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La saga dei liguri di Rosario |
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Rosario. A prua del veliero a tre alberi con le insegne della Marina Sarda un giovane uomo vestito di nero osservava la linea della costa, il litorale spopolato. La traversata oceanica era durata due mesi e mezzo, tra noiose bonacce e rovinose tempeste. Ma infine, come Iddio aveva voluto, la meta era stata raggiunta. Il vascello accostò alla riva, gettò l'ancora e i passeggeri sbarcarono sulla terra deserta, vergine, intatta. L'uomo vestito di nero sospirò: cominciava una nuova vita, in un altro mondo, sconosciuto e carico di promesse. Possiamo immaginare così
l'arrivo di un emigrante ligure sulla sponda di destra del rio
Paranà, trecento chilometri a nord-ovest di Buenos Aires.
Era il 1843. In quelle lande pressoché spopolate (salvo un
nucleo abitato fondato nel 1730 da sudditi spagnoli e battezzato
Capilla del Rosario) nei decenni successivi si sarebbe sviluppata
una città operosa e un porto attivissimo. Santiago Pinasco fondò nella zona di Rosario un cantiere navale con due soci e inaugurò un servizio di lance sul Rio Paranà, dedicandosi anche all'importazione di forniture navali, in particolare petrolio, cibo e bevande. La ditta arrivò ad avere rappresentanti in ogni angolo del mondo. Nel 1868 Pinasco si ritirò dagli affari, a soli 52 anni, e tornò in Italia, dove si dedicò all'armamento, acquistando e facendo navigare due bastimenti, il brigantino Pinasco Padre e la Parentela. Morì nel 1903, a 87 anni. I destini delle famiglie
Castagnino e Pinasco in Argentina erano ormai strettamente legati
fra loro e lo sarebbero rimasti per sempre, con addentellati
anche nelle province di Buenos Aires, Mendoza e nella campagna di
Entre Rios, a nord-est di Rosario: la Mesopotamia argentina.
Giovanni (Juan) Castagnino morì nel 1873, la moglie Rosa
gli sopravvisse fino al 1909. Don Juan Manuel Castagnino,
vicino agli ottant'anni, conserva una forte carica vitale e il
gusto della rievocazione. La sua bella casa carica di ricordi non
è lontana dall'abitazione in cui visse, ragazzo, Ernesto
"Che" Guevara, che nacque proprio a Rosario. Accanto a
lui la nipote, Lucrecia Escudero Castagnino, laurea al Dams di
Bologna con Umberto Eco, insegnante alla Sorbona di Parigi.
Sarebbe sbagliato immaginare che gli italiani e i liguri
abbiano costruito Rosario - dice don Manuel - il piccolo
villaggio battezzato Capilla del Rosario venne tirato su nel 1730
da un gruppo di cittadini ispanici fedeli al re di Spagna. Le
terre dell'America del Sud sotto la corona spagnola non erano
colonie, ma le cosiddette Indie Occidentali. Le invasioni
napoleoniche della Spagna (1804-1806) e le invasioni inglesi a
Buenos Aires e Montevideo crearono i presupposti affinché
la popolazione locale prendesse coscienza di sé e
ricercasse soluzioni politiche autonome, politiche ed economiche.
L'indipendenza nazionale ne è lo sbocco naturale e nasce
proprio nelle terre sul rio de La Plata. La rivoluzione del
maggio 1810 porta alla indipendenza argentina nel 1816.
L'eroe argentino di quell'epopea fu Manuel Belgrano, i cui
genitori erano emigrati da Oneglia. I liguri, uomini di mare e commercianti, vi convergono in gran numero, attirati anche dai racconti entusiasti raccolti dai naviganti di ritono che, sbarcati a Genova, raccontano meraviglie della nuova terra. Il rio Paranà diventa il canale d'acqua usato per risalire fino al Brasile, spiega don Castagnino. Nella pampa i pascoli ricchi d'acqua consentono l'allevamento di bovini e cavalli. Si lavora il cuoio e si coltivano i cereali usati per l'alimentazione animale. E' una vita austera, quella dei bovari delle pampas, una sorta di Far West argentino dove all'occorrenza si lascia la parola alle armi. Dopo la dichiarazione
d'Indipendenza gli stranieri (italiani compresi) ebbero accesso
al Rio de La Plata, prima interdetto. Il 27 febbraio 1812
Belgrano creò a Rosario la bandiera argentina, evento
ricordato con un maestoso monumento celebrativo. Soltanto nel
1852 il nucleo abitato venne elevato per legge al rango di città.
