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La saga dei liguri di Rosario

Rosario. A prua del veliero a tre alberi con le insegne della Marina Sarda un giovane uomo vestito di nero osservava la linea della costa, il litorale spopolato. La traversata oceanica era durata due mesi e mezzo, tra noiose bonacce e rovinose tempeste. Ma infine, come Iddio aveva voluto, la meta era stata raggiunta. Il vascello accostò alla riva, gettò l'ancora e i passeggeri sbarcarono sulla terra deserta, vergine, intatta. L'uomo vestito di nero sospirò: cominciava una nuova vita, in un altro mondo, sconosciuto e carico di promesse.

Possiamo immaginare così l'arrivo di un emigrante ligure sulla sponda di destra del rio Paranà, trecento chilometri a nord-ovest di Buenos Aires. Era il 1843. In quelle lande pressoché spopolate (salvo un nucleo abitato fondato nel 1730 da sudditi spagnoli e battezzato Capilla del Rosario) nei decenni successivi si sarebbe sviluppata una città operosa e un porto attivissimo.
L'uomo vestito di nero si chiamava Giovanni Castagnino, era nato nel 1813 a Lavagna. Sei anni dopo, ormai diventato Josè, sposò la cugina prima Angela Castagnino Landò, sorella di Rosa e di Giuseppe (Josè) Castagnino Landò. Nel 1860 Josè Castagnino fece società con un altro immigrato dalla riviera ligure di Levante, Giacomo (Santiago) Pinasco, che prima di emigrare nel 1845 aveva sposato la sorella di Josè Castagnino, Rosa. Anche Santiago Pinasco era nato a Lavagna, nel 1816, e si era trasferito nella zona di Rosario nel 1845. Proveniva da una famiglia genovese di nobile lignaggio che risaliva all'Alto Medioevo e si era arricchita col commercio marittimo.

Santiago Pinasco fondò nella zona di Rosario un cantiere navale con due soci e inaugurò un servizio di lance sul Rio Paranà, dedicandosi anche all'importazione di forniture navali, in particolare petrolio, cibo e bevande. La ditta arrivò ad avere rappresentanti in ogni angolo del mondo. Nel 1868 Pinasco si ritirò dagli affari, a soli 52 anni, e tornò in Italia, dove si dedicò all'armamento, acquistando e facendo navigare due bastimenti, il brigantino Pinasco Padre e la Parentela. Morì nel 1903, a 87 anni.

I destini delle famiglie Castagnino e Pinasco in Argentina erano ormai strettamente legati fra loro e lo sarebbero rimasti per sempre, con addentellati anche nelle province di Buenos Aires, Mendoza e nella campagna di Entre Rios, a nord-est di Rosario: la Mesopotamia argentina. Giovanni (Juan) Castagnino morì nel 1873, la moglie Rosa gli sopravvisse fino al 1909.
Gli ultimi discendenti di queste due famiglie sono don Juan Manuel Castagnino e don Santiago Guasoni (per i Pinasco), che con cordialità e calore hanno ricevuto l'inviato del "Secolo XIX" nelle loro residenze di Rosario.

Don Juan Manuel Castagnino, vicino agli ottant'anni, conserva una forte carica vitale e il gusto della rievocazione. La sua bella casa carica di ricordi non è lontana dall'abitazione in cui visse, ragazzo, Ernesto "Che" Guevara, che nacque proprio a Rosario. Accanto a lui la nipote, Lucrecia Escudero Castagnino, laurea al Dams di Bologna con Umberto Eco, insegnante alla Sorbona di Parigi. “Sarebbe sbagliato immaginare che gli italiani e i liguri abbiano costruito Rosario - dice don Manuel - il piccolo villaggio battezzato Capilla del Rosario venne tirato su nel 1730 da un gruppo di cittadini ispanici fedeli al re di Spagna. Le terre dell'America del Sud sotto la corona spagnola non erano colonie, ma le cosiddette Indie Occidentali. Le invasioni napoleoniche della Spagna (1804-1806) e le invasioni inglesi a Buenos Aires e Montevideo crearono i presupposti affinché la popolazione locale prendesse coscienza di sé e ricercasse soluzioni politiche autonome, politiche ed economiche. L'indipendenza nazionale ne è lo sbocco naturale e nasce proprio nelle terre sul rio de La Plata. La rivoluzione del maggio 1810 porta alla indipendenza argentina nel 1816”. L'eroe argentino di quell'epopea fu Manuel Belgrano, i cui genitori erano emigrati da Oneglia.
Quattro dei dieci membri del primo governo patrio, nel 1810, erano di origine italiana: i liguri Manuel Belgrano e Antonio Beruti, il veneziano Juan Josè Castelli e il fiorentino Manuel Alberti. La dichiarazione d'indipendenza (9 luglio 1816) spalanca definitivamente le porte all'immigrazione, prima sottoposta a pesanti vincoli. La zona di Rosario è uno dei centri verso cui convergono gli italiani e i liguri perché gode di una favorevolissima posizione geografica, nel tratto finale del rio Paranà. Le sponde sono basse e facilmente accessibili via terra (servite oltrettutto da una campagna fertilissima), i fondali molto profondi e adatti ad accogliere anche navi di notevole tonnellaggio.

