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MUSICA

Il piacevole ritorno del progressive anni Settanta

Un prodotto da puristi. O forse un disco piacevolmente reazionario quello confezionato dal duo Wetton e Downes , una volta alfieri del progressive rock con gruppi come King Crimson e Family (il primo) o Buggles e Yes (il secondo), poi riuniti con il supercomplesso da stadio Asia insieme ad altri nomi gloriosi come Carl Palmer e Steve Howe prima e infine spazzati via sia dall' industria ufficiale che dai circuiti indipendenti. Si intitola Icon, il cd che rispolvera in pompa magna quei suoni magniloquenti e riapre un filone amato/odiato soprattutto nel nostro paese la cui cultura musicale trova salde radici nella tradizione lirica e romantica dell'ottocento ( e non è un caso che il rock teatrale dei gruppi inglesi dei settanta ha avuto successo in maniera più accentuata in Italia piuttosto che in patria ). "Non solo - dice John Wetton, la voce del duo - la tradizione classica europea oltre che con il rock inglese si è fusa anche con il blues ma per quanto ci riguarda credo siamo ormai lontani dalla definizione di progressive. Preferirei parlare più semplicemente di rock melodico". Ed infatti si tratta più di Adult Oriented Rock, una sigla che in America serve alle radio ad onde medie per "spingere" meglio il prodotto. Radio che già ospitano i vecchi classici degli Asia insieme alle canzoni pop dei Boston, dei Foreigner o dei Chicago.

Ma perché Mister Wetton avete voluto riprendere a suonare insieme?

È stato molto semplice : eravamo d'accordo più o meno su tutto e avevamo la sensazione di non avere terminato ancora il nostro percorso. Ci eravamo rivisti con Geoffrey per il mio ultimo disco Rock of Faith collaborando su un paio di canzoni e da lì è ricominciato il discorso. Abbiamo inoltre radici comuni nella musica da chiesa, entrambi cantavamo nei cori.

A proposito sembra che la religione abbia un posto rilevante nel disco, il brano God Walks with us parla chiaro in questo senso ...

Più spirituale che religiosa direi. La musica che facciamo è più matura oggi e le parole mettono in luce aspetti più riflessivi della vita.

Bando quindi agli sperimentalismi , sì ad organi ed ad orchestrazioni molto aperte ma in una chiave estremamente fruibile . Sin dalle prime battute di Paradox il gioco è chiaro. Gli archi creati dalle tastiere di Downes sono il tappeto sonoro e apripista per la potente voce di Wetton che non deve (peccato...) inerpicarsi su scale complicate. L' enfasi delle canzoni e gli impasti vocali sono quelli di un british sound senza tempo. Si passa da Let me go, biglietto da visita in pieno stile Asia a Hey Josephine, brano che va ascritto al genere "canzoni con nome da donna" che tante compilation ha poi partorito, per finire con In the End forse la canzone migliore del disco che vede partecipare un altro nome appartenente ad una sigla importante: Annie Haslam, voce dei Reinassance. Oltre a Steve Christey e a John Mitchell, da tempo nell'entourage di Wetton, in Icon ci sono Hugh McDovell il baffuto violinista dell'Eletric Light Orchestra, Ian McDonald indimenticato polistrumentista dei primi King Crimson e , come autore dei testi, Richard Palmer James anch'egli nei Crimson , responsabile allora di testi oscuri e anticonformisti riconvertito anche lui a più miti ed omogenei contributi.

Ha visto Mr. Wetton il successo dei Pink Floyd al LiveEight? Del resto il 2005 ha sancito inoltre il ritorno di band storiche come i Van Der Graaf Generator, i Soft Machine ed altri ancora. È un ritorno non solo al progressive ma alla musica suonata?

Noi ci speriamo. La musica progressiva o creativa è sempre stata lì, è stata l'industria musicale a spostarsi. Adesso forse è tornato anche un generale interesse. E' incoraggiante che ci siano oggi tante etichette, create da appassionati dal genere che ci mettono tanto entusiasmo e tentano, malgrado i tempi , di vendere i prodotti di un genere musicale che ha un discreto seguito.

Ma infine lei ricostituirebbe, nel 2005, un supergruppo come furono gli Asia?

Un sogno per ora, ma non impossibile.

Intervista di Ugo Ciotta – IL MANIFESTO – 06/08/2005



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