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MUSICA

MASSIMO RANIERI IN CONCERTO
Teatro Negombo, Lacco Ameno (Isola D’ischia)

30 Agosto 2003

 Lo scugnizzo napoletano che cantava a 12 anni nelle feste di piazza del Pallonetto di Santa Lucia non è morto. Si è sapientemente nascosto dentro il suo doppio, dentro la sua evoluzione naturale, che non era affatto scontata: un uomo di spettacolo completo, che balla, recita, imita, gigioneggia e ovviamente canta, con una voce appena appena scurita dall’età, ma calda potente e morbida come il miele.

Il concerto si apre con un breve repertorio italiano, quelle sei o sette canzoni che gli hanno consentito di essere, fra le altre cose, anche un cantante melodico italiano. In camicia bianca e pantaloni neri, seduto a terra insieme ai due chitarristi, uno dei quali è il geniale amico – arrangiatore Mauro Di Domenico, snocciola una dopo l’altra Erba di casa mia, Se bruciasse la città, Rose rosse per te, una intensa Ti penso, con dedica ad un amore importante andato via per sempre, la iper gettonata Perdere l’amore. Il pubblico segue, canta, si commuove.

Ma poi, come è ovvio, si apre la grande parentesi della melodia e del ritmo partenopeo.

Il concetto è semplice: se si grattano via i mandolini, il folklore, il provincialismo, quello che rimane sono melodie e testi preziosi come un tesoro, eterni, che fondono in sé l’Africa, il Mediterraneo, il Medio Oriente, la Spagna. Così, “invece di girare il mondo con le becere canzonette” (pesante allusione ad Arbore, credo), si scopre che è il mondo ad essere già tutto a Napoli.

Spuntano così Luna rossa, Guapperia, ‘E spingule frangese, Voce ‘e notte, Giacca rossa ‘e russetto, una struggente delicatissima pochissimo nota ‘E ccerase, su una poesia di Salvatore di Giacomo.

I titoli possono dire poco, però gli arrangiamenti, curati da Di Domenico e Mauro Pagani, il quale, non dimentichiamolo, era l’arrangiatore di Fabrizio De Andrè, sono scintillanti, mediterranei, e si colorano subito di una vena arabo – africana nel momento in cui entra in campo Badarà Seck, un senegalese dalla voce metallica e devastante, che rende l’amore impossibile di Voce ‘e notte e il desolato addio di Rundinella due drammi panumani, per i quali consolarsi a vicenda, uscendo di scena in un abbraccio senza frontiere.

Quasi tutte le canzoni sono accompagnate da coreografie originali di Franco Miseria, eseguite da un corpo di ballo di prim’ordine, fatto di gomma e a suo agio in tutti i ritmi, dal tango al tip tap (strepitosa l’interpretazione ragtime de La rumba d’ ‘e scugnizze).

Il cantato è leggero e potente, entra nel sangue, è un fluire di acqua di mare sulla pelle, ad occhi chiusi, parole finalmente corrette, una dizione finalmente perfetta, dopo gli stupri colposi e dolosi di Pavarotti e della pur splendida Mina.

Si procede con altri successi eterni, che sono costretta e ricordare in ordine sparso, perché ero troppo incantata per prendere appunti: ‘O marenariello, Marechiaro, Agata, una dirompente Tammurriata nera solo strumentale, una versione dolorosa e “annamagnaniana” di ‘O surdato ‘nnammurato, omaggi sparsi: al Principe De Curtis di Malafemmena (mixata con Amapola), a Domenico Modugno di ‘O ccafè e Io, mammeta e tu, a Renato Carosone di Maruzzella, e di sicuro me ne scordo qualcuna.

Il bis viene concesso con Reginella, cantata a piena voce da tutto il pubblico in piedi.

Dieci minuti di applausi.

 Ida Leone

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