisce agli stranieri di
fare politica (febbraio-marzo 2001); a Trieste, in occasione del G8
sull'ambiente, per contestare la mancata sottoscrizione del
Protocollo di Kyoto da parte degli Stati Uniti (marzo 2001).
Come
si vede, la disobbedienza civile si è posta volta per volta
obiettivi tanto simbolici quanto concreti. Essa ha attirato
l'attenzione su violazioni delle Carte costituzionali, delle
dichiarazioni dei diritti umani e del diritto internazionale: ipotesi
di violazione dell'articolo 13 della Costituzione per quanto riguarda
i CPT; ipotesi di violazione dell'articolo 11 per quanto riguarda la
partecipazione italiana all'intervento in Kosovo; violazione delle
norme transitorie della Costituzione in materia di ricostituzione del
partito fascista, eccetera.
Oltre a ciò, è
orientata a estendere i confini della legalità e a conquistare
nuovi spazi di agibilità democratica e nuovi
diritti (vedi la lotta per il «principio di precauzione»
o le osservazioni sui limiti della Carta dei diritti dei cittadini
europei presentata a Nizza).
In ogni caso viene posto il problema
del diritto al dissenso sancito da tutte le Costituzioni
post-weimariane e il superamento delle restrizioni alla libertà
di manifestare.
Infine, ci permettiamo di osservare che in
diversi casi la disobbedienza civile si è dimostrata efficace:
tanto a Trieste quanto a Milano, l'ingresso nel CPT di giornalisti e
parlamentari consentì una verifica delle condizioni in cui
versavano i reclusi. Tale verifica portò, in entrambi i casi,
alla chiusura - definitiva o temporanea - dei centri. In Messico
riuscimmo ad ottenere la revoca delle espulsioni dal paese e il
diritto per tutti di partecipare alla Marcia della dignità.
Per quanto riguarda la disobbedienza civile e le sue pratiche,
esse non si configurano in alcun modo come una simulazione o,
addirittura, come la proposta di uno scenario bellico. Al contrario,
esaltano la dimensione politica del conflitto, ancorché
radicale, tra le controparti. Dichiarare la volontà di
superare una linea invalicabile e farlo senza utilizzare alcuno
strumento atto ad offendere, ma solo il proprio corpo equipaggiato di
protezioni corporali (imbottiture, caschi, scudi), non può in
alcun modo essere associato a intenti bellico-militari.
Preparazione, generosità e determinazione non aprono la
strada a pulsioni militariste. Dovrebbe far riflettere che forse
grazie a ciò, come ci piace pensare, l'esempio delle Tute
bianche ha contagiato i movimenti in diverse parti del mondo, da
Madrid a Città del Messico, da Londra a New York, da Atene a
Helsinki. Indossare caschi e bardature non significa, quindi, salire
il primo gradino di una escalation della violenza di piazza.
Per noi è stato esattamente l'opposto: l'impatto con
le forze dell'ordine è messo in conto, ma l'utilizzo degli
strumenti di cui sopra ha permesso di attenuare la paura, limitare i
danni fisici e tenere compatto il gruppo che pratica la
disobbedienza. Il training compiuto in preparazione degli
eventi ha aiutato molti e molte di noi a mantenere la lucidità,
evitando così il fuggi fuggi, i comportamenti irrazionali e
l'atomizzazione incontrollabile dello scontro.
Il corpo è
un bene prezioso. Il corpo siamo noi, è ciascuno di noi. Ne
abbiamo uno solo e ci chiediamo cosa gli sarebbe successo se negli
ultimi tre anni non ci fossimo preoccupati di proteggerlo. I referti
medici degli ospedali genovesi parlano chiaro: ferite lacero-contuse
alla testa, traumi cranici, due codici rossi dovuti a situazioni di
incoscienza e coma vigile o grave, fratture agli arti e alle mani per
il tentativo di proteggere la testa... Un casco allacciato non può
nuocere a nessuno. Protegge chi lo indossa. Non a caso, lo prescrive
anche il codice della strada, uno dei pochi ai quali non
disobbediamo.
Dopo i fatti di Trieste dell'ottobre 1998, nel
corso di un incontro al Viminale - cui partecipai personalmente - con
l'allora ministro dell'interno Jervolino, avemmo modo di illustrare e
denunciare la pratica poliziesca di impugnare i manganelli al
contrario in modo da colpire con il gancio d'acciaio che serve ad
assicurarli in cintura, o addirittura di «personalizzarli»
appesantendoli con biglie d'acciaio, cuscinetti a sfera, eccetera. A
Genova questa pratica fu tristemente superata dall'adozione dei
famigerati Tonfa tutti in alluminio, già in dotazione alla
polizia americana, equiparabili a spranghe di ferro.
Ieri lo
stesso Gratteri, direttore generale del servizio centrale operativo,
nella sua deposizione di fronte a questo Comitato, ha ammesso la
novità delle nostre pratiche, accusandole
però di rappresentare un innalzamento del livello dello
scontro. Al contrario, è parere di molti che la disobbedienza
civile protetta abbia contribuito a traghettare ampi settori di
movimento da forme di protesta nichiliste e distruttive a una pratica
non meno radicale ma eminentemente politica.
Peraltro,
preannunciare tutto ciò che verrà fatto apre già
di per sé lo spazio alla mediazione politica «sul
campo», se ve ne è la volontà da parte dei
responsabili dell'ordine pubblico.
Non a caso i cortei della
disobbedienza civile sono sempre aperti da un «gruppo di
contatto» composto da avvocati, parlamentari, portavoce delle
associazioni e centri sociali che partecipano alla manifestazione,
con lo scopo di dichiarare apertamente le proprie intenzioni e
obiettivi.
A questo proposito, in merito a quanto riferito dal
questore Colucci, smentisco assolutamente di averlo mai incontrato,
di avere in qualche modo interloquito con lui, o che qualche
funzionario si sia mai presentato a me asserendo di parlare per conto
di Colucci. Di funzionari di polizia che si dichiaravano tali o che
conoscevo (altri sicuramente si saranno dichiarati giornalisti,
panettieri o spazzini, non posso saperlo, ma ne sono sicuro) ne ho
incontrati o sentiti per giorni e giorni a decine. Non solo, tutti
noi, in particolare i più conosciuti, abbiamo ricevuto decine
di telefonate dai dirigenti della DIGOS che ci chiedevano cosa
avevamo intenzione di fare o magari quanta gente doveva arrivare o
che treni stavamo aspettando eccetera.
Nessun mistero o segreto:
noi abbiamo sempre detto a tutti ciò che intendevamo fare,
come lo dicevamo a centinaia di operatori dell'informazione. Abbiamo
definito con il GSF e pubblicizzato ovunque quali strade avremmo
percorso, come
lo avremmo fatto, il punto esatto dove avremmo tentato la
disobbedienza, cioè via XX Settembre. Abbiamo definito e
pubblicizzato questo giorni prima, altro che accordi segreti.
Ovviamente auspicavamo - e lo abbiamo fatto presente tramite il GSF
anche a De Gennaro (si veda l'incontro del 30 giugno a cui non ho
partecipato) - che chi disobbediva non venisse massacrato, che non vi
fossero comportamenti della polizia e dei carabinieri che violassero
i diritti umani, anche se in presenza di qualche violazione della
norma, che i fermati fossero rispettati, che non vi fossero pestaggi
nelle caserme.
A questo proposito ricordavamo sempre i fatti di
Napoli, oggetto anche di un'inchiesta di Amnesty International per
gravissime violazioni (pestaggi e torture operate da carabinieri e PS
in piazza e in caserma nei confronti di fermati durante la
manifestazione contro il vertice OCSE di marzo). Una cosa abbiamo
sempre richiesto con forza: che non usassero le armi da fuoco. Quelle
uccidono di sicuro. L'abbiamo fatto personalmente e collettivamente,
a chiunque avevamo occasione di incontrare e con cui discutevamo di
cosa sarebbe successo nei giorni di Genova, pubblicamente. In
particolare, la richiesta che le forze dell'ordine fossero in piazza
disarmate è stata fatta ufficialmente e direttamente al
ministro Scajola.
I responsabili dell'ordine pubblico, che
detengono il monopolio della forza militare, devono di conseguenza
assumersi la responsabilità di dosare questa forza per
contenere e bloccare l'azione di disobbedienza civile, che non
costituisce una minaccia per cose o persone. In questo modo, la
scelta tra una strategia di «alleggerimento» - con
cariche di polizia volte a fermare l'avanzamento dei disobbedienti -
o una strategia di «annientamento» - volta a punire i
partecipanti, oltre che contrastarli, con ricorso a blindati lanciati
dentro i cortei, caccia all'uomo, pestaggi dei fermati, uso di armi
da
fuoco o di lacrimogeni esplosi in faccia, oltre ad esprimere un
vero e proprio tentato omicidio - diventa una scelta politica. La
scelta tra due modi diametralmente opposti di affrontare la
manifestazione pubblica del dissenso. A Genova, in via Tolemaide e
nelle altre piazze tematiche, la scelta è stata chiara.
Per
quanto riguarda i container, Colucci asserisce che questi sono stati
posti lungo il percorso del nostro corteo per dividerci da altri
manifestanti: niente di più falso. I container - e su questo
possiamo produrre prove documentali - sono stati piazzati nella notte
tra il 19 e il 20 attorno a piazza Verdi-Brignole. Il percorso del
nostro corteo era completamente libero ai lati, utilizzati da vari
contingenti di polizia nella seconda parte, dopo l'uccisione di Carlo
Giuliani, per attaccarci nel mezzo e tentare di imbottigliarci. I
container - questo abbiamo pensato quando li abbiamo visti collocare
in quel modo, a semicerchio davanti alla zona off-limits -
servivano per impedirci in ogni modo di arrivare a contatto con la
rete. Quale sceneggiata avremmo potuto fare, visto che Colucci parla
di questo, invadendo di qualche metro, se vi era un muro di
container?
Va precisato che, al contrario di quanto ripetutamente
affermato dai dirigenti e funzionari di pubblica sicurezza, il corteo
partito dallo stadio Carlini era autorizzato. Alle ore 18,45 del
giorno 19 luglio, fu revocata l'autorizzazione per il tratto finale,
che andava da piazza delle Americhe a piazza De Ferrari. Prima della
partenza del corteo, venerdì 20, nei pressi di piazza delle
Americhe furono avvistati alcuni reparti di polizia ed un folto
gruppo di funzionari. Sostavano davanti ai container che delimitavano
la piazza. Tutto questo faceva presumere che fosse quello il luogo
dove ci avrebbero caricato, esattamente al limite del corteo
autorizzato. Ma in piazza delle
Americhe il corteo dei disobbedienti non ha mai messo piede. I
carabinieri lo aggredirono più di 300 metri prima, nella
strettoia di via Tolemaide, quindi ancora nel tratto autorizzato del
suo percorso. Il gruppo di contatto fu travolto. La reazione fu un
immediato arretramento della testa del corteo, travolta dalle cariche
e dai lacrimogeni, con abbandono di alcune protezioni. L'arretramento
non convinse i carabinieri a fermarsi, le cariche proseguirono con
brutalità. Alleghiamo un documento video in cui si vedono
chiaramente dieci carabinieri avventarsi su una ragazza inerme stesa
a terra, infierendo con calci e manganellate. I volti di alcuni
carabinieri sono ben visibili. Ci chiediamo come mai, a tutt'oggi,
nessun carabiniere risulti indagato per le violenze.
In quel
frangente migliaia di persone si sentirono in pericolo di vita, ci si
urtava e calpestava a vicenda, si annaspava per via della calca, del
caldo e dei lacrimogeni. Molti furono picchiati e feriti pur non
avendo fatto niente e «in un paese democratico non sono rischi
accettabili. Neanche avere paura lo è.» (Franco
Bassanini, intervista su l'Unità del 30 agosto).
Una
parte del corteo, nel disperato tentativo di tenere lontani i
reparti, improvvisò un lancio di oggetti trovati per strada, e
solo a quel punto i carabinieri sospesero le cariche per un breve
lasso di tempo. Mentre il corteo cercava di defluire, i carabinieri
cercarono di spazzarlo via avanzando con autoblindo e jeep a grande
velocità, precedendo i reparti a piedi, investendo a più
riprese alcuni manifestanti, poi risultati feriti. Dai finestrini di
un veicolo un carabiniere puntava la pistola ad altezza d'uomo (si
veda la foto di Tano D'Amico pubblicata su diversi giornali e
riviste). In quel frangente un veicolo si fermò in pieno
corteo provocando la reazione di dimostranti esasperati e spaventati.
Da qui in
avanti fu chiaro che le ripetute cariche non avevano finalità
di alleggerimento, bensì punitive. Lo dimostra il fatto che il
corteo fu caricato alle spalle fino a poche centinaia di metri dallo
stadio Carlini, verso il quale si stava ritirando.
A circa tre
ore dalla prima carica, gruppi sparsi di dimostranti cercavano ancora
di allontanare i carabinieri e proteggere la ritirata del corteo,
ancora bloccato tra via Tolemaide e corso Gastaldi. Uno di questi
gruppi fu coinvolto in uno scontro in piazza Alimonda, durante il
quale un carabiniere di leva puntò la pistola e sparò
in faccia a Carlo Giuliani. Da allora la scena è stata
ricostruita istante dopo istante. I filmati mostrano chiaramente come
il carabiniere avesse la pistola puntata ben prima che Carlo Giuliani
raggiungesse la camionetta e sollevasse quel maledetto estintore. Si
vede anche che 15 metri più in là altri carabinieri
erano schierati. Ci siamo chiesti mille volte come mai essi non
intervennero, non lanciarono lacrimogeni, non cercarono di disperdere
lo sparuto gruppo di dimostranti. Non smettiamo di chiederci come mai
un carabiniere di leva si trovasse, armato, in una situazione del
genere, quando migliaia di poliziotti erano stati sottoposti al
famoso addestramento di Ponte Galeria. Non occorre essere un esperto
di antisommossa o controguerriglia per dire che la situazione poteva
essere risolta senza sparare in faccia a nessuno.
Sapevamo che a
Genova ci saremmo trovati al fianco di una moltitudine di persone,
che ci sarebbero state migliaia di poliziotti e agenti e che il
contesto era più complesso di quello affrontato in altre
situazioni. Sapevamo di andare incontro a molte manganellate;
mettevamo in conto di essere esposti a fermi ed arresti. Ma nessuno
pensava ad un massacro: completa assenza di funzionari di piazza con
cui parlare, centinaia di lacrimogeni a freddo, cariche con i
blindati, uso
massiccio di idranti, addirittura il ricorso ad armi da fuoco,
nonostante le assicurazioni del ministro Scajola, il tutto non
motivato da alcuna provocazione da parte del corteo ed a
considerevole distanza dalla zona rossa. Non si potevano nemmeno
mettere in conto l'attacco poliziesco a un corteo di 300 mila
persone, senza precedenti per questa Repubblica, le modalità
dell'irruzione di sabato notte e le sevizie di Bolzaneto e S.
Giuliano. Certamente mettevamo in conto la paura, ma non quella di
morire.
Ai nostri cortei abbiamo sempre invitato a partecipare
parlamentari o esponenti delle istituzioni, non solo per esprimere
condivisione o solidarietà con gli obiettivi politici della
protesta, ma anche per assolvere la funzione di «gruppo di
contatto». Il gruppo di contatto, sempre previsto durante le
iniziative di disobbedienza, ha il compito di stabilire appunto un
contatto appunto con chi gestisce l'ordine pubblico in piazza e chi
lo governa politicamente. Serve a tentare di creare quello spazio
pratico e politico per mediare la situazione, per informare la
polizia delle richieste dei manifestanti ed i manifestanti sulle
intenzioni della polizia. In particolare, al corteo del 20 luglio
partito dal Carlini, i deputati Mauro Bulgarelli, Paolo Cento, Luana
Zanella dei Verdi e Ramon Mantovani di Rifondazione comunista
dovevano assolvere a questa funzione con altri, come il prosindaco di
Mestre, il consigliere regionale veneto Gianfranco Bettin, e
l'assessore di Venezia Beppe Caccia. Altro che libro nero
dell'Inquisizione, come qualcuno ha tentato di orchestrare! Io li
ringrazio pubblicamente per essere stati lì con noi, per
averci aiutato in momenti drammatici. D'altronde è ridicolo
parlare di grande scoop: lo avevamo annunciato a tutti i
giornali. Anche io facevo parte del gruppo di contatto.
Ci è stato impedito di praticare la disobbedienza
civile. Qualcuno ha deciso di determinare uno scenario completamente
diverso. Anche l'Arma dei carabinieri è stata uno degli
strumenti fondamentali di tale forzatura. Ci domandiamo quali
responsabilità abbiano quegli esponenti del Parlamento che,
nelle ore più calde, stavano nelle caserme.
Ricordiamo
ancora che, dopo i tragici fatti di Göteborg, il Genoa social
forum aveva richiesto che durante il G8 le forze dell'ordine non
avessero armi da fuoco. Il ministro Scajola assicurò che non
c'era bisogno di un tale provvedimento: finché al Viminale ci
fosse stato lui nessun agente avrebbe sparato. Ci risulta che a
Genova alcuni dirigenti della Polizia di Stato abbiano, di loro
spontanea volontà, fatto scaricare le armi da fuoco ai loro
uomini. Purtroppo non è stata una scelta di tutti.
Consegno
a questo Comitato un video sui fatti di Genova e chiedo che le
violenze qui documentate, operate in gruppo da polizia e carabinieri,
vengano prese in esame. Alcuni di loro sono riconoscibili ed
identificabili. In particolare segnalo: al minuto 09 il pestaggio
operato dagli agenti di PS a persone singole inermi; al minuto 10-11
il pestaggio di carabinieri in gruppo a un manifestante inerme,
eseguito a viso scoperto; al minuto 12 il pestaggio fuori da corteo a
persone con mani alzate operato da PS; ai minuti 13-15 le cure
mediche in strada operate da personale volontario a persone ferite
gravemente; al minuto 19 i lacrimogeni a pioggia lanciati
dall'elicottero sui manifestanti; al minuto 20 le cariche a
manifestanti a mani alzate; al minuto 22 l'irruzione alla scuola
Diaz; al minuto 24 la testimonianza di una ragazza che era alla Diaz;
al minuto 34 la testimonianza della dottoressa Lella Trotta sulla
presenza di polizia all'ospedale San Martino.
Voglio ribadire qui la mia solidarietà nei confronti di
tutti coloro che sono stati feriti, aggrediti, violentati, minacciati
da polizia e carabinieri in quei drammatici giorni. Voglio ribadire
che chi ha tentato di difendersi da una furia omicida, chi ha
cercato, anche inconsultamente, di far fronte ad una enorme violenza,
in un caso è stato ucciso e in un altro è oggi detenuto
con accuse gravissime come il tentato omicidio. Come può
accadere che reagire ad un tentato omicidio o linciaggio per un
manifestante diventi un'accusa contro di lui e per chi ha ucciso si
parli solo di legittima difesa?
