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GIANNI PRIANO |
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OMBRE |
Uasina, Matlonna, Rera, Surì, Langurie: tufo strappato agli dei e coltivato a vigna, a liti per i termi a coltellate e a preghiere.
Sono cattolico non nella cifra dell'appartenenza alla Chiesa ma, credo, per come guardo una vigna ora che le vigne, da noi, stanno scomparendo e presto, morti quelli della "leva" di mio zio Sandro, tutto diventerà un ginepraio, anzi, come dice Franco Peruzzo de l'Oriana, un ginestraio.
Le vigne di Franco, di mio zio, di Pino il vecchio, di Giovanni delle corriere, del Pulèn, di Franco d'Anteri, di Giovanni della Casanuova, di Mario id Chèn, della marchesa Salvago Raggi non sono diventate "aziende" come è accaduto nelle Langhe o in altre zone, anche poco distanti, del Monferrato.
Forse è colpa di Genova, a soli 45 Km, che dopo la guerra ha spopolato Molare, Madonna delle Rocche, Cassinelle.
Prima le osterie e le fabbriche (c'è un bisnonno Minichino Galliano di Morbello-Bricco, militesente in quanto unico figlio maschio, operaio durante il conflitto del '15-'18 alle Fonderie Raggio di Sestri Ponente, domiciliato in via Paglia) di chi teneva ancora una gamba nel 1800, poi ancora le fabbriche dei nonni, in seguito, quelle (via via in bilico) degli zii e -a giro di ruota - i bar, gli uffici o i simil-uffici dei nipoti.
Sono cattolico nel guardare le firagnere, i filari, perché nutro il desiderio intimo che spariscano (ma già lo diceva la nonna Teresa: "bersgiaisan", bruciassero). E che venga presto, la catastrofe del ginepraio o ginestraio che dir si voglia.
Marciscano le carazze, franino le rive.
Cattolico e apocalittico. E, subito, "nichilista". Perché non scorgo, non intendo la "beata speranza" che Surì e Uasina tornino a brillare sotto un cielo nuovo, in un tufo nuovo.
Neppure torneranno le liti, le coltellate per quei minimi confini. E le preghiere saranno rielaborate dai teatri d'avanguardia (non mancheranno mai, le avanguardie) che faranno filastrocche, giochi di ombre con ave e pater.
Gianni Priano
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