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LA REPUBBLICA 13-12-2001 |
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L'estrosa grazia della Rowling |
Viaggio nelle tenebre maligne il maestro della scrittrice è carroll Ci sono gufi che portano la posta e i giornali
Come in tutti i libri per ragazzi il meraviglioso vive qui, nascosto dentro il nostro mondo: dobbiamo soltanto aprire gli occhi, superare la barriera
Quando siamo scivolati di là, nel castello di Hogwarts, ci accorgiamo che il regno dei maghi è come il nostro, con scuole simili ai college di Oxford
Come
racconta Joanne K. Rowling, noi, che viviamo a Londra, a New York o a
Roma, prigionieri del mondo delle apparenze, siamo dei babbani:
goffi, stupidi, chiassosi. Non siamo cattivi: siamo troppo stupidi
per esserlo; la malvagità assoluta esiste soltanto di là,
dove regnano le creature dell'aria. Ecco il principe dei babbani,
Dudley Dursley, cugino di Harry Potter: tronfio, grasso,
nell'uniforme della sua elegante scuola privata giacchetta
color melanzana, pantaloni alla zuava arancioni e paglietta.
Circondato dal ripugnante affetto dei genitori, riceve moltissimi
regali per il compleanno: cineprese, computer, aeroplani
telecomandati, biciclette da corsa, che dopo un mese getta nel
ripostiglio dei rifiuti. Come quasi tutti gli scrittori per la
giovinezza, la Rowling prova un profondo e divertito disgusto per la
realtà che ci circonda.
Non c'è da preoccuparsi. Ci
vuole così poco per andare di là, dove la vita è
molto più divertente. Il mondo dei maghi vive dentro le strade
di Londra (e di Parigi, di New York, di Roma): solo che i babbani non
riescono a scorgerlo. Basta battere un muro con la punta
dell'ombrello, o insinuarsi tra il binario 9 e il binario 10 di
King's Cross, dove c'è il binario 9 e tre quarti, o varcare
una lievissima barriera d'aria, e scivoliamo nell'oltre. I maghi non
appartengono a una razza diversa da quella umana: la madre di Harry,
una grande strega, è sorella di Petunia, che non potrebbe
essere più babbana; Ron, che appartiene a una famiglia di
maghi, ha un disgustoso cugino di secondo grado che fa il ragioniere
(ma, dice Ron, «noi non ne parliamo mai»). Come in tutti
i veri libri per ragazzi, il meraviglioso vive qui, nascosto dentro
il nostro mondo: dobbiamo soltanto aprire gli occhi, guardare
attentamente, superare l'invisibile barriera d'aria, e lo scopriamo e
vi penetriamo.
Quando siamo scivolati di là, nel castello
di Hogwarts, ci accorgiamo che il regno dei maghi è speculare
al nostro o una variante del nostro. Là ci sono scuole, che
imitano i college di Oxford e di Cambridge, con ragazzi simpatici e
odiosi, pigri e saccenti, libri e programmi tediosi, che impongono di
imparare a memoria il Codice di comportamento dei Lupi Mannari del
1673. Ci sono treni, con inservienti che vendono cibi; monete; gufi
che portano la posta e i giornali; banche, con impiegatifolletti;
negozi e prezzi che salgono esageratamente; leggi, che proibiscono di
allevare draghi. I giochi dei ragazzi sono simili ai nostri: gli
scacchi con pedine viventi, le figurine, e il quidditch, che fonde il
baseball e la pallacanestro. Quando, in tutto il castello di
Hogwarts, si diffonde l'odore delle salsicce fritte e delle
caldarroste, come dimenticare la terra? L'arte della Rowling consiste
soprattutto in questo variare ingegnosamente le forme del nostro
mondo, qualche volta capovolgerle, senza dimenticarle mai, come le ha
insegnato Lewis Carroll, il suo maestro.
Da Lewis Carroll la
Rowling non ha invece appreso che, di là, vigono altre leggi
che a Londra e a Parigi: secondo Carroll, di là non esiste il
Peso, né il Numero, l'io si perde, insieme a quel simbolo
dell'io che è la memoria, e scompare completamente il
principio di noncontraddizione.
La Rowling non vuole sconvolgere
le leggi della realtà. Quel che importa, dice a suo nome Albus
Silente, è «imparare a vivere». Così il
meraviglioso che la Rowling predilige è ironico e parodistico:
giochi della metamorfosi, scale che il venerdì portano in
luoghi diversi, scale con un gradino che scompare, porte che non si
aprono a meno di chiederglielo cortesemente o di far loro il
solletico, ritratti che si fanno visita. Il vero meraviglioso, che ha
incantato profondamente la fantasia classica e medievale, lascia nei
suoi libri soltanto qualche grazioso relitto, come gli unicorni
uccisi nella foresta, la penna della fenice e i centauriastrologhi;
ma di solito viene sostituito da una immaginazione che ricorda un po'
troppo i tardi cartoni di Walt Disney.