Chiudo questa memoria, che spero
possa essere utile, con un unico pensiero: Carlo Giuliani, un giovane
stroncato nel fiore della sua vita, da una violenza inutile. C'è
chi ritiene in questo paese che sia stato più importante che
il G8 non abbia subito interruzioni, anche a costo di uccidere. Io
penso che Carlo, ed ogni essere umano, sia più importante di
qualsiasi vertice. È questa la differenza di Carlo, mia, di
noi tutti. Continuerò finché posso a gridarla anche per
lui, con lui. Ciao Carlo, sei mio fratello.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Mancuso. Ne ha facoltà.
FILIPPO MANCUSO. Signor presidente, mi compiaccio per la riuscita del suo sforzo di pazienza (rappresentativo anche del nostro) nell'ascoltare questo tripudio, da parte mia veramente inatteso. Però, ciò detto, devo segnalare, come oggetto della nostra comune riflessione, questa circostanza. Il nostro Comitato - come lei sistematicamente ribadisce - ha fini di accertamento e non inquisitori. Però, ciò non significa che noi stessi siamo (com'è avvenuto testé) oggetto di inquisizione e, persino, che componenti del Parlamento vengano indicate come responsabili di questa impropria inquisizione. Infatti
quello che è avvenuto è stato da tutti percepito
nell'enorme gravità, politica, istituzionale ed umana; ciò,
tuttavia, non basta, se non risolviamo questo problema; se, l'assalto
che
abbiamo offensivamente tollerato, attraverso l'intervento del
signor Casarini, non muti l'oggetto del nostro compito, e cioè
che vada eliminato come funzione e come risultato di questa funzione,
il termine inquisitorio. Noi inquisiti, secondo me, ingiustamente ed
impropriamente, ma tutto sommato utilmente, non abbiamo a mutare la
destinazione della nostra attività, includendo, almeno nel
momento conclusivo, il compito inquisitorio, a cominciare dalla
relazione del signor Casarini, che presenta, in parte, un carattere
confessorio. Valuti lei e la ringrazio.
PRESIDENTE. La ringrazio,
presidente Mancuso.
Sospendo brevemente la seduta. Invito tutti
ad essere puntualmente presenti alla ripresa, in modo da mantenere il
ritmo dei nostri lavori.
La seduta, sospesa alle 16, è ripresa alle 16,35.
PRESIDENTE. Comunico che abbiamo
acquisito una cassetta che il signor Casarini ha ritenuto di
consegnare al Comitato per la verifica dei tempi e dei fatti occorsi.
Non essendovi obiezioni, ricordo di aver già disposto
l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
GRAZIELLA MASCIA. Poiché questo Comitato di indagine deve conoscere i fatti e ricostruire le ragioni e le cause che li hanno determinati e siccome i documenti che abbiamo letto nel corso di queste settimane ricostruiscono anche i precedenti di Genova e tutti gli appuntamenti da Seattle in poi, vorrei chiedere a Casarini se mi può rappresentare nei pochi minuti
che abbiamo a disposizione, che cosa è successo a Praga. Anche in quel luogo si sono verificati degli incidenti, ma mi pare che il corteo dei cosiddetti disobbedienti non sia stato coinvolto. Come mai lì non è successo nulla? In pochi minuti, mi può ricostruire quell'esperienza?
LUCA CASARINI, Portavoce del
movimento «Tute bianche». A Praga il vertice del
Fondo monetario internazionale era organizzato all'interno di un
complesso, di cui non ricordo il nome, che aveva diverse entrate. Il
corteo della disobbedienza civile, delle tute bianche e degli altri
che avevano deciso di proporre come iniziativa simbolica e concreta
il tentativo di valicamento di quella linea di «stop» -
rappresentata dagli ingressi di questo complesso alberghiero sul
quale si teneva il vertice - ha raggiunto uno degli ingressi, con le
protezioni corporali (perché l'invasione doveva essere
un'iniziativa di disobbedienza civile) in gomma poste alla testa del
corteo per attutire i colpi e ha tentato di valicare questa linea.
All'interno di quest'ultima erano schierati dei carrarmati -
credo per la prima volta dopo tantissimi anni - e davanti a loro
tre-quattro file di agenti antisommossa. La cosa che mi ha colpito di
più è che a Praga gli agenti innalzavano diversi
striscioni in molte lingue, in particolare in italiano, e c'era un
dirigente degli agenti che si rivolgeva a noi in italiano perché,
conoscendo la nostra nazionalità, ci spiegava quali violazioni
della normativa stavamo compiendo; in effetti, ci ha riferito che
stavamo violando un certo articolo del loro codice e che questo
avrebbe avuto come conseguenza il respingimento da parte loro del
corteo della disobbedienza.
Mi ricordo perfettamente che lo
stesso funzionario lo chiamava corteo della disobbedienza; questo
fatto mi ha colpito, come pure sono rimasto colpito che avessero
degli striscioni in varie lingue. Anche a Genova c'erano manifestanti
di varie nazionalità, ma io non ho visto scritto nulla in
inglese da parte di chi doveva gestire l'ordine pubblico.
Dopodiché
abbiamo avanzato verso la linea della Polizia e la stessa ha caricato
per alleggerimento, cioè ha tenuto la sua posizione; del
resto, avremmo potuto fare ben poco, perché vi erano dei
carrarmati, a meno che non ci innalzavamo sugli stessi. Un altro
pezzo di corteo, i famosi pink, sono riusciti addirittura ad
entrare all'interno del recinto, perché con il tipo di
meccanismo visto anche a Genova - quello del corteo festoso - sono
riusciti a superare la linea - contro di loro non avevano schierato i
reparti antisommossa -, sono entrati e hanno occupato quello spazio.
Il nostro tentativo era di interrompere o, comunque, di
contestare l'avvenimento. Tutto ciò è successo a Praga:
noi abbiamo scelto di muoverci in questo modo, mentre da altre parti
sono state organizzate altre iniziative.
GIANNICOLA SINISI. Vorrei chiederle se durante gli incidenti di via Tolemaide lei ha potuto constatare la presenza di un funzionario di polizia che dirigesse in qualche modo l'aliquota dei responsabili delle forze dell'ordine presenti; ci consta che era stata impartita una direttiva affinché funzionari di pubblica sicurezza indossassero la fascia tricolore: avete avuto un contatto o ha notato questa presenza?
LUCA CASARINI, Portavoce del movimento «Tute bianche». Io non ho notato alcun funzionario. Ero davanti perché facevo parte del gruppo di contatto e fino alla prima carica sono rimasto davanti, poi mi sono rifugiato dietro i primi scudi e successivamente c'è stato, ovviamente, un susseguirsi di cariche. Questo gruppo di contatto non ha potuto fare praticamente nulla, anche perché, al di là delle cariche, dall'altra parte mancava l'interlocutore. Non potevamo andare
da quelli con il casco a scusarci e convincerli a fermarsi per
poter discutere: di solito questo è preposto a chi dirige. Lì
non c'era nessuno, tant'è vero che noi siamo tra i pochi che
sono riusciti a vedere oltre l'angolo di via Tolemaide-corso Torino,
perché la carica è avvenuta a freddo e moltissimi
manifestanti non hanno neanche visto la fine di via Tolemaide.
Io
ero davanti e non c'era alcun funzionario, ma semplicemente reparti
che caricavano e lanciavano lacrimogeni.
ANTONIO SODA. Signor Casarini,
lei ha svolto una serie di considerazioni sulle quali non esprimo in
questa sede alcun giudizio. Nella relazione del Genoa social forum
vi è in più passaggi una ferma condanna della
violenza dei black bloc, vi è anzi un rilievo,
un'accusa alle forze di polizia per non avere efficacemente isolato e
contrastato queste forme di guerriglia urbana, nell'ottica che hanno
nociuto, in primo luogo, allo stesso movimento. Sono indicati anche
esempi ed episodi di collaborazione con le forze di polizia per
l'individuazione di questi violenti, ma nella sua relazione non c'è
nulla di tutto questo.
Lei, però, ha sostenuto di
condividere la relazione del dottor Agnoletto: può essere
chiaro su questo punto? Qual è questa cosiddetta filosofia
della non violenza qui espressa? Che rapporti ha con la stessa e come
si esprime nei confronti di essa e del suo contrasto?
La seconda
domanda riguarda un particolare che emerge da alcuni video che noi
abbiano acquisito.
La mattina del 20, ad un certo punto, si vede
- all'altezza di corso Gastaldi - che dal corpo del corteo delle Tute
bianche fuoriesce un gruppo di manifestanti che saccheggia e
distrugge un'agenzia di service. Voi avevate consapevolezza,
timore, che vi fossero, già dal mattino, infiltrazioni
all'interno del corteo di questi gruppi o non ne avevate contezza?
Terza domanda. Voi sapevate che il questore della provincia di
Genova, con il provvedimento del 19 luglio, aveva reso illegale il
corteo a partire da piazza Verdi, piazza della Vittoria, via XX
Settembre, piazza De Ferrari e che ciò vi consentiva di
proseguire lungo tutto corso Gastaldi e lungo tutta via Tolemaide. Le
cariche, come si vede nel video, avvengono in via Tolemaide, dopo un
primo scontro con una quarantina, una cinquantina di persone che si
trovano prima degli scudi che costituiscono la testa del corteo e
successivamente con il lancio di lacrimogeni alla testa del corteo. A
fronte di questa ordinanza del questore, avete assunto la decisione
di proseguire anche per piazza Verdi, piazza della Vittoria, via XX
Settembre, piazza De Ferrari o avete deciso di fermarvi in fondo a
via Tolemaide?
LUCA CASARINI, Portavoce del
movimento «Tute bianche ». Per quanto riguarda la
questione del black bloc e la violenza, credo di essere stato
chiarissimo, anche se non vi ho fatto riferimento, in quanto mi
sembra molto più importante - ve lo confesso - discutere di
cosa ho visto e di cosa hanno visto centinaia di migliaia di persone
in termini di violenza, diciamo così, legale. Mi sembra una
cosa molto più inquietante. Non vi ho fatto riferimento, ma ho
fatto riferimento, invece, ad una decisione politica e ad una
differenza politica fondamentale. Intanto, il riconoscimento
all'interno del Genoa social forum, che proclamava e si
accordava su forme di azione non violente, pacifiche e di
disobbedienza (è scritto sempre in tutti i documenti).
Inoltre, ho fatto riferimento, in particolare, all'errore politico e
culturale che noi individuavamo nel fatto di distruggere simboli o
cose del genere.
Mi sembra che questo sia chiarissimo e
inequivocabile - e lo risottolineo, se non lo fosse stato - e mi
sembra che sia anche chiaro il fatto che chi non si riconosceva in
questo tipo
di percorso evidentemente non condivideva nemmeno il percorso
dell'intero Genoa social forum, altrimenti non si capisce come
mai...
Insisto su questo aspetto, perché il Genoa
social forum è un grande punto di riferimento, ma non è
tutto il mondo. Il Genoa social forum è un grandissimo
punto di riferimento, ma è ovvio pensare che ci sono anche
tanti che non sono d'accordo con il Genoa social forum, con le
nostre posizioni e anche con la disobbedienza civile.
Per quanto
riguarda noi, era chiarissimo: stava con noi chi voleva fare quel
tipo di azione e l'avrebbe fatta nella maniera che ho descritto, per
scelta e condivisione politica. Io posso discutere politicamente e
spiegare perché non sono d'accordo con un altro, ma non posso
continuare a parlare di questo fantomatico black bloc, quando
io ho visto, invece, un'altra cosa che rispetto a queste mi sembra
enormemente più grave. Ragionando su ciò, cito un
autorevole esponente del suo partito; infatti, dire che c'è
un'enorme violenza nel comportamento tenuto a Genova da Polizia e
carabinieri non significa essere d'accordo con il black bloc,
significa semplicemente dire che mi sembra inquietante che, mentre io
non conosco i componenti il cosiddetto black bloc - e coloro
che si sono comportati così hanno le loro convinzioni - so chi
è e so cosa sta facendo chi ha la divisa dei carabinieri o
della Polizia si sa a nome e per conto di chi agisce. Dunque, questo
è il motivo per cui ho incentrato la mia relazione su tali
aspetti.
Con riferimento alla seconda questione, io non ho visto
quello che lei mi segnala, in quanto mi trovavo in testa al corteo e
non so se ciò si sia verificato dietro al corteo. Certamente,
se ci fosse stata una cosa del genere, i manifestanti che potevano,
avrebbero contrastato o mandato via tali soggetti, in quanto era
contrario agli obiettivi del nostro corteo
distruggere non solo questa o quella agenzia, ma qualsiasi cosa.
Se avessimo fatto una cosa del genere, saremmo andati contro le
nostre convinzioni e chi la faceva nei nostri confronti aveva quale
obiettivo quello di screditarci e non di compiere un'azione simbolica
o cose del genere.
Per quanto riguarda la terza questione, vale a
dire il contenuto dell'ordinanza del questore del 19 luglio, avremmo
disubbidito nella maniera in cui abbiamo spiegato, ma forti di una
consapevolezza. Esiste, infatti, un codice penale e un modo di
procedere democratico - fino a prima dei fatti accaduti a Genova ero
assolutamente convinto di ciò - in base al quale se, ad
esempio, io rompo una vetrina - non è il mio caso, ma lo
faccio appositamente in quanto è il caso più indicativo
- commetto un reato, nei paesi democratici non c'è la pena di
morte per questo, anche se è un errore. Se io violo una norma
amministrativa che mi vieta di oltrepassare una strada e lo faccio,
so che compio un illecito e che sarò punito per questo
illecito, ma non è previsto il pestaggio quale sanzione di
questo illecito. Questo è ciò che muove un
ragionamento, anche di disobbedienza, che non significa portare
all'escalation della violenza. Un picchetto davanti ad una
fabbrica è una forma di violenza? L'occupazione di una casa è
una forma di comportamento da black bloc? Si tratta di forme
di espressione, anche di violazione delle norme costituite, che vanno
discusse e su cui si può ragionate, ma che devono trovare -
per quanto mi riguarda - in un paese democratico, una risposta che,
ovviamente, deve essere commisurata a ciò che si compie. Che
paese sarebbe questo se ad ogni violazione del codice della strada ci
fosse una sparatoria? Non lo so.
MARCO BOATO. Più che una domanda a Luca Casarini, vorrei utilizzare il tempo a mia disposizione per una breve
dichiarazione che faccio anche a nome del senatore Sauro Turroni,
al fine di ridurre i tempi.
Dunque, anche a nome del senatore
Sauro Turroni, ringrazio il signor Luca Casarini per la sua
relazione, per la parte in cui dà il proprio contributo di
protagonista alla ricostruzione dei fatti avvenuti in occasione del
G8 e anche per il quadro internazionale che ha fornito.
Per
quanto riguarda le valutazioni politiche, di carattere più
generale, esse costituiscono oggetto e contributo per un dibattito
politico utile, anche nei suoi riflessi istituzionali, che appartiene
anche al Parlamento oltre che alla società civile, ma che non
costituisce oggetto specifico di questo Comitato di indagine,
costituito con l'esclusiva finalità dell'accertamento dei
fatti connessi al G8 di Genova.
Non condividiamo il giudizio
espresso, in sede di anomalo intervento sull'ordine dei lavori,
dall'onorevole Mancuso, il quale più che sull'ordine dei
lavori si è pronunciato sul piano politico e istituzionale in
termini - a nostro parere - assai discutibili.
Poiché Luca
Casarini ha consegnato due documenti (allegati alla relazione) utili
alla ricostruzione dei fatti e un filmato (citato dal presidente) che
esamineremo con attenzione, lo invito - se lo riterrà - a
fornire al Comitato ulteriore materiale di documentazione che
ritenesse utile all'indagine conoscitiva dello stesso Comitato.
Dal
momento che, per tutti gli altri aspetti, Luca Casarini ha dichiarato
di far parte di un movimento aderente al GSF e di riconoscersi nella
relazione del dottor Agnoletto e degli altri rappresentanti che
abbiamo oggi ascoltato, il collega Turroni ed io non riteniamo
necessario rivolgere, ora, ulteriori specifiche domande.
L'audizione specifica di Luca Casarini è stata
richiesta dall'onorevole Fontanini della Lega e sostenuta in ufficio
di presidenza dagli altri capigruppo del centrodestra. Richiesta del
tutto legittima, ma da noi non condivisa, ritenendo esaustiva per le
esigenze del Comitato la decisione di ascoltare nel loro insieme i
rappresentanti del Genoa social forum, di cui lo stesso Luca
Casarini fa parte, essendo membro del consiglio dei portavoce
nominato in previsione delle iniziative dello stesso GSF per il G8.
Essendo stata, quindi, questa audizione richiesta specificatamente in
ufficio di presidenza dal rappresentante della Lega e sostenuta dagli
altri capigruppo del centrodestra, confermiamo l'opinione da noi
espressa in quella sede, pur ringraziando Luca Casarini per
l'autonomo contributo che ha ritenuto di dare a questo Comitato, che
abbiamo ascoltato con attenzione e che utilizzeremo nel quadro degli
altri contributi e documenti via acquisiti.
MICHELE SAPONARA. Attesi i contenuti della relazione del signor Casarini, i parlamentari dei gruppi della Casa delle libertà in seno al presente Comitato ritengono doveroso, per il rispetto dovuto al Parlamento e alle pubbliche istituzioni, non porre alcuna domanda al signor Casarini, sulla base delle considerazioni esposte dall'onorevole Mancuso e, comunque, nella consapevolezza che nessun contributo obiettivo possa derivare dalle sue risposte.
PRESIDENTE. Mi pare che nessun
altro voglia intervenire, pertanto vi ringrazio e ringrazio il signor
Casarini, anche con riferimento alla sua eventuale disponibilità
ad evadere la richiesta formulata dall'onorevole Boato. Ricordo che
alle 18 il Comitato è convocato per l'audizione del ministro
della giustizia.
Sospendo la seduta.
La seduta, sospesa alle 16,55, è ripresa alle 18.
Audizione del ministro della giustizia, Roberto Castelli.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno
reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti un
occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del ministro
della giustizia, senatore Roberto Castelli. Ricordo che l'indagine ha
natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità
delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme
consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della
Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo
obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche mediante
l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso che
consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati
locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione
dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Comunico che il
ministro Castelli chiede di essere accompagnato dal dottor Stefano
Simonetti. Se non vi sono obiezioni, così rimane stabilito.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che
l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La
pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata
secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del
regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione
stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è
garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche
mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso
che consenta alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in
separati locali.
