La
vittoria di Bush? Nulla di meglio per spiegarla che il successo
di Passion. Il fatto che il film di Mel Gibson abbia
incassato tanti soldi dimostra come prevalga in questo momento, e
non solo negli Stati uniti, uno spirito conservatore che sconfina
nell'integralismo. Come diceva Mark Twain, niente è più
pericoloso che la stupidità degli uomini quando si
riuniscono in un gruppo di persone. John Landis non si
rassegna. È arrabbiato, deluso, lui che ha fatto campagna
per Kerry con ogni mezzo possibile, ma non sconfitto. Dice:
l'America oggi è spaccata a metà come ai
tempi del Vietnam e questo è un buon segno. Classe
1950, nato a Chicago ma da sempre a Los Angeles, Landis è
cineasta individualista e democratico come ognuno dei suoi
gorilla, comico nell'horror più agghiacciante,
indipendente rispetto a tutte le tendenze della New Hollywood. Il
festival di Torino gli rende quest'anno omaggio - retrospettiva
di tutti i film accompagnata da un magnifico volume di cui, come
ci spiega nell'introduzione Giulia d'Agnolo Vallan che è
curatrice dell'iniziativa e del libro ( 35), Landis è
stato complice irriverente e indispensabile - nell'edizione
dedicata a Russ Meyer, appena scomparso, che ritroviamo come
fascinazione estrema (estremista?) dentro alle immagini animal
delle commedie di Landis. Insieme a molte altre cose che
compongono i suoi film, laboratorio di sovversione degli Ottanta
American Psycho, dall'azzecatissimo esordio di Schlock
(1971, sullo schermo il protagonista era lo stesso Landis) quando
aveva appena ventuno anni che a pronunciarlo suona un po' come
schmuck intraducibile parola yiddish. Schmuck, cioè i
politici che dominano un mondo declinato a
tempo-presente-reazionario, Chirac, Berlusconi, Blair,
naturalmente Bush. Traduzione possibile (per schmuck): zuccone?
scemo? cazzone? Il suono di quest'ultimo lo convince.
Slasher,
il suo ultimo film, è la perfomance del venditore d'auto
d'occasione che diventa spaccato d'America.
Alla festa
di compleanno di un amico ho conosciuto un tizio che faceva lo
slasher, quelli che fingono di abbassare i prezzi delle auto,
gonfiati prima, alle svendite. La gente così crede di fare
un affare unico. Aveva un patrimonio inesauribile di aneddoti, ci
ha raccontato tante di quelle storie e così divertenti che
ho finito col chiedergli di portarmi a una di queste svendite.
Stava andando a Sacramento, in California, sono partito con lui e
la cosa mi ha davvero impressionato. Le svendite sono il trionfo
del capitalismo allo stato puro, e esprimono un'immagine molto
precisa dell'America, è veramente tutto molto americano.
Così ho chiesto alla mia `guida' se potevamo mettere in
scena una di queste svendite, lui sarebbe stato il protagonista
facendo quanto di solito fa nella realtà mentre io lo
avrei filmato. Si è rifiutato ma a quel punto ero convinto
della mia idea e ho cercato un altro slasher. Ne ho visti
diversi, finché ho scelto Michael Bennett. Tutto questo
accadeva due anni fa, dopo l'intervento americano in Afghanistan.
Bush e i suoi avevano già cominciato a sostenere la
necessità di invadere l'Iraq. Ora, capivo l'Afghanistan,
visto che lì si diceva si fosse rifugiato bin Laden, ma
l'Iraq era incomprensibile. Oltretutto Saddam e bin Laden erano
acerrimi nemici. Bush continuava a dire che Saddam possedeva armi
di distruzione di massa, tutti sapevamo però che non era
vero come poi è stato provato. Ecco che allora ho
cominciato a pensare al film come a un parallelo tra gli slasher,
che vendono auto senza valore come occasioni uniche, e Bush che
voleva vendere al paese la guerra mentendo.
E dopo?
Cosa è successo?
La realtà si è
impossessata del set. Sono andato con Michael a Memphis, dove lo
avevano chiamato per organizzare una vendita. Ero del tutto
impreparato alla situazione economica che mi sono trovato
davanti, non credevo che fosse così depressa. Anche la
svendita è andata diversamente da come si aspettava
Michael, la gente non ha soldi... Poi lo stesso Michael è
stato una sorpresa, si è rivelato una persona complessa,
affascinante, molto diverso da come lo avevo immaginato. Ho
spostato l'obiettivo su di lui, Michael mi sembrava più
vitale rispetto al parallelo tra le svendite e Bush da cui ero
partito, anche perché incarna una grande fetta della
società americana. Ma ogni film appartiene per metà
al cineasta e per l'altra a se stesso, quando guardi delle
immagini, siano documentari che fiction, ci metti la tua
esperienza, la tua educazione, la tua cultura e questi
determinano le cose che ti appartengono in quell'esperienza. Non
esistono film brutti o belli, il discorso non è cioè
oggettivo, si possono amare film che altri odiano e viceversa.