[ * * * ]
L'eroe, Harry
Potter, è un ragazzo «normale»: il più
normale dei ragazzi, almeno in apparenza. Orfano, ha vissuto
un'infanzia triste; e quando il primo libro si apre, a Privet Drive
numero 4, è buono, coraggioso, timido, incerto, come quasi
tutti i ragazzi normali. Non possiede nessuno dei caratteri
eccezionali, che segnano Huckleberry Finn, Alice, Pinocchio, Sophie,
Jim Hawkins. Non ha nessuna nozione libresca di magia, come Hermione.
Eppure Harry Potter ha il dono: è l'eletto, il prescelto da
una divinità misteriosa che in Harry Potter e la pietra
filosofale (Salani, traduzione di Marina Astrologo, pagg. 296, lire
28.000), non dice mai il proprio nome. Tutti i ragazzi e gli adulti
di là sanno che egli è un prescelto, il bambino che è
sopravvissuto, e una specie di leggenda agiografica lo circonda, come
fosse un santo medievale. Se per un ragazzo «normale» di
oggi non è troppo facile identificarsi con Alice e Pinocchio,
è facilissimo diventare Harry Potter e vivere nella realtà
quotidiana, in mezzo ai babbani, immaginando di possedere il dono
miracoloso che permette di vincere le partite di quidditch e
sconfiggere il Male.
Con grande precisione la Rowling ci assicura
che il Male Assoluto non abita nel nostro mondo, ma di là,
dove si aprono le tenebre. Di là, chi detiene il supremo
potere nell'universo non è un amabile e ironico saggio come
Albus Silente, ma Voldemort: una specie di Satana. Prima che cominci
Harry Potter e la pietra filosofale, Voldemort uccide i maghi e le
streghe migliori del tempo: i McKinnon, i Bone, i Prewett e i
genitori di Harry, ma subisce una sconfitta, perdendo il corpo. Ora è
dappertutto, come una forza potente e incorporea, una possibilità
onnipresente e minacciosa, che grava sull'universo magico e su quello
reale. Cerca di reincarnarsi, suggendo il sangue dell'unicorno e
catturando la pietra filosofale, che gli assicurerà un potere
senza limiti. Tranne Albus Silente, tutti i personaggi del libro
temono Voldemort. Non ne pronunciano il nome, come se fosse quello
del Dio ebraico: mentre, come insegnano Albus Silente e la Rowling,
bisogna dire il nome del Male, perché solo chi lo conosce e ne
possiede il nome può sopraffarlo.
Quando uccide i genitori
di Harry Potter, Voldemort colpisce Harry bambino con un fulmine,
lasciando sulla sua fronte una cicatrice a forma di saetta. Questa
cicatrice torna a dolere e sembra prendere fuoco, ogni volta che un
mago malvagio fissa crudelmente il ragazzo. Eppure questa cicatrice
dolorosa è il ricordo di una vittoria. Sebbene bambino, Harry
non rimane ucciso, vince il Male Assoluto e salva il mondo, come una
specie di Cristo fantastico. Non sappiamo quale sia l'origine della
sua forza: non sappiamo quale Dio l'abbia scelto, perché con
garbo e discrezione Albus Silente e la Rowling si rifiutano di
rispondere alle domande di Harry e alle nostre. Possiamo soltanto
avanzare delle congetture: Harry ha un misterioso rapporto col male,
perché la sua bacchetta magica è gemella di quella di
Voldemort; il dolore che prova e l'amore e il sacrificio dei suoi
genitori lo rafforzano; ma la risposta definitiva ci resta ignota.
Nel castello di Hogwarts, tra i gufi e i rospi, gli scacchi e i
fantasmi, egli sconfigge le previsioni degli astri e i segni del
destino, come san Paolo aveva detto di Cristo. Vince la sua prima
battaglia contro il Male Assoluto: battaglia che si rinnoverà
e ripeterà sempre, perché Voldemort non allontana il
suo respiro spettrale dall'universo.
Non vorrei offendere i
centodieci milioni di lettori di Harry Potter. La Rowling non è
una grande scrittrice: nessuno potrà mai avvicinare il suo
nome a quelli di Carroll, Collodi, e Stevenson. Ma ha molta grazia
nella rappresentazione dei personaggi: abilità nella suspense;
conosce gli oggetti misteriosi; è lucida, fresca, accorta,
estrosa, divertente. Come i veri scrittori per ragazzi, possiede
almeno una scintilla del più raro tra i doni: l'immaginazione
teologica.
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