Poiché non vi sono obiezioni, dispongo l'attivazione
dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
La ringraziamo,
ministro Castelli. So che lei ha preparato una relazione; se lo
ritiene, può darne lettura e depositarne copia agli atti del
Comitato.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Signor presidente, onorevoli senatori e
deputati, prima di cominciare l'esposizione dei fatti avvenuti
durante i giorni del G8, vorrei fare una doverosa precisazione. In
questa sede mi riferirò esclusivamente alle vicende che hanno
chiamato in causa direttamente le competenze del Ministero della
giustizia, quindi soltanto a fatti sostanzialmente legati
all'espletamento delle pratiche inerenti alla presa in carico e alla
successiva traduzione nei luoghi di detenzione delle persone tratte
in arresto nel corso delle manifestazioni di Genova. Devo dire che le
questioni di ordine pubblico legate al vertice erano all'ordine del
giorno del Governo già da tempo, ben prima dell'insediamento
del nuovo esecutivo. Era, infatti, presumibile che ci sarebbero stati
problemi legati alla sicurezza. I precedenti vertici internazionali,
infatti, avevano messo in luce l'esistenza di gruppi e frange
estremiste inclini all'uso della violenza nel corso delle
manifestazioni di piazza. A tal proposito ricordo che, già nel
mese di maggio - quindi con il Governo precedente -, durante una
riunione operativa riguardante il G8, era stata discussa e
predisposta la costituzione di almeno una postazione in città
per la consegna degli arrestati dalla polizia penitenziaria e per la
successiva traduzione verso le carceri di Alessandria e Pavia o, in
alternativa, a Voghera.
Questa postazione che, ripeto, è
stata voluta dal precedente Governo, è poi stata identificata
nell'ex caserma di Bolzaneto. Nelle settimane precedenti il vertice,
a pochi giorni dal mio insediamento, ho voluto seguire i preparativi
per la parte di
competenza del mio dicastero. Voglio ricordare che l'allarme, nei
giorni precedenti al summit, riguardava anche un'altra
questione molto importante, ossia l'eventualità di rivolte
all'interno del carcere in concomitanza con il vertice. Anche se ciò
non è accaduto, le possibili sommosse nel penitenziario hanno
rappresentato uno dei problemi da affrontare concretamente, oltreché
un elemento di ulteriore tensione e preoccupazione.
In data 27
giugno, presso il Ministero della giustizia, ho convocato una
riunione a cui hanno partecipato il mio segretario particolare,
dottor Stefano Simonetti, i vertici del Dipartimento amministrativo
penitenziario, nelle persone di Paolo Mancuso ed Emilio Di Somma, il
consigliere Alfonso Sabella, il presidente del tribunale di Genova
Antonino Di Mundo, il presidente della sezione GIP, dottor Giovannni
Battista Copello, il procuratore generale della Repubblica di Genova
Nicola Marvulli ed un dirigente del Ministero dell'interno, il dottor
Luperi.
Nel corso di quell'incontro si parlò soprattutto
dei problemi organizzativi e gestionali nell'eventualità di un
alto numero di arresti in occasione del G8. Tra l'altro, in
quell'occasione appresi che, almeno informalmente, erano già
state individuate le strutture di Bolzaneto e di Forte San Giuliano
come destinazioni verso le quali sarebbero stati indirizzati i
fermati. Furono affrontati molti dettagli organizzativi come la
valutazione dei percorsi da far compiere agli automezzi. Si
studiavano, infatti, le strade per i percorsi dei mezzi destinati
alle traduzioni. Fu deciso, addirittura, di approntare alcune
motovedette della polizia penitenziaria nel caso le strade si fossero
rivelate inagibili, per i tumulti o per questioni legate alle
manifestazioni.
La preparazione del vertice, nell'ambito delle nostre
competenze, è stata condotta dal punto di vista operativo dal
Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ma, per quanto mi
riguarda, ho voluto essere costantemente aggiornato sugli sviluppi
dell'organizzazione. Cito a questo proposito - è agli atti -
la relazione del consigliere Sabella sulle misure predisposte in
vista del G8 e un successivo appunto preparato su mia richiesta dal
vicecapo del dipartimento Emilio Di Somma in data 12 luglio in cui si
illustravano i dettagli tecnici dell'operazione in corso e di quelli
in programma per i giorni del G8. E, ripeto, si prevedeva un numero
piuttosto consistente di arrestati e, quindi, di detenuti.
Il
contenuto delle relazioni è già stato anticipato in
questa stessa sede dal consigliere Alfonso Sabella e dal dottor Di
Somma e, quindi, ritengo di soprassedere alla lettura dei due appunti
che posso lasciare a disposizione.
Arriviamo ai giorni del G8 e,
come tutti sappiamo, l'avvio del vertice di Genova è coinciso
fin da subito con l'inizio degli scontri di piazza. Le previsioni
pessimistiche della vigilia, relativamente all'ordine pubblico, si
sono puntualmente verificate. Come sappiamo, purtroppo, gli incidenti
hanno registrato nella giornata di venerdì 20 luglio la morte
di Carlo Giuliani.
Ho seguito gli accadimenti sia attraverso il
racconto delle agenzie di stampa e delle televisioni sia tenendomi in
stretto contatto con gli uomini del DAP incaricati di coordinare le
operazioni di nostra competenza. In questo modo, verso le 15 di
venerdì, ho potuto apprendere che il carcere di Marassi era
stato oggetto di un attacco da parte dei manifestanti che hanno
lanciato una bomba Molotov contro il portone del penitenziario - tra
l'altro senza grosse conseguenze - mentre invece
un'altra bomba lanciata all'interno dell'ufficio ha provocato
notevoli danni, come, poi, ho potuto verificare in seguito.
Anche
durante la giornata di sabato 21 ho seguito gli avvenimenti tenendomi
in stretto contatto con gli uomini impegnati a Genova e, lo ripeto,
attraverso i miei collaboratori mi tenevo costantemente aggiornato
sul numero degli arrestati e sull'andamento delle operazioni
necessarie per la loro immatricolazione e traduzione. A questo
proposito, apro una parentesi per dire che il piano che almeno
secondo noi, avrebbe funzionato nel migliore dei modi era stato
dimensionato consentitemi questo termine ingegneristico per poter
recepire un massimo di 600 o 700 fermati che ritenevamo fosse un
numero - come poi in effetti si è dimostrato - conservativo
rispetto alla realtà.
È però chiaro che,
considerati gli accadimenti che stavano avendo luogo c'era la
preoccupazione che questo numero potesse aumentare e, quindi, che il
piano stesso potesse in qualche modo cadere in difetto. La
preoccupazione, infatti, era che il piano predisposto in precedenza
per far fronte all'emergenza tenesse nonostante la gravità
della situazione che si stava verificando a Genova. Nel tardo
pomeriggio di sabato 21, proprio a fronte di questa grande tensione e
di questi avvenimenti, ho pensato che fosse opportuno dare agli
uomini della polizia penitenziaria impegnati a Genova un segno
concreto di vicinanza e di sostegno in una situazione per loro tanto
difficile anche, e soprattutto, alla luce dell'assalto che era stato
messo a segno a Marassi.
Ho ritenuto che partire nel pomeriggio,
quando ancora non era buio e la giornata vedeva ancora scontri e
disordini sulle strade, sarebbe stato poco prudente, e la mia
presenza, anziché di conforto, avrebbe potuto creare intralcio
al lavoro degli agenti. Ho deciso, dunque, di rimandare alla serata
non tanto
la partenza quanto la decisione di una mia eventuale visita a
Genova. Vorrei sottolineare che ho rimandato la decisione alla serata
per dire che il preavviso del mio arrivo a Genova è stato
molto limitato.
La sera del sabato mi trovavo a Sirtori, un paese
in provincia di Lecco, ospite di alcuni amici, e soltanto in quel
momento ho comunicato agli uomini impegnati a Genova la mia decisione
di partire e la mia destinazione, ovvero il carcere genovese di
Marassi. Ho fatto telefonare a Genova, intorno alle 22, sono partito
con il dottor Simonetti e la scorta e siamo giunti a Genova intorno
alle 0,15 - 0,30 della notte tra sabato 21 e domenica 22. Lo ripeto,
il mio obiettivo era Marassi. Perché Marassi? Perché da
quando sono diventato ministro ho continuato a ricevere notizie di
possibili sommosse all'interno dei penitenziari e queste segnalazioni
erano particolarmente allarmanti nelle settimane precedenti il
vertice G8, dunque la preoccupazione era che in concomitanza con il
G8 potessero verificarsi anche delle sommosse nelle carceri.
A
Marassi ho incontrato il generale Mattiello, capo dei gruppi
operativi mobili; il generale Claudio Ricci, caporeparto traduzioni;
il direttore del carcere, Manes; il comandante della polizia
penitenziaria di Marassi, ispettore superiore Antonio Chessa, e dopo
circa mezz'ora è giunto anche il consigliere Sabella.
Durante
il sopralluogo nella struttura penitenziaria mi sono reso conto dei
danni subiti durante l'attacco di venerdì pomeriggio. Il
portone recava qualche danno ma, soprattutto, c'era un ufficio
seriamente danneggiato da una Molotov e devo dire che se non vi sono
stati feriti è dovuto soltanto al fatto che in quel momento,
come mi è stato riferito, l'ufficio era vuoto.
Ho visitato il carcere, dove ho trovato una situazione
tranquilla, data anche l'ora, evidentemente, ma mi è stato
assicurato che anche durante il giorno la situazione era stata
tranquilla per quanto riguarda il clima all'interno del carcere. Mi
sono trattenuto con il personale discutendo di problemi legati alla
struttura penitenziaria; in quel momento la visita è diventata
una sorta di visita di routine alle carceri.
A questo
punto vorrei citare un episodio che mi servirà, in seguito,
per illustrare una certa atmosfera che incontro sempre durante le mie
visite: un giovane agente della Polizia penitenziaria mi si è
avvicinato e mi ha invitato a visitare gli alloggi in cui erano
sistemati gli uomini della Polizia penitenziaria, non di stanza a
Genova, ma lì inviati per far fronte alle necessità
connesse al G8, per mostrarmi che si trattava di alloggi non
all'altezza della situazione. Ho visto uno stanzone dove erano
alloggiati addirittura in 16 e mi è stato riferito che si
trovavano in quella situazione già da 20 giorni. Questo mi ha
convinto, ancora di più, della bontà della mia
decisione di essere andato a sostenere queste persone impegnate in un
duro compito, in situazioni difficili. Con questo giovane sono stato,
tra l'altro, un po' burbero: ricordo di avergli detto che non si può
iniziare a lamentarsi già a 20 anni, e ricordo di aver fatto
una battuta dicendo che prima dei 45 anni non si ha il diritto di
lamentarsi perché bisogna fare la gavetta. Lo dissi per
sdrammatizzare un po' la situazione. Ci tengo a ricordarlo perché,
come ribadirò in seguito, gli uomini della Polizia
penitenziaria hanno fatto veramente grandi sacrifici sia durante la
preparazione sia durante le giornate del G8. Tra l'altro, ricordo che
quando ho salutato i presenti, ho fatto una breve allocuzione al
termine della mia visita, ho detto che la mia presenza quella sera a
Marassi aveva, esclusivamente, il senso di testimoniare agli uomini
della Polizia il sostegno
personale del ministro in un momento così impegnativo. Un
agente - se ricordo bene faceva parte di un sindacato - mi ha detto
che stava lavorando da moltissimo tempo senza interruzioni, come del
resto molti dei suoi colleghi, ma che per andare avanti sarebbe
bastata una pacca sulla spalla, cioè qualcuno che riconoscesse
l'utilità del loro lavoro. Credo che in questo episodio si
riconosca veramente lo spirito per cui mi sono recato a Genova, per
dare, metaforicamente, una pacca sulla spalla agli uomini della
Polizia penitenziaria impegnati in quel durissimo compito.
A
questo punto vorrei interrompere per un momento l'esposizione dei
fatti per svolgere una mia considerazione. Mi dispiace di aver
ascoltato o letto, mi pare anche in questa sede, giudizi molto severi
sul personale della Polizia penitenziaria impegnato a Genova; mi
dispiace perché si tratta di donne e uomini che hanno svolto
il loro compito con grande impegno e serietà lavorando in
condizioni molto difficili dal punto di vista materiale e
psicologico. Ci sono agenti che hanno lavorato per molte ore
consecutive per far fronte all'emergenza di quei giorni mantenendo
sempre un atteggiamento professionale e rispettando la dignità
delle persone arrestate. Forse si sono registrati singoli episodi di
intolleranza (arriveremo anche a questo punto) ma criminalizzare
tutti gli agenti che hanno lavorato a Genova mi sembra profondamente
ingiusto. Si tratta di lavoratori - mi riferisco particolarmente a
lei, onorevole Soda, che ha usato molte volte il termine lager
....
ANTONIO SODA. Mi riferivo anche alle condizioni in cui ha messo i suoi agenti. Lei ha costituito dei lager anche per gli agenti: 16 in una stanza!
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Guardi che per fare un lager ci vogliono anche le persone e i lager sono tali se ci sono dentro i nazisti. Questo sia chiaro!
ANTONIO SODA. Se vuole polemizzare .....
PRESIDENTE. Onorevole Soda, la prego, facciamo finire l'esposizione al ministro.
ANTONIO SODA. Lei è un ministro della Repubblica!
PRESIDENTE. Onorevole Soda, il ministro ha fatto riferimento da una sua affermazione. Credo sia legittimo.
ANTONIO SODA. Se fa riferimento a me .....
PRESIDENTE. No, non a lei, ad una sua dichiarazione che credo risulti agli atti. Credo che il ricordo di quella dichiarazione non sia un fatto offensivo. Lei credo si assuma la responsabilità di ciò che ha detto.
ANTONIO SODA. Le affermazioni che ha fatto confermano l'incapacità di gestire .....
PRESIDENTE. Poi gli faremo le domande. Ma nella narrativa credo che la citazione sia legittima.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Scusate, io sono venuto qui, volentieri .....
ANTONIO SODA. Il ministro deve riferire dei fatti e non polemizzare.
PRESIDENTE. Il ministro sta riferendo dei fatti, non sta polemizzando.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Se posso proseguire ....
ANTONIO SODA. Non si è mai visto che il Governo censuri il Parlamento!
ROBERTO CASTELLI, Ministro della Giustizia. Non censuro nessuno, ma credo di avere il diritto di rispondere ad alcune accuse precise che risultano agli atti. Dichiaro che per costituire dei lager ci vogliono anche i nazisti. Le posso garantire che gli uomini della Polizia penitenziaria sono molto lontano dall'essere nazisti. Se la pensa diversamente, ne prendo atto, è suo diritto. Sono persone che hanno affrontato con grande professionalità ed impegno il loro compito, andando avanti per giornate intere in condizioni molto difficili, ottemperando al loro dovere e non aguzzini al lavoro in un lager. Ci tengo a precisare ciò e credo di averne tutto il diritto ed il dovere.
ANTONIO SODA. Precisi anche che ...
PRESIDENTE. Onorevole Soda, non le posso consentire di interrompere qualsiasi persona.
PRESIDENTE. Il dibattito si svolgerà dopo.
ANTONIO SODA. Siccome ha riferito a me la parola lager...
PRESIDENTE. Onorevole Soda, la prego, lo dirà quando chiederà la parola...
ANTONIO SODA. Ho ripreso la parola usata dall'onorevole Mancuso...
PRESIDENTE. Onorevole Soda, la invito a non interrompere.
ANTONIO SODA. Intanto chiariamo i fatti, presidente.
PRESIDENTE. Onorevole Soda, la invito per l'ennesima volta a fare silenzio.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Posso continuare?
LUCIANO FALCIER. Abbiamo sopportato le offese di Casarini!
PRESIDENTE. Onorevole Falcier, non cominci anche lei. Siamo nel corso di un'audizione: se ognuno di noi dice quello che pensa a voce alta, credo non si renda un buon servizio. Scusate, cerchiamo di far terminare il ministro.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Torno alla notte di domenica. Circa all'1,15 è
terminata la mia visita a Marassi, ma prima di lasciare il carcere
qualcuno, non ricordo chi, mi ha suggerito di visitare anche
Bolzaneto, dove si trovavano gli agenti impiegati ormai da due giorni
nel difficile lavoro di espletamento delle pratiche di
immatricolazione e traduzione degli arrestati. Era una visita
assolutamente non programmata, ma ho deciso di andare lo stesso per
incontrare anche quegli agenti.
Il tragitto tra Marassi e
Bolzaneto è stato leggermente più lungo del necessario
perché volevo rendermi conto delle condizioni della città
dopo due giorni di aspri scontri di piazza. Abbiamo pertanto deviato
verso corso Italia, che è il lungomare di Genova, dove ho
potuto verificare con i miei occhi le devastazioni che hanno colpito
la città. Dopo circa 15
o 20 minuti di tragitto, intorno all'1,30 di notte, abbiamo
raggiunto la struttura di Bolzaneto. All'interno della caserma di
Bolzaneto erano impegnati agenti di diverse forze di Polizia. Torno a
quanto ho dichiarato all'inizio: era evidente che mi trovavo lì
solo ed esclusivamente per quanto riguardava la Polizia penitenziaria
e quindi non volevo assolutamente, in alcun modo, dare l'impressione
di interferire con altre forze dell'ordine che non fossero, diciamo,
sotto la mia responsabilità. Su mia esplicita richiesta, ho
voluto visitare soltanto la parte della caserma gestita dagli agenti
della Polizia penitenziaria. Credo sia un fatto molto importante, un
punto fondamentale, almeno per quanto riguarda la mia esperienza.
L'ex caserma di Bolzaneto, come è noto e come è
stato detto più volte, ospitava l'ufficio matricola per
l'immatricolazione delle persone ivi condotte dalle altre forze
dell'ordine, nonché un'area sanitaria per la visita medica di
primo ingresso e per eventuali medicazioni d'urgenza.
Complessivamente, a Bolzaneto sono state immatricolate 222 persone.
Ricordo peraltro che una struttura analoga era stata allestita nella
palazzina logistica della caserma dei Carabinieri di Forte San
Giuliano, dove le persone immatricolate sono state invece 57. Il
numero totale è rimasto largamente all'interno di quel numero
prudenziale che avevamo ipotizzato in circa 600 o 700 persone.
A
questo proposito, ripeto che la decisione di attivarle è stata
presa dal precedente Governo, mentre l'atto formale della loro
costituzione è contenuto in un mio decreto del 12 luglio 2001.
Tale decreto - ribadisco - non formalizzava l'istituzione di alcun
lager o mostro: per me sarebbe facile troncare ogni polemica e
zittire chi ha utilizzato quelle parole, ricordando che la
responsabilità politica di quella scelta appartiene ai
ministri del vecchio Governo di centrosinistra;
credo però che renderei un cattivo servizio alla realtà
dei fatti. Mi assumo la responsabilità - ripeto, mi assumo la
responsabilità - di aver firmato un decreto che, attraverso
l'attivazione delle strutture di Bolzaneto e Forte San Giuliano,
metteva semplicemente a disposizione degli agenti della Polizia
penitenziaria gli spazi necessari per le pratiche burocratiche e le
visite necessarie prima della traduzione degli arrestati.
