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Greatful Dead, nessuno tocchi l'utopia rock |
I fan dei
Greatful Dead, i famosi deadheads, lo chiamavano
babyface. Ma Bob Weir non era soltanto un musicista più
bello e gentile del gruppo. Era quello che doveva bilanciare con la
sua chitarra ritmica e i suoi accordi le improvvisazioni stellari e
psichedeliche di Jerry Garcia.
E come se l'impegno con i Dead non fosse sufficiente (la media era cento concerti all'anno), Weir non ha mai smesso di tentare musicali, prima da solo, poi con i Kingfish e negli ultimi tempi con i RatDog, mentre si profila all'orizzonte una riunione, sia pur temporanea, dei Greatful Dead. I RatDog, nati dall'incontro fra Weir e il contrabbassista Rob Wasserman sono in tour in Italia e proporranno, oltre al loro rock blues moderno, elegante e venato di jazz ed elettronica (nella formazione c'è dj Logic, un abile manipolatore di suoni), una manciata di standard e di classici dei Greatful Dead, quasi a voler ringraziare chi non ha mai dimenticato una delle band più speciali della storia del rock.
Ci puoi dire qualcosa sulla nascita dei RatDog? Conosci Rob Wasserman da molto tempo?
No. Anche se vivevamo nella stessa città da vent'anni, non ci conoscevamo. Eravamo sempre in giro a suonare. L'avevo visto e sapevo che suonava, ma non immaginavo che fosse addirittura un mio vicino di casa. Nell'87 o nell'88 è stato organizzato un concerto per finanziare il Mill Valley Film Festival e la persona che gestiva il locale in cui si sarebbe tenuto lo show ha insistito almeno per un paio di mesi per farmelo conoscere. Mi ha dato una copia di Duets, il disco in cui Rob suonava con Lou Reed, Rickie Lee Jones, Stephane Grappelli e altri artisti, e alla fine me ne sono letteralmente innamorato. L'ho incontrato e abbiamo cominciato a suonare in duo. Lo abbiamo fatto per diversi anni e da lì è nato Trios, in cui abbiamo registrato un brano di Neill Young, divertendoci un sacco. I RatDog sono l'evoluzione di questo sodalizio musicale e di questa amicizia.
C'è un motivo particolare dietro all'inquietudine che ti ha sempre spinto a formare altri gruppi e a tentare nuove esperienze oltre a quella dei Greatful Dead?
Amo la musica. Ma dopo dieci anni o quindici anni, con i Dead avevamo un certo repertorio e un certo modo di suonare. Io volevo provare altre cose e credo che alla fine anche i Greatful Dead abbiano avuto un beneficio dalle altre esperienze che ho fatto, perché ho imparato quello che potevo e non potevo fare. Jerry ha fatto lo stesso. Ha suonato in tanti gruppi ed è stato un bene per lui e per il gruppo.
Il tuo stile chitarristico e vocale si è formato sul blues. Ci puoi dire qualcosa sui tuoi primi passi nel mondo della musica?
Ho cominciato a suonare il piano a otto anni e la chitarra a tredici. Ho provato anche un altro paio di strumenti, ma poi ho finito col dedicarmi. Quello era il periodo in cui la musica folk stava diventando molto popolare, in America. E alla radio sentivo Chuck Berry, gli Everly Brothers e molti artisti che facevano rock'n'roll. Per un principiante la struttura armonica, del rock'n'roll, basata su tre o quattro accordi, era l'ideale. Dal rock'n'roll sono passato al blues e al country facendo soltanto un passo e ho avuto la possibilità, a quindici anni o sedici anni, di conoscere alcuni grandi bluesman, di studiare e di suonare con loro.
E' vero che uno dei tuoi eroi in quel periodo era Jorma Kaukonen?
E' stato il mio primo guru per la chitarra. E lui all'epoca non lo sapeva neppure. Andavo sempre a sentirlo nei locali della Bay Area e con un mio amico registravamo i suoi concerti per cercare di capire quello che faceva riascoltando i nastri. Un paio d'anni dopo, quando io ero nei Dead e lui era nei Jefferson Airplane, siamo diventati amici e lo siamo ancora oggi. Non c'è nessuno che suona come lui. E' al tempo stesso innovativo e legato alla tradizione. E' sempre originale. E suona Jelly Roll Morton alla chitarra molto meglio di chiunque voglia suonarlo al piano.
Qual'è la cosa più importante che ti ha lasciato l'esperienza con i Greatful Dead?
Il tempo è passato, ma era energia pura. Tutte le cose che facevamo avevano diversi significati. E' difficile per me spiegarlo in modo chiaro.
Sei sempre in contatto con gli altri Dead?
Certo. Faremo una specie di riunione di famiglia ai primi d'agosto.
I Greatful Dead sono forse il simbolo più forte dell'utopia degli anni '60. Ora il mondo è cambiato e forse a un certo punto vi sarete accorti che il sogno non si era realizzato e che non eravate riusciti a cambiare le cose intorno a voi...
Io mantengo quel sogno molto caro nel mio cuore. Ho costruito la mia famiglia in quel modo e anche i RatDog si comportano in quel modo. Ognuno di noi vive per glia altri. Questo ha senso per me, è importante per me, e finisce col dare un senso a tutto quello che facciamo.
Pensi che questo sogno possa essere ancora insegnato alle persone più giovani?
Possono fare ciò che vogliono, ma come dicevo: se questo ha un senso per me, è la cosa giusta da fare.
Intervista di Giancarlo Susanna L'UNITA' 14/07/2002
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