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L'Unità, 01 / 01/ 2003

di Ivan Della Mea

I suoi pudori in un mondo «svaccato»



Seppe ascoltare e imparare molto da Dario Fo. Ascoltò e imparò fino a quando non trovò una chiave tutta sua, autonoma, funzionale.
Benvenuto Signor G.
L’ho conosciuto, anni Sessanta, uomo capace di pudori in un mondo, quello dello spettacolo ma non soltanto quello dello spettacolo, assai meno svaccato e insulso di quanto sia oggi: e comunque troppo per Giorgio Gaber. In quel mondo lui si ritagliò un proprio spazio per raccontare, per proporre, per ragionare adottando, io credo, più il fioretto dell’ironia che l’accetta della satira. Cionondimeno era capace d’indignazioni che lo portavano al limite dell’insulto cosmico. Di quando in quando tra gli ammiccamenti irridenti del Signor G. intravvedevi la grida liberata e dissacratoria d’ogni potere piccolo o grande che fosse del libertario, dell’anarchico e anche, questo penso e credo fermamente, dell’uomo abbastanza solo.
Ci conoscemmo nel triassico alle Messaggerie musicali in Galleria a Milano.
Aveva ascoltato una mia canzone El mè gatt e mi suggerì di smussare degli spigoli a suo giudizio un po’ troppo vivi del tipo “mi a pesciat ghe sccepi ‘l de drèe-io a pedate gli rompo il didietro”: non mi convinse e non accettai il consiglio.
Non ho condiviso molte delle sue canzoni. In particolare, cito il titolo a memoria, Io se fossi Dio… e non so se la “d” di Gaber fosse maiuscola o minuscola. Era una canzone-invettiva; tirava fendenti di durlindana a destra e a manca epperò m’infastidiva quel suo picchiare duro in versi e musica standosene “coverto” in campagna: trovai il modo per farglielo sapere e continuammo a rispettarci.
Ora Giorgio Gaber ci lascia. Oltre a perdere un grandissimo artista-artigiano della canzone e dello spettacolo perdiamo anche una persona che ha saputo attraversare il suo mondo e la sua vita con grande intelligenza e grande educazione: sto parlando di perle, di rarità assolute.
Ciao Giorgio




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