Chi ha
parlato di lager, ha parlato a sproposito, visto che
l'esperienza dei campi nazisti e di quelli sovietici, i famigerati
gulag, è lontana anni luce dalla pur concitata
atmosfera di Bolzaneto dove, in condizioni difficili, gli agenti
svolgevano il proprio dovere e dove, se da una parte può
essersi verificata qualche scorrettezza da parte di singoli, si sono
registrati gesti di solidarietà, al punto che gli stessi
agenti sono stati lodati da un'addetta del consolato americano che ha
visitato una cittadina statunitense detenuta a Bolzaneto. Devo dire
che le strutture, come era previsto, sono state prontamente
smantellate.
Vorrei sottolineare un altro aspetto riguardo a
questa questione: stiamo discutendo sempre di cosa è successo,
ma proviamo a discutere di ciò che non è successo, di
quello che è stato evitato. Immaginiamo che queste strutture
non fossero state create, che tutti i fermati fossero stati portati a
Marassi, un carcere in pieno centro urbano che in quei giorni era
circondato dai manifestanti ed addirittura fatto oggetto di attacchi
incendiari. La scelta di tenere i fermati all'interno di Marassi, con
i loro compagni tutti intorno al carcere, si sarebbe potuta rivelare
una miscela esplosiva, anche alla luce - lo ripeto - degli allarmi su
possibili rivolte dentro le carceri. Proviamo ad immaginare questo
scenario e poi proviamo a trarne le conseguenze. Sono convinto che
tra tutti i mali sicuramente abbiamo scelto il minore.
Anche se questa scelta è stata compiuta dal precedente
Governo, me ne assumo la responsabilità perché, dal
punto di vista tecnico, la condivido: lo dico chiaramente, senza
alcun infingimento e senza alcuna fumosità. Proprio per questi
motivi ho ritenuto di avallare con il mio decreto la decisione presa
da chi veniva prima di me.
Tornando alla mia visita - che,
ripeto, si è limitata alla porzione della caserma gestita
dagli uomini del mio ministero - posso riferire di aver visto alcune
persone che stavano in piedi con le gambe allargate e la faccia
contro il muro. C'era un'unica cella, per quello che ho visto io,
perché l'altro spazio era riservato ai Carabinieri e quindi
non ci sono andato perché non era di mia competenza.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIAN FRANCO ANEDDA
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Nella cella che ho visto c'erano una decina di
uomini, di ragazzi, da una parte, con un agente della Polizia
penitenziaria all'interno, ed una ragazza, dall'altra parte, in
quell'atteggiamento che ho dichiarato e che, in qualche modo, mi ha
un po' stupito; quindi ho chiesto come mai fossero in quella
posizione, rivolti verso il muro, in piedi. Mi è stato
risposto - leggo - che avevano fatto così per evitare il
pericolo che gli uomini potessero, in qualche modo, dar fastidio alla
ragazza. Questa è stata la risposta dell'agente che si trovava
nella cella insieme ai fermati.
Non ho assistito a pestaggi o a
scene di violenza, non ho visto persone in condizioni precarie di
salute. Ricordo che c'era una persona seduta, questa sì, con
una caviglia fasciata ma in atteggiamento tranquillo. Nel corso della
mia visita ho parlato con un medico e con uno dei fermati. Il medico
mi ha
detto di aver curato alcuni feriti, ma si riferiva agli scontri di
piazza. Il giovane fermato, con cui ho avuto un breve dialogo, mi ha
detto di essere un ragazzo pugliese (non ricordo più se mi
disse che era di Lecce o di Bari). Mi ha detto di essere uno studente
di un istituto tecnico, aveva un aspetto normale, non era ferito e
chiaramente non aveva un atteggiamento felice, come potete
immaginare; nemmeno lui ha denunciato maltrattamenti o episodi di
violenza.
Non ho avvertito alcun odore particolare, né di
urina né di feci; non ho nemmeno avvertito odore di detersivi
o altro, che sarebbero stati necessari se qualcuno avesse voluto
ripulire l'ambiente in fretta e furia prima del mio arrivo, come ho
letto su alcuni giornali. Ritengo, tra l'altro, che non ci sarebbe
stato nemmeno il tempo di sistemare le cose, visto che la decisione
di visitare anche Bolzaneto, oltre a Marassi, è stata presa
all'improvviso. Ho visto inoltre, oltre a quanto già detto, il
materiale sequestrato ai manifestanti: un ammasso di sbarre di ferro,
caschi, elmetti, maschere antigas, una mazza dal peso di molti chili
- che era un'arma sicuramente molto pericolosa -, un estintore ed
alcuni scudi.
Una volta uscito dalla caserma ho parlato con un
agente della Polizia di Stato che mi ha raccontato di una guerriglia
condotta da professionisti in città; come tutti gli altri
agenti che ho visto, mi sembrava assolutamente normale, certamente
molto stanco ma all'apparenza né drogato, come ho letto su
molti giornali, né eccitato.
Non ho visto assolutamente
agenti fuori di sé, come invece è stato raccontato,
bensì persone impegnate in un duro lavoro. Ho lasciato
Bolzaneto intorno alle 2,00 per fare rientro alla mia abitazione e
aggiungo che della perquisizione alla scuola Diaz ho avuto notizia
soltanto il giorno successivo dai mass-media.
La mia visita a Bolzaneto è durata dall'1,35 circa alle
2,00 della notte tra sabato e domenica. Ho visto, ripeto, una
situazione tutto sommato normale, tenendo ovviamente presente il
contesto di quei drammatici momenti.
A seguito di alcuni articoli
apparsi sulla stampa nazionale, in data 26 luglio ho convocato presso
il Ministero un vertice con il responsabile del DAP disponendo
immediatamente l'avvio di un'indagine interna su quanto accaduto a
Genova, per quanto di competenza degli uomini del dipartimento.
Questa indagine è stata formalmente avviata con decreto del 2
agosto, perché in quella data si è insediato il nuovo
responsabile del DAP, il dottor Tinebra, avendo noi preferito che
fosse il nuovo responsabile a dare avvio all'indagine.
Prima di
terminare il mio intervento, vorrei fare una riflessione. Da quando
sono ministro, ogni volta che visito strutture di competenza del DAP,
vengo fermato da persone che ci tengono ad esporre personalmente i
problemi che incontrano nel loro lavoro. In proposito, ricordo quanto
detto all'inizio della mia relazione a proposito di quel giovane
agente che ha voluto farmi vedere che stavano lavorando in condizioni
non ottimali. Pertanto, è accaduto anche quella sera che
qualcuno avesse qualche lamentela da esporre al ministro. Mi domando:
è mai possibile che durante la visita del ministro a
Bolzaneto, nessuno si sia fatto avanti per lamentarsi e per
denunciare pestaggi e violenze? Nessuno mi ha fermato per dirmi
quanto ho letto successivamente sui giornali. Non so dire se, e in
quale misura, i racconti raccolti dalla stampa siano fasulli o meno,
ma so solo che una delle testimonianze che abbiamo raccolto è
di una persona che dice di avermi visto quella notte a Bolzaneto.
Peccato che dal verbale risulta essere
uscita dalla caserma alle ore 0,45, mentre io sono arrivato
all'1,30 circa: dico questo per dimostrare come alcune testimonianze
siano inattendibili.
Proprio ieri mi è pervenuta una prima
relazione da parte della commissione d'inchiesta da me attivata,
della quale vorrei leggervi la premessa e le conclusioni: sono tre
pagine. Si tratta della prima relazione della nostra inchiesta
interna. Nella premessa si afferma: «In esito alla prima fase
dell'attività ispettiva svolta da questa commissione in
relazione ai fatti in oggetto e a seguito del decreto indicato in
epigrafe, si ritiene opportuno formulare sin da adesso alcune
considerazioni in merito a quanto già emerso. È
opportuno premettere che l'attività di indagine della
commissione, in mancanza di documenti ufficiali e nell'impossibilità
di procedere all'audizione dei soggetti che avrebbero denunciato le
violenze, in quanto tutti ormai scarcerati, si è
principalmente sviluppata analizzando gli elementi riportati dalla
stampa. Infatti, a partire dal 26 luglio 2001, quando il quotidiano
la Repubblica ebbe a pubblicare le dichiarazioni di un anonimo
appartenente alla Polizia di Stato, numerosi organi di stampa hanno
iniziato a riportare notizie di vario genere su violenze che i
manifestanti arrestati avrebbero subìto nel sito penitenziario
di Bolzaneto e, successivamente, anche in quello di Forte San
Giuliano. Con nota dello stesso 26 luglio 2001, l'Ufficio centrale
ispettorato ha richiesto alla procura della Repubblica di Genova
l'autorizzazione a svolgere accertamenti amministrativi sugli episodi
riportati dal quotidiano prima citato, autorizzazione che veniva
concessa con nota del 31 luglio dall'autorità giudiziaria.
Ottenuta l'autorizzazione dall'autorità giudiziaria, si è
dunque proceduto all'analisi degli atti in possesso
dell'amministrazione penitenziaria e ad effettuare il sopralluogo e
l'audizione di alcuni presunti protagonisti della vicenda,
con specifico riferimento al sito di Bolzaneto. Di conseguenza, la
presente relazione non può che costituire un primo tentativo
di ricostruzione dei fatti, la cui complessità, almeno per
quanto si apprende dagli organi di stampa, non consente di pervenire
a conclusioni sufficientemente affidabili, almeno fino a quando
questa commissione non verrà in possesso di dichiarazione
ufficiali che avrebbero reso le vittime dei presunti abusi. Si è
ritenuto, per intuibili ragioni di riservatezza e di correttezza
istituzionale, di non richiedere, fino a che saranno in corso
indagini della procura della Repubblica di Genova, i relativi atti
all'autorità giudiziaria e dunque ci si riserva di integrare
successivamente la presente relazione non appena sarà
possibile conoscere ufficialmente, non dalla stampa, il contenuto
delle dichiarazioni in questione. Per comodità espositiva, la
presente relazione, che riguarda solo le vicende di Bolzaneto e non
ha certo la pretesa della esaustività, si svilupperà,
dopo una doverosa premessa descrittiva dello stato dei luoghi e delle
procedure in uso nel sito penitenziario, analizzando per categorie i
fatti che, secondo quanto riportato dagli organi di stampa e, in
parte, per quanto emerso dai pochi elementi obiettivi acquisiti, si
sarebbero verificati nella struttura suddetta».
Lascio agli
atti della Commissione la relazione, che ovviamente non è
possibile leggere ora integralmente, mentre mi limito ora ad
illustrarne le conclusioni. Dall'analisi, per quanto parziale, dei
dati sin qui acquisiti, se da un lato emergono diversi episodi che
indubbiamente meritano di essere approfonditi in quanto appaiono
verosimili e di sicura gravità, dall'altro è possibile
ricavare in numerosi casi un'errata percezione dei medesimi, forse
giustificabile con una sensazione di fondo delle persone custodite, a
qualunque titolo, presso la caserma di Bolzaneto di essere vittime
innocenti di
vessazioni da parte delle forze di Polizia. Infatti, al di là delle legittime procedure poste in essere dal personale di Polizia penitenziaria ed avvertite come soprusi da parte dei detenuti, nonché di quei casi in cui il ricorso alla forza fisica è stato determinato dalla necessità di vincere la resistenza opposta, sono, come si è sopra rilevato, numerosi gli episodi frutto di palesi travisamenti o di enfatizzazione oltremisura di vicende forse discutibili, ma comunque del tutto marginali. Paradigmatico di tale atteggiamento da parte degli arrestati, e dunque degli stessi organi di stampa che ne hanno riportato le dichiarazioni, è quanto avvenuto a proposito di Forte San Giuliano, laddove si è con ogni evidenza trattato di orrori e violenze decisamente inesistenti e laddove, circostanza non secondaria, operavano le stesse categorie di personale di Polizia penitenziaria di Bolzaneto. Ancora al riguardo, altamente esemplificativi sono i primi racconti pubblicati da giornali e siti Internet, in cui si riferisce di arrestati costretti a svolgere i propri bisogni fisiologici all'interno dei propri abiti, notizie queste mai più ribadite, allo stesso modo di quelle inerenti i manganelli, che avrebbe utilizzato la Polizia penitenziaria. Ciò non toglie però che, come sembra emergere dai dati sin qui acquisiti dalla commissione, il clima a Bolzaneto, almeno in certe fasi, solitamente coincidenti con l'arrivo delle persone fermate, fosse particolarmente concitato e dunque si venissero a creare condizioni ambientali tali da favorire abusi e maltrattamenti da parte di singole unità di personale. Per quanto riguarda la Polizia penitenziaria è comunque opportuno sin d'ora svolgere una breve notazione inerente la gestione degli arrestati della scuola Diaz, in quanto nessuno di essi ha riferito episodi di violenza o di abuso riconducibili al personale dell'amministrazione penitenziaria, fatto questo che induce a qualche riflessione di carattere generale.
MARCO BOATO. Sono stati massacrati!
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Come si evince dalle dichiarazioni rese dai
responsabili operativi del sito penitenziario, gli arrestati della
Diaz furono gestiti potendo contare su più camere di
sicurezza, in un momento in cui le altre forze di polizia avevano
praticamente abbandonato l'edificio, in quanto avevano concluso i
loro compiti. In relazione alla custodia di tali arrestati, la
Polizia penitenziaria, che pure ha provveduto anche con la
collaborazione di un funzionario della Polizia a rifornire i detenuti
di cibo, coperte e generi di conforto, ha persino ricevuto, come
dicevo prima, i complimenti di un'addetta consolare americana, la
quale ha visitato una cittadina statunitense detenuta nella caserma
di Bolzaneto, sul modo con cui i detenuti erano stati trattati.
È
possibile che un eventuale diverso atteggiamento del personale in
servizio sia riconducibile al naturale abbassamento della tensione
conseguente alla chiusura del vertice del G8 e all'approssimarsi
della fine del relativo impegno. Così come non è da
escludere che le migliori condizioni logistiche, conseguenti alla
possibilità di sfruttare più locali come camere di
sicurezza, abbiano reso più sereno il lavoro e fugato
preoccupazioni circa pericolose commistioni tra le varie categorie di
soggetti consegnanti dalla Polizia di Stato«.
A tale
proposito vorrei aprire una parentesi: cosa vuol dire questa frase?
Significa che mi è stato dichiarato, non in quella sede ma in
questi giorni, che vi era la necessità di tenere i detenuti in
piedi e separati in quanto, poiché erano molti e nella stessa
cella, bisognava separare coloro che erano già stati
immatricolati, in attesa di traduzione, e gli altri che invece non
erano ancora stati immatricolati. Questa frase si riferisce a tale
circostanza.
«Un'altra chiave di lettura di tali fatti, però,
potrebbe essere individuata nella presenza nella struttura solo di
personale di polizia penitenziaria e, dunque, nelle migliori
possibilità di controllo, da parte dei superiori, del
personale comunque addetto alla custodia degli arrestati. Ovviamente,
è possibile che tali tre componenti abbiano contribuito ad
abbassare il livello di tensione della struttura, ma certamente la
commistione che, in lunghi periodi, si era verificata tra diverse
categorie di soggetti presenti, appartenenti a più forze di
polizia, ha indubbiamente determinato il ricorso a misure rigide
nella gestione dei detenuti e ha causato a gravi difficoltà
nel controllo del comportamento di qualche singola unità di
personale. Ciò non vuol certo significare che tale controllo
sia mancato. Altamente esemplificativa risulta infatti la
circostanza, riferita dal personale medico» - che troverete
nella relazione - «circa la vicenda del cittadino greco al
quale, ad un certo punto, venne accertata una grave lesione interna e
che era stato aggredito verbalmente in infermeria da un poliziotto
rapidamente allontanato dal locale. Così come indicativi di
ciò sono i due episodi, riferiti dall'infermiere, inerenti
richiami di unità di personale di polizia penitenziaria che si
erano resi responsabili di comportamenti gravemente scorretti, così
come quanto segnalato da un ispettore circa il biasimo espresso nei
confronti di un appartenente ad altra forza di polizia che aveva
colpito a freddo un detenuto.
Tale relazione - come si è
già chiarito - costituisce solo un primo tentativo di
ricostruire, limitatamente all'ambito di competenza e di
responsabilità degli appartenenti all'amministrazione
penitenziaria, quanto accaduto a Bolzaneto, nonché di
addebitare individualmente i fatti specifici in via di accertamento.
Come quel paio di episodi che già risultano assumere una certa
concretezza in considerazione delle fonti
che li hanno riferiti e dell'obiettiva possibilità di
utilizzarle (non trattandosi di mere propalazioni riportate dalla
stampa). Ovviamente, ci si riserva di formulare conclusioni
definitive in esito a successive attività della commissione,
auspicando di poter contare al più presto su documentazione di
cui sia certa la provenienza e l'attendibilità. Si rimane a
disposizione per tutte le integrazioni e i chiarimenti che dovessero
ritenersi necessari. Con osservanza. La commissione ispettiva: dottor
Alfonso Sabella, dottor Francesco Patrone, dottor Luigi Pagano,
dottoressa Maria Concetta Altavista, colonnello Giuliano Darreggia.«.
È chiaro che ognuno, considerato quanto ho letto e quanto
potrà leggere, darà l'interpretazione che vuole. A me
preme significare che da tale lettura scaturisce chiaramente che
occorre assolutamente difendere il buon nome della Polizia
penitenziaria e che, se vi sono stati episodi, in via di accertamento
(chiaramente non solo da parte nostra ma anche dalla autorità
giudiziaria), si è trattato di episodi singoli e isolati.
Vorrei terminare leggendo due lettere: credo che sia doveroso
farlo. La prima è del presidente della sezione GIP, dottor
Copello, che scrive: «Sento il bisogno di esprimere la mia
gratitudine agli ispettori» -, non cito i nomi per rispetto
della privacy - «a tutti indistintamente gli agenti di
Polizia penitenziaria impegnati nel servizio di trasporto e tutela di
magistrati e cancellieri, per la disponibilità e l'efficienza
di cui hanno dato prova, meritandosi gli elogi miei personali e dei
colleghi».
La seconda lettera è firmata dal
procuratore generale della Repubblica, dottor Marvulli, che scrive:
«Esauritasi la fase dell'emergenza degli adempimenti, complessi
e numerosi, che si sono resi necessari in conseguenza degli eventi
verificatisi in
coincidenza delle manifestazioni del G8» - anche tale lettera è indirizzata ad uno tra gli ispettori responsabili - «sento il dovere di rivolgere a lei e a tutto il personale della Polizia penitenziaria che ha lavorato con noi in questi giorni il mio più vivo ringraziamento per la generosa e proficua collaborazione che ci è stata offerta, che ha reso possibile il corretto e puntuale svolgimento di tutte le operazioni che si sono rese necessarie. Alla mia personale gratitudine per quello che è stato fatto, per il modo ineccepibile con cui lo si è fatto, si unisce la riconoscenza di tutta la magistratura ligure che ha potuto fruire di tale preziosa collaborazione.».
PRESIDENTE. Ringraziamo il ministro. Passiamo agli interventi dei colleghi che hanno chiesto di parlare per porre domande.
GRAZIELLA MASCIA. Non sono interessata a disquisire su alcuni passaggi del signor ministro. I tempi sono ristretti, ma mi preme affrontare alcuni nodi che sono stati proposti. In particolare, vorrei partire dall'ultima considerazione, cioè dall'esigenza di difendere il buon nome della Polizia penitenziaria. Penso che tale esigenza sia corretta, ma che essa si possa soddisfare nel momento in cui si cerca di verificare esattamente ciò che è successo a Bolzaneto. Certamente, individuando le responsabilità, ma soprattutto, per quanto riguarda la responsabilità politica, comprendendo quali siano le cause, oggettive e strutturali, che hanno contribuito a determinare le responsabilità personali. In tal senso comprendo dalla relazione ispettiva - non so se ho perso qualche passaggio - che la conclusione, la valutazione complessiva è che vi sono stati confusione, eccessi e abusi, però si tratta di fatti assolutamente individuali. Vorrei far notare che abbiamo svolto già due audizioni, siamo partiti da una situazione in cui
si diceva che non era successo nulla, poi si è detto che
forse poteva essere successo qualcosa e oggi siamo di fronte ad una
valutazione che lei ci propone ma con un'indagine ancora in corso e
con testimonianze - devo dire - allarmanti e inquietanti, che si sono
susseguite nel corso di queste settimane: dopo due mesi non abbiamo
ancora compreso esattamente.
Sottolineo, altresì, che io
condivido la considerazione che gli agenti debbano giovarsi, come
tutti i lavoratori e le lavoratrici, di condizioni di lavoro
adeguate. Frequento le carceri da dieci anni e mi sono sempre
preoccupata, oltre che di visitare i detenuti, anche di chiedere agli
agenti le loro condizioni. Mi pare - considerato ciò che lei
ci ha detto stasera - che la condizione degli alloggi non fosse la
migliore per aiutare a svolgere bene il loro lavoro. Credo che ciò
debba essere un elemento da aggiungere in una verifica del lavoro
svolto.
La verifica che io ritengo opportuna non è tanto,
o soltanto, inerente alle responsabilità individuali, sulle
quali la magistratura sta indagando, bensì riguarda le cause
strutturali. Abbiamo considerato in queste audizioni, in diversi
passaggi, il problema dell'organizzazione complessiva, che lei ha
difeso, che ha determinato questa situazione. Lei ha detto che si
assume la responsabilità di aver firmato quel decreto, ma
quando si pensa ad una situazione in cui si possono determinare
centinaia di arresti, dalle cartine che ci sono state fornite e dalle
informazioni, io non comprendo come si potesse ritenere che tutto
sarebbe andato per il meglio e che le persone avrebbero potuto avere
un decorso lineare. Quando è andata bene, anche chi non ha
subìto abusi - ci è stato confermato - è rimasto
in quei posti, in determinate condizioni, che io non considero
normali (con le mani al muro, le
gambe allargate, eccetera), per diverse ore, come ci è stato detto. Allora io le chiedo, signor ministro - il dottor Di Somma e il dottor Sabella non ci hanno saputo rispondere -, chi, e in quale sede, ha deciso ciò e si è assunto la responsabilità organizzativa. Dico questo in quanto l'impressione è che vi siano state sedi collettive nelle quali sono stati predisposti tutti i piani, ma nessuno ci sa dire dove siano state assunte tali responsabilità.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO
GRAZIELLA MASCIA. Mi sarei
aspettata, a bilancio di una situazione come questa, nella quale,
ripeto, le testimonianze purtroppo sono andate via via ad aggiungersi
- quelle rilasciate dagli infermieri, che sono state particolarmente
inquietanti, si sono sommate a quelle di chi ha subito direttamente
abusi e così via - che si sarebbe potuta svolgere una verifica
consuntiva. Ad esempio, anche se questo non è un aspetto
principale, secondo lei non sarebbe stato logico nominare quanto meno
dei responsabili? Questa era, almeno così mi pare di aver
letto, una delle richieste che venivano avanzate dai sindacati degli
agenti di Polizia penitenziaria. Ebbene, né a Bolzaneto né
a San Giuliano ve ne erano.
Penso che oggi il problema non sia
solamente quello di avere una relazione e di sapere se siano state
cinque o dieci le persone che hanno commesso abusi e violenze; la
questione è sapere se noi, dinanzi ad un bilancio così
drammatico quale quello di Bolzaneto, siamo in grado di compiere una
riflessione a posteriori. Se infatti il bilancio porterà
a sostenere che è andato tutto bene, penso che questa opinione
non potrà essere condivisa. Tra l'altro, credo che così
sia anche difficile riuscire a difendere il buon nome della Polizia
penitenziaria.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Credo che fare polemiche sia assolutamente
inutile, ma alcune cose vanno ribadite. Non si tratta assolutamente
di uno scaricabarile, ma sono costretto a ricordarle che ho prestato
giuramento solo l'11 giugno. Quando mi sono insediato al Dicastero,
uno dei primi problemi che ho affrontato è stato proprio
quello dell'organizzazione del G8. Come atto ufficiale prima di
allora vi è soltanto una riunione riservata in cui, appunto, è
stata presa la decisione di massima di istituire un luogo di
accoglimento fuori dal carcere per i motivi che ho già
ricordato. Nient'altro. Praticamente abbiamo dovuto, in pochissimo
tempo, organizzare tutto.
Il giudizio è chiaramente
soggettivo: è andata bene o è andata male? Questa è
la solita questione del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Può
constatare che non ho avuto alcuna difficoltà nel leggerle
parola per parola ciò che è scritto nella relazione,
relazione alla quale intendo attenermi in condizione di assoluta
terzietà. Ho letto ciò che è stato scritto, e
ricordo che tra i componenti la commissione vi è anche un
magistrato. Credo quindi che essa possa fornire ampie garanzie di
obiettività.
Ripeto che questa non vuole essere una scusa,
però di fatto mi sono trovato di fronte a tale situazione: la
prima riunione ufficiale operativa l'ha indetta il sottoscritto a
pochi giorni dal vertice in data 27 giugno. Questo è un dato.
Non vorrei risultare cinico e poco rispettoso dei diritti dei
cittadini, ma quale giudizio può essere dato complessivamente
sull'operazione? Questo senza considerare i casi isolati, su cui poi
vedremo cosa dirà la magistratura; sono infatti in possesso di
altri documenti che non ho ritenuto opportuno produrre in questo
momento, perché non credo siano del tutto attendibili.
Sembrano comunque emergere alcuni problemi, alcune discrepanze
nelle testimonianze, non solo in quelle che sono ritenute sicuramente inattendibili, ma anche in quelle ritenute generalmente attendibili e che invece non sono poi così «cristalline». Al di là dei casi singoli, che sono sicuramente malaugurati e che possono essersi verificati, devo dire che in definitiva, che non si sono verificati gravissimi problemi e non c'è stata alcuna sommossa nelle carceri, il che costituiva una mia gravissima preoccupazione, fortunatamente scongiurata. Qualcuno ha pagato il prezzo di rimanere troppe ore in piedi: ciò è accaduto. Non so se sia una cosa gravissima....
GRAZIELLA MASCIA. Ritengo che lo sia.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Lei dice di sì. Posso fare una battuta che probabilmente scatenerà le ire dell'onorevole Soda? Sono trent'anni che lavoro nelle fabbriche ed i metalmeccanici per 35 anni lavorano in piedi dalla mattina alla sera; ebbene, non li ho mai sentiti lamentarsi.
GRAZIELLA MASCIA. Ne so qualcosa anch'io, ma non è un paragone da fare.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Ripeto, non è assolutamente giusto che alcune persone vengano costrette a restare in piedi. Ciò è accaduto, ma è ben diverso da quella che può essere una tortura, una violenza programmata o la costituzione di un lager . Sto dicendo le cose esattamente per ciò che abbiamo visto.
GRAZIELLA MASCIA. Lei però è il ministro della giustizia!
CESARINO MONTI. Signor ministro, nel ringraziarla per la chiara esposizione, vorrei chiederle in quali condizioni si trovava il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria prima del vertice di Genova e chi lo guidava.
La stampa e la televisione, nonché l'onorevole Mascia,
hanno dato ampio risalto alle testimonianze di due infermieri
presenti a Bolzaneto nei giorni del G8; volevo chiederle se abbia
riscontri circa l'attendibilità delle loro affermazioni.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Come già detto prima, appena insediato ho
trovato un Ministero in cui era stata fatta terra bruciata; qualcuno,
con una felice battuta, mi ha detto che probabilmente oltre ad
esserci la terra bruciata erano stati avvelenati anche i pozzi. Ciò
per dire che effettivamente il Ministero versava in una situazione in
cui mancavano molti capi, ed in particolare quello del DAP; ricordo
infatti che il dottor Caselli, che era a capo di quella struttura, ha
assunto in data 15 febbraio un'altra carica e che non è stato
più nominato un suo sostituto.
Con questo non voglio
assolutamente dire che il dottor Mancuso abbia mancato ai suoi
doveri. Anzi, approfitto di questa sede per ringraziarlo della
collaborazione che ha prestato. Credo che tutti si siano prestati al
massimo delle loro possibilità. È chiaro però
che una cosa è avere un responsabile «codificato»
nel pieno dei propri poteri, altro è avere un facente
funzione. Ripeto, credo che dal punto di vista del personale non ci
sia alcunché da rimproverare. Certamente c'è stata
anche una pesante latitanza da parte del Governo che, probabilmente,
vivendo un'esperienza di fine legislatura, non si è sentito in
dovere, nelle persone del ministro o di qualche sottosegretario, di
predisporre riunioni, di organizzare, di occuparsi di questo problema
che in realtà era assolutamente grave.
Per quanto riguarda
i due infermieri, non vorrei entrare nel merito, perché non
vorrei anticipare o comunque interferire in quelle che potrebbero
essere le conclusioni della magistratura circa l'attendibilità
di tali testimonianze. Posso dire che, da
quanto risulta dalla lettura dei risultati della nostra indagine interna, i due infermieri sono stati sentiti; altrettanto però non si è fatto, in quanto ancora non chiaramente individuate, con le persone da loro accusate e credo che sia assolutamente giusto ascoltare la versione anche di queste ultime prima di esprimere qualsiasi giudizio. Su questo punto mi consenta quindi di non dilungarmi.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor
ministro, la ringrazio e concordo con lei sul fatto che sarebbe
sbagliato, oltre che profondamente ingiusto, tranciare giudizi
negativi nei confronti della Polizia penitenziaria, la quale è
comunque chiamata ad un lavoro durissimo a prescindere da situazioni
straordinarie quali potevano essere quelle determinatesi con il G8.
Sarebbe pertanto, lo ripeto, profondamente sbagliato esprimere
giudizi non motivati su un intero corpo di polizia che da anni svolge
molto bene il proprio lavoro in condizioni di grande difficoltà.
Vorrei però approfittare della sua presenza per chiarire
un paio di questioni. Abbiamo già avuto modo di sentire sia il
dottor Di Somma sia il dottor Sabella che hanno chiarito alcuni
aspetti importanti. Volevo invece avere da lei alcune risposte in
ordine a due fatti su cui ci ha poc'anzi relazionato.
La prima
domanda è la seguente: qual è stata la determinazione
che l'ha indotta a partire alle 22 per andare a Marassi? Lei ci ha
raccontato che voleva offrire un gesto di solidarietà ai
lavoratori della Polizia penitenziaria del carcere di Marassi che il
venerdì, nel pomeriggio, avevano subito un attacco. È
stata una determinazione molto sofferta dal momento che per assumere
questo tipo di decisione ha impiegato dal pomeriggio del venerdì
alla sera di sabato alle 22. La sua
decisione è stata completamente autonoma o si è
consultato con qualche suo collega di Governo che l'aveva consigliato
di comportarsi in questo modo?
La seconda domanda riguarda
un'affermazione che lei questa sera ci ha riportato. Personalmente
non la conosco, ministro Castelli, ma tutti dicono che lei è
una persona di solido buonsenso e dotata di grande senso pratico.
Quel suo buonsenso non si è ribellato di fronte ad una
risposta così incredibilmente ridicola quale quella che lei ha
ricevuto da un agente di Polizia penitenziaria che le diceva che le
persone si trovavano a gambe larghe, con la faccia contro il muro per
evitare che infastidissero una detenuta? Le pare possibile che nel
momento in cui vi sono persone fermate, costrette in camere di
sicurezza, sia necessario tenere le persone in piedi, con la faccia
contro il muro, a gambe larghe per impedire che dieci persone
infastidiscano una donna? Vorrei che lei rispondesse e dimostrasse in
questa occasione il suo solito buonsenso, dicendo che non è
stata una risposta accettabile ma una sciocchezza di dimensioni
probabilmente mai ascoltate prima.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Ho citato l'esempio dell'assalto che è stato il caso più eclatante ma, come lei ricorderà, c'è stato un crescendo di tensione fra il venerdì e il sabato. Venerdì si è verificata la malaugurata e drammatica morte del giovane Giuliani, ma sabato si sono verificati alcuni avvenimenti, dal punto di vista dell'ordine pubblico, forse ancora più vasti. Ho visto tutto ciò, ho visto crescere il numero degli arrestati, la stanchezza e la tensione, dei miei uomini (avremmo fatto 50 telefonate come ha affermato anche il dottor Simonetti); poiché è stato un crescendo di tensione, non ci ho pensato dal venerdì ma da sabato pomeriggio.
Ognuno ha un proprio vissuto. Ho sempre pensato che, se
qualcuno ha sotto la sua responsabilità delle persone, nei
momenti più difficili deve restare loro vicino se vuole avere
una credibilità verso di loro. Forse non è giusto ma
questo è ciò che credo. Ho pensato al fatto che per un
ministro recarsi in un ambiente che sembrava ormai quasi di
guerriglia, se non di guerra, potesse essere pericoloso tant'è
vero che mi sono guardato bene dall'andare di giorno a causa di
alcuni problemi. Sono andato nel pieno della notte, sapendo che
normalmente in tali ore le cose si acquietano, le strade si svuotano
e ciò non avrebbe creato nessuna difficoltà soprattutto
a coloro che si trovavano nella zona rossa. È stata una
decisione totalmente autonoma che ho ritenuto di adottare come
responsabile della Polizia penitenziaria (mi sento tale come ministro
della giustizia). È stata una decisione - lo ripeto -
totalmente autonoma. Non ho ritenuto di consultarmi con nessuno
perché avrei creato allarmismo. Pensate a cosa sarebbe
accaduto se in qualche modo fosse circolata la notizia che il
ministro si stava recando a Genova. Mi sono recato a Genova, perché
volevo andare a Marassi, a sirene e a lampeggianti spenti con due
auto assolutamente anonime. Questo è il dato.
Lei afferma
che la risposta ricevuta dall'agente di polizia è stata
assolutamente ridicola ma occorre anche considerare i momenti. In
quella cella si trovavano alcune persone non conosciute da nessuno.
La risposta mi è sembrata non ridicola, ma strana: a mente
fredda, infatti, mi sono detto che tutto ciò era molto strano.
Lì per lì, comunque, non mi sembrò ridicola.
Chiesi, allora, spiegazioni. C'è, infatti, un'altra
spiegazione. Ho riferito a testimonianza; c'era lì dentro un
poliziotto a cui ho chiesto le ragioni per cui si trovava in quel
posto ed egli mi ha risposto: sono dentro per evitare il pericolo che
qualcuno
possa infastidire la ragazza. Poiché mi è stato detto ciò, non posso fare altro che riferirlo al Comitato. Ripensandoci, la risposta mi è sembrata non del tutto esaustiva. Successivamente, infatti, ho appreso - ciò è indicato nella relazione - che, in realtà, il motivo fondamentale addotto dai responsabili era il seguente: in quei momenti vi era una grande concitazione e confusione; alcune persone erano ancora in attesa di essere immatricolate, altre lo erano già. Pertanto, si avvertiva la necessità di tenerli separati per stare tranquilli e per evitare che le operazioni volte a consentire ai fermati di essere tradotti, andassero molto per le lunghe; in alcuni casi le ore sono diventate veramente tante (si dice che la media è stata di circa 4 ore ma ci sono state alcune punte molto superiori). Tutto è stato fatto nell'interesse dei fermati, che, secondo alcune disposizioni, dovevano rimanere a Bolzaneto per il minor tempo possibile.
PIERLUIGI PETRINI. Non rivolgerò alcuna domanda al ministro al cospetto della cui relazione sono costernato ed allibito. Mi rivolgerò invece a lei, signor presidente, che è il garante della dignità istituzionale che noi rappresentiamo. Il Parlamento ha votato all'unanimità l'istituzione di questo Comitato di indagine ritenendo che fosse necessario fare chiarezza su una somma di episodi, di testimonianze, di accadimenti riferiti o comprovati che lasciavano ipotizzare che vi fossero stati abusi di potere. Il compito istituzionale del Comitato è quello di indagare al di là delle verità ufficiali, anche attraverso il dubbio e il sospetto, per chiarire la verità. Pertanto, non posso in nessun modo accettare che un membro del Governo si rivolga a questo Comitato come ha fatto il ministro Castelli, denunciando un intento, da parte del Comitato nella sua totalità o di parte dello stesso, di discredito nei confronti del personale della Polizia penitenziaria. Sappiamo
perfettamente quale sia l'abnegazione e il sacrificio della Polizia penitenziaria e quanto scarse siano le gratificazioni di cui gode. Attendiamo dal Governo provvedimenti opportuni dal punto di vista legislativo ma noi, in questa sede, abbiamo il diritto e il dovere di indagare sui comportamenti senza che ci venga rinfacciato alcunché. Tra l'altro il ministro sbaglia completamente...
PRESIDENTE. Lei sta facendo lo stesso.
PIERLUIGI PETRINI. Sì,
signor presidente, sto facendo lo stesso.... Sbaglia completamente
bersaglio perché se leggesse il resoconto stenografico si
accorgerebbe che quelle parole che egli rimprovera all'onorevole Soda
sono state pronunciate dall'onorevole Mancuso, il quale, nel dubitare
sulla legittimità delle strutture di cui stiamo trattando,
afferma: «un carcere non si può costituire
occasionalmente, quelli si chiamano normalmente campi di
concentramento».
Siamo di fronte alle parole di un ex
ministro di grazia e giustizia che, per ironia di quelle sorti
politiche che spesso verifichiamo, il ministro Castelli ha avuto modo
prima di fiduciare e poi di sfiduciare.
PRESIDENTE. Senatore Petrini, lei sta facendo un comizio!
MARCO BOATO. Presidente, non credo sia il caso di usare questi termini...
PRESIDENTE. Uso i termini che voglio, onorevole Boato! Lei non deve insegnare niente a nessuno! Senatore Petrini, lei può rivolgere domande al ministro. Lei si è permesso di introdurre un discorso con il quale, affermando che il ministro forse ha ecceduto (ma ciò è una responsabilità del ministro),
è andato esattamente nel segno opposto. Se ha terminato il suo intervento, le sono grato, altrimenti non la farei concludere.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Mi scusi, signor presidente, c'è una questione......
PRESIDENTE. Non siamo in una Commissione di inchiesta....
