Paura, il sentimento
prevalente è la paura. Tra di noi e tra gli iracheni.
Gino Strada non è certo uno che si tira indietro quando si
tratta di mettersi in gioco a fini umanitari e da anni gli
ospedali di Emergency sono tra i pochissimi presìdi di
civiltà tra l'Iraq e l'Afghanistan. Ma ieri la sua voce
che ci arrivava da Sulaimaniya - nel nord-est curdo dell'Iraq -
non era affatto tranquillizzante. Anzi.
Quale immagine
sceglieresti per descrivere ciò che vedi attorno a
te?
Quella del deserto, un deserto di paura. Qui nella
zona curda, dopo l'attentato di Arbil, si vive nel terrore
quotidiano. C'è pochissima gente in giro, nessun straniero
se non mascherato da curdo, a parte un paio di
soldati americani che ho incontrato all'aeroporto. Da quel che mi
raccontano la stessa sensazione si vive a Baghdad e ancor più
nel sud: chi è straniero evita di usare automobili
riconoscibili, preferisce quelle vecchie e un po' scassate, per
non diventare un bersaglio. E per noi lavorare è
difficilissimo, dobbiamo rimanere nell'ombra. Ma anche gli
iracheni vivono una situazione di terrore. E' come stare dentro
un'enorme roulette russa (sarebbe meglio dire
americana) che in ogni momento può farti
saltare il cervello.
Tu sei stato in Iraq durante la
guerra e immediatamente dopo. Ci sei tornato da qualche giorno:
quali le differenze?
Tutto è cambiato in
peggio. Durante la guerra, nonostante le bombe, riuscivamo ad
aiutare la popolazione, oggi è molto più difficile,
ci sentiamo dei potenziali bersagli, siamo diventati tutti
americani nel senso più pericoloso del
termine. Anche i lavoratori iracheni che costruiscono il nostro
ospedale a Kerbala si rifiutano di lavorare se non attrezziamo
dei rifugi che li mettano al riparo da attentati.
Oggi
il senato vota sul finanziamento della missione militare italiana
in Iraq. Quale messaggio vuoi mandare ai nostri
parlamentari?
Che è venuto il momento di
smettere di giocare con le parole: tutti i militari stranieri
presenti in Iraq stanno svolgendo azioni di guerra, in varie
forme, perché sono arrivati qui con un conflitto che sta
assumendo le forme della guerra civile. Chi voterà per il
finanziamento della missioni, si asterrà o uscirà
dall'aula, deve sapere che si assumerà la responsabilità
di avallare una guerra coloniale con il rischio d'importare il
terrorismo in Italia. L'unica soluzione positiva che posso vedere
a questo disastro è il ritiro di tutte le truppe straniere
dall'Iraq, perché nessun abitante di nessun paese al mondo
accetta la presenza di un occupante. Rispetto al voto di oggi
spero che si faccia una lista dei parlamentari che si assumeranno
la responsabilità di votare a favore della missione
militare, almeno sapremo chi sarà responsabile di
aggravare la situazione irachena.
Però si
obietta che senza la presenza delle forze di occupazione la
situazione precipiterebbe inevitabilmente verso quella guerra
civile che tu stesso paventi...
Non so immaginare un
caos peggiore di quello che vedo attorno a me. La grande
maggioranza degli iracheni vuole semplicemente non vedere più
in giro gente armata: un anno fa non c'era bisogno di proteggere
gli ospedali con le truppe, oggi sì. La verità è
che i nostri soldati sono qui solo per un riflesso di servilismo
nei confronti di George W. Bush, mentre quando l'Iraq doveva
essere aiutato davvero, dopo la prima guerra del Golfo e negli
anni dell'embargo, i nostri governi non hanno mosso un dito.
Quanto alla precipitazione in caso di ritiro delle truppe è
vero l'esatto contrario. Pensa a ciò che è successo
ad Arbil, l'attentato, con decine di morti, contro i partiti
curdi: è stato il frutto dell'alleanza militare di quei
partiti con le truppe americane. La verità è che la
guerra genera altra guerra, in una spirale senza fine.
Ma
in Iraq ci sono le risorse politiche per
un'alternativa non militare?
L'Iraq, prima della
guerra e dell'embargo, era un paese ricco, colto ed evoluto,
nonostante l'oppressione di Saddam. A Baghdad si facevano
complicatissime operazioni di chiururgia cardiaca, qui c'è
ancora una società civile potenzialmente preziosa che
l'occupazione militare annichilisce. E' stata la guerra a far
arretrare il paese di centinaia di anni. Oggi l'unica soluzione
realistica è la sostituzione delle truppe d'occupazione
con una forza dell'Onu composta dai soldati di paesi che non
hanno partecipato all'aggressione militare, per permettere agli
iracheni di trovare una soluzione condivisa ai loro problemi. Ma
è una prospettiva che la presenza delle truppe occupanti e
la conseguente guerra quotidiana allontana ogni giorno di più.
Intervista di Gabriele Polo
IL MANIFESTO 18/02/2004
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