Nel caso di Slasher, appunto, ho deciso che il
protagonista non ero io né Bush ma Michael Bennett.
Ecco
Bush. Come vede la sua vittoria? Parlava di un possibile
parallelo tra questa e il successo di Passion.
È
chiaro che se un film come Passion incassa tanto denaro e
conquista un pubblico tanto vasto, significa che domina una
tendenza cristiana integralista talmente forte da diventare la
lente del mondo. La vittoria di Bush ha fatto arrabbiare
moltissime persone negli Stati uniti. Il paese non è mai
stato così diviso e in questo senso Bush è
presidente ma senza un mandato effettivo. Rappresenta soltanto la
metà degli americani. L'integralismo religioso,
l'oscurantismo sono mali terribili. Però Bush non domina
in modo schiacciante. Noi, l'altra metà dell'America,
siamo arrabbiati ma non rassegnati, anzi abbiamo intenzione di
andare avanti nelle nostre battaglie.
Ha girato Slasher
dopo Delitto imperfetto che è del `98. Sappiamo che
per lei oggi, come per altri cineasti meno 'addomesticabili',
lavorare a Hollywood è quasi impossibile.
Posso
dire di avere vissuto in presa diretta tutta la storia di
Hollywood, dove ho iniziato a lavorare come fattorino negli anni
Sessanta. Quindi ho visto la morte dello studio system, i grandi
studios che morivano come vecchi dinosauri. La mia fortuna è
stata iniziare a fare cinema negli anni Settanta, quando gli
studios ormai erano impreparati ai tempi e avevano bisogno di
nuove idee, dunque dovevano necessariamente mostrare una maggiore
disponibilità. Di fronte al successo di film come Easy
Rider, dovevano riconoscere al regista una sapienza maggiore,
permettendo quindi libertà e controllo totale dell'opera.
Oggi tutti gli studios sono diventati piccole estensioni delle
multinazionali, sono scomparse le figura di riferimento
singolari. Il cinema nel sistema finanziario è un settore
che rientra nelle sinergie del merchandising. Per fare un
esempio: la General Electrics ha comperato la Universal, ma il
cinema per chi amministra l'energia elettrica è un'inezia,
un campo di patate. È ovvio che è cambiata anche
l'idea del profitto. Prima bastava che un film incassasse, adesso
deve essere un blockbuster, avere un dominio assoluto. Solo così
può conquistare una fetta del mercato azionario.
Ovviamente è cambiata la natura dei film. L'unica logica
sono le star. Mi viene in mente un brutto film come Troy.
La sola cosa importante era avere Brad Pitt. Poi si sono resi
conto che c'era bisogno i una sceneggiatura e hanno rimanipolato
Omero... Naturalmente ci sono anche dei buoni film, penso a
Essere John Malkovich, Fight club o The
incredibles che è magnifico. Purtroppo viviamo
tempi reazionari e siamo in mano a dei reazionari. Ci pensa fare
un film come Chinatown oggi? Sarebbe impossibile. L'eroe
che muore, il padre che ha stuprato la figlia...
Pensa
che ci sia bisogno di altri linguaggi?
Non so, credo
che ogni linguaggio possa funzionare, non ci sono regole magiche.
Dipende dalla storia, da cosa si vuole raccontare... Freud diceva
che a volte un sigaro è solo un sigaro. Quando ho girato
Il principe cerca moglie (Coming America) non mi ero reso
conto che il cast era tutto african-american ma interpretava
ruoli che non centravano con la convenzione del colore della
pelle. Era un film molto semplice, quasi una favola, e ha avuto
un successo internazionale enorme. La politica entra nei film in
modo non schematizzabile.
Prossimo progetto?
Dovrei
iniziare le riprese di un nuovo film in gennaio. Il titolo
provvisorio, che però non mi piace molto, è Gone,
(andato). Sarà una storia di fantasmi, ma è molto
difficile oggi mantenere la propria storia e girarla come si
vuole. Vorrei degli attori non famosi ma questo è
impossibile. Del resto: basta pensare che la Miramax viene
considerata cinema indipendente. L'indipendenza è forse un
po' un mito anche se oggi le nuove tecnologie hanno aperto spazi
molto eccitanti.
Intervista di
Cristina Piccino IL MANIFESTO 16/11/2004
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