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GIANNI PRIANO
in -viato

GENOVA 2004. LUCCIOLE, LANTERNE E CAPITALE


VICO UNTORIA



Qui c’era il Ghetto ebraico e ai giudei del 1600 (sefarditi, dunque di origine iberica) pare venisse imposto di sostare, nelle feste comandate della cristianità, sotto le immagini sacre (madonne, cristi, santi di ogni genere e categoria) poste nelle nicchie (oggi vuote) di Vico del Campo, Vico Untoria, Piazzetta Fregoso, Vico delle Cavigliere, Vico dell’Olio, Vico della Croce Bianca, Vico degli Adorno e –insomma-per farla breve, di tutti i carrugi che stanno a ridosso di Via del Campo.

Sono i carrugi dei travestiti e dei transessuali: in un articolo di giornale leggo, vicoli di prostituzione maschile ma la definizione suona improbabile; di maschile (non so, penso ai pasoliniani “ragazzi di vita”) il popolo dei travesta e dei trans ha poco e se su questo poco vi gusta fare battute, fatti vostri: poco o tanto che sia o misuri, il belìn che portano tra le gambe è altro dal comune belìn: così come è altro dal clitoride.

Un belìn e, insieme, un clitoride o una terza cosa che non possono ma, più spesso, non intendono eliminare, estirpare: un di più e –contemporaneamente- un di meno. Un peggio, certo, ma (sicuramente) anche un meglio.

Vivono in Vico Untoria alcune suore, non so se un paio o tre o qualcuna in più: pregano, fanno. Accolgono giovani donne nei pasticci. Le accolgono lì, in mezzo a donne con il belìn. Ho provato, lo scorso luglio, ad andarle a trovare. Avevo con me delle domande. Ma il travestito del portoncino accanto al loro mi ha avvisato che nel pomeriggio e muneghe vanno via e per beccarle bisogna presentarsi al mattino o alla sera dopo le otto. Così niente suore.

Ha le braccia spesse e lentigginose il travestito, la faccia mascolina, sessant’anni almeno e dal suo basso viene odore di cibo, di minestrone alla genovese con dentro il pesto, ben ben di patate e la crosta del formaggio e i bricchetti. Anche per lui avrei dovuto avere domande, e le avevo, ma si confondono con le emozioni e mi scruta mezzo secondo ,poi fa: “se sei un giornalista vieni dentro, parliamo e mi paghi, così guadagni te e guadagno io”. Ma mi ferma la zaffata di roba che cuoce e l’occhiata che dò al monolocale: lì si imparentano mistero e mestiere, piatti, quadri di donne nude e poster di motociclisti e calciatori, forchette, una collezione di falli di gomma. Troppa vita, troppa vita tutta insieme. Scommetto che dietro la porta c’è Papa Giovanni, come in casa di mia nonna buonanima.

Noi (noi chi?) ci salviamo distinguendo e invece lì gli opposti cortocircuitano, mi valangano addosso. “Di dove sei?”. “Di Napoli”. “Ma da quanto vivi qui?” “Basta dai, giovanotto, su che mi viene tardi…vado e vengo, faccio giù l’estate e un po’ di vacanze di Natale, sono venuta qui che di sti negri non ce ne abitava manco uno, qui, sono sti negri che ci incasinano la nostra bella Italia”. “Hai una famiglia?”. “Eh, se sei un giornalista pure scarso sei! Che cazzo di domande”. “Un uomo?”. “Un uomo ce l’avrei, una specie di marito e sta giù a Napoli ma mica so se ce lo trovo la prossima volta che scendo e ora basta guaglioncello che ci meniamo il belino qui, niente palanche niente intervista, chè poi mica tanto giornalista mi pari, chissà chi cazzo sei…basta adesso”. “Sì, basta”. Basta. Adesso basta, Priano. Dacci un taglio e lascia in pace la gente. Sei venuto a vedere i freaks , i mostri: e l’uomo-gallina dov’è? E la donna che allatta il nano di ottant’anni?.



