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Medici contro le ingiustizie

DIRITTI UMANI E SALUTE VANNO DI PARI PASSO: DOVE I PRIMI SONO NEGATI PROSPERA LA MALATTIA

Non c’è pace con le mine

La tragedia delle donne afgane: aiutiamole


Intervista ad un medico di guerra
Gino Strada

DONNE ANCORA SCHIAVE
Nell’era dell’emancipazione e delle libertà
di Francesca Brilli

LE DONNE DI KABUL

DONNE AFGANE VITTIME E PROTAGONISTE

(Mani tese)

RECENSIONE AL LIBRO DI GINO STRADA, Pappagalli verdi
Notiziario Giugno 1999 - Amnesty International, Sezione Italiana

Intitolando in questo modo la recensione, non abbiamo voluto giocare col cognome di Gino Strada. Piuttosto, abbiamo voluto mettere in evidenza le condizioni in cui l’autore e i suoi collaboratori si siano spesso trovati nel corso del loro impegno: installare ospedali da campo in meno di una giornata, organizzare soccorsi istantanei approfittando di una fragile tregua, operare a lume di candela nel mezzo di combattimenti, provare a ricucire corpi e anime, ad amputare e rieducare, a convincere un bambino o una bambina a trascorrere il resto della propria vita "adattandosi alla nuova forma del suo corpo, a usare meglio quel che è rimasto". Racconta Strada della sua sorpresa iniziale nel constatare l’assenza di reazione da parte delle vittime e di aver poi compreso come sia "la quotidianità della tragedia che rende superfluo ai feriti dalle mine piangere, lamentarsi. E’ il fatto di aver sempre vissuto in mezzo al terrore e al dolore fisico, di averlo visto negli occhi dei nonni e poi dei padri e delle madri, dei fratelli e delle sorelle maggiori".

La "quotidianità della tragedia" é questa: ogni venti minuti nel mondo una mina esplode e i 50 o 100 grammi di tritolo che contiene vengono sparati a incredibile velocità, ferendo, mutilando, uccidendo esseri inermi che stanno camminando in un prato, portando il gregge al pascolo, giocando nel cortile di casa, zappando la terra. Due bambini raccolgono un pezzo di ferro e, contenti, vanno al mercato dove forse potranno barattarlo con un tozzo di pane: passando da una mano all’altro, quel pezzo di ferro esplode.

Diceva Saddam Hussein nell’ottobre 1991, all’indomani del ritiro dalla regione kurda dell’Iraq: "Noi ce ne siamo andati, ma il nostro esercito è rimasto lì." E alludeva alle mine antipersona (dieci milioni, tre per ogni abitante nel Kurdistan iracheno), alla sua armata invisibile fatta di italianissime Valmara 69 e VS-50. Mine la cui produzione e il cui commercio sono stati finalmente proibiti dalla legge 374 del 22 ottobre 1997, approvata anche grazie a una campagna di pressione di Emergency, l’organizzazione umanitaria fondata da Strada a Milano nel 1994 e alla quale sono devoluti i diritti d’autore di questo libro.

Accanto alle mine italiane, ecco il modello PFM-1 di fabbricazione russa, i "pappagalli verdi". In Afghanistan i sovietici ne lanciavano a migliaia dagli elicotteri; grazie alle "ali" di cