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CINEMA

Il ragazzo di Canton salvato dal cinema

Intervista al regista John Woo, il John Ford dei gangster

Biografia

John Woo è il regista hongkonghese tra i più “inseriti” a Hollywood. Nato a Canton, Cina, nel 1948, si trasferisce con la famiglia, nel 1951, a Hong Kong, dove abita in un quartiere poverissimo. A 9 anni entra in una scuola luterana e nel 1967 conosce il teatro la Chinese Student Weekly Theatre company. Poi arriva la passione per il cinema e si lega alla compagnia Cathay: realizza così dei cortometraggi. Nel 1971 diventa assistente di Chang Cheh. Accanto a lui impara davvero il mestiere. Nel 1973, John Woo scrive e realizza il suo primo film, Farewell Buddy, diventando il più giovane regista di Hong Kong. Il film è vietato dalla censura per l'estrema violenza, ma uscirà finalmente due anni dopo con un nuovo montaggio e un nuovo titolo: The young dragons. Ormai John Woo lavora per la Golden Harvest e nel 1976, conosce il successo con un nuovo film di kung-fu: Hand of death. Così proseue la sua carriera oscillando tra il Kung-fu e la commedia. Last hurrah for chivarly è sicuramente il suo più bel film di questo periodo. John Woo alla fine riesce ad imporre il suo stile ispirato alle opere di Jean-Pierre Melville. E nel 1990 realizza il suo film più “noir”: Bullet in the head. Dopo Hard boiled, sempre con Chow-Yun-Fat, John Woo parte per gli Stati Uniti. Tsui Hark, Kirk Wong, Ringo Lam e Yuen Woo Ping (coreografi dei combattimenti di Matrix) lo seguiranno più tardi. Imporsi ad Hollywood per un asiatico è molto difficile e ci vorranno cinque anni prima che il regista riesca a far apprezzare il suo stile con Face Off (1997), interpretato da John Travolta e Nicholas Cage. Il successo di questo terzo film americano è enorme e permette a John Woo, al di là dei budgets, d'avere più libertà nel suo lavoro. L'ultima sua impresa è, come tutti sanno, Mission Impossible 2, con Tom Cruise, nel quale si è messo a confronto con Brian De Palma, regista del primo Mission.

John Woo e Tom Cruise sul set di “Mission Impossible 2”

John Woo è un personaggio unico nel panorama del cinema mondiale. E' un regista asiatico ma lavora ad Hollywood. Dirige film d'azione me è considerato un autore di culto. Racconta storie e sparatorie fra gangster ma è un fervente cattolico che odia la violenza. Il suo cinema ha già influenzato due generazioni di giovani registi: prima i film fatti a Hong Long come A better tomorrow, Hard Boiled e The Killer, poi quelli realizzati a Hollywood come Broken Arrow, Face Off e Mission Impossible II. Il suo nuovo film, Windtalkers, doveva essere distribuito in questi giorni in tutto il mondo, ma l'uscita è stata rinviata all'estate prossima perché è un film di guerra e la guerra, come sappiamo, si fa ma non si deve vedere.

Nonostante questo contrattempo John Woo ha accettato di ricevermi nel suo ufficio di Los Angeles. John Woo mi ha spalancato le porte della sua vita e della sua carriera parlando per ore in inglese, cosa che non aveva mai fatto prima. La versione integrale costituirà l'ossatura di Tra il Bene e il Male, un documentario di 90 minuti realizzato a quattro mani con Simone Del Vecchio che sarà presentato nel 2002 in un festival internazionale.

Vorrei cominciare chiedendoti di parlarmi della tua infanzia. So che è stata difficile.

