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MUSICA

Jannacci: io, un comunista che va di moda

Paolo muove la testa come Enzo, suo padre. Gli occhiali, poi, sono quelli: stangona larga, nera, anni sessanta. Il viso ha meno spigoli,ha un ovale più dolce. Del resto la tradizione vuole che i figli “matrizzino”. E' evidente che la signora Jannacci ci ha messo del suo, non limitandosi alle doglie di Lettera da lontano. Così come è altrettanto manifesto, per tutto lo spettacolo, il Paolo “che mi ha guardato cantare come fossi io il figlio”. Mentre sul fondale sfilano le foto seppiate del padre (e nonno) aviatore, quello della copertina dell'ultimo album, i due si cercano costantemente con gli occhi, ammiccano, scambiano gesti d'intesa, a volte si sfidano anche, prendendosi un po' in giro. E' vero che durante un concerto c'è l'esigenza molto seria di far girare la band (compito di Paolo) e il cantante (ovvero Enzo) con la precisione di un cronometro, ma affiora anche un rapporto di tenerezza nel quale, a volte, i ruoli sembrano ribaltati e non sai chi faccia il padre e chi il figlio. E col resto del gruppo (oltre a Paolo alle tastiere, alla fisarmonica e all'armonica, Dario Faiella alle chitarre, Franco Cristaldi al basso, Marco Brioschi al flicorno, Alessio Nava al trombone, Roberto Baldan Bembo alla batteria) e il pugno di tecnici che ha accompagnato la carovana per l'Italia emerge una divertita complicità che culmina, alla chiusura con tutti quanti sul palco e un sfrenato tip tap di Enzo Jannacci.

Con il concerto al teatro Diana di Napoli ed il prossimo di Lugano, va in archivio il tour 2002, ispirato a Come gli aeroplani. Sono due ore di nuove canzoni, di repertorio collaudato, di frustate sarcastiche (“...quelli che pensano che Gino Strada sia un medico confuso...”) a conclusione di un ciclo iniziato ad ottobre con la pubblicazione di un cd che ha messo a tacere molti addetti ai lavori del settore discografico, almeno quelli che non volevano produrgli nulla, convinti che non ne valesse la pena.

In questi ultimi mesi, ogni volta che ne ho avuto l'occasione, Jannacci si è levato qualche sassolino dalle scarpe. Sbattuta la porta della sua vecchia casa discografica di prima grandezza, che gli proponeva un banale contrattino e una raccolta di vecchie hits per tenerlo buono, ma comunque vincolato (“Per questo lavoroscrive sulla copertina del cdnon ringrazio nessuno perché amareggiato da chi, per più di quattro anni, ha trovato un modo sublime di umiliarmi, incensandomi prima e dandomi una pedata nel culo, subito dopo”), si è rimesso in pista per conto suo, accollandosi personalmente oneri e fatiche insieme a Paolo. “Il disco – dice – è stato uno smacco per tutti quelli che non ci hanno creduto, per tutti quelli che sostenevano che il personaggio Jannacci non era più di moda, non tirava più. Ho dimostrato che non era assolutamente vero. Sono andato da Baudo e ho cantato Lettera da lontano (nella versione dedicata a Carlo Giuliani) e da Panariello con Vengo anch'io? No tu no! Ho fatto cantare ben ventimila persone”.

Sei soddisfatto ora?

Sì, molto. Hanno scoperto che sono ancora al mondo. E non è un disco da incazzato, né di invettive come ha sostenuto qualcuno: sono una persona di sessant'anni che ha visto cosa è successo in questi ultimi mesi in Italia e nel mondo e che ha voluto dire in modo netto come la pensa e come ritiene che stiano le cose.

Il mondo dello spettacolo in questi giorni è sulle prime pagine dei giornali, parla di politica...

Non so...non so mica...Sai, quando sono scappati i buoi, chiudere la stalla mi sembra una cosa...la gente fa quello che vuole. E' il famoso popolo bue di cui mi parlava mio padre, gli fanno promesse che sanno già che non potranno mantenere e questi ci cascano come le pignatte. Se avessero un minimo di memoria storica...Ma si ricordano com'è andata? Ci sono state le guerre, io ho visto la seconda guerra mondiale, abbiamo toccato con mano i problemi drammatici delle nostre famiglie. Poi abbiamo visto Mussolini attaccato, impiccato per i piedi a piazzale Loreto. Io ringrazio mio padre che me l'ha fatto vedere. Ho capito cosa era successo. Questa gente, oggi senza un briciolo di memoria, in cosa può sperare? Comunque Rutelli, Fassino e quelli come loro, io non li voglio più vedere, né sentire. Io sono un vecchio comunista, mio padre era un vecchio comunista, maresciallo di aviazione che aveva rifiutato di diventare ufficiale per stare con i suoi uomini e condividerne i destini. Oggi non ci sono più riferimenti, mentre io sono cresciuto con gli insegnamenti di Salvemini, di Nenni. Hanno lasciato da parte anche il Togliatti.

Niente Palavobis?

No (laconico)

In questo tour chiudi lo spettacolo quasi sempre con “Ho visto un re”. Oggi chi potrebbe essere?

Beh, è solo un pretesto...comunque oggi dicono alla gente continuamente “Ci pensiamo noi. Voi state allegri”. La cosa gravissima è che quelli di adesso lo hanno votati operai e non operai, vecchi e giovani, poveri e ricchi. Credono di stare bene pensando in modo egoista soltanto a se stessi. Su un quotidiano qualche settimana fa hanno pubblicato un sondaggio. Si chiedeva: Berlusconi deve dimettersi in caso di condanna? Il 35 per cento ha detto sì. Il 19: no. Il 38 per cento ha risposto: non so. Ti rendi conto, hanno risposto non so. Non credo che fosse una domanda difficile.

Comunista, ma milanista. Berlusconi ora il presidente di tutto ciò che ti riguarda, anche se ha detto che la carica rossonera tra un po' sarà costretto a lasciarla perché non ha tempo...

Guarda, se si diverte a fare il ministro degli esteri ad interim può fare anche il presidente del Milan, dell'Inter, di altre setto, otto squadre, della Lega. Io però vedo il Milan che va a ramengo, quindi...

Intervista di Luis Cabasés – L'UNITA' – 26/02/2002

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