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GIANNI PRIANO

Non la firma sdentata di mio nonno

I


Non la firma sdentata di mio nonno

il padre di mia madre, il panettiere

ma l'arzigogolo affranto di Boccone :

Francesco che m'infilzò in pancia

di Antonia la vita stretta gli occhi

distratti al mondo pratico, consueto

e offeso al punto di farle la guerra

dalle caviglie ai fianchi fino in testa

capace di sbadarla ed incresparla

nel lucido parlare lucidarla

perchè spiccasse pungesse straparlasse.

Mio padre un imboscato alle Ferriere

impiegatino quando mio zio Baciccia

mangiava fango e polvere sul Carso:

nei tempi morti si faceva a gara

a chi ammazzava più topi giù in trincea

nei tempi vivi nessuna gara solo

la baionetta innestata sullo schioppo

la grappa in cuore in mente filastrocche

e intanto avanti fanteria italiana

macello di operai e panettieri

e puttanieri di Vietri e di Firenze

e contadini di Cartùra e Mele.


Certo la mise incinta legalmente

e legalmente la mise al Manicomio

e legalmente l'aveva maritata

a sè faccia cremosa di chi vive

legalmente e puntigliosamente.

La bella figlia di Antonio e dell'Assunta

discreta dote sottili labbra pronte

a sottili peccati a morsi a brevi

preghiere in lingue dure, indecifrate.

Ed io lasciai il bambino a quei dottori

"se campa un quarto d'ora è già un miracolo"

ne campai quattro e feci lo spettacolo

poi presi un basco, un pugno di tabacco

levai dal cassetto qualche franco

e scappa via! mi vide un'infermiera

io già di spalle, già diciassettenne

le scarpe grosse, chiodate per volare

fuori dal gelo enorme di mio padre

e dal destino enorme di mia madre

e andare a rimorire in Argentina

o a Cornigliano o dentro ad un Convento

o a Marsiglia, ad Aden sulla riva

dell'Adigetto, del Nilo, del Bisagno.


II


Ancora del cognome di mio padre

rimane stampo in me figlio di Antonia

"sitofoba" mi vogliono ammazzare

riempono l'oca per poi farle la festa

ma io di Santo Spirito mi nutro

io spiritata schifo delle ossa

e della polpa del sangue che vi puzza

addosso e a me puzzano i pensieri

brutti che scaccio orrori che non posso

togliere via dall'anima mia grassa

segnummarìa deme crucis vostra

perchè mi slardi digiuno penitenza

amore continenza et odio mundi.

E quante gambe mi devono amputare

quanta cancrena per ritrovarti, madre

nella tua stirpe che non conosce sconti

quanto ancora mi devo allontanare

per essere Priano per davvero

la nostalgia dei lecci degli ulivi

dei vivi in vita senza mai ragione

ma la prigione del torto nel cervello

quanto il coltello, la roncola piantare

negli intestini dei posti in posa in vita

e quanto ancora ad Aden trafficare

e tribolare dal Ponte del sale

a casa mia comune ossario, tomba

nell'erba erta annegata e attenta

soltanto al vento, sensibile al tormento.



Dall'Atto di Battesimo custodito nella Parrocchia di S. Erasmo a Voltri risulta che il giorno 4 luglio 1916 in Via Giordano Bruno (già Via Brignole Deferrari e, poi, Via Duchessa e oggi Via Guala) muore Giobatta Boccone, di anni zero-un'ora figlio di Francesco Boccone e di Antonia Priano.

Antonia, nata il 30 aprile 1899 a Voltri da Antonio Priano e Assunta Piccardo ( in Via Brignole Deferrari 13 ) sposa Francesco Boccone, impiegato, il 15 giugno 1913.

Viene ricoverata nel Maniconio di Pratozanino (Cogoleto-Genova) per sindrome ansiosa a 38 anni nel maggio 1927 e poi dimmessa nello stesso mese in quanto giudicata "non malata".

Nell' aprile 1928 viene di nuovo ricoverata e dimmessa.

Nel giugno 1928 entra in Manicomio per sempre, fino alla morte lì avvenuta nel 1942.


Gianni Priano


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