Quando avevo 3 anni e vivevo in Cina, a Canton, ero molto malato. Ho quasi rischiato di morire. Soffrivo di una malattia per cui la mia schiena era in putrefazione, sanguinava. Non riuscivo a dormire e tutto ciò che mia madre e mio padre potevano fare era tenermi in braccio per 24 ore al giorno. Quando uno dei due si stancava mi passava all'altro. Il medico disse ai miei genitori che non avevo speranze. Ma mio padre non si è mai dato per vinto. Disse al medico: “Questo è mio figlio, io riesco a vedere il suo futuro, lui ha un grande talento”. Mio padre ha speso tutti i suoi soldi, non ha mai rinunciato a lottare e mi ha salvato la vita. E' stato un padre eccezionale. E' morto, purtroppo, all'età di 44 anni. Era uno studioso all'antica. Mi ha insegnato la filosofia cinese. Ma era cristiano e mi parlava sempre di Gesù e della Bibbia. A mio padre non sono mai piaciuti i film, mentre mia madre andava matta per il cinema. E' stata lei a insegnarmi a guardare i film senza che mio padre lo sapesse.

Si può dire che il tuo codice d'onore deriva da tuo padre e la passione per il cinema da tua madre?

E' proprio così. Ma la passione del cinema è stata più forte di tutto. Mi ricordo che quando avevo circa 10 anni, usavo un pezzo di vetro per disegnarci sopra delle figure. Dopodiché mi toglievo il cappello e parlavo come davanti a un teatro. Poi prendevo una torcia e indirizzavo la luce contro il vetro per proiettare le immagini. Agitavo la torcia in su e in giù per far muovere le immagini sul muro.

Vivevi già a Hong Kong?

Sì. In periferia. Il posto in cui sono cresciuto era davvero difficile, il nostro vicinato non era dei migliori. C'erano molti banditi e trafficanti di droga. Io ero il giocattolo dei bulli del quartiere. Ma non avevo paura, non mi spaventava il fatto di affrontarli o di vivere con loro. Ogni mattina, quando uscivo, dovevo afferrare qualcosa che mi servisse da arma, un pezzo di legno o di ferro, perché sapevo che camminando lungo la strada avrei subìto delle imboscate. Dovevo battermi, difendermi, proprio come nei miei film. Non ho mai permesso che nessuno mi puntasse una pistola alla tempia. Quella era la mia vita da bambino. Era orribile ma mi ha insegnato a perdonare. L'unico posto dove mi piaceva stare era la chiesa. Loro si prendevano cura di me e mi aiutavano molto. Il mio primo sogno era diventare prete. Però non mi hanno accettato. Dicevano che avevo un'indole troppo artistica.

Non credo che tu lo rimpianga oggi.

Non so. Mi è sempre piaciuto aiutare la gente. Dal momento che sono stato aiutato, sono molto riconoscente a tutti quelli che mi hanno aiutato. La mia famiglia era molto povera e non sono andato a scuola fino all'età di 9 anni. Siamo stati fortunati perché ho ricevuto aiuto sia dalla Chiesa, sia da una famiglia che mi aveva adottato a distanza e mandava i soldi per farmi studiare. Sono molto grato a tutti e volevo diventare prete per poter ricambiare. Credo di aver trasmesso questa esperienza di vita agli eroi dei miei film. L'eroe tipico dei miei film è una persona che si prende cura degli altri, che vuole davvero aiutare gli altri.

Da bambino hai scoperto un mondo che successivamente hai riprodotto nei tuoi film. Ti ricordi qualcuno in particolare che hai conosciuto nella tua infanzia?

Quando avevo 12 anni, il mio vicino di casa era un gangster e suo figlio aveva già molti guai con la legge. Era un ragazzo molto solo. Io l'ho aiutato ad andare avanti a cambiare. E' lì che ho imparato che le persone, tutte le persone, possono cambiare.

Ho notato che nei tuoi film i gangster si sentono sempre colpevoli di essere gangster.

Tutti i miei film si basano sull'onore e la lealtà. Mi ricordo che in occasione del mio primo film importante, A better tomorrow, molte persone della malavita che lo avevano visto piangevano. Perché l'onore e la lealtà sono valori ormai quasi scomparsi.

