Sonia Silk, prostituta che
sogna di cantare alla Radio nacional, mini rossa tra favelas e
marciapiedi metropolitani (Copacabana mon amour). Carne
e osso, la moglie seduttiva del dottor Plirtz (La Mulher
de Todos), la ragazza del bandito che lo tradisce per potere
e più soldi (O Bandido da Lus Vermelha). Helena
Ignez, lunghi capelli biondi, sensualità contemporanea,
gambe che macinano chilometri tracciando geografie metropolitane
impazzite e rivoluzionarie, è il corpo del cinema
brasiliano marginal - etichetta che le piace poco -
piaceva poco anche a Rogerio, sussurra gentile.
Cinema marginal, il cinema più estremista, concettuale,
denotazione di tropicalismo, fumetti, poesia, danza di geometrie
visuali in alto/basso culturale
mischiato, nessuna gerarchia se non l'urgenza sensuale di gioco
sensibile della moltitudine. Un cinema irritante per chi non ama
i luoghi comuni di resistenza e infatti le immagini di Julio
Bressane e Rogerio Sganzerla e Helena Ignez vengono massacrate da
dittatura, critica rigida, cinema novo. Helena è un po'
cortocircuito, moglie di Glauber Rocha, esordisce nel suo Patio.
I due si lasciano, lei vola sui terreni di sperimentazioni
utopiche tra vita e cinema, rivoluzione di un privato collettivo,
come il 68 insegna, molto rischiosa nel Brasile della dittatura.
Insieme a Bressane e a Sganzerla fondano la Belair, macchina
produttiva indipendente di utopia e eversione. Dura solo qualche
mese, poi l'esilio, siamo nel 70, l'Europa, Londra (a Parigi non
li vogliono) di nuovo il Brasile, di nuovo il cinema come potenza
destabilizzante fino all'ultimo film, O Signo do Caos,
lasciato da Sganzerla prima della morte. Ignez ora girerà
da regista l'ultima sceneggiatura del suo magnifico complice di
cinema e di vita, una specie di ritorno tanti anni dopo del
Bandido. Titolo Luz na Travas - A Revolta de Luz
Vermelha. Intanto è a Torino dove accompagna insieme
alle figlie, Sinai e Dijin, l'omaggio che il festival ha voluto
dedicare al cineasta di San Paolo, iniziativa in continuità
col lavoro su questo cinema invisibile iniziato nel
95 con la retrospettiva generale curata da Marco Melani e Marco
Giusti. Helena Ignez racconta con dolcezza e semplicità,
mai commemorativa, con l'energia che liberano gli schermi dei
loro film.
Raccontaci come è cominciata la
vostra avventura.
Era più o meno il 1966, una
sera Bressane mi ha vista a teatro e mi ha chiesto se avevo
voglia di partecipare al suo primo film, Cara a Cara (1967).
A quell'epoca ero un'attrice già conosciuta, lavoravo
molto tra cinema, teatro, televisione, O Patio, il mio
primo film con Glauber Rocha è del 1959, poi ho lavorato
anche con Joaquim Pedro de Andrade in O padre e a Moça
(1965). Due anni dopo Cara a Cara Rogério
Sganzerla è venuto a Rio, lui viveva a San Paolo, per
propormi O Bandido da Luz Vermelha. Come attrice
era una possibilità unica, rappresentava tutto quello che
speravo a cominciare dalla rottura con l'interpretazione
naturalista. L'incontro con Rogério ha cambiato la mia
vita.
Quale era la vostra tecnica di lavoro?
Ci
muovevamo su piani paralleli. Avevamo una sceneggiatura molto
strutturata, e poi si viveva il set che era totalmente aperto a
quanto succedeva ogni giorno. Rogério aveva una cultura
molto vasta, sapeva tenere insieme il fumetto, i film di vampiri,
la cultura popolare, il pensiero filosofico. Ci tengo sempre a
sottolineare che O Bandido ha dato l'ispirazione al
tropicalismo e non viceversa come spesso si dice.
Nel
Bandido, come negli altri vostri film, c'è
una presenza determinante della metropoli e al tempo stesso la
scommessa di un cinema che sa essere politico nella
contaminazione di linguaggi.
O Bandido è
un film su San Paolo, quindi l'esigenza di mostrarla è
chiara. Però in generale la metropoli e la sua violenza è
un'immagine importante nei film di Rogério, cosa anche
questa molto criticata dal cinema novo. Del resto eravamo
attaccati da ogni parte, il cinema novo ci escludeva dalla
produzione e dalla distribuzione e i nostri film erano anche nel
mirino della dittatura, che non gradiva si mostrassero le
favelas, che si smascherasse la loro politica, che era tempo per
la rivoluzione...Per produrre O Abismu (1977, ndr)
ho venduto il mio appartamento.
O Abismu
è stato girato dopo il vostro ritorno in Brasile.
Siamo
stati via tre anni, prima a Londra e poi un anno in Africa.
Rogério parlava sempre dell'Italia, era di origine
italiana e mi diceva che avrebbe voluto fuggire in Italia.
All'epoca abbiamo rischiato la prigione, siamo riusciti a partire
grazie al padre di Bressane che era generale e ci ha avvertiti. È
successo tutto molto in fretta, siamo scappati con le copie dei
film sottobraccio... A Londra abbiamo mostrato Copacabana mon
amour e A Mulher de Todos, avevano un certo successo
ovviamente nel circuito dei cineclub. Però lavorare era
impossibile. E nei confronti dei nostri film c'era un blocco
politico dovuto al cinema novo.
La Belair siete tu,
Sganzerla e Julio Bressane col quale hai anche lavorato come
attrice. Che rapporto avevate?
Il lavoro era pazzesco,
si giravano anche due film insieme, quello di Rogério la
mattina e quello di Julio la sera. Ma era anche molto eccitante,
non avevamo tempo, ogni film doveva rientrare al massimo in
quattordici giorni di lavorazione. In sette mesi, tanto è
durata la Belair, ne abbiamo girati sette. Eravamo molto uniti.
Julio e Rogério erano complementari, Julio non aveva
problemi economici a produrre i suoi film, la sua famiglia era
benestante. Faceva un cinema diverso da quello di Rogerio, meno
diretto. Rogerio amava invece il cinema popolare. Credo che oggi
Bressane sia l'unico rimasto a fare in Brasile un cinema
intelligente.
La rottura col cinema novo: quali erano i
punti di contrasto?
Penso che molto dipendesse da
invidie e gelosie. Quando è uscito O Bandido ha
avuto molto successo. I registi del cinema novo capirono che
aveva toccato qualcosa di profondo nel pubblico, al punto che de
Andrade dopo la presentazione disse che il regista era un genio
ma il film faceva schifo. Il successo popolare di O Bandido
era evidente mentre il cinema novo non era mai riuscito a
arrivare al pubblico. Lo stesso accadde con A Mulher de Todos
accusato di essere un film quasi porno. Vorrei però
puntualizzare che quando parlo di cinema novo non
parlo di Glauber. Siamo stati sposati, insieme a lui ho iniziato
a lavorare al cinema, Glauber col suo genio alimentava il cinema
novo che a un certo punto lo ha isolato e lasciato in totale
crisi. Rogério diceva che il cinema novo ha messo il
cinema nella camera dei giochi, privando il Brasile della
possibilità di film intelligenti e popolari.
L'aspetto
personale, il fatto cioè di essere stata sposata con
Rocha, ha reso le cose più complicate?
Non
riuscivano a capire che dopo sette anni fossi uscita dalla tribù.
Il cinema novo è anche molto machista e reazionario,
capace di esprimere soltanto una visione paternalista della
società. Non amavano Rogério perché diceva
sempre quanto pensava e aveva dei gusti molto personali. Per lui
ogni film partiva dall'osservazione della vita, della realtà,
ecco perché riusciva a catturare il pubblico. Il cinema
novo non gli ha mai perdonato la sua passione per Welles o per
Jimi Hendrix. Dicevano che non si potevano amare queste cose in
Brasile, erano troppo americani...
E oggi? C'è
stata una retrospettiva a San Paolo dei film di Rogério
Sganzerla.
La retrospettiva (Mostra Rogério
Sganzerla. Por un cinema sem limites) è andata
benissimo. I giovani adorano i film di Rogério, ne sono
sconvolti... Quanto al Brasile la vittoria di Lula è stata
molto importante, abbiamo il miglior ministro della cultura da
quando esiste una vita politica libera... Non si possono cambiare
le cose in un istante, si deve andare avanti poco a poco e vorrei
che lo capissero quanti a San Paolo hanno votato contro Marta
Suplicy per il centro destra di Serra.
Intervista
di Cristina Piccino IL MANIFESTO 20/11/2004
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