TEATRO



I 75 anni di Judith, musa del Living

“Stiamo preparando uno spettacolo per il G8, ma non sappiamo ancora se ci sarà possibile portarlo a Genova il quei giorni. Speriamo. Ci Consideriamo anarchici, ma siamo pacifisti. Attraverso il teatro vorremmo invitare tutti i manifestanti a una protesta non violenta”.

Parola di Judith Malina. Alla vigilia del suo settantacinquesimo compleanno, la fondatrice del Living Theatre e musa planetaria della contestazione teatrale sessantottina, non sembra sfiorata dal dubbio. Accanto a lei, a Rocchetta Ligure, in una stanza di palazzo Spinola, da più di un anno sede italiana del Living, il marito Hanon Reznikov, aggiunge: “Tutti i vandalismi e anche gli attacchi contro la polizia ci sembrano vergognosi”. Segue Judith da ventisei anni: lei era già sola, vedova di Julian Beck quando la vide la prima volta, all'università di Yale. Il teatro, allora, non gli sembrava una cosa seria. Cambiò subito idea, abbandonò gli studi di fisica e ora è il regista del gruppo che, dalla sua base continua a partire per spedizioni in varie parti del mondo. Ultima tappa in Medio Oriente: per festeggiare il compleanno di Judith Malina, il Living ha anticipato il suo rientro dal Libano.

“Siamo stati tre settimane a Beirut e Tripoli – racconta – con uno spettacolo che s'intitola “Resistenza” e che abbiamo creato proprio qui, basandoci sui racconti dei vecchi partigiani. Per portarlo in scena abbiamo dovuto trattare con gli Hezbollah. A loro sembrava scandaloso il nostro modo di lavorare, la fisicità dei nostri spettacoli. Non tolleravano che i maschi e le femmine avessero il minimo contatto fisico in scena.

Le autorità religiose mediorientali vi hanno censurato?

Non avrebbe avuto senso per noi accettare modifiche alla nostra linea di condotta artistica (che non è scandalosa nel senso per noi “corrente” del termine). Ci siamo spiegati e siamo riusciti a far capire le nostre ragioni.

Porterete questo spettacolo negli Stati Uniti?

Lo abbiamo già fatto, a New York, in un teatro vicino a Times Square – interviene ancora Reznikov – E ha avuto un'ottima accoglienza. Sinceramente, però, devo dire che non so quanto abbia influito su questa risposta il messaggio politico o quanto invece il fascino della passione che gli italiani hanno fama di mettere nelle loro storie pubbliche e private.

Judith Malina, allieva di Brecht e Piscator, fondatrice del Living nel dopoguerra, coautrice della grande svolta del '59 con “The connection” (in cui gli spettatori credevano di assistere a un documentario sui tossicodipendenti) e di “The brig” ambientato in campo di prigionia dei marines. Judith Malina, regina dell'off Broadway fino al '63 (anno in cui lasciò gli Stati Uniti per una questione di tasse non pagate) e poi corifea della protesta giovanile europea (tra gli spettacoli cult “Paradise Now”).

Dalla sua nuova casa italiana, in una valle piena di suggestioni ma così appartata, non rimpiange New York?

Non l'ho mai abbandonata. E da alcuni anni la nostra presenza a New York, dove abbiamo portato in scena anche spettacoli contro la pena di morte, è ridiventata quasi stabile. Nel senso che è l'altra nostra base: sei mesi qui a Rocchetta e sei a Manhattan.

Festeggiando il suo compleanno, brinderà a 75 anni da leader?

Ammetto di avere un certo carisma, ma non credo che si possa parlare di me come un “capo”. Così come “compagnia” non è il termine giusto, per come lo si intende di solito. Siamo persone che parlano, che fanno politica, che studiano insieme. E che stanno bene in qualsiasi parte del mondo dove sia possibile pensare di cambiare le cose con la forza delle idee, non con quella delle armi.

Siete stati in tutto il mondo, ma anche prima che vi stabiliste qui l'Italia sembrava la vostra seconda patria. Questione di feeling politico o artistico?

La prima cosa che ci ha attratto è stata la creatività della gente.

Intervista di Silvana Zanovello – IL SECOLO XIX – 17/06/2001