Come hai iniziato la tua carriera nel cinema?

Quando frequentavo le scuole superiori ero pazzo per il cinema. Andavo al cinema in qualunque momento e ovunque. Vedevo film di tutto il mondo mas soprattutto film d'arte: “La dolce vita di Fellini, Ladri di biciclette di De Sica, ma anche Antonioni, Godard, Truffaut, Jacques Demy, David Lean, Orson Welles. Ho fatto tanti lavoretti nel cinema ma poi, all'età di 25 anni, un mio amico ottenne dei finanziamenti per girare un film. Mi chiese di firmare la regia insieme a lui. Il film si intitolava The Young Dragons. Era un kung fu a basso costo, e alla fine venne anche censurato perché era troppo violento.Vendemmo il film alla Golden Harvest e loro mi assunsero come regista. Sono stato fortunato.

Come regista tu all'inizio hai fatto soprattutto commedie. E hai avuto anche un notevole successo.

E' successo per caso. Vedi, ho fatto un po' di film di kung fu e poi non sapevo più cosa fare. Allora produssi la prima commedia del mio amico Michael Hui, Games gamblers play. Quel film ebbe un enorme successo. Il capo della Golden Harvest mi disse:” Perché non fai una commedia pure tu, John?”. Io risposi: “Mi piacciono le commedie ma non so se ne sono capace”. Tutto quello che sapevo era che mi piacevano Jerry Lewis e Louis De Funès.

Ora che mi ci fai pensare, Jerry Lewis e Louis De Funès sono così veloci nel muoversi e nel parlare che sembrano due eroi del kung fu...

Sì, è vero sono molto buffi. La mia prima commedia si intitolava Money crazy. Impiegai due settimane a scrivere il copione e 45, 50 giorni a girarlo. Il film guadagnò un sacco di soldi e fu la mia rovina. Perché dovetti continuare a fare commedie. E invece volevo fare film di gangster.

Quante commedie hai fatto in tutto?

Sette o otto. Ma non tutte hanno avuto successo. Alcune non erano buone. Per colpa mia. Ero arrabbiato perché non potevo fare quello che volevo fare. Mettevo tutta la mia rabbia nella mie commedie. E il pubblico non sapeva come reagire. La gente va a vedere una commedia perché vuole ridere, mentre io volevo farla piangere. Fu così che lasciai la Golden Harvest dopo dieci anni. Andai a lavorare in un'altra società di Hong Kong che si chiamava Cinema City e nel 1985 ricevetti l'aiuto di un amico, Tsui Hark, per produrre il mio primo film di gangster, A better tomorrow. Quel film ebbe un enorme successo e cambiò la mia vita. Lo dedicai al mio regista preferito: il francese Jean-Pierre Melville.

Quand'è che ti sei innamorato di Jean-Pierre Melville? E' un regista importante per i cinefili ma il pubblico si può dire che non lo conosca.

Quando ero giovane, negli anni '60, mi sentivo estremamente solo. Mi sentivo incompreso. Leggevo molti libri sull'esistenzialismo. E quando vedevo i film di Melville, soprattutto Frank Costello faccia d'angelo restavo colpito, commosso.

In quel film Alain Delon interpretava l'uomo solitario per eccellenza.

Guardandolo mi sembrava di vedermi sullo schermo. Tutto quello che Alain Delon provava lo sentivo dentro di me. Oltre ad immedesimarmi nel personaggio, mi piaceva molto anche lo stile di Melville. Ho sentito dire che Melville si è ispirato ai film di gangster americani. Tuttavia penso che avesse un suo stile molto preciso. Inoltre mi piaceva la sua filosofia, molto orientale. I suoi film si basavano sull'onore e la lealtà nel mondo del crimine. Anche tra i gangster, non si tradisce mai un amico. Noi cinesi abbiamo lo stesso tipo di filosofia. Ecco perché sono così legato ai suoi film. L'altro film di Melville che adoro è I senza nome con Alain Delon, Yves Montand e Gian Maria Volontè. Gian Maria Volontè era fantastico.