I liguri, uomini di mare e commercianti, vi convergono in gran numero, attirati anche dai racconti entusiasti raccolti dai naviganti di ritono che, sbarcati a Genova, raccontano meraviglie della nuova terra. “Il rio Paranà diventa il canale d'acqua usato per risalire fino al Brasile”, spiega don Castagnino. Nella pampa i pascoli ricchi d'acqua consentono l'allevamento di bovini e cavalli. Si lavora il cuoio e si coltivano i cereali usati per l'alimentazione animale. E' una vita austera, quella dei bovari delle pampas, una sorta di Far West argentino dove all'occorrenza si lascia la parola alle armi.

Dopo la dichiarazione d'Indipendenza gli stranieri (italiani compresi) ebbero accesso al Rio de La Plata, prima interdetto. Il 27 febbraio 1812 Belgrano creò a Rosario la bandiera argentina, evento ricordato con un maestoso monumento celebrativo. Soltanto nel 1852 il nucleo abitato venne elevato per legge al rango di città. La costruzione del porto commerciale di Rosario comincia nel 1912. I fondali vengono dragati e ulteriormente abbassati per poter accogliere le moderne navi in ferro.
Assieme a Rosario, Buenos Aires e Santa Fé (capitale della provincia) diventano i massimi poli di attrazione per gente che fugge dalla miseria contadina delle vallate liguri e dall'occhiuta prepotenza della polizia piemontese. Una sorte alla quale sfugge, dopo i falliti moti patriottici del 1831, un giovane marinaio nizzardo, Giuseppe Garibaldi, che si rifugia in Sudamerica. “In quegli anni molti lasciano Genova e le due Riviere - dice Castagnino - ridotte a dependances di Torino. I primi liguri arrivati qui vennero apostrofati come sardi, in effetti erano sudditi del re di Sardegna. Molti, non sentendosi abbastanza protetti a Buenos Aires, si spostarono a nord, risalendo il Rio Paranà. Il flusso si ingrossa attorno al 1848 (dall'Europa arrivano altri esuli politici, ndr). I liguri lanciano il commercio fluviale che mette fuori gioco le carovane di buoi fino ad allora utilizzate per trasportare le merci da Rosario a Buenos Aires. Da Lavagna arrivano i Castagnino, i Pinasco, i Tiscornia, da Chiavari i Recagno”.

L'Argentina è dunque L'Eldorado per molti cittadini europei. In quegli anni in Liguria si diffonde il detto: “Ricco come un argentino”, alludendo a quanti sono rientrati in patria carichi di denaro.

Gli avi di Castagnino hanno lasciato segni profondi e duratori nel tessuto sociale ed economico della città. Il nonno, Josè Castagnino, è il primogenito di quel Giovanni (Juan) Castagnino di Lavagna che vedemmo sbarcare sulle rive del Rio Paranà nel lontano 1843. Nasce nel 1853 a Rosario, primo di tre figli. Sposa Rosa Lucrezia Tiscornia Calcagnino, originaria di Lavagna. E' un uomo di larghe visioni e di enorme iniziativa. Con i fratelli fonda l'ospedale italiano Giuseppe Garibaldi e la Società Rurale, che riunisce gli allevatori, la Borsa del Commercio e il Jockey club, nel parco dell'Indipendenza, col primo galoppatoio in Rosario. Il circolo oggi ha cinquemila soci, un country club di 40 ettari dove si gioca a calcio, a polo, a rugby, a tennis, si monta a cavallo e si nuota in cinque piscine. Nel 1896 fece costruire il primo edificio a più piani della città, al 1108 di Maypu y San Juan, progetto dell'architetto Italo Meliga.

“Alla fine del secolo XIX° mio nonno acquistò un'azienda agricola. Aveva capito che il porto di Buenos Aires, più vicino al mare aperto, sarebbe diventato un approdo più conveniente di Rosario per le merci di importazione. Quindi diversificò le sue attività. Campo Las Hermanas, a 200 Km. da Rosario, si estende per mille ettari. l'estancia Santa Lucia addirittura per 13mila ettari. Alla morte della moglie Rosa, avvenuta nel 1939, la fortuna terriera accumulata da mio nonno era la settima di tutta l'Argentina”. Don Juan Manuel racconta che cent'anni fa Rosario ospitava la più grande borsa agricola del Subcontinente, l'equivalente della borsa di Chicago negli Usa. “Ancora all'epoca della II° guerra mondiale il prezzo delle granaglie veniva fissato fra Chicago e Rosario”.