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Se sono qui per subire un processo.....
PRESIDENTE. No, lei non deve subire un processo. Poichè non si tratta di una domanda ma di una osservazione che il senatore le ha rivolto e gliela poteva rivolgere in qualsiasi altro momento...
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. C'è però una questione sulla quale vorrei intervenire.
PRESIDENTE. Prego, intervenga.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Sono stato accusato, e risulta dagli atti, di
aver costituito un lager. Credo che ciò questa sia un'accusa
assolutamente infamante. Credo di avere tutti i diritti di replicare
a questa accusa.
Diverso è, come ha affermato il collega
Mancuso, costituire un campo di concentramento. Il campo di
concentramento è oggettivamente un termine che non ha
un'accezione negativa di per sé. È un luogo nel quale
(Commenti dell'onorevole Boato)... Nell'immaginario
collettivo, come lei sa benissimo, onorevole Boato, il termine lager
ha assunto la definizione di un luogo dove vi sono torture, omicidi,
dove l'uomo viene praticamente conculcato nella sua dignità.
Non concordo ovviamente con quanto detto dall'onorevole
Mancuso; tuttavia, è un'affermazione che non ha alcuna
gravità, dal momento che si tratta di un'opinione. Sono invece
stato accusato, e risulta dagli atti, dall'onorevole Soda di aver
costituito un lager. Credo di avere tutti i diritti per poter
replicare a questa infamante accusa. Se poi questo per il senatore
Petrini non rientra nei miei diritti, ciò significa che egli
ha una concezione della democrazia evidentemente diversa dalla mia.
ANTONIO SODA. Affinché
resti agli atti, campo di concentramento è la traduzione di
lager. Sono preoccupato perché, avendo sollevato una
questione sulla legittimità di tale decreto, pensavo che oggi
il ministro mi garantisse e garantisse i cittadini italiani e il
Parlamento che mai più si sarebbero costituiti questi mostri,
questi campi di concentramento, questi lager! Ora motiverò il
perché.
È vero, non mi era assolutamente
sconosciuta la possibilità che, con decreto del ministro, si
potessero istituire istituti penitenziari. Nutro però dei
dubbi sul fatto che si possano istituire delle succursali di aree e
sezioni di istituti penitenziari. Gli articoli 59, 60 e seguenti
dell'ordinamento penitenziario (la legge del 1975) posti a fondamento
del decreto ministeriale, fanno riferimento al potere amministrativo
ed esecutivo del ministro di istituire istituti penitenziari, non
sezioni di aree di istituti penitenziari. E comunque, ammesso che sia
possibile istituire sezioni, succursali di istituti penitenziari,
questi hanno da essere tali, e non un «mostro» nel quale,
come qualsiasi persona che voglia avere contezza della situazione di
Bolzeneto vede, situare uffici DIGOS, uffici della squadra mobile,
bagni, ufficio matricole, l'infermeria, la sala gabbie e la sala
agenti. Questo continuo a ritenerlo un «mostro». Non si
tratta infatti né di un sito penitenziario, né
di una caserma di polizia. È l'ibridazione che insieme ha
creato quella confusione nella quale è stata possibile la
consumazione di alcune violenze.
Apro una parentesi: nessuno ha
voluto criminalizzare la Polizia penitenziaria, nessuno vuole
criminalizzare le forze dell'ordine; si vogliono accertare la verità
su alcune violenze denunciate da cittadini italiani e stranieri.
Dovrebbe essere compito, funzione e dovere del ministro accertare in
primo luogo tali responsabilità, anche per la credibilità
internazionale del nostro paese. La informo infatti, se non ne è
a conoscenza, che un gruppo di legali italiani e internazionali sta
raccogliendo documentazione per trascinare il nostro paese, nella
persona anche del ministro della giustizia, davanti ai tribunali
internazionali per violazione di alcune convenzioni internazionali.
Fatta questa premessa, confermo il mio giudizio. Laddove si crea
una struttura nella quale entrano centinaia di persone, carabinieri,
Polizia e Guardia di finanza, DIGOS e ufficio matricole, ebbene,
quello non è un sito penitenziario. Lei, per legge, non era
legittimato ad istituirlo. Lei, infatti, per legge era legittimato ad
istituire istituti penitenziari, non i «mostri» che lei
ha realizzato. L'idea di una accoglienza o di un sito penitenziario
fuori dalle strutture carcerarie ordinarie è legittimo: lo
prevede la legge. Il ministro istituisca altri istituti, non i
«mostri» che lei ha istituito, come risulta dal decreto,
dove lei afferma che il sito penitenziario è costituito dai
locali 6 e 7 della caserma di Bolzaneto. I locali 6 e 7 sono
esattamente affacciati sul corridoio nel quale insistono tutti gli
altri uffici della forza pubblica. Il sito penitenziario pertanto è
calato, ibridato, direi «mescolato» ad una realtà
di polizia che non ha consentito, come riferitoci dall'ispettore,
agli agenti di polizia giudiziaria di svolgere gli adempimenti
previsti per
loro dal codice (avvertire che i fermati hanno facoltà di
nominare un difensore; avvertire che hanno la facoltà di
avvertire i parenti; ).
Abbiamo ascoltato in questa sede le
dichiarazioni del comandante generale dei carabinieri, le relazioni
ispettive, lo stesso dottor Sabella, il quale ha testimoniato come
molte persone siano state in quel sito in attesa della semplice
immatricolazione per oltre venti ore, fin quasi allo scadere del
termine di legge che prevede il tempo massimo di ventiquattro ore. Se
tale realtà di confusione di compiti, di funzioni, di
attribuzioni, di allocazioni, di agenti, di Polizia penitenziaria, di
fermati, di arrestati, non ha reso effettive le garanzie elementari
che qualsiasi cittadino arrestato ha nel momento della sua massima
debolezza e quando è privo di ogni libertà di
movimento, di comunicazione, di parola e di gesti; se uno Stato
democratico non garantisce il massimo rispetto a tale persona inerme,
non è uno Stato democratico! E costituisce un campo di
concentramento, un lager, caro ministro!
Detto questo, è
emerso faticosamente, anche attraverso la relazione che lei ha
illustrato, che vi sono stati gravi episodi di violenza in quella
realtà. Ora lei ha affermato contraddittoriamente che quando
lei era presente tutto era normale e poi contemporaneamente ha
affermato di aver notato una situazione in cui le persone erano con
le mani alzate. A quel punto, poteva anche chiedere da quante ore
quelle persone erano lì. Vi sono infatti testimonianze di
persone rimaste 15 o 16 ore in quella posizione.
Allora, vorrei
capire dal ministro della giustizia italiano - ed è la domanda
-: ritiene, e si tratta di un appello accorato che le rivolgo, che
non sia stato un errore tragico l'idea di costituire al di fuori del
carcere di Marassi un istituto penitenziario ad hoc,
transitorio?
La cosa in sé, per quanto io nutra delle perplessità,
non mi rende inquieto. Mi rende inquieto il pensare che un ministro
della Repubblica italiana, di fronte all'ordinamento penitenziario,
in particolare all'articolo 14 dell'ordinamento penitenziario, che
garantisce i diritti del fermato o dell'arrestato, dinanzi agli
articoli 383 e 384 del codice di procedura penale, che prevedono gli
obblighi della polizia giudiziaria e di quella penitenziaria di
fronte agli arrestati - si tratta di altrettanti diritti che essi
hanno, quelli da me enumerati prima, e che sono stati sospesi; lei sa
che sono stati sospesi con un ordine di servizio! - non prenda
posizione. In particolare, mi riferisco al diritto di avvertire, al
diritto di procedere ai colloqui con i propri difensori.
Si è
disposto con un ordine di servizio che i colloqui si sarebbero potuti
svolgere soltanto nelle carceri di destinazione. Per tale ragione,
persone arrestate, le quali avevano diritto a colloqui con i loro
difensori, non hanno potuto averli, dal momento che è stato
sospeso tale diritto costituzionalmente garantito.
L'abbiamo
scritto insieme l'articolo 111 della Costituzione, nella passata
legislatura, con molti amici del Polo, che allora erano tutti
garantisti: l'abbiamo votato all'unanimità! Ci sono state
delle sospensioni dei diritti costituzionali in quella struttura!
Allora, chiedo al ministro se si sentirebbe, di fronte ad eventi
eccezionali, straordinari, con le esigenze segnalate dalle forze
dell'ordine, dalle autorità di pubblica di sicurezza, di
costituire dei centri penitenziari speciali, soltanto relativamente
al periodo interessato, in questo modo mostruoso, realtà nella
quale non è possibile né che la polizia giudiziaria
svolga il suo compito, né che la polizia penitenziaria possa
immatricolare con quella speditezza e con quelle garanzie che la
legge e le convenzioni internazionali richiedono. Questa è la domanda accorata che le pongo. Voglio essere garantito da un ministro della Repubblica, a prescindere... Se non sono garantito, continuerò a gridare in eterno che queste mostruosità in un ordinamento democratico non si possono fare!
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Innanzitutto, lei dice delle inesattezze, perché le ore che ha citato non risultano...
ANTONIO SODA. Risultano agli atti e dai rapporti!
PRESIDENTE. Onorevole Soda, nessuno l'ha interrotto quando lei ha parlato, la prego. Il ministro le sta dicendo che è improprio, poi le dirà perché: abbia pazienza.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Non risultano: cosa vuole che le dica? La media
che risulta da questi documenti è di quattro ore. Voi vi fate
le domande e poi vi date anche le risposte.
Riguardo alla seconda
questione, credo che molte delle critiche che lei ha rivolto a questo
ministro avrebbe dovuto rivolgere al precedente, quello che lei
sosteneva. Ripeto: io non ho trovato alcun atto formale messo a punto
dal ministro precedente riguardante la questione. Quindi, abbiamo
dovuto affrontare una emergenza.
Il fatto che questo atto sia
illegittimo questa è una sua ipotesi: gli uffici del ministero
della giustizia la pensano diversamente da lei, onorevole Soda, cosa
vuole che le dica! Io ho il conforto...
ANTONIO SODA. Lei conferma che si possono costruire questi mostri?
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Mi lasci parlare, onorevole Soda.
PRESIDENTE. Onorevole Soda, lei è intervenuto, ha detto quello che riteneva opportuno e nessuno l'ha interrotta. La invito veramente a dare al ministro la possibilità di rispondere: se vuole creare un caso, lo crei pure. Però, non mi pare che sia questo...
ANTONIO SODA. Il caso lo sta creando lui!
PRESIDENTE. Sono problemi che riguardano il ministro, credo che non debbano riguardare lei: abbia pazienza.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Mi sono appassionato alla sua esposizione. Ma mi
consenta di rispondere: lei le domande le ha fatte, mi lasci
rispondere.
Il fatto che sia illegittimo è una sua
opinione: se lo ritiene, porti avanti la sue considerazioni. Io ho il
conforto degli uffici che mi dicono invece che era legittimo. Penso
che il parere degli uffici faccia premio, in quanto credo che siano
più legittimati del suo, pur rispettabile. Quindi, mi sono
fidato del parere di legittimità datomi dagli uffici.
Premesso che ero legittimato a fare questo atto, premetto che il
ministro - non voglio esimermi dalle mie responsabilità, che
mi assumo fino a fondo -, fa evidentemente degli atti politici:
l'atto politico consiste nell'individuare un luogo di accoglimento
degli arrestati diverso dal carcere di Marassi. Io voglio
significarle, onorevole Soda, che ho passato il primo mese del mio
incarico a ricevere continuamente informative più o meno
verificate - lo ripeto ancora volta - di minacce di sommosse
all'interno dei carceri. Quindi, questa era la mia somma
preoccupazione. È chiaro, non c'è la controprova, ma
siamo sicuri che questo non sia stato il male minore? Possiamo
immaginarci...
ANTONIO SODA. Qui si sospendono le garanzie costituzionali!
PRESIDENTE. Onorevole Soda, mi scusi. Capisco che lei possa essere irritato perché non le si risponde come vorrebbe. Lasci però parlare il ministro.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Questa è democrazia: lei mi ha rivolto una domanda, mi lasci rispondere! Posso rispondere? La ringrazio per la sua magnanimità, onorevole Soda.
ANTONIO SODA. Sì, risponda alla Commissione (Il deputato Soda si allontana dall'aula)!
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Ah, lei non mi ascolta: fa le domande però
non vuole ascoltarmi. Va bene, rispondo alla Commissione.
Difendo
l'atto politico di costituire una succursale fuori dal carcere. È
chiaro, non è assolutamente auspicabile: ritengo che sia stata
una decisione eccezionale presa di fronte ad un evento che si
riteneva eccezionale, come purtroppo, alla fine, con quanto accaduto,
si è confermato. Ora, che dal punto di vista tecnico quella
non sarà la situazione ottimale, francamente non lo so perché
non sono un tecnico del DAP: se dal punto di vista tecnico ci sono
state delle manchevolezze, francamente non lo so; ripeto, sono un
politico, non sono un tecnico, quindi, non so rispondere. Ma, anche
ammesso e non concesso che ci siano state, questo è
sicuramente legato al fatto che fino al 27 giugno nessuno aveva
pensato assolutamente a come affrontare questa emergenza. Da quanto
tempo si sapeva che ci sarebbe stato il G8? Da quanto tempo si sapeva
che ci potevano essere dei problemi? Perché il Governo
precedente
non ci ha pensato? Ho trovato tabula rasa. Potrete dirmi: perché non ci hai pensato il 13 giugno, subito dopo l'insediamento? Perché, evidentemente, avevo tantissimi problemi e poi ho affrontato anche questo. Quindi, respingo assolutamente il fatto che si sia voluto fare un lager, non come traduzione di campo di concentramento, onorevole Boato: lei sa benissimo, lo ripeto, cosa vuol dire nell'immaginario collettivo, fare un lager.
MARCO BOATO. Campi di concentramento...
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Ribadisco assolutamente il mio sostegno alla polizia penitenziaria, che si è voluto in qualche modo criminalizzare. Non che ci siano responsabilità di uno o dell'altra... Tuttavia, questo è quanto sta emergendo dai media. Abbiamo tutti la volontà di fare chiarezza, tanto è vero che io, immediatamente, proprio il giorno dopo la data nella quale i giornali hanno cominciato a denunciare queste irregolarità, questi gravi fatti, ho convocato immediatamente i vertici, ho avviato una commissione e, guarda caso, vi ho letto le prime conclusioni senza censure o alcunché. Quindi, da parte nostra, la più assoluta chiarezza e trasparenza. Certo, se la domanda è: lo farà un'altra volta? È chiaro che auspico che si possano affrontare le situazioni in condizioni di normalità.
MARCO BOATO. Lei ha adesso specificato - l'ho ascoltata attentamente -, il riferimento ai media. Noi abbiamo qui migliaia di articoli pubblicati sul G8, e molti altri che non sono qui raccolti. Tuttavia, siccome lei non aveva fatto questa specificazione nella introduzione, quando dice di non criminalizzare tutta la polizia penitenziaria. Io sottoscrivo questa dichiarazione, ma credo che non ci sia nessuno in questa
Commissione, di qualunque parte politica, che non la sottoscriva:
nessuno l'ha pensa diversamente. Questo vale per la polizia
penitenziaria, per i Carabinieri, per la Polizia di Stato, per la
Guardia di finanza, per la polizia municipale e per il Corpo
forestale dello Stato (così le ho citate tutte!).
Se
stiamo svolgendo una indagine conoscitiva, lei è un esperto
parlamentare e lo sa, è perché noi indaghiamo se ci
sono state delle anomalie: non attribuiamo responsabilità, non
diamo giudizi, ma cerchiamo di conoscere i fatti, nei limiti del
possibile. Però, e su questo le chiedo fermamente, ma anche
pacatamente, una risposta, dopo la sua affermazione di criminalizzare
la polizia penitenziaria, e qui convengo, lei rispondendo alla
domanda del collega della Lega, parlando del ministero della
giustizia, ha detto, a proposito di non criminalizzare
indiscriminatamente, di aver trovato terra bruciata e qualcuno le ha
detto che probabilmente avevano anche avvelenato i pozzi. Diciamo
che, in fatto di non dare giudizi indiscriminati che coinvolgono
tutto e tutti, lei non ha dato il migliore esempio, se non altro
sotto il profilo di quella continuità istituzionale che rimane
anche nel cambiamento delle maggioranze e di Governo, che è
del tutto legittimo, in democrazia. Poi lei ha anche detto - lo
ripeto, queste cose gliele sto dicendo pacatamente -, che lei ha
firmato il decreto, ma in realtà la responsabilità
politica è del precedente Governo (questo lei ha detto e c'è
nello stenografico, potrà vederlo: l'ha ripetuto più
volte), che se ne assume la responsabilità, ma non la
responsabilità politica.
Poi, invece, nella fase più
recente dell'audizione lei ha ripetutamente detto che non vi era
nessuna decisione o iniziativa da parte del precedente ministro e che
aveva dovuto fare tutto in fretta. Leggendo il suo decreto - sul
quale adesso non mi pronuncio, perché sto facendo una
ricognizione sui
fatti - nella premessa che mi segnalava il collega Turroni, si
menzionano le note, allegate in copia, della questura del 5 luglio e
del comando dei carabinieri del 7 luglio, che indicano Bolzaneto e
Forte San Giuliano. Quindi, l'indicazione di questi due siti proviene
il 5 luglio e il 7 luglio, prima dalla Polizia e poi dai carabinieri;
dopodichè lei adotta il decreto. Dico ciò semplicemente
per rimettere le cose a posto dal punto di vista del profilo
istituzionale. Dopodiché, credo che i colleghi - e forse anche
lei, ministro Castelli, perché siamo stati colleghi - sanno
che se debbo criticare il Governo della cui maggioranza ho fatto
parte, non ho avuto in passato e non avrei oggi nessuna remora,
perché se debbo accertare la verità, quest'ultima
riguarda chiunque. Tuttavia, le chiederei un chiarimento al riguardo.
Lei ha firmato formalmente un atto politico che in realtà, di
fatto, è attribuibile al precedente Governo o il precedente
Governo nulla aveva fatto al riguardo e lei ha assunto le decisioni
nei tempi che abbiamo visto?
La seconda domanda che vorrei
rapidamente rivolgerle, senza criminalizzare nessuno, non riguarda
lei, bensì il dottor Sabella, che già abbiamo
ascoltato; vi è stata una animata audizione, tuttavia ho
cercato di dialogare anche con lui con il massimo rispetto. Non c'è
una qualche incongruenza istituzionale nell'istituire giustamente -
gliene do atto - una commissione di inchiesta (anche se formalmente
istituita dal dottor Tinebra, appena entrato nel ruolo di direttore
del DAP) di cui fa parte lo stesso principale responsabile (in senso
istituzionale) dei servizi penitenziari in occasione del G8? Se si
deve fare una commissione di inchiesta lo si audisce, lo si ascolta,
si indaga...
FILIPPO MANCUSO. Dire audito è inaudito!
MARCO BOATO... anche se è
inaudito usare la parola audire, come dice il presidente Mancuso.