Già, i mostri. Quanto dureranno ancora? Nella città in salita affrontata e sfregiata dalla pianura d’asfalto dell’Expò, dai professionisti che forse un giorno o l’ altro si insedieranno anche lì, e c’è già un piano che prevede il “risanamento” del Ghetto. Ma il Ghetto non è malato.Non più di Cornigliano, fatta fuori dal fumo e dalla violenza prima dello Stato Padrone ora del Padrone imprenditore, singolo, con nome e cognome. Né è più malato di Carignano, il Ghetto, dove andai a somministrare cinque lezioni di filosofia alla figlia immacolatina di un camionista arricchito, uno che il camion da mo’ aveva smesso di guidarlo, forse non lo aveva mai guidato, e ora ne aveva cinquanta o cento o mille di camion e una moglie lampadata e una cuoca-cameriera (la “tata”, uh!) di Crocefieschi con la quale una sera uscii dal portone, lei a prendere una corriera e io un treno ma prima mi racconta che era dai signori che l’imacolatina non era ancora nata e che i signori erano stati buoni con lei, vedova come nei libri, e ora suo figlio era impiegato in un discreto posto, l’aveva fatto studiare in Collegio, a Bergamo, e stava diventando nonna. E quello era il suo ultimo anno di servizio, poi la pensione e la casa, a Crocefieschi, al piano di sopra sua sorella e di sotto lei, con un po’ d’orto e un filare di uva bianca. E quella sera prendeva la corriera e andava su, perché i signori le lasciavano libero un fine settimana al mese e la pagavano come se lavorasse.

Invece i travesta ed i transessuali del Ghetto non hanno signori da ringraziare ma il più delle volte eterni fidanzati magnaccia scansafatiche da maledire e amare . Oppure nemmeno quelli. Come Mara, un faccino criminale e un corpo che intravvedi modellato da un demiurgo specializzato, occhi di petrolio; lavora il mattino in un negozio di abbigliamento e il pomeriggio in Vico Untoria perché le piace vestirsi da donna, far girare la testa agli uomini e poi mica va con tutti. “Cosa ti credi, non li prendo io i barboni. Vuoi venirci tu con me? Te ti prendo, dai. Ne vengono di giornalisti,sai, di scrittori, anche conosciuti, credo; ho un medico che parte da Savona per venire qui da me, e poi i bancari, non ti dico quanta gente della Carige, della San Paolo. Tutti educati chè se fanno gli scemi filino via, filino: ma ci ho fiuto, sento se l’alito sa di alcol. L’unico problema sono i poliziotti, niente in contrario se pagassero. Ma entrano, fanno e ti salutano. Io mi dico che vabbè, son le tasse”.

Ci sono, sui muri del Centro Storico, manifesti cupi. Manifesti che dicono: I RICCHI A BEGATO, QUI NEI VICOLI CI STIAMO NOI. Sono cupi perché chi vado a cercare per dire: sono d’accordo, scriviamo al Sindaco, alla Giunta. Facciamoci vivi sui giornali. Dico cupi, luveghi , e non terroristici o chissacosa. Cupi e velleitari, parlano solo a chi è già in sintonia, a chi gli dà già –come me- ragione.

Il problema è enorme. I padroni della città vogliono che il Centro Storico diventi un paesotto turistico come Arenzano, Taormina, Bonifacio, Camogli. Ergo: deportazione degli impresentabili nei quartieri-dormitorio collinari: Begato, Biscione, Lavatrici, Cep. Dove vivono, dagli anni ’70, pugliesi, calabresi, lucani, siciliani, napoletani sottoccupati, quando andava e va male, operai e muratori o qualche pizzaiolo quando va bene. Ma bene davvero.

Però, dice Mara, “nel Ghetto abbiamo comprato tutti, ognuna è padrona, proprietaria del suo localino, del basso”. Così i padroni della città dovranno pagare per metterci sopra le mani, i pellerossa se ne andranno ma risarciti, questa volta.

Ed è già molto. Però, sì, certo. Se non mollassero? Se rimanessero?

Gianni Priano


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