La costruzione del porto commerciale di Rosario comincia nel
1912. I fondali vengono dragati e ulteriormente abbassati per
poter accogliere le moderne navi in ferro. L'Argentina è dunque L'Eldorado per molti cittadini europei. In quegli anni in Liguria si diffonde il detto: Ricco come un argentino, alludendo a quanti sono rientrati in patria carichi di denaro. Gli avi di Castagnino hanno lasciato segni profondi e duratori nel tessuto sociale ed economico della città. Il nonno, Josè Castagnino, è il primogenito di quel Giovanni (Juan) Castagnino di Lavagna che vedemmo sbarcare sulle rive del Rio Paranà nel lontano 1843. Nasce nel 1853 a Rosario, primo di tre figli. Sposa Rosa Lucrezia Tiscornia Calcagnino, originaria di Lavagna. E' un uomo di larghe visioni e di enorme iniziativa. Con i fratelli fonda l'ospedale italiano Giuseppe Garibaldi e la Società Rurale, che riunisce gli allevatori, la Borsa del Commercio e il Jockey club, nel parco dell'Indipendenza, col primo galoppatoio in Rosario. Il circolo oggi ha cinquemila soci, un country club di 40 ettari dove si gioca a calcio, a polo, a rugby, a tennis, si monta a cavallo e si nuota in cinque piscine. Nel 1896 fece costruire il primo edificio a più piani della città, al 1108 di Maypu y San Juan, progetto dell'architetto Italo Meliga. Alla fine del secolo XIX° mio nonno acquistò un'azienda agricola. Aveva capito che il porto di Buenos Aires, più vicino al mare aperto, sarebbe diventato un approdo più conveniente di Rosario per le merci di importazione. Quindi diversificò le sue attività. Campo Las Hermanas, a 200 Km. da Rosario, si estende per mille ettari. l'estancia Santa Lucia addirittura per 13mila ettari. Alla morte della moglie Rosa, avvenuta nel 1939, la fortuna terriera accumulata da mio nonno era la settima di tutta l'Argentina. Don Juan Manuel racconta che cent'anni fa Rosario ospitava la più grande borsa agricola del Subcontinente, l'equivalente della borsa di Chicago negli Usa. Ancora all'epoca della II° guerra mondiale il prezzo delle granaglie veniva fissato fra Chicago e Rosario. La moglie Rosa aveva dato a
Josè Castagnino undici figli, il più giovane dei
quali, Manuel (nato nel 1902, morto nel 1981), era il padre del
nostro interlocutore. Mio padre per sei anni, dal 1939 al
1945 fu assessore alla cultura della città di Rosario. Al
fratello maggiore Juan Bautista, esperto e collezionista d'arte,
è intitolato il Museo de Bellas Artes di Rosario. In una delle visite genovesi, il professor Guasoni ha scoperto di avere un cugino. Sua nonna era sorella di nonno Santiago. Si chiama Nicola Boletto, ha 80 anni, vive a Chiavari e di mio nonno sa molto più di me, lo conobbe ragazzo quando studiò a Genova. Sa ad esempio che introdusse a Rosario i primi tramvai elettrici. La Grande Depressione degli anni Trenta gli costò una fortuna, ma il nonno pagò tutti i debiti: il nome era più importante dei soldi. Ecco qual era la cultura di allora. Renzo Parodi IL SECOLO XIX 17/05/2005 Gian Paolo Carrea aveva 23 anni quando decise che Genova e l'Italia gli stavano strette. Fece i bagagli, lasciò il lavoro all'Hotel Savoia e s'imbarcò per l'Argentina. Era il 1961. In verità c'era di mezzo anche una giovane argentina che aveva conosciuto in albergo (era una cliente). La seguì fino a Buenos Aires e la sposò. Ebbero due figli ma il matrimonio non resse. Carrea si separò dalla moglie e si spostò a Rosario, dove aveva trovato un posto di direttore di albergo. Un paio di anni fa è approdato alla pensione. Nel frattempo si era risposato con una ragazza argentina, Teresita, che gli ha dato una figlia, Clarisa. A Genova sono rimaste l'anziana madre e la sorella. Oggi Juan Pablo Carrea gioca a golf al Jockey Club, tiene i contatti fra la colonia ligure di Rosario e la madrepatria, e ci ha introdotto ai segreti della terza città argentina per numero di abitanti (1,2 milioni) dopo Buenos Aires e Cordoba. |
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