All'inizio parlavi anche di altri registi che ti hanno influenzato.

Da Jacques Deray, e dal suo film Les parapluies de Cherbourg, ho imparato il romanticismo. E quante cose ho imparato da Fellini! Il modo in cui Fellini usava la macchina da presa, per esempio, sempre nella visuale del dialogo. In una sola inquadratura di Fellini puoi trovare quasi tutta la storia del film. Oggi, invece, i registi usano un gran numero di dettagli assolutamente inutili.

C'è un attore asiatico, Chow Yun Fat, che tu hai lanciato nei tuoi primi film e che abbiamo poi ritrovato in “Anna and the King” e nella “Tigre e il Dragone”. Mi racconti che rapporto hai con lui?

Chow Yun Fat è un bravo attore e una persona magnifica. Quando facevo i provini per A better tomorrow lessi su un giornale che la cosa più importante per lui era poter aiutare i suoi amici. A quel tempo non era un attore famoso. Tutti i suoi film erano stati dei flop. Lo scelsi e gli sviluppai la parte per renderla più importante. Adesso è una grande star. Chow Yun Fat ed io abbiamo molte cose in comune. Abbiamo iniziato entrambi dal basso, abbiamo vissuto momenti difficili da giovani. Siamo sicuri di noi stessi, sappiamo cosa vogliamo e non ci arrenderemo mai. Abbiamo lo stesso codice d'onore e lo stesso senso della dignità. Credo che il nostro rapporto somigli a quello tra Fellini e Mastroianni, Melville e Delon, Scorsese e De Niro.

John, parliamo ora di “Face Off” che secondo me è davvero uno dei film più sorprendenti degli ultimi anni. Vorrei sapere come hai gestito lo scambio di identità tra John Travolta e Nicholas Cage.

L'idea dello scambio di identità è stata un'idea fantastica perché tutti abbiamo due lati di noi stessi: uno buono e uno malvagio. A volte, quando vedi qualcosa che ti piace ti viene la tentazione di prenderla ma la tua anima buona ti dice: “No, no puoi, non è legale, non puoi farlo”. Altre volte, ti viene voglia di aiutare qualcuno e l'anima cattiva ti dice: “potrebbe essere pericoloso. Potrebbe diventare un problema per te”. In ogni essere umano c'è sempre una lotta interna. Ma se hai una forte personalità sai sempre cosa devi fare. Mentre stavo girando Broken Arrow, Michael Douglas venne da me nelle vesti di produttore e mi propose il progetto di Face Off. Ma quando lessi il copione non mi piacque, perché l'idea originale era quella di fare un film di fantascienza. C'erano troppo effetti speciali ed era ambientato nel futuro, tra trecento anni. Allora dissi a Micheal che se avessero potuto cambiare la storia e renderla più umana, riducendo gli effetti speciali, avrei potuto pensarci su. Vennero da me una seconda volta e mi presentarono un nuovo copione. Lo avevano cambiato, lo avevano reso più umano. Restammo in riunione per circa tre ore durante le quali volevano sentirsi dire cosa ne pensavo, ma io non dissi una parola. Non una parola in tre ore. Non parlai perché non avevo idea di come avrei girato il film. Dopo la riunione dissi solo una cosa a Michael: “Fidati di me e farò un bel film. Non ti deluderò”. Michael rispose: “Lo so, perché io ho fiuto”. Gli sono molto grato per essermi fidato. Io non sono mai stato bravo a vendere me stesso.

Ma poi, sul set, ti sei sentito completamente libero?

