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Rocker impegnati, sepolcri imbiancati |
Diamanda, Galas, in Italia il 13 giugno, presenterà la prima di Defixiones, Will and Testament, lancinante meditazione sul genocidio delle popolazioni armene, assire e greche perpetrato dai turchi in Asia minore, nel Ponto e in Tracia fra il 1914 e il 1923. Un lavoro potente e straziante, da affrontare con attenzione e la giusta predisposizione. Diamanda, cosa dobbiamo aspettarci? Sul palco ci sarò io. E il mio pianoforte, più qualche nastro registrato e un po' d'elettronica. Forse dei visuals. Vi avverto: non sarà il tipico recital confidenziale piano e voce. Lo avevamo intuito. A proposito: ha scelto un tema scomodo e inusuale. Nessun problema? In certi paesi non vogliono saperne di me e del mio spettacolo. Ma chi se ne frega: io dovevo dar voce a questa tragica storia. A un genocidio che tutti vogliono far cadere nell'oblio, per questioni diplomatiche e d'interesse. Una questione, del resto, ancora attualissima: per esempio ora in Iraq c'è una piccola comunità assira che rischia di venire schiacciata e annientata totalmente. Ma nessuno ne sa niente e a nessuno importa niente. Cosa l'ha spinta a un simile cimento? Una missione di verità. Vede, le canzoni possono anche divertire e intrattenere, ma quando creo opere come Plague Mass, Vena Cava o, appunto, Defixiones è diverso. Per me diventa quasi una religione. O una questione politica. Quanto ci ha lavorato? Cinque/sei anni. Ho ricercato a lungo scritti, poesie e documenti che ben rappresentassero quello di cui volevo parlare. Un altro momento importante è stato l'impegno sulla pronuncia: canto in 14 lingue diverse e non è stato proprio uno scherzo. E, poi, ho scritto un sacco di mio materiale. Ma sa quel è stato il vero problema? Tirare avanti giorno per giorno, pagarmi l'affitto e cose del genere. Perché non c'è un fottuto discografico che ti paga uno straccio d'anticipo. E come se l'è cavata? Mi sono mantenuta coi concerti. Per fortuna ho un buon zoccolo duro di fedelissimi, tanti proprio in Italia. Mi hanno chiamato spesso da voi, potrei quasi chiedere la nazionalità. I soldi degli italiani, quindi, mi hanno aiutato a pagare l'affitto e, indirettamente, a creare Defixiones. Perciò me lo lasci dire: amo l'Italia. La gente, il cibo, l'atmosfera, il pubblico, persino gli hotel. Ma quel è, in fondo, il messaggio di Defixiones? Svegliare le coscienze e raccontare la verità, con la speranza che certi orrori non si verifichino più. Anche se c'è poco da essere ottimisti: si sa, la storia è fatta dagli uomini e gli uomini tendono a ripetere gli stessi errori. Non imparano mai dalle lezioni del passato. Magari leggono, sono informati, ma non apprendono. La gente dimentica troppo velocemente il male, il dolore. Lo cancella, non ci crede nemmeno più. Lei pare lontano mille miglia da showbiz e simili amenità... Oh, sì. Non c'entro proprio. Ma quello che mi dà più fastidio sono le rockstar impegnate nel sociale, che vanno alle conferenze, ai meeting, parlano di politica e si fanno belli. Mi viene da vomitare. Gente che guadagna miliardi ed è compromessa col business più imperialista e, magari, si fa sponsorizzare da aziende che sfruttano i paesi più poveri. Fanno dischi, prendono i soldi e, poi, si permettono pure di predicare. Li manderei tutti a quel paese, massa di ipocriti. Certe rockstar si comportano proprio come i politici: vanno a caccia di voti, lanciano proclami perché vogliono che la gente li ami. Un sogno per il futuro? Rappresentare Defixiones in Turchia? So che sarà difficilissimo, ma so anche che ci sono un sacco di studenti turchi che già sanno la verità e sono d'accordo con me. Altri che vorrebbero conoscerla e altri che si rifiutano. Perché offuscati da certi schifosi organi di propaganda che negano la realtà. Purtroppo siamo subissati di bugie in ogni parte del mondo, in Turchia come in America. A proposito: come va da voi in Italia? Intervista di Diego Perugini L'UNITA' 09/07/2004 |
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