Ma
chiamare a far parte della commissione di inchiesta colui che è
stato per ragioni istituzionali il principale responsabile della
gestione di quell'operazione, mi lascia qualche perplessità.
Tanto più che questo magistrato - persona di valore per come
l'ho conosciuta in questa sede per la prima volta in vita mia -
nell'immediatezza dei fatti ha svolto una relazione, inviata
all'epoca al dottor Mancuso ed a lei come ministro, da cui si
evinceva che sostanzialmente non si era verificata alcuna anomalia
dopo il primo articolo de la Repubblica.
Pochissimi giorni
dopo, lei, giustamente - gliene do atto - ordina di istituire una
commissione d'inchiesta e adesso constatiamo che le anomalie sono
numerose e - sono d'accordo - non appartengono solo al Corpo di
Polizia penitenziaria. Le responsabilità penali in questo
paese sono individuali per tutti; siamo in uno Stato di diritto e non
vi sono processi all'ingrosso nei confronti di nessuno.
Un'ulteriore
questione è legata a quest'ultima e vorrei che risultasse nel
resoconto stenografico della seduta. Il dottor Sabella nella sua
audizione si è scagliato contro chi metteva in luce eventuali
anomalie e, ad un certo punto, ha citato il dottore Ceraudo che è
il presidente dei medici penitenziari. Il dottor Ceraudo mi ha
scritto una lettera, che depositerò agli atti del Comitato,
dicendo che la sera dopo il dottor Sabella gli ha telefonato per
scusarsi di un disguido: voleva riferirsi all'infermiere. Ora, il
dottor Ceraudo è il capo del centro clinico di Pisa ed è
il presidente dei medici penitenziari italiani e, credo, anche
europei: non si può confondere in un'audizione il presidente
dei medici penitenziari con un infermiere. Voglio che risulti nel
resoconto stenografico che ho ricevuto una
lettera in cui si dice che la sera dopo l'audizione il dottor
Sabella ha telefonato al dottor Ceraudo per correggere il disguido
che vi era stato.
A lei chiedo - e concludo - se conosca la
testimonianza - forse ne ha fatto cenno in modo indiretto -
dell'infermiere in servizio a Bolzaneto ma, credo, ordinariamente
impiegato presso il carcere di Bologna, signor Marco Poggi.
Ovviamente questa non è la verità rivelata, ma una
testimonianza firmata da un operatore e non una bufala giornalistica.
Mi limito a citare solo alcune frasi, perché sono due pagine.
Egli dice: «Sin dalla sera del venerdì 20, durante la
mia permanenza a Bolzaneto, ho visto picchiare con violenza
ripetutamente i detenuti presenti con pugni, calci, schiaffi e
testate contro il muro». Il dottor Sabella ha precisato che,
invece che di testate contro il muro, si trattava di pressioni forti
della testa dei detenuti contro il muro; non ha smentito tali
affermazioni, ma ha detto che si premeva la testa contro il muro.
Inoltre, vi sono altre dichiarazioni di questo genere molto pesanti;
lo stesso dice di aver visto moltissimi agenti, ma che solo alcuni di
loro, anche se parecchi, hanno usato violenza; egli stesso si premura
di non coinvolgere tutti. Non posso leggere tutto, ma queste pagine
sono impressionanti.
Al Tg3 il 30 agosto l'infermiere ha
dichiarato «Mi sono nutrito di violenza: è il mio
mestiere» - come infermiere nelle carceri ne ha viste di tutti
i colori - «ma se dovessi dare una spiegazione del clima che ho
visto a Bolzaneto penso che in altri 52 anni» - egli ha,
infatti, questa età - «non riuscirei a darla».
Credo che tutti questi elementi non criminalizzino nessuno e non
coinvolgano a priori chi non è coinvolto a priori,
ma facciano capire la differenza fra la prima risposta nella
primissima inchiesta, sia pure non formale, che faceva ritenere
pressoché tutto normale e ciò che via via è
emerso, su cui
stiamo lavorando e su cui, per altri versi, sta lavorando l'autorità giudiziaria. Tuttavia, noi con un'altra logica vogliamo accertare i fatti: quelli che le ho citato sono alcuni fatti e le chiedo se ne sia a conoscenza.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Innanzitutto, vorrei ringraziare l'onorevole
Boato, di cui sono un vecchio collega, per la misura e la pacatezza
con cui ha esposto i suoi quesiti; credo che tutti dovremmo forse
imparare da lui.
Onorevole Boato, difficilmente - mi consenta di
fare questa battuta pro domo mea - sbaglio quando parlo.
Ricordo bene ciò che ho detto, perché l'ho letto e lo
rileggo. Riguardo al fatto di Bolzaneto, ho svolto due passaggi. Nel
primo ho ricordato che già in maggio, in una riunione
operativa riguardante il G8, era stata, tra l'altro, discussa e
predisposta la costituzione di almeno una postazione in città;
quindi, in maggio, il Governo precedente individua una postazione
fuori dal carcere di Marassi. Dunque, il Governo precedente prende
una decisione che ho detto di condividere e me ne prendo la
responsabilità, perché mi sembrava - lo ripeto - il
male minore.
Successivamente, si decise di individuare una
postazione fuori dalla città, ma ci si fermò lì.
Tuttavia, ho precisato - come ho già detto e non posso aver
sbagliato - che in data 27 giugno, quindi prima del mio decreto, ho
convocato una riunione. Tra l'altro, appresi in quell'occasione, cioè
il 27 giugno, che erano state individuate le strutture di Bolzaneto e
Forte San Giuliano come destinazioni verso le quali sarebbero stati
indirizzati i fermati. Come vede, non sono caduto assolutamente in
contraddizione: a maggio il Governo decide, visto che si terrà
il G8, di tenere tale riunione. Posso immaginare ciò, perché
si tratta di una riunione riservata e non ci sono i verbali; non sono
neanche autorizzato a dire esattamente cosa è stato detto e
neanche chi fosse presente.
Tuttavia, in quella sede viene presa tale decisione, che - lo ripeto - condivido, ma che evidentemente nasce dal precedente Governo. Quindi, tutti gli strali dell'onorevole Soda, in qualche modo, evidentemente devono essere lanciati in uguale misura a questo ministro ma anche a quello precedente. Ciò forse mi fa capire che, se da una parte o dall'altra si arriva alla stessa conclusione, forse non vi è stato questo incredibile «mostro», questo terribile lager di cui egli ha parlato e a cui si fa riferimento negli atti. Ribadisco che ho tutto il diritto di difendermi da queste accuse infamanti. Scusi se mi infervoro, ma lei sa che io faccio la politica...
MARCO BOATO. Le ho chiesto di rispondere anche sulla criminalizzazione.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Un momento, adesso ci arrivo. Quindi, ciò che lei dice corrisponde esattamente a ciò che ho detto. Il 27 giugno ho appreso dai tecnici la famosa decisione di individuare i luoghi al di fuori della città, in Bolzaneto e Forte San Giuliano. Prendo atto di ciò, condivido in linea di massima la decisione, che penso rappresenti il male minore e adotto il decreto. Come vede, tutto quadra e non c'è nessuna contraddizione.
MARCO BOATO. Si era detto che l'indicazione dei siti di Bolzaneto e Forte San Giuliano risale al 5 luglio e al 7 luglio ...
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Quella data è indicata nel provvedimento,
ma in via informale me lo hanno detto prima. Quindi, come vede tutto
quadra e non vi è stata nessuna contraddizione in ciò
che ho dichiarato.
Sono comunque lietissimo, ed uscirò
felice da qui, perché vedo che tutti hanno dichiarato di non
voler assolutamente criminalizzare le forze dell'ordine.
MARCO BOATO. Risulta da tutti gli stenografici!
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Benissimo, ne sono molto contento. Sa, ho letto un po' di verbali, ma leggendo i giornali anche oggi vi sono continuamente testimonianze di cose incredibili. Lei stesso ha parlato di «clima».
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Ha citato l'infermiere - poi ci arriverò
- che ha parlato di clima. Un conto, dunque, è dire che ci
sono stati degli episodi individuali, altro conto è parlare di
clima: sono due cose ben diverse. Un clima, infatti, è una
questione generalizzata e, probabilmente, condivisa da tutti coloro i
quali stanno in quella struttura.
Per quanto riguarda la
questione di Sabella, l'ho detto prima: voglio essere assolutamente
terzo nei confronti di questa commissione, non voglio dare il minimo
sospetto di voler in alcun modo interferire sugli esiti della
commissione. Qualsiasi cosa la commissione tiri fuori, la
pubblicherò. Poi, eventualmente, ci saranno provvedimenti da
parte dell'amministrazione e da parte della magistratura. Non è
una situazione pilatesca: mi consenta di non interferire, di non
rispondere, di dire la mia opinione, in onore della mia terzietà
verso questa commissione.
MARCO BOATO. Ma il ministro è lei: l'ha istituita lei!
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Non l'ho istituita io, ma il presidente del DAP.
KATIA ZANOTTI. La responsabilità politica, come ministro, è sua!
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Va bene, mi prendo la responsabilità
politica, però ribadisco che non voglio assolutamente
commentare. Dico solo che al suo interno non c'è una persona
sola, ma ci sono dei magistrati.
Per quanto riguarda Ceraudo, lei
ha specificato che ne ha parlato per farlo risultare agli atti, ma è
una questione tra Sabella e Ceraudo.
Sull'infermiere Poggi, del
quale non avevo citato il nome per questioni di privacy...
MARCO BOATO. Ne aveva parlato il TG3.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Non volevo essere reticente.
Le
testimonianze a cui si fa riferimento nella conclusione si basano
proprio su quelle testimonianze. Però, attenzione: in questa
sede rendo la mia testimonianza, se l'infermiere Poggi parla di
clima...
MARCO BOATO. Parla di una serie di fatti.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Sui fatti non posso intervenire, se lui dice che li ha visti...
MARCO BOATO. L'infermiere ha fatto una dichiarazione all'autorità giudiziaria, ne ha fatta una a lei...
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Non a me, alla commissione.
MARCO BOATO. Al suo Ministero.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. No, non al mio Ministero...
MARCO BOATO. Alla commissione di inchiesta istituita dal dirigente del DAP del suo Ministero, ogni tanto si prenda anche una responsabilità istituzionale!
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Me la prendo, è per la precisione dei fatti...
MARCO BOATO. In ogni caso, poi, c'è una dichiarazione televisiva in cui parla di clima preoccupante.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Allora, se parliamo di clima, io rendo questa testimonianza, e sono disponibile a renderla sotto giuramento: ho visto un clima diverso da quello.
MARCO BOATO. Lei è stato 20 minuti!
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Per quello che mi riguarda, ho visto un clima diverso.
FILIPPO MANCUSO. Intervengo
sull'ordine dei lavori. Vorrei introdurre nell'ordine intrinseco dei
lavori una nota di raffreddamento del clima. Dopo aver fatto un
richiamo alla giusta utilizzazione della lingua italiana, vorrei fare
analogo richiamo per la giusta utilizzazione della lingua tedesca,
nella quale il termine lager non ha quel valore politico che
la dolorosa esperienza di questo secolo gli attribuisce. In origine,
e nell'uso ordinario prepolitico del termine, lager nella
lingua tedesca indica «il campo da arare». Possiamo,
quindi, fare a meno di incanaglirci sull'uso di un termine che ho,
però, utilizzato nel senso suddetto di ambiente chiuso, ma non
di ambiente carcerario.
Ciò mi pare che potrebbe attenuare
anche dei sofismi che, sulla base di un'errata lettura del termine
tedesco, stanno diventando un casus belli.
PRESIDENTE. Grazie presidente Mancuso, la sua collaborazione è sempre illuminante per tutto il Comitato.
GIANNICOLA SINISI. Signor
ministro, devo svolgere una considerazione che non vuole
assolutamente essere una censura, ma trovo davvero singolare che si
parli di terra bruciata quando mancano i dirigenti, e poi di
occupazione di potere quando i dirigenti ci sono. Nel passaggio dal
Governo precedente al Governo successivo dovremmo evitare di fare
questo tipo di riferimenti per il dialogo che dobbiamo
necessariamente avere tra di noi, avendo di mira obiettivi, per
quanto riguarda le istituzioni, decisamente comuni. D'altronde credo
che lei si ricordi di me: sono quello che ha rappresentato il Governo
nella discussione che ci fu al Senato, nella scorsa legislatura,
quando c'erano dei manifestanti che sparavano con il cannone il
letame addosso ai poliziotti. Quindi, credo che abbia motivo di
ricordarmi, dato che io mi ricordo di lei, e ritengo che al di là
delle parti che di volta in volta ricopriamo, la difesa delle nostre
istituzioni debba essere un valore assoluto e condiviso.
Detto
questo, vorrei fare una precisazione: lei ha affermato che gli
scontri ci furono fin da subito. Per quanto è emerso nel corso
dei nostri lavori, gli scontri cominciarono di fatto il giorno 20: il
giorno 19 non ci fu alcuna significativa situazione, anzi, per
pacifica ed unanime affermazione, in quella giornata le
manifestazioni furono assolutamente corrette ed il rapporto con le
forze di Polizia fu straordinariamente positivo, secondo quello che
noi abbiamo apprezzato. Lei ha affermato molto correttamente: il
precedente Governo disse che era necessario istituire a Genova un
punto arrestati o fermati diverso dal carcere di Marassi e si assume,
non solo nobilmente, ma per ufficio, la responsabilità. Al di
là della questione se poi fosse corretto o meno istituirlo
dentro una caserma di Polizia - che
è la questione dibattuta, perché altra cosa sarebbe
stato istituirlo separatamente ed autonomamente - la domanda precisa
che vorrei farle è perché da un punto arrestati si
passi a due, uno a Bolzaneto per la Polizia di Stato, la Guardia di
finanza, la Polizia municipale, ed uno a Forte San Giuliano per
l'Arma dei carabinieri. Questa cosa, dagli atti, risulta
inspiegabile. Perché uno per i carabinieri e l'altro per tutto
il resto delle forze di Polizia? Questa è certamente una
decisione maturata fra il 12 giugno, quando si comincia a pronunciare
il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, e il 5
e 7 luglio, date dei suoi provvedimenti.
La seconda domanda che
vorrei rivolgerle è se lei, nella giornata di sabato,
ovviamente prima di recarsi a Marassi e poi Bolzaneto, abbia sentito
il Vicepresidente Fini.
La terza ed ultima questione è
perché, nell'intervista che lei ha rilasciato a la
Repubblica il 29 luglio 2001 non parlò affatto del carcere
di Marassi, ma soltanto della caserma di Bolzaneto.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Per quanto riguarda la prima domanda, devo dirle
che considerai che la questione fosse tecnica: dunque, non ne fui
molto impressionato. Infatti, mi fu detto che tale doveva essere la
soluzione dal punto di vista tecnico, la soluzione individuata come
la più razionale per gestire l'emergenza. Quindi, non ho
approfondito più di tanto; ribadisco, d'altra parte, che,
ormai anche dal punto di vista dell'ordinamento giuridico, il
ministro esercita un ruolo politico talché, avendomi i tecnici
chiarito che la soluzione più razionale era quella da loro
individuata...
Tra l'altro, io ho tralasciato tante altre
circostanze: infatti, si posero il problema di fronteggiare
l'eventualità che si dovessero gestire i minori, nonché
quello di gestire i feriti. Ho detto dianzi che, addirittura, si
arrivò a «prendere le staffette»,
in borghese, con le moto, al fine di individuare percorsi
alternativi dei cellulari nell'eventualità che vi fossero
stati disordini. Tanti aspetti, la cui soluzione è stata da me
lasciata agli esperti ed ai tecnici; quindi, anche riguardo a tale
questione, mi sono affidato a loro. Perciò, francamente,
ignoro, dal punto di vista puramente tecnico, perché venne
scelto anche San Giuliano.
Quanto alla seconda domanda, Fini non
l'ho sentito, assolutamente. Ripeto che si è trattato di una
decisione presa in solitudine, ma anche appositamente, al fine di
evitare che si sapesse qualcosa. Sono andato di notte, proprio in
maniera silenziosa, tant'è che, ovviamente, non avvisai
neanche la stampa (circostanza da me riferita anche successivamente)
.
Quanto alla terza domanda, devo dire che la risposta è
molto semplice. Al giornale La Repubblica interessava seguire
la questione di Bolzaneto; pertanto, volendo avere la mia
testimonianza sui fatti occorsi, mi rivolsero domande alle quali
risposi.
FRANCESCO NITTO PALMA. Signor ministro, solo per sua tranquillità, ove mai un intervento precedente gliel'avesse, in qualche modo, incrinata, devo dirle che l'articolo 386 del codice di procedura penale, che prevede una serie di prescrizioni nei confronti del soggetto arrestato o fermato, riguarda gli agenti e gli ufficiali di Polizia giudiziaria che abbiano proceduto a prendere cotali misure. Si tratta, quindi, sostanzialmente, di evenienza del tutto diversa dagli agenti di Polizia penitenziaria in fase di ufficio matricola, i quali, sicuramente, esercitano uffici di polizia amministrativa. Analogamente, mi permetta di dire che condivido pienamente l'impostazione data dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria in ordine alla possibilità di creare i siti di Bolzaneto e di San Giuliano. Infatti, come è dato leggere nel suo decreto, si tratta di siti
staccati esclusivamente per area sanitaria e per ufficio matricola
e quindi sostanzialmente per attività completamente diverse da
quelle direttamente collegate con la detenzione.
Svolta tale
premessa, che ritenevo necessaria a fronte di diverse altre
interpretazioni formulate - invero, mi si consenta, in maniera
aggressiva nei suoi riguardi - vorrei porle una sola domanda. Lei ha
detto che, quando è entrato nella struttura di Bolzaneto, si è
soffermato solo nei locali riservati alla polizia penitenziaria, il
che - gliene chiedo conferma - mi fa pensare ad una divisione della
caserma di Bolzaneto tra i vari Corpi che operavano nelle diverse
attività. Inferisco che quindi, conseguentemente, non vi era
una confusione di locali da cui potesse derivare una confusione di
ruoli e di compiti. Chiedo conferma di tale mia deduzione.
La
domanda che volevo formulare, inoltre, è questa. Lei ha detto
che nella struttura di Bolzaneto, ad un certo punto, è entrato
in una stanza dove ha visto dei soggetti in piedi, con le gambe
divaricate, appoggiate verso il muro ed un solo poliziotto o un solo
agente di Polizia penitenziaria che controllava la situazione. Mi
sembra di avere così inteso le sue parole, ministro. Dunque,
le chiedo se, a suo parere, al di là della giustificazione che
le è stata fornita, il numero delle persone presenti in quella
stanza, in piedi, con le gambe allargate, appoggiate alla parete,
fosse tale da imporre, attesa la presenza di un solo agente di
Polizia penitenziaria, un simile trattamento per ragioni di
sicurezza.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Credo abbiate questa cartina, no (Il ministro della giustizia mostra una cartina ai membri del Comitato)? Da essa si evince che, se il corridoio era comune, tuttavia, come potete vedere, non ho dovuto attraversare una zona che non fosse di mia competenza; invero, probabilmente, se avessi dovuto fare ciò, forse
avrei desistito. Lo ripeto, mi trovavo in una situazione nella quale, non avendo avvisato alcuno...
