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GIANNI
PRIANO |
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GENOVA 2004. LUCCIOLE, LANTERNE E CAPITALE
VOLTRI |
Berto ha chiuso bottega, lui che si è preso cura delle teste di quattro generazioni: da Baciccia a mio padre, da me a Pietro Antonio. Ora che è in pensione, andrà come i nostri antichi, a fa fernellu alla spiaggia? Che poi vuol dire aspettare le barche e aiutare i pescatori a portarle a riva, per un soldo di tabacco e l’illusione di servire ancora a qualcosa.
Ma và, no che non farà fernellu, Bertìn, ma se ne andrà in montagna, o in giro per città d’arte.
Prima di una vacanza chiedevo sempre a lui, è lui che mi ha parlato della fortezza di Fenestrelle, dei calanchi di Porto, della Valgrande.
Mi chiamava prufessù ma il vero professore era lui, nel suo negozio sopravviveva il gusto per la curiosità storica o geografica, per l’intelligenza delle cose ed i pregiudizi trovavano poco spazio.
Berto era un narratore di razza, asciutto, essenziale e stimolante. Raccontava con lo stesso piacere con cui ascoltava. Lì Manuello, vecchissimo, inscenava la sua sapiente memoria recitando Trilussa e le sue doti di esploratore locale: aveva trovato il punto più freddo di Voltri, un metro quadrato di marciapiedi in cui per via di correnti e ombre in inverno ti si gelavano le ossa.
E Berto lo pungolava (lo accudiva) “Manuello cuntè in po’ de quella votta…”.
Ci teneva a dire chi ero, che mestiere facevo: dire chi ero significava spiegare di chi ero figlio e nipote: “u l’è u figgiu de Antonio, u besagnìn…u l’è u nevu de Baciccia”. C’era sempre qualcuno che si stupiva o commuoveva: “belìn quellu gundùn de Antonio…eimu amixi…u se piggiava e bagnanti ciù belle”. “E to nonnu, orcucàn che diau cu l’ea, e u parlava bèn, u l’ea furnà ma u duveiva fa u direttù d’in giurnale, u gh’aveiva na bella favella”.
A quel punto Berto raccontava di quale stoffa fosse fatto Baciccia, capace di dir male della guerra ’15-18 a cui aveva partecipato come fante in prima linea, non risparmiando dal giudizio – meno che mai- se stesso. “La guerra è scuola di delinquenza”. Ma quando la nebbia lo fece sconfinare, durante un’esplorazione solitaria in cerca di un cespuglio dove fare i bisogni, in territorio austriaco e un crucco gli gridò : “italiano gallina” rispose: “fanteria italiana. Savoia!” Perché questo era Baciccia , un permaloso, e anche irriconoscente: chè l’imperiale soldato nemico forse lo voleva avvisare, voleva dirgli vattene gallina (asino) di un italiano altrimenti mi tocca spararti.
Gliela risparmiarono anche le camicie nere, qualche anno dopo. Desiderava per caso due bastonate e l’olio di ricino? E allora stesse zitto, per cortesia. E mandasse il suo figliuolo Antonio al Sabato Fascista!
E già, perché Baciccia era senza tessera – e facendo il fornaio in proprio questo poteva anche andare- ma faceva professione di liberalismo, un liberale di destra visceralmente antifascista. Così stette zitto due anni e a chi gli domandava la ragione dell’inusuale silenzio rispondeva: “a m’è cresciua na brigua in scia lengua”.
Ma accidenti, diceva Berto, tutto quello che Baciccia si era tenuto nel gargarozzo riemerse dopo il 25 aprile e la barberìa divenne un salotto popolare, dove gli sbraggi , gli urli, si sentivano fin dal Bar Roma, litigavano come bestie tenute troppo a lungo alla catena, Baciccia liberale, Giulìn fascista sui generis, i Buonfiglio socialisti e, poi, i comunisti (che a Voltri non sono mai mancati), i repubblicani della UIL, i democristiani. Nel 1948 i litigi assunsero dimensioni abnormi. Eppure si conviveva, tra gli strepiti e le passioni, e Berto che allora aveva quattordici anni imparava non solo a tagliare i capelli; era apprendista, sì, ma in un senso più ampio.
Nel negozio di Berto si capiva bene come una cosa fosse Voltri e un’altra la pur stimabile Genova, distante 14 lunghi km. Domani vado a Genova, “vei depuedirnà l’è arrivà me figgia da Zena”. Genova, quindi, e non il Centro. Perché. Intanto, Voltri non ha “centro” ma se proprio dovesse inventarsene uno bisognerebbe scegliere tra Piazza dello Scalo, Il Municipio, il ponte sul Leira, i giardinetti della piscina e quelli della biblioteca, o la spiaggia, qualunque punto della sterminata e bistrattata spiaggia potrebbe essere il Centro di Voltri.
Con il progetto della “grande Genova” il Duce –nel 1926- tolse a Voltri la municipalità .La “grande Genova”, manie di Benito, chè Genova –come sostiene ironicamente lo straniero chansonnier Paolo Conte- è solo un pochino più estesa e ingarbugliata di Asti.
Discussioni, mai attimi di “requie”, da Berto, finchè vissero Baciccia e i suoi coetanei: il nonno insisteva sull’inutilità della piscina Mameli, “puliscano il greto del Leira, che fa angoscia, anziché buttare via palanche per costruire una vascona di cemento a trenta metri dal mare”. Provocava. E Giulìn matto: “vorrà dire che a pallanuoto i ragazzi andranno a giocare nel Leira, cosa dici quattro dita d’egua saranno bastanti?”. Gli rispondeva Baciccia: “aspettino ottobre e vedrai che belle partite, quando ne viene giù tanta, della tua egua, da allagare Voltri fino alla Stazione dei treni”.
Ora che Berto ha abbassato la serracinesca, lo stesso hanno fatto quelle bocche che nel suo negozietto avevano tanto fiato e voce.
E la piccola Voltri si sente un po’ lasciata sola.
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