Cinquantotto anni,
una fitta carriera di produttore film per la televisione spesso
ispirati a fatti realmente accaduti e, dall'anno scorso, una
svolta nel documentario con una trilogia realizzata in tempi
molto brevi, a costi bassissimi e messa in circolazione - ancora
prima di entrare in sala - su Internet: Unprecedented (su
Florida 2002) Uncovered (sulla guerra in Iraq) e
Uncostitutional (sulle conseguenze del Patriot Act) a cui
si aggiunge Outfoxed un feroce ritratto delle news come
riscritte dalla Fox tv - il network di Rupert Murdoch. Abbiamo
intervistato Robert Greenwald, inventore di questo modello
efficacissimo di instant documentario per telefono dalla sua casa
di produzione di Los Angeles.
La sua carriera prima di
Uncovered è quella di un produttore di fiction. Ha
fatto un film su Abbie Hoffmann, Steal This Movie, il
telefilm sulla Enron diretto da Penelope Spheeris...
Ho
prodotto circa 55 film prima di dirigere documentari. Molti di
essi erano basati su fatti realmente accaduti quindi, in un certo
senso, è stata una transizione naturale. Adesso, dopo aver
prodotto e diretto quattro documentari, ho scoperto che mi piace
molto e che intendo continuare. Unprecedented, di Richard
Ray Perez e Joan Sekler, un film sulle elezioni del 2000 in
Florida, è stato il primo progetto di non fiction che ho
prodotto.
Ha detto che Abbie Hoffman ha influenzato
molto questa sua svolta.
Trascorrere tutto quel tempo
con Abbie, condividere il suo senso dell'umorismo, il suo
desiderio di cambiare il mondo, mi ha profondamente influenzato e
mi ha fatto desiderare di lavorare di più nella direzione
in cui si muoveva lui stesso. Inoltre, dopo l'11 settembre, ho
tristemente visto il mio paese passare dal dolore alla rabbia, e
al desiderio di vendetta, in un arco di tempo molto breve. E ho
deciso di lavorare per correggere quelle pulsioni. Quando è
morto mio padre ho deciso di portare avanti i suoi principi.
Consapevolezza politica e coinvolgimento in nome della giustizia
sociale erano due dei suoi valori, che ho deciso di portare
avanti.
A che punto ha pensato di fare un documentario
sulla guerra in Iraq?
La decisione avvenne in un
momento molto preciso. Ero seduto a leggere il giornale, un
mattino presto verso la fine di giugno (2003). Poco dopo che la
guerra era «finita». E mi cadde l'occhio su un
qualcosa seppellito tra l'inchiostro del New York Times, in
cui un qualche esponente dell'amministrazione Bush dichiarava che
avrebbero trovato in Iraq dei programmi per la
costruzione di armi di distruzione di massa. Tra armi di
distruzione di massa e programmi per la loro
costruzione, c'è una differenza abissale. Un programma
è un pezzo di carta! Sentii un orrendo nodo allo stomaco e
capii che stavano cambiando le carte in tavola. Così
decisi di giustapporre le forti parole e le immagini che
l'amministrazione aveva usato per portarci in guerra - il fungo
atomico e roba del genere - a ciò che stavano dicendo
adesso. Così da ricordare al pubblico quello che ci
avevano venduto. Appena iniziai a fare un po' di ricerca venni a
sapere di tutte queste persone, all'interno della Cia, che si
opponevano alla distorsione dell'informazione operata dalla Casa
bianca.
Nel film lei usa 24 esperti molto qualificati,
impiegati e analisti della Cia... persino David Kay, l'uomo
incaricato dalla Casa bianca di trovare le armi di distruzione di
massa in Iraq.
La cosa più interessante e, per
me, molto commuovente furono tutte quelle persone che giudicarono
il farsi avanti e parlare come un atto di patriottismo. Mi colpì
molto il loro impegno nei confronti del nostro paese e la loro
fede in ciò che andava fatto. Ho scelto intenzionalmente
dei personaggi, e un tono, che potesse raggiungere un vasto
numero di persone - indipendenti, democratici e repubblicani. Fu
difficile non includere nel film i forti sentimenti che provo nei
confronti della guerra e delle persone che ci hanno trascinato in
Iraq. Ma pensai che fosse importante trattenermi e lasciare che
queste persone raccontassero la loro storia. Come avrà
notato, ci sono intervistati che, nonostante tutto, sono ancora
favorevoli alla guerra. Ma che sono contro la distorsione
dell'informazione che l'ha permessa.
Il film, come gli
altri suoi documentari, è stato realizzato molto
velocemente, in quattro mesi. E' stato completamente
autoprodotto?
All'inizo erano solo soldi miei e poi ho
dovuto chiedere aiuto ad alcuni gruppi di attivisti politici,
come MoveOn.org e Center for American Progress.
L'idea
di distribuirlo in dvd, via Internet, prima che arrivasse in sala
o nei negozi è molto originale ed efficace. Ce ne può
parlare?
Fino a oggi, avevo solo fatto film che
venivano distribuiti attraverso canali convenzionali. Ma, quando
si è trattato di distribuire questi documentari, mi sono
reso conto che il vero obiettivo era di farli circolare molto in
fretta così da raggiungere il paese prima che si esaurisse
il dibattito sulla guerra. Quindi non mi è nemmeno passata
per la mente la possibilità di adottare la solita via dei
festival o dei piccoli distributori. Come entrare nelle mente di
più persone possibile il più in fretta possibile?
Internet, ovviamente, e gli house party... Così facemmo.
MoveOn. org è stato importantissimo in questo processo.
Abbiamo istantaneamente venduto oltre 100.000 copie del film in
rete. Inoltre, non essendo in questo business per profitto, il
nostro messaggio è: compralo, fanne quante copie vuoi e
passale ai tuoi amici. Quindi, in realtà, chissà
quante ne stanno circolando.
Come verifica l'impatto
che un film come questo ha sugli spettatori?
Non so se
sia possibile. Non c'è mai una sola cosa che fa cambiare
idea a una grande massa di persone. Ma se ti guardi indietro,
poco più di un anno fa, il 70-80% degli americani credeva
che la guerra fosse una cosa positiva. Adesso siamo al di sotto
del 50%. Un cambiamento fenomenale e repentino per milioni di
persone, avvenuto grazie ad una combinazione di fattori:
l'andamento della guerra stessa, gente che ha cominciato a
parlare pubblicamente, I libri, e, certamente, anche i
film.
Direbbe anche lei che, in particolare, sono stati
i libri e il cinema, piuttosto che i media mainstream, a svolgere
questa funzione?
I media del mainstream facevano il
tifo per la guerra peggio che delle cheerleaders. È
stato uno spettacolo straordinario, orribile. Non ho mai
assistito ad una cosa del genere. Roba da propaganda stalinista.
E Internet è stata la nostra salvezza perché ha
permesso di far circolare dell'informazione alternativa,
raccontare che quello che stavano dicendo non era vero.
Crede
che la campagna di Howard Dean abbia veramente segnato la strada
per l'uso Internet di ai fini di attivismo politico grass
roots?
Credo che la campagna di Dean abbia portato
quella strategia a tutto un altro livello. Non è una cosa
che hanno creato loro ma l'hanno usata in modo vantaggiosissimo.
MoveOn è stata l'altra forza che ha veramente fatto capire
l'efficacia di questa comunicazione. In un periodo di tempo
brevissimo si sono ritrovati con un milione di iscritti, adesso
ne hanno più di due. Gente che risponde molto velocemente
quando si lanciano iniziative come una veglia nazionale al lume
di candela (realizzato dopo che i caduti americani in Iraq hanno
raggiunto la cifra di 1000; n.d.r.), scrivere ai deputati,
spedire soldi per uno spot pubblicitario... Internet è uno
strumento enorme per la nostra democrazia. Quando abbiamo
iniziato a far circolare Uncovered e Outofoxed, il
mio documentario sulla Fox News di Murdoch, MoveOn ha organizzato
feste in case private durante le quali si proiettavano i film e a
cui ci si poteva iscrivere online - ho uno studio di yoga a
Austin e posso ospitare per la proiezione 50 persone, ho
una casa a Colar Galbes, in Florida, e ci possono stare 20
persone...
Ha citato Outfoxed. È
vero che è stato più difficile da realizzare di
quanto sia stato Uncovered?
Prima di
tutto abbiamo dovuto farlo in segreto, perché non volevamo
rischiare che la Fox cercasse di fermarci. In più non era
un film con una storia chiara, come quello sull'Iraq. Avevamo
migliaia di ore di programmazione da esaminare. Fu anche molto
difficile convincere gente che lavorava, o aveva lavorato per la
Fox a lasciarsi intervistare.
Il suo ultimo
documentario si intitola Uncostitutional.
È
un film sulle libertà civili dopo l'11 settembre. Ed è
una raccolta di storie molto personali di individui, in
particolare di arabo/americani, la cui esistenza e le cui
famiglie sono stati devastati a conseguenza del Patriot Act e
delle politiche distruttive del ministro della difesa John
Ashcroft. Il suo record è abominevole. Su 5000 persone
arrestate nessuna ha detto o dato qualcosa che potesse
contribuire alla lotta contro il terrorismo.
Giulia D'agnolo
Vallan IL MANIFESTO 27/10/2004
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