MARCO BOATO. È stato detto che lei è andato in fondo, ma che i carabinieri l'hanno fermata.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. No, no, assolutamente no. Un poliziotto era in
questa cella e dall'altra parte erano schierati i carabinieri, onde
si vedeva che non erano nostri... e allora, ho chiesto: come mai ci
sono i carabinieri? Perché è di competenza dei
carabinieri, è stata la risposta. Mi sono detto: va beh,
allora io lì non vado. Quindi, vi era una separazione netta
salvo il corridoio, in ragione del fatto che fosse comune.
Per
quanto riguarda la questione circa la mia opinione sulla sufficienza
di un solo poliziotto nel predetto contesto, devo, anche in questo
caso, far presente che non sono un tecnico; per quanto mi consta, so
che vi era un poliziotto dentro, a fronte, credo, di una decina di
ragazzi e di una ragazza. Quindi questo era, più o meno, il
numero delle persone presenti. Ancora, vorrei aggiungere - infatti,
quando ne ho parlato nell'esposizione, l'argomento mi era sembrato
superfluo ma, forse, ora, a seguito della sua domanda, non lo è
più - che dissi al poliziotto: non hai timore a stare dentro
con tutta questa gente? Mi rispose: no, perché sono lì
così...
MARCO BOATO. Signor presidente, chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Boato.
MARCO BOATO. Intervengo per far constare, se possibile, la verità. A pagina 230 del resoconto stenografico del 29 agosto, sono riportate queste parole del dottor Sabella: «Quando
il ministro ha espresso la volontà di visitare la seconda parte della struttura, i carabinieri gli si sono fatti incontro e soltanto dopo essersi assicurati della sua identità lo hanno fatto passare. Comunque, nella seconda parte... abbiamo percorso soltanto tre o quattro metri». Dunque, l'osservazione da me dianzi fatta non era frutto della mia invenzione. Il dottor Sabella ha raccontato quanto io ho letto.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Posso precisare...
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Lei sa che quando un ministro va in visita, dovunque vada, è attorniato da moltissime persone. Quindi, può darsi che il dottor Sabella abbia, forse, male inteso quanto accaduto; tuttavia, nessun carabiniere mi si è avvicinato o, almeno, io non me ne sono accorto. Però, lo ripeto, lei sa benissimo che quando un ministro si muove è attorniato da tantissime persone: alcuni che lo vogliono proteggere; altri che, magari, lo vogliono apostrofare; altri ancora lì semplicemente perché istituzionalmente tenuti ad essere presenti. Per quanto io possa ricordare, nessun carabiniere mi si è avvicinato. D'altro canto, mi sembra plausibile che ci si debba accertare dell'identità di un ministro, quando questi arriva, come di solito accade sempre, seguito dal «codazzo». Forse, ha inteso male, non lo so... io, comunque, non me ne sono accorto.
MARCO BOATO. Io le ho solo citato una dichiarazione del dottor Sabella.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Io assolutamente non me ne sono accorto. Quando mi hanno detto che
lì erano presenti i carabinieri abbiano tutti convenuto sull'opportunità di non procedere innanzi.
LUCIANO MAGNALBÒ. Non ho domande da rivolgere al ministro; potrei solamente ripetere le domande già fatte, con dovizia anche estenuante, da parte degli amici del centrosinistra. Io voglio solamente, a nome del gruppo di Alleanza nazionale, ringraziare il ministro per tutto quanto sta facendo: ella sta agendo con serietà, con serenità, con determinazione e con competenza.
SAURO TURRONI. In cauda venenum. Erano i Parti coloro i quali, ritirandosi, si giravano sempre. Io ho cercato, signor ministro, di ricostruire un attimo, tra gli argomenti da lei portati e i chiarimenti fornitici, tutta la vicenda della individuazione di queste due strutture. Lei dice che in maggio il precedente Governo di centrosinistra aveva ipotizzato, nella riunione cui ha fatto cenno, che fosse necessario individuare un'area. Il dottor Sabella ci ha poi informato, nella sua audizione, che il 12 di giugno si individuarono - questo, infatti, risulta dal verbale, a meno che non si sia sbagliato anche in quella circostanza - quelle due aree. Infatti, ci si era rivolti - così ha detto - a Polizia e Carabinieri per chiedere se vi fossero locali a disposizione, evidentemente, forse perché (almeno così io interpreto) magari, erano a conoscenza di luoghi già adatti, già predisposti e così via. Poi, ha detto che la decisione del 26 giugno era già presa e quindi vi sono le due lettere, la corrispondenza e un decreto...
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. In quale data?
SAURO TURRONI. Il 26 giugno; l'ha detto lei, il 26 giugno la decisione era già presa ed i siti individuati. Il 12 giugno, in
qualche modo, questa soluzione era già stata individuata.
Poi vi sono le due lettere del 5 e del 7 luglio da parte dei
responsabili dei due luoghi; quindi, viene presa questa decisione.
Lei dice: io mi attengo a quanto dicono le mie strutture, a
quanto dicono gli uffici.
Però io mi permetto di non
condividere e vorrei che lei ritornasse un attimo su tale questione.
Signor ministro, a me risulta che non sia possibile mettere insieme
forze dell'ordine e Plizia penitenziaria nella stessa struttura, in
luoghi dove le persone vengono recluse, perché il suo decreto,
giustamente e non può fare diversamente, sostiene che lei
istituisce un luogo a fini detentivi - la volta scorsa si è
parlato di fictio iuris, ne ha parlato il dottor Sabella, il
collega Boato e mi pare che l'espressione l'abbia usata anche il
pesidente, ma tutto ciò è irrilevante - nel quale ci
sono depositi di materiali sequestrati e in uno dei casi ci sono
stati addirittura per molto tempo dei parlamentari e lo stesso
Presidente del Cnsiglio, nello stesso immobile destinato a struttura
penitenziaria.
Ebbene, signor ministro, come in te le indagini
conoscitive,abbiamo il compito di accertare i fatti, a anche di
fornire indicazioni al Parlamento e al Governo su quelle che possono
essere in futuro le soluzioni per evitare le cose che non hanno
funzionato o che potrebbero meglio funzionare in altro modo,
rimediando con provvedimenti che il Parlamento e il Governo possono
autonomamente assumere.
Signor ministro, le chiedo che cosa
intenda fare, perché capisco che il ritardo possa indurre ad
individuare una certa soluzione, però al di là di
quello che possono aver detto gli uffici, la legge non lo consente,
le cose non sono andate del
tutto bene. Inoltre, ritengo che non sia neppure possibile
sospendere - come è stato fatto attraverso delle ordinanze -
le direttive costituzionali.
Questi fatti ci devono far ragionare
e le chiedo che cosa intenda fare a questo proposito perché
episodi di questo tipo non si riverifichino e, caso mai, si
predispongano per tempo le strutture idonee con le garanzie idonee,
perché non accada neppure che persone siano messe a mani in
alto, con la faccia verso il muro, o con la testa «accompagnata»
verso le pareti, così come ci ha riferito il dottor Sabella.
Seconda ed ultima domanda: io non voglio rifarmi a quello che le
ha già chiesto il collega Bressa, perché le ripeterei
una domanda già formulata, alla quale lei potrebbe certamente
rispondermi nello stesso modo. Tuttavia, c'è un fatto: lei
prima ha liquidato la faccenda con la storia degli operai che
lavorano in fabbrica, noi però abbiamo - perché questo
è il nostro compito, lei amministra la giustizia e noi siamo i
rappresentanti del Parlamento -il diritto-dovere di andare a vedere
quello che succede nelle carceri (a me è successo parecchie
volte), verificando sia la condizione delle guardie penitenziarie sia
quella dei detenuti. Ebbene, signor ministro, quella non era una
condizione accettabile per persone che sono state arrestate e
identificate e, quindi, quel modo di procedere non andava bene. Lei
ha sostenuto che tutto ha funzionato.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. No, legga la relazione.
SAURO TURRONI. No, no, mi scusi, stavo sintetizzando e non la sto accusando di aver detto che andava bene che la gente stesse in piedi con le gambe larghe, con la testa nel muro e via dicendo: tutto ciò è scritto negli articoli dei giornali, possono avere interpretato male il suo pensiero, nonostante
questi articoli di giornale non compaiano il giorno 29, ma anche i
giorni 27 e 28 (Corriere della sera, Il Manifesto, la Repubblica):
lei ripete coerentemente la stessa cosa, non c'era nulla di sbagliato
nel fatto che le persone stessero a mani in alto, faccia verso il
muro e gambe allargate. Ma lei ha già chiarito queste
affermazioni e io non voglio tornarci.
Tuttavia, le chiedo che
cosa intenda fare per il futuro. Per il fatto che lei abbia potuto
dire, seppure in una circostanza eccezionale, che un comportamento
del genere può essere normale, mi chiedo che cosa possa
succedere all'interno delle carceri in altre circostanze. Signor
ministro, voglio sapere cosa intenda fare perché queste cose -
pure eccezionali, ma che, al di là di quello che lei ha
dichiarato, comunque non erano accettabili - non si possano
verificare né domani né dopodomani né in
nessun'altra circostanza.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Mi fa molto piacere rispondere alle sue domande.
Innanzitutto la questione del 12 giugno si incastra precisamente
negli episodi che, dal punto vista cronologico, abbiamo ricostruito.
Proprio ieri ho organizzato una riunione con il capo del DAP per
analizzare tali questioni. È evidente che bisogna sempre
tendere all'utopia della perfezione ...(Commenti del senatore
Turroni). Se lei pensa di essere perfetto, io no; per me, dal
punto di vista umano, la perfezione è un'utopia. Comunque, mi
pare che questa sera - è una mia sensazione e non voglio
mettervi in bocca cose che non avete detto - si è forse
cominciato a ristabilire un minimo di verità: non ci sono
stati torture, maltrattamenti generalizzati e preordinati, ci possono
essere stati dei casi singoli sui quali stiamo indagando e che, se
provati, sicuramente verranno perseguiti, ma non lo devo dire io
perché lo farà prima, e in ben altri termini, la
magistratura. Intanto, non abbiamo creato
delle situazioni, non dico a bella posta ma neanche colposamente,
che avessero il carattere di generalizzata sospensione dei diritti,
ma, soprattutto, non si può parlare di situazione di tortura
generalizzata. Questo mi pare sia emerso e di ciò sono lieto.
Lei dice che le cose non sono andate tutte per il verso giusto.
Per carità, io non conosco alcuna azione umana in cui le cose
vanno tutte per il verso giusto, soprattutto se poi si agisce in
condizioni di emergenza, ma sicuramente faremo tesoro delle
esperienze fatte.
Lei dice, inoltre, che la legge non lo
consentiva; mi scusi, può darsi che fosse una fictio iuris,
però ripeto una frase molto cara a noi parlamentari, spesso la
forma è sostanza. Quindi, dal punto di vista formale, non vi è
dubbio che ci fosse separazione tra i nostri locali e quelli delle
altre forze dell'ordine: l'ho citato io, dicendo che mi sono fermato
sul limite perché il ministro della giustizia arrivava fino a
lì, dove c'era il carcere, oltre non potevo andare perché
non era più carcere. Dal punto vista formale sicuramente non
abbiamo violato la legge, spero anche non dal punto vista
sostanziale, ma posso garantire - e questo viene fuori dagli atti -
che tutte le norme regolamentari sono state rispettate, pur in
condizione di emergenza.
Ci sono stati dei momenti di
concitazione e delle attese superiori al normale. Se si afferma che
abbiamo inflitto ad alcuni fermati una eccessiva attesa in piedi,
questo è corretto: non deve più accadere, stiamo
lavorando affinché non accada, però mi fa piacere che
dal sostenere la commissione di torture generalizzate e l'esistenza
di un lager preorganizzato e preordinato .....
PIERLUIGI PETRINI. Ma chi lo ha detto !
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. ...siamo arrivati alla conclusione che abbiamo
tenuto troppo in piedi delle persone e questo non va bene (Commenti
del senatore Turroni). Ho ribadito che se ci sono stati casi
singoli (Commenti del deputato Boato).... Ebbene, andiamo a
leggere i giornali e comunque lei ha detto una cosa inesatta: le
prime denunce sono del 26, non del 27.
Andiamo a fare un
florilegio di tutto quello che è stato scritto, mettiamo
assieme tutte le testimonianze: viene fuori un quadro terrificante
totalmente, inesistente (Interruzione del deputato Boato).
PRESIDENTE. Onorevole Boato, la prego. Lei non può commentare ogni frase che pronuncia la persona audita. La invito, non so più come dirglielo, ad evitare interventi: non le compete!
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Ho anche premesso che era la mia sintesi. Le
forze di polizia, in generale, non sono state criminalizzate da
alcuno, l'avete detto tutti. Quindi, su questo siamo d'accordo e mi
fa grandissimo piacere - ripeto - e uscirò felice da
quest'aula per queste affermazioni fatte da tutti.
Abbiamo
appurato - credo che venga fuori dalla discussione di stasera - che
non c'è stato un quadro preorganizzato di violazione di
diritti costituzionali. Noi abbiamo applicato il regolamento, ciò
mi viene confermato da tutti e viene confermato anche dalla
relazione. Ci sono stati, probabilmente - e sottolineo probabilmente,
perché fino adesso non è stato provato ancora nulla (ci
sono delle testimonianze, ma occorre verificare se queste sono
attendibili) dei singoli episodi. È inutile confermare che, se
questi episodi saranno riscontrati da parte nostra, saranno adottate
le opportune misure, ma -
ribadisco - è inutile ricordare che ciò è di
competenza precipua della magistratura.
Per rispondere, infine -
repetita iuvant - al senatore Turroni, stiamo già
facendo, stiamo già pensando, stiamo già considerando
come migliorare tutto. Infatti, migliorare si può e si deve
sempre.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Soda. Ne ha facoltà.
ANTONIO SODA. Siccome il ministro ha parlato di una media di quattro ore di permanenza, rileggo la relazione del dipartimento della pubblica sicurezza, che ci è pervenuta il 6 agosto, nella quale per quanto riguarda la permanenza...
PRESIDENTE. Onorevole Soda, lei sull'ordine dei lavori può intervenire, però il ministro sta parlando e fa riferimento ad una sua relazione che ci deposita, dove gli è stato detto che la media è di quattro ore; lei cosa intende?
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Parliamo di due cose diverse, io parlo della Polizia penitenziaria e l'onorevole Soda parla di un'altra polizia, cosa c'entra? Io parlo per me, non per altri.
ANTONIO SODA. E io segnalo che in un cosiddetto sito carcerario, proprio per la commistione delle due funzioni, secondo la relazione ministeriale, a partire da sabato la permanenza - solo per quanto concerne la competenza della polizia giudiziaria - fu di 15-17 ore, a cui si debbono aggiungere tutte le ore per il trasferimento. Tra l'altro, durante tutte queste ore sono stati sospesi i diritti previsti dalle convenzioni internazionali. Sulla violazione dei diritti umani risponderete davanti alla Corte europea di giustizia.
PRESIDENTE. Onorevole Soda, va bene, va bene! Quando si interviene sull'ordine dei lavori...
ANTONIO SODA. Ringraziando il cielo, come disse il mugnaio, c'è ancora un giudice!
PRESIDENTE. Onorevole Soda,
capisco che non è sereno, e mi dispiace, perché lei è
persona equilibrata.
Voglio capire a cosa tenda questa sua
dichiarazione, essendo oggi all'ordine del giorno del Comitato
l'audizione del ministro della giustizia.
ANTONIO SODA. A contrastare l'affermazione per la quale ci sono stati...
PRESIDENTE. Ma quello che lei sta dicendo è un altro problema, è un altro problema!
ANTONIO SODA. Sono 17 più altre 15 o altre 20.
PRESIDENTE. Sì, ma se noi
poi dovessimo interpretare altre cose...
Il ministro è
venuto qui per rispondere...
ANTONIO SODA. Chi ascolta pensa anche che lì dentro la gente è stata per quattro ore!
PRESIDENTE. Credo che si sia fatto sempre riferimento alla Polizia penitenziaria. Forse lei è stato distratto e ha parlato di altro. Noi abbiamo parlato di Polizia penitenziaria.
ANTONIO SODA. No, no, sto dicendo 15-17 ore (Commenti della senatore Petrini)!
PRESIDENTE. Non è Polizia penitenziaria, senatore Petrini, l'onorevole Soda sta parlando di altro.
ANTONIO SODA. Sto parlando delle ore che vanno sommate...
PRESIDENTE. Questo lo dica in sede di discussione della relazione, non interessa al ministro che stiamo ascoltando, mi creda. Il ministro può parlare solo in riferimento...
ANTONIO SODA. Egli deve parlare dei diritti dei cittadini.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole
Soda.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Saponara. Onorevole Soda,
lei è intervenuto; consenta ora agli altri di parlare, perché
- a questo punto - mi sembrerebbe veramente un sopruso da parte sua.
MICHELE SAPONARA. Signor ministro, a nome del gruppo di Forza Italia, dissentendo evidentemente dalle affermazioni dell'onorevole Soda, la ringrazio per la sua disponibilità, per la chiarezza della sua relazione, per la linearità del suo comportamento, per il suo senso di responsabilità istituzionale e per l'umanità con cui sta affrontando il problema delle carceri e sta seguendo le vicende degli uomini di Polizia penitenziaria.
ROBERTO CASTELLI, Ministro
della giustizia. Ringrazio per le parole di sostegno che mi sono
state rivolte adesso dall'onorevole Saponara e anche prima
dall'onorevole Magnalbò. Ne ho veramente bisogno, anche dal
punto di vista umano; vi ringrazio veramente.
Consentitemi però
di ripetere - di fronte alla precisa accusa di dire delle falsità
- ciò che ho letto, non quello che ho detto, quello che ho
letto. La prima frase che ho letto è stata: «Prima di
cominciare l'esposizione dei fatti avvenuti durante i giorni del G8,
faccio una doverosa precisazione: in
questa sede mi riferirò esclusivamente alle vicende che hanno chiamato in causa direttamente le competenze del Ministero della giustizia. Quindi, soltanto a fatti sostanzialmente legati all'espletamento delle pratiche inerenti la presa in carica o la successiva traduzione nei luoghi di detenzione delle persone tratte in arresto nel corso della manifestazione di Genova.». Più chiaro di così cosa devo dire!
PRESIDENTE. Ministro, la ringrazio e le chiedo se può fornirci copia della relazione del documento al quale si è fatto riferimento.
ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Io ringrazio il Comitato.
PRESIDENTE. Ricordo che il Comitato è convocato domani, venerdì 7 settembre 2001, alle 9,30, e che l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, si riunirà preliminarmente, sempre nella giornata di domani, alle 8,30.
La seduta termina alle 20,25.