La moglie Rosa aveva dato a Josè Castagnino undici figli, il più giovane dei quali, Manuel (nato nel 1902, morto nel 1981), era il padre del nostro interlocutore. “Mio padre per sei anni, dal 1939 al 1945 fu assessore alla cultura della città di Rosario. Al fratello maggiore Juan Bautista, esperto e collezionista d'arte, è intitolato il Museo de Bellas Artes di Rosario”.
A distanza di qualche isolato da Castagnino risiede il professor Santiago Guasoni, 67 anni, primario gastroenterologo all'ospedale Garibaldi e all'Università italiana di medicina. E' sposato con Rosa Maria Botto, ligure di origine e discendente di quel Josè Botto ricordato come uno dei pionieri della moderna agricoltura argentina, e ha tre figli: Gastone, Santiago e Franco. Il professor Guasoni è pronipote di quel Giacomo (Santiago) Pinasco emigrato in Argentina a metà del XIX° secolo e tornato in Italia mettendo a frutto nell'armamento le fortune accumulate oltreoceano. “Mio padre si chiamava Uberto Guazzoni, (poi il cognome è diventato Guasoni, ndr), era nato a Roma e a Rosario ricopriva la carica di console generale d'Italia. Conobbe e sposò mia madre, Elena, la figlia minore di Santiago Pinasco, ultimo figlio, nonché omonimo, dell'emigrante venuto da Lavagna, che era, appunto, mio bisnonno. Mio nonno fece una importante carriera, privata e pubblica. E' stato due volte sindaco di Rosario nel momento di maggiore espansione della città e due volte deputato al Parlamento nazionale. Aveva aperto una casa di import ed export, e ricoprì la presidenza al Banco d'Italia e del Rio de La Plata di Buenos Aires, del Banco della provincia di Santa Fè. E' stato un punto di riferimento per l'intera comunità italiana e presiedette il comitato per l'accoglienza del principe Umberto di Savoia, in visita a Rosario nel 1924. In quell'occasione pose la prima pietra della Società Italiana Dante Alighieri che oggi ospita la scuola italiana, un istituto privato di grandissimo prestigio”. “Delle cento prime famiglie di Rosario, novanta erano liguri”, dice Guasoni. Nonno Santiago morì nel 1937, due mesi prima della nascita dell'omonimo nipote. La madre, Elena, morì subito dopo averlo dato alla luce. “Mi fece da madre la zia Maria Luisa, sposata a un medico originario della svizzera italiana, Juan Staffieri. Mio padre si risposò con una signora tedesca e la lingua italiana finivo per parlarla quando stavo con le sorelle di mia madre che mi hanno insegnato anche qualche parola di genovese. Un anno trascorso all'ospedale Umberto I a Roma, nel lontano 1968, mi è servito come... ripasso”.

In una delle visite genovesi, il professor Guasoni ha scoperto di avere un cugino. “Sua nonna era sorella di nonno Santiago. Si chiama Nicola Boletto, ha 80 anni, vive a Chiavari e di mio nonno sa molto più di me, lo conobbe ragazzo quando studiò a Genova”. Sa ad esempio che introdusse a Rosario i primi tramvai elettrici. “La Grande Depressione degli anni Trenta gli costò una fortuna, ma il nonno pagò tutti i debiti: il nome era più importante dei soldi. Ecco qual era la cultura di allora”.

Renzo Parodi – IL SECOLO XIX – 17/05/2005

Gian Paolo Carrea aveva 23 anni quando decise che Genova e l'Italia gli stavano strette. Fece i bagagli, lasciò il lavoro all'Hotel Savoia e s'imbarcò per l'Argentina. Era il 1961. In verità c'era di mezzo anche una giovane argentina che aveva conosciuto in albergo (era una cliente). La seguì fino a Buenos Aires e la sposò. Ebbero due figli ma il matrimonio non resse. Carrea si separò dalla moglie e si spostò a Rosario, dove aveva trovato un posto di direttore di albergo. Un paio di anni fa è approdato alla pensione. Nel frattempo si era risposato con una ragazza argentina, Teresita, che gli ha dato una figlia, Clarisa. A Genova sono rimaste l'anziana madre e la sorella. Oggi Juan Pablo Carrea gioca a golf al Jockey Club, tiene i contatti fra la colonia ligure di Rosario e la madrepatria, e ci ha introdotto ai segreti della terza città argentina per numero di abitanti (1,2 milioni) dopo Buenos Aires e Cordoba.


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