La produzione non mi hai posto limiti. Michael non mi ha mai detto cosa fare né come farlo. Stava semplicemente seduto a guardarmi. E io, dal canto mio, al di là del conflitto tra il bene e il male, volevo lavorare sul tema del valore della famiglia. Perché noi cinesi, proprio come voi italiani avete sempre bisogno di mettere qualcosa in tavola. Il valore della famiglia è molto importante nella nostra società come nella vostra. Quindi volevo affrontarlo in modo serio. Ma alcuni, nella produzione, erano preoccupati. Perché avevo intenzione di rendere questo film d'azione molto commovente. Secondo il loro punto di vista, poteva essere rischioso. Non sapevano come avrebbe reagito il pubblico. Il pubblico americano è molto diretto. Se sta guardando un film d'azione, vuole l'azione. Se sta guardando un film d'amore, vuole una storia d'amore. Se sta guardando una commedia, vuole solo comicità e nient'altro. Ogni genere di film ha il suo pubblico. Quelli che amano i drammi non vanno mai a vedere i film d'azione.

Secondo la produzione alla fine ti ha assecondato perché se avessero cercato di contrastarti avrebbero potuto combinare un disastro. E' andata così?

Credo di sì. Infatti, è nato un problema soltanto verso la fine delle riprese, per l'ultima scena in cui il buono, John Travolta, portava a casa sua il il figlio del cattivo, Nicholas Cage. Quella scena alla produzione non piaceva, e non mi hanno permesso di girarla. Dicevano che il pubblico americano non avrebbe apprezzato. Io ho insistito. Pensavo che alla gente avrebbe fatto piacere vedere che qualcuno si sarebbe preso cura di quel bambino. Pensavo che dovesse essere l'eroe del film a sentirsi responsabile per quel bambino e portarlo a casa sua. Lo consideravo un gesto di grande umanità. Ma loro non hanno voluto.

Eppure, è così che finisce il film.

Sì. Ma è successo tutto grazie a una preview. Facemmo una proiezione con il pubblico, e alla fine del film il sessanta per cento degli spettatori chiese che fine avesse fatto il bambino. A quel punto, la produzione si scusò e mi permise di girare il finale che volevo. Purtroppo, a Hollywood credono sempre di sapere cosa vuole il pubblico. Ma in realtà nessuno lo può sapere.

Il figlio del gangster di “Face Off” mi fa pensare al figlio del gangster tuo vicino di casa che hai aiutato quand'eri ragazzino.

E' lui.

E gli attori John, ti hanno sempre assecondato? Perché John Travolta e Nicholas Cage sono due divi, e i divi a volte a Hollywood pesano anche più dei produttori.

All'inizio, John e Nick recitavano in modo rigido, non erano aperti. Ad esempio, ricordi quella scena in cui Nicholas Cage prende le sembianze di John travolta e cerca di convincere la moglie di Travolta che lui è veramente suo marito raccontandogli un episodio della loro vita insieme? Nicholas Cage recitava in modo banale, si limitava a dire le battute. Allora gli dissi: “Nick, mi piacerebbe vedere le lacrime spuntare dai tuoi occhi. Usa le lacrime, usa un sorriso amaro per raccontare questo aneddoto. Sarai più convincente”. Lui obiettò: “No John, non l'ho mai fatto prima, Potrebbe sembrare esagerato”. Gli avevano insegnato che nei film d'azione gli eroi non piangono mai, Io lo incalzai. Alla fine provò a fare e modo mio e gli vennero davvero le lacrime agli occhi. Quando riguardò la scena gli piacque molto.

Ho sentito dire che da ragazzo hai fatto delle esperienze come attore. E' vero?

Sì. E provavo una grande passione per la recitazione. Incoraggio sempre i giovani registi a iniziare come attori. Si impara a provare le sensazioni dei personaggi, si impara a gestire la macchina da presa, si impara a suscitare emozioni, si impara a dare splendore agli interpreti.

Vorrei che mi dicessi qualcosa del tuo più grande ammiratore, Quentin Tarantino. Che rapporto hai con lui?

Secondo me è un genio. Adoro il suo lavoro. Ci siamo incontrati qualche anno fa dopo il suo primo film, Le iene. Sì, è stato molto divertente conoscerlo. Lui parla molto velocemente, ad alta voce, fa molto rumore, si muove molto, è un po' pazzo! Quentin ama i film di Hong Kong. Lui rappresenta un'altra generazione, quella della giovane cultura hip-hop. Tarantino ha cambiato lo stile del cinema americano.

Se non sbaglio, Tarantino ha deciso di fare lo sceneggiatore e il regista proprio dopo aver visto i tuoi film, John.

E' quello che mi ha detto.

Credo che Tarantino sia uno dei più grandi sceneggiatori di tutti i tempi.

Vuole scrivere copioni per me, ma purtroppo è sempre molto impegnato e non è mai successo. Non vedo l'ora di lavorare con lui.

Parliamo di “Mission Impossible II”. Una cosa per me molto strana è che tu abbia accettato di fare il seguito di un film diretto da Brian De Palma, un regista oggi forse meno importante di te.

L'ho scelto perché volevo lavorare con Tom Cruise. Ho sempre desiderato lavorare, fare un film con lui. Prima di MI2 avevamo pensato ad un altro progetto. Si intitolava The Devil's soldier. Era la storia di un americano che nel XVIII secolo lavorava in Cina e si era innamorato di una ragazza cinese. Una storia realmente accaduta. Ma il film non è andato in porto. Allora Tom mi ha chiesto di fare MI2. Io sono rimasto scioccato, non avevo mai pensato di fare il seguito di un film di un altro. Oltretutto il primo Mission Impossible era eccellente, non potevo paragonarmi a Brian De Palma, che lo aveva realizzato con molto stile. Ma Tom voleva appunto cambiare stile. Lui vuole che ogni episodio di Mission Impossible abbia lo stile di un diverso regista. Non vuole che diventi come la serie dei film di James Bond, che sono quasi tutti uguali. Tom Cruise spera che il regista di MI3 sia Quentin Tarantino.

In MI2, Tom Cruise recita in modo molto diverso dal solito. Sembra quasi Bruce Lee.

Tom voleva azioni veloci, com quelle dei film di Bruce Lee. E poi c'erano le armi. Lui aveva dei problemi con le armi, problemi legati alla sua immagine. Gli ho fatto usare due pistole. Lui era perplesso. Io gli ho detto: “Vuoi il mio stile? Questo è il mio stile”. Dopo aver girato la prima scena ne è rimasto entusiasta, proprio come un bambino. Credo che a Tom Cruise piaccia provare cose nuove come arrampicarsi su una scogliera, tuffarsi, fare cose estremamente pericolose da solo, senza controfigure.

E' proprio vero che non avete usato controfigure?

Sì. Tutte le scene degli inseguimenti con le moto, i combattimenti corpo a corpo e la scalata della parete le ha fatte da solo.

Il tuo nuovo film, “Windtalkers”, è pronto ma non esce perché è un film di guerra ed è stato messo in frigorifero, come tanti altri film, a seguito dei fatti dell'11 settembre. Ma è veramente ul film di guerra?

Non è il solito film di guerra in cui l'eroe uccide i cattivi per salvare il mondo. E' la storia di come persone di diverse culture si possono ritrovare per lavorare insieme. E' ancora un film sull'amicizia. E' questo l'aspetto che mi interessa. La violenza fine a se stessa non mi interessa.

“Windtalkers” racconta il prezioso contributo offerto dagli indiani Navajos all'esercito americano durante la seconda Guerra Mondiale. Ho sentito dire che è tratto da una storia vera.

I Navajos non avevano una forma di scrittura. Tutto veniva tramandato oralmente. E così le forze armate americane ebbero l'idea di usare il linguaggio dei Navajos come codice di comunicazione per non farsi capire dai giapponesi. Un messaggio poteva essere, per esempio: “Vedo la capra e il pollo addentrarsi nei monti”. La capra indicava una nave da guerra giapponese, il pollo l'aereo giapponese. I giapponesi intercettavano i messaggi ma non ne venivano a capo. Questo è accaduto veramente, è Storia. Ma il mio film parla di come i bianchi hanno imparato a lavorare con gli indiani superando l'iniziale diffidenza. E' una metafora sul razzismo, un tema che riguarda anche la mia esperienza personale.

L'interprete, ancora una volta, è Nicholas Cage. Chi è il personaggio?

Si chiama Joe Anders. E' un soldato americano che rimane ferito in guerra e impazzisce per il dolore di aver perso i suoi amici più cari. L'altro protagonista è un indiano Navajo. All'inizio, i due hanno un rapporto molto conflittuale. Poi, pian piano, nasce un'amicizia e il bianco comincia a guarire grazie all'aiuto dell'indiano.

Immagino che avrai avuto come consulenti dei veri Navajos.

Sì. Ho incontrato dei veri “co-talkers” navajos, così si chiamavano, che sono ancora vivi e mi hanno aiutato molto. E' gente molto divertente, del tutto diversa dagli indiani che vediamo nei film western. Sono molto intelligenti, ospitali, e hanno uno straordinario senso dell'umorismo.

So che lavori sempre su molte idee contemporaneamente. A quali film stai pensando per il futuro?

Sto lavorando a quattro progetti: uno riguarda una storia realmente accaduta in America nel Settecento, che ha per protagonista un cinese e un irlandese che hanno lavorato insieme per costruire la ferrovia. Il secondo progetto è una commedia, perché non faccio commedie da dieci anni, ma dovrà essere una commedia veramente folle. Il terzo progetto è un western basato su una tragedia greca, e il quarto è un film di spionaggio alla Hitchcock, qualcosa di simile a Intrigo internazionale.

Mi hai fatto pensare per ben due volte, facendo riferimento alla ferrovia e al western, a Sergio Leone.

Adoro i film di Sergio Leone. Devo dire che sono stato fortemente influenzato dal suo cinema, ha reso i western davvero unici e accessibili a tutti. Di solito i western si limitano a raccontare una storia, ma quelli di Sergio Leone sono come dei quadri. La stessa cosa vale per Bernardo Bertolucci: Bertolucci ha uno stile diverso da Leone, ma è sicuramente uno dei più grandi maestri del cinema contemporaneo. Quando guardo i suoi film ho come l'impressione di leggere dei versi.

Mi chiedo cosa pensi dell'”Ultimo imperatore” di Bertolucci, tu che sei un regista cinese?

Quando ho visto quel film sono rimasto sbalordito. E' un film bellissimo, totalmente credibile. Bertolucci ha colto l'essenza della Cina, ci ha mostrato aspetti della Cina che noi stessi non avevamo mai notato prima. Il film mi è piaciuto talmente tanto che ho provato vergogna perché non lo aveva fatto un regista cinese.

Intervista di David Grieco – L'UNITA' – 09/12/2001

Filmografia di John Woo

The Dragon Teamers (1974)

Princess Chang Ping (1975)

Hand of Death (1976)

Money Crazy (1977)

Follow the Star (1977)

Last Hurra for Chivalry (1978)

Hello, Late Homecomers (1978)

From Roags to Riches (1979)

To Helle With Devil (1981)

Laughing Times (1981)

Palin Jane to the Rescue (1982)

Heroes shed No Tears - Sunset Warriors (1983)

The Time you need a friend (1984)

Run Tiger Run (1985)

A Better Tomorrow (1986)

A better Tomorrow II (1987)

Just Heroes (1989)

The Killer (1989)

Bullet in The Head (1990)

Once a Thief (1991)

Hard Boyled (1992)

Face Off (1997)

Mission Impossible 2 (1999)

Paycheck (2003)



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