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MUSICA

Gaber? Merita un festival

Enzo Jannacci è stato l'ospite d'onore di “Omaggio al signor G.”, anteprima milanese del Festival Teatro canzone Giorgio Gaber in programma dal 19 luglio al 25 luglio alla Cittadella di Viareggio.

In realtà, il cantautore scomparso sarà ricordato dal 6 maggio con l'allestimento di “Il Grigio” per il Piccolo Teatro di Milano. E il festival viareggino si annuncia come una testimonianza di grande affetto nei suoi confronti.

Jannacci, le manca Gaber?

Sì, specialmente come amico. Mi manca perché negli ultimi anni lo vedevo di meno. Ma quado succedeva era un delirio, diceva cosa da matti.

Ne ricorda una?

Una volta ha preso da parte mio figlio e gli ha detto: vedi, da giovane tuo padre era completamente pazzo.

Cosa significa una canzone senza Gaber e De Andrè?

Che non ci sono più né la razionalità del primo né l'utopia anarchica del secondo. Li ho persi entrambi.

E ora si sente solo?

Questo no, perché ho tanti amici bravissimi come Paolo rossi, gente che va poco in tv. Come il sottoscritto, Albanese, Fo, Grillo e Villaggio. Ma anche Boldi, Benigni, Cochi e Renato, Abatantuono, Haber: comici veri.

Il più bravo chi è?

Fiorello. E' il più elegante, ha rigore, si muove in una realtà tutta sua. Io l'ho conosciuto in radio: è molto umano, poi anche bello e spiritoso.

E fra i meno conosciuti?

Andrea Bove e Enzo Limardi, due guastatori. Poi Osvaldo Ardenghi, uno che quando smette di fare l'operaio potrebbe recitare Re Rear. Ed Egidia Bruno, una ragazza capace, esclusa da tutte le parti.

Crede nel teatro canzone?

Certo, anche se sono più musicista, e nel teatro canzone, Gaber lo sapeva, prevalgono i dialoghi e non ci puoi mettere troppe canzonette. Però io sono uno che mangia Samuel Beckett e parmigiano: sono di quella generazione lì.

E' un periodo di censure?

Se devo dire, Berlusconi non mi ha ancora fatto nulla. La Democrazia Cristiana, invece, mi fece emigrare dieci anni in America. A fare il cardiologo.

E come è successo?

Perché fra “Scende la pioggia” di Morandi e la mia “Ho visto un re”, mi chiesero di cambiare canzone. Io non cambio nulla, dissi, e me ne andai.

Un bravo cantautore oggi?

Daniele Silvestri, attento all'idealismo e al sociale, ma con una linea melodica e armonica da fargli i complimenti.

E suo figlio Paolo?

Bravo musicista, cammina per conto suo.

E lei continua?

Finché ci sto, vado avanti. In fondo, credo di essere ancora necessario: dico cose che altri non hanno il coraggio di dire.

E il pubblico?

Sa scegliere: ad ascoltare Paolo Rossi c'erano tremila giovani. Che poi vanno a sentire Bersani, Silvestri, Jannacci, Ligabue, Baglioni, Guccini, quell'ispirato di Vasco. Lavoriamo sott'acqua, ma quando usciamo picchiamo davvero duro.

Uno che ha capito tutto?

Paolo Conte, sempre all'estero: ha intuito che da noi la poesia serve a incartare i finocchi.

E un artista imprevedibile?

Grillo, Celentano e Benigni che se parla in piazza si fermano tutti.

E quello più sorprendente?

E' stato Lino Toffolo: un giorno arrivò al Derby e ci lasciò a bocca aperta per sette anni.

Ci si ricorderà di Gaber?

Certo, il suo insegnamento non andrà perso, sia che lo rappresentino a teatro o che io canti le sue canzoni.

Intervista di Renato Tortarolo – IL SECOLO XIX – 25/04/2004

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