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GABRIELLA GAROFALO


Nota biografica.

Gabriella Garofalo, nata a Foggia nel 1956, vive a Milano.


E’ presente nelle antologie:

  • Il volto e la scena, Edizioni Anterem,Verona 1985

  • La scrittura oltre la scrittura, Franco Cesati Editore, Firenze 1990.


Ha pubblicato:


  • la plaquette Lo sguardo di Orfeo, Franco Cesati Editore, Firenze 1989

  • la raccolta di versi L’inverno di vetro, Edizioni dell’Arco, Milano 1995.

POESIE IN LETTURA

Di quanta luce hai fame e sete, grembo

Persefone nuda nell’ombra luminosa

E non dimenticare

Non per volere di sangue

Non luce che riscalda

Abrasa da seme che non vive

Respira luce, anima, vivendo

La vita negli occhi

Anima da rigetto di luna infuocata

Dell'oscuro morbo che t'inserra

Anima, nasconditi nel buio

Perché fede prestai ad aspra tua contesa

Mio grembo solo quando

Anima, tu non possiedi segno

Inospite il grembo





















Di quanta luce hai fame e sete, grembo,

per dar parola ad anima

che insieme a te disperde -

ma non posso aiutarti, prigioniera

di carceri di cielo, di ossessione

se in azzardo non leva desiderio

e solo arranca

schivato da mia luna

che anoressica rigetta per l'eterno

offerta di tuo pane, esistenza,

se per l'eterno insisti

e non la cedi.










































Persefone nuda nell’ombra luminosa,

alberi pronti al desiderio sconosciuto,

notte, groviglio che tutta mi pervade

mentre traccia l’anima sull’ombra

strani segni e il grembo

da altri grembi si nasconde

nutrendosi di attesa

che infine poi si levi

quel dio lieve di vento e di ricerca.































E non dimenticare,

enorme minotauro che mi esigi:

c'è erba nel mio grembo

anima nel cielo

e poco importa se il corpo che io cerco

di altro sazia mio cibo dispregiando-

un dio lieve di vento e la parola

infine leveranno a quel mio cielo

nel verde più intenso saziando

sete dei loro sguardi

nel mio grembo.









































Non per volere di sangue

di corpo e desiderio progenie di altro seme,

anima, sarà tua vera vita:

sia solo seme seme d'infinito

a penetrare mia terra nel profondo

e se a gramigna seme tu sei terra-

ebbene, a voi sia infine morte,

a voi, mio corpo e grembo.















































Non luce che riscalda

né acqua che disseta

né erba che nutre mi possieda,

ma disfreno di stelle mia ossessione -

e l'anima poi renderti, mio Eterno,

moneta senza più valore

impervia mia roccia che mio grembo

eterna mi discerpa e quel mio sguardo.


























Abrasa da seme che non vive

né nascita né amore

livido cielo l'anima nel grembo

io non posso seguirti mentre scrodi

da nuda roccia di peccato

e levi il cielo redimere di stelle -

io non posso, Padre, fin da quando

a quella roccia mi affissi di altre stelle

che a volere di anima e del grembo,

Padre, non si cercarono redente.









































Respira luce, anima, vivendo

tua Morte più di luce

più ancora di luce di altri cieli:

se leva il desiderio e trasfigura

non più storpia che arranca la tua luce

nell'assurdo che luce inverandosi

rinasce:

sarai fecondo campo di silenzio

dove soltanto il Padre nel suo segno

darà più vera forma

a recondito senso di ogni grembo.


















La vita negli occhi

a te, Dio Padre, l'ombra luminosa

se dei luoghi la forza sconosciuta

sfrena più intensa perde la sua luce

di altra luce a sfregio poi s'incarna.

Pure, non ceda l'anima e rimanga,

Padre di Assurdo accanto a te rimanga,

così stella che cielo non intende,

ma di sua luce tutta ama quel cielo

e a nero non leva

né abbandono.

















Anima, da rigetto di luna infuocata,

da eterna guerra grembo nel tuo grembo

fermati, se davvero desideri trovarlo,

là dove ingenerata corre senza fine

acqua che leva placare la tua sete

né gratitudine le importa né si cura

se in te leva in eterno al desiderio

stolta tua luna per giacersi al cielo.




















Dell'oscuro morbo che t'inserra,

anima, tu vivi e ripensi

quando di snelle caviglie e blu-cobalto

avida ti gettavi bevendo

da immenso mare d'erba che coglievi -

ma un dio sorse dagli Inferi

di nero materiato

di nero e invidia per quel blu-cobalto

tua erba depredando e quel tuo grembo:

cibo il suo stupro eterno ti possiede -

ma quel vento, anima, ricorda

quel vento amante di chiome tue caviglie

quell'acqua che rinnega la tua sete

quel vento e la parola per l'eterno

ad altri dei si levano gettandoti:

accanto a te perché alla tua esistenza

a lei persino renda quel tuo nome -

di sconosciuto e più lontano seme.















Anima, nasconditi nel buio,

tuo nero abitato da quel grembo

che grembo non possiede, ma in eterno

leva a vortice di fame e nutrimento

sazietà e mai saziata sete:

Dio, mio Dio, mancanza

che incalzando preme

un'estate di luce in svendita:

la sua merce non m'incanta,

mi rigetta d’inganno

e sue certezze.

















Perché fede prestai ad aspra tua contesa,

anima, di grembo con il grembo

ora in eterno muori disseccata

se verde desiderio

che ad albero di vita ti teneva

recise per l'eterno

luce adirata, unica risposta

di quel Padre di astri e di comete -

di colpo solo stelle raggelate

implacato diniego che si leva

perché tu non rinasca

di altre foglie altro verde intatto grembo -

intatto quel grembo che non sente

ospite negarsi da altro grembo.

















Mio grembo, solo quando

non più da altro grembo disperso

più fredda luce infine ti raccoglie

forse darà suo frutto quel tuo seme

braccata preda di una guerra eterna

tra cuore aspro di lava, pietra ustoria,

nero che invade penetrando

ogni spazio ogni crepa di mia mente -

mia implacata dracena,

depressione.


















Anima, tu non possiedi segno

o stella che ti guidi,

ma parla, parla eterna

alla tormenta, a lampo grigio-ardesia

che brusco fende il cielo

se tempesta fu l'ultima sua spinta

e grigio-ardesia grembo che ti perse -

di ogni madre il grembo a tradimento

getta sua luce e frutto

ad avide mani di esistenza

perché sia salvo il grembo

perché sepolta resti nel suo nero

eterna colpa:

consentire a creato che in dissenno

eterno leva e sfranto grembo

levando ti discerpa eterno.



















Inospite il grembo,

la pelle intatto alabastro che si nega -

ma tu, acqua di esistenza, solo rendi

mio fuoco alto che leva

più ancora famelico ed intenso

ai muri prende a case e chiome impervie

di slancio si leva fino al cielo

in tenace speranza di saziarsi:

e se altro cibo, Padre, non bastasse,

non fermerà cercare nel tuo grembo.





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