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GABRIELLA GAROFALO |
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Nota biografica. Gabriella Garofalo, nata a Foggia nel 1956, vive a Milano.
E presente nelle antologie:
Ha pubblicato:
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Di quanta luce hai fame e sete, grembo, per dar parola ad anima che insieme a te disperde - ma non posso aiutarti, prigioniera di carceri di cielo, di ossessione se in azzardo non leva desiderio e solo arranca schivato da mia luna che anoressica rigetta per l'eterno offerta di tuo pane, esistenza, se per l'eterno insisti e non la cedi.
Persefone nuda nellombra luminosa, alberi pronti al desiderio sconosciuto, notte, groviglio che tutta mi pervade mentre traccia lanima sullombra strani segni e il grembo da altri grembi si nasconde nutrendosi di attesa che infine poi si levi quel dio lieve di vento e di ricerca.
enorme minotauro che mi esigi: c'è erba nel mio grembo anima nel cielo e poco importa se il corpo che io cerco di altro sazia mio cibo dispregiando- un dio lieve di vento e la parola infine leveranno a quel mio cielo nel verde più intenso saziando sete dei loro sguardi nel mio grembo.
di corpo e desiderio progenie di altro seme, anima, sarà tua vera vita: sia solo seme seme d'infinito a penetrare mia terra nel profondo e se a gramigna seme tu sei terra- ebbene, a voi sia infine morte, a voi, mio corpo e grembo.
né acqua che disseta né erba che nutre mi possieda, ma disfreno di stelle mia ossessione - e l'anima poi renderti, mio Eterno, moneta senza più valore impervia mia roccia che mio grembo eterna mi discerpa e quel mio sguardo.
né nascita né amore livido cielo l'anima nel grembo io non posso seguirti mentre scrodi da nuda roccia di peccato e levi il cielo redimere di stelle - io non posso, Padre, fin da quando a quella roccia mi affissi di altre stelle che a volere di anima e del grembo, Padre, non si cercarono redente.
tua Morte più di luce più ancora di luce di altri cieli: se leva il desiderio e trasfigura non più storpia che arranca la tua luce nell'assurdo che luce inverandosi rinasce: sarai fecondo campo di silenzio dove soltanto il Padre nel suo segno darà più vera forma a recondito senso di ogni grembo.
a te, Dio Padre, l'ombra luminosa se dei luoghi la forza sconosciuta sfrena più intensa perde la sua luce di altra luce a sfregio poi s'incarna. Pure, non ceda l'anima e rimanga, Padre di Assurdo accanto a te rimanga, così stella che cielo non intende, ma di sua luce tutta ama quel cielo e a nero non leva né abbandono.
Anima, da rigetto di luna infuocata, da eterna guerra grembo nel tuo grembo fermati, se davvero desideri trovarlo, là dove ingenerata corre senza fine acqua che leva placare la tua sete né gratitudine le importa né si cura se in te leva in eterno al desiderio stolta tua luna per giacersi al cielo.
Dell'oscuro morbo che t'inserra, anima, tu vivi e ripensi quando di snelle caviglie e blu-cobalto avida ti gettavi bevendo da immenso mare d'erba che coglievi - ma un dio sorse dagli Inferi di nero materiato di nero e invidia per quel blu-cobalto tua erba depredando e quel tuo grembo: cibo il suo stupro eterno ti possiede - ma quel vento, anima, ricorda quel vento amante di chiome tue caviglie quell'acqua che rinnega la tua sete quel vento e la parola per l'eterno ad altri dei si levano gettandoti: accanto a te perché alla tua esistenza a lei persino renda quel tuo nome - di sconosciuto e più lontano seme.
tuo nero abitato da quel grembo che grembo non possiede, ma in eterno leva a vortice di fame e nutrimento sazietà e mai saziata sete: Dio, mio Dio, mancanza che incalzando preme un'estate di luce in svendita: la sua merce non m'incanta, mi rigetta dinganno e sue certezze.
Perché fede prestai ad aspra tua contesa, anima, di grembo con il grembo ora in eterno muori disseccata se verde desiderio che ad albero di vita ti teneva recise per l'eterno luce adirata, unica risposta di quel Padre di astri e di comete - di colpo solo stelle raggelate implacato diniego che si leva perché tu non rinasca di altre foglie altro verde intatto grembo - intatto quel grembo che non sente ospite negarsi da altro grembo.
non più da altro grembo disperso più fredda luce infine ti raccoglie forse darà suo frutto quel tuo seme braccata preda di una guerra eterna tra cuore aspro di lava, pietra ustoria, nero che invade penetrando ogni spazio ogni crepa di mia mente - mia implacata dracena, depressione.
o stella che ti guidi, ma parla, parla eterna alla tormenta, a lampo grigio-ardesia che brusco fende il cielo se tempesta fu l'ultima sua spinta e grigio-ardesia grembo che ti perse - di ogni madre il grembo a tradimento getta sua luce e frutto ad avide mani di esistenza perché sia salvo il grembo perché sepolta resti nel suo nero eterna colpa: consentire a creato che in dissenno eterno leva e sfranto grembo levando ti discerpa eterno.
la pelle intatto alabastro che si nega - ma tu, acqua di esistenza, solo rendi mio fuoco alto che leva più ancora famelico ed intenso ai muri prende a case e chiome impervie di slancio si leva fino al cielo in tenace speranza di saziarsi: e se altro cibo, Padre, non bastasse, non fermerà cercare nel tuo grembo.
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