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MUSICA

Cyrano va in letargo

Notizia d'emergenza, agite con urgenza: nessun pazzo s'è lanciato contro un treno ma Francesco Guccini non farà concerti da qui al Natale dell'anno prossimo. Scriverà (sta lavorando ad un nuovo racconto giallo, vuole portare a termine il suo terzo romanzo, pensa a un nuovo album di canzoni) ma di cantare non se ne parla, non in concerto almeno. Può essere che dalla sua casa di Pavana o dall'osteria a due passi da Via Paolo Fabbri escano echi di accordi birbanti nelle notti d'inverno: saranno solo incidenti, perché il più famoso e amato menestrello italiano, l'erre moscia più virile e imitata dalle Alpi all'Etna, ha deciso di prendersi dodici mesi di tempo per pensare a sé, alla vita e alle cose del mondo. Un anno senza Guccini dal vivo. Paura? Teròr? Tranquilli, tornerà in pista più guascone di prima. Sono andato a trovarlo e, so che vi interessa, sta benone: se non fosse per la guerra e quest'aria mefitica e fascia che vi avviluppa sempre più l'Italia, sarebbe anche di buon umore. Fuma le sue quaranta sigarette al giorno, il che – come sostiene lui stesso – contribuisce a dargli la sensazione di essere un uomo arrivato al benessere economico, mangia come un ragazzo in crescita, beve vino con la gioia di chi vuole bene alla vita e pur di dire la verità è disposto a berne più dell'indispensabile. Questione di fisico: lui deve abbeverare oltre un metro e novanta di ossa e muscoli, è chiaro, mi spiega, che può buttarne giù più di me. Non fa una grinza e neanche un plissé: gli arrivo alla spalla. Da trent'anni, dispiaccia alla destra più fessa, le sue platee sono sempre piene, tese e forti. La sua capacità di parlare alla testa e al cuore di chi ha sessant'anni come quindici usando sempre le stesse leve poetiche ed emotive è un caso buono per semiologi e sociologi. L'estro che gli ha consentito di scrivere una travolgente Cyrano un quarto di secolo (anno più anno meno) dopo aver scritto Auschwitz, La locomotiva, Amerigo, Incontro, Eskimo, è una bella consolazione per quelle centinaia di migliaia di fan che non hanno mai smesso di seguire la corsa della locomotiva-Guccini. Sono convinto che Francesco sia uno dei pochissimi interpreti di una generazione che fin qui non ha saputo raccontarsi, vinta da chissà quale afasia: incapacità, ritegno, contegno, chissà.

Prendi “Eskimo” per esempio. Dice: “Con l'incoscienza dentro il basso ventre e alcuni audaci in tasca l'Unità”. Sembra facile-facile, ma è un'immagine potente, sintetica...

Ma insomma. E' solo la storia di un amore che si sdraia lungo un percorso del tutto particolare. Mi limito a raccontare...A proposito dell'Unità, ti dico questa: ero sul palco durante un concerto qualche mese fa e ho cantato Eskimo. Tutti contenti. A un certo punto tiro fuori il primo numero della nuova Unità e la mostro al pubblico: applausi. Bello, no?

Una meraviglia. Ma quella canzone è una meraviglia...

Mavvà. Amerigo sì che è una bella canzone, lì sono riuscito a dire quello che volevo usando una struttura complessa, Eskimo è quasi una sciocchezza...

Sta a vedere che ho ragione quando penso che gli artisti non sono del tutto sempre consapevoli di quel che fanno: Francesco, non ti vuoi arrendere alla fantastica intensità di “Eskimo”, all'epica trasandata e felice con cui sei riuscito a vestire una ballata generazionale. Che ne sanno i ragazzi di oggi che c'è stato un tempo in cui se avevi l'Unità in tasca non trovavi lavoro e nemmeno la casa. Io non potevo entrare nelle case di diversi compagni di scuola per questo motivo. I loro genitori non mi volevano in salotto. Ci sarà un motivo se piace e la cantano in coro i ragazzi a vent'anni e un vecchio marpione come me...

L'hai detto: il segreto, se ce n'è uno, sta proprio nell'epica. Guarda il West: è una storia di vaccari, mucche e guardiani di vacche...eppure il cinema l'ha trasfigurato, o interpretato, lo ha sprovincializzato e il West è diventato un luogo dell'anima, di tutte le anime. Non si tratta di tradire la realtà, la storia o le storie, ma di affidarsi alla storia cogliendo quell'arco epico che sta teso sotto ogni situazione reale. E' come una linea di forza che passa attraverso le cose: bisogna individuarla e saltarci su. Lo faccio anche nei miei romanzi: non mi invento quasi niente, è tutta vita vissuta. Mi limito a rintracciare il ritmo delle cose. E poi uso un linguaggio semplice. Faccio un gran lavoro sul linguaggio, sempre. Ma quando scrivo no: il testo se ne viene fuori quando i tempi sono maturi, senza sforzi, dimenticando la tecnologia della scrittura.

Epica e spirito. Te la sei presa, e molto, con i materialisti proprio in “Cyrano”. Mi ha sorpreso.

Allora spiego: non ce l'ho con i materialisti intesi come categoria dell'intelletto, ma con i fondamentalisti di qualunque categoria che sono capaci di trasformare un'opinione in una fede senza alternative. Non sono un credente, non credo nell'altra vita, credo che il pensiero dell'uomo benché impalpabile faccia parte della realtà e del lato più concreto della realtà. Non è vero solo ciò che si vede e si tocca. Tutto qui. Mi piace il radicalismo di Margherita Hack, per esempio.

Sei da trent'anni, come si dice, sulla breccia. E ci stai benissimo senza avere mai usato il supporto della televisione. Hai tutto quello che un uomo può desiderare, compreso l'affetto di una massa sterminata di esseri umani. Come ci si sente?

E pensare che non volevo nemmeno fare il cantante, non ci pensavo proprio. Volevo studiare, anche se facevo il cantante da balera. Ho insegnato i primi accordi di chitarra a Maurizio Vandelli (la bella voce dell'Équipe 84): mi chiesero di restare con loro e io rifiutai perché volevo studiare. Studiare e avere i soldi per comprarmi tutte le sigarette e tutti i libri che avessi voluto. C'è stato un tempo in cui mi sono detto: sarò un uomo arrivato quando avrò sigarette e libri in quantità sufficienti. Mi pare che ci sono. Del resto, vengo da una famiglia di mugnai. Quando tornai a casa col mio primo contratto con Emi, mio padre disse: “Quanto durerà?”. Voglio bene a mio padre, un granduomo.

Sei un bardo di sinistra, anche se nei tuoi pezzi si possono riconoscere ragazzi di formazioni politiche e culturali diverse. Hai un ruolo, insomma. Ma la sinistra che ruolo deve mantenere oggi, secondo te?

Spero, mi auguro che la sinistra sia sempre quella che vuole cambiare le cose per la liberazione dell'uomo e della società. Credo che il voto siciliano sia un dato locale, non mi fascerei la testa. Conviene pensare alla politica più e prima che al voto. Alla scuola, per esempio, che così come appare impostata, in Italia, sembra costruita giusto per sfornare la nuova plebe, la nuova massa di emarginati dal potere, i nuovi esclusi. I padroni di domani non studiano in Italia ma all'estero, in alcove scolastiche in cui si formano i quadri dirigenti di alto livello. E' un quadro drammatico: da una parte i manipolatori del potere, dall'altra i paria, figli di una scuola dequalificata, educati a fare da veline, presentatori, calciatori; macchina, tv, vacanzina sulle nevi. E' un programma preciso, micidiale e, soprattutto, sembra funzionare a meraviglia.

Tornano i tempi della “Locomotiva”?

Non torna un bel niente. Si va avanti comunque, E bada che quella canzone non è un inno politico, non lo è mai stato, almeno nelle mie intenzioni. Volevo solo mettere insieme una canzone popolare usando il linguaggio coerente con la vicenda raccontata. “Trionfi la giustizia proletaria?” Non è così che la penso, è così che la pensavano allora, ai tempi di quel povero ferroviere.

Te ne starai fuori gioco per un anno, ma so che stai pensando a un nuovo disco.

Mi farà bene star fuori. Non sono mai stato, come altri colleghi cantautori, attaccato al palco in modo morboso. Non ho mai fatto concerti a catena, non mi piace. Mi son preso del tempo per riflettere anche sulla mia vita artistica, sono stanco di produrre sempre lo stesso concerto. Mi propongo solo lì, sui tavolacci nelle piazze, nei teatri, nei palazzetti dello sport; non ho mai usato e non intendo usare la televisione. Non mi vedo davanti a una telecamera con il mio disco nuovo sotto il braccio girando da uno studio all'altro. Non è la mia strada. Le canzoni nuove: l'ho già detto che quello che è accaduto l'11 settembre mi ha fatto accantonare i materiali che avevo messo da parte per il nuovo disco. Mi è sembrato tutto insufficiente, passato. Ma dammi tempo.

Ovvio. Francesco. Sono trent'anni che aspettiamo la tua chitarra. E poi un anno passo presto. Noi si infila l'eskimo e si aspetta.

Intervista di Toni Jop – L'UNITA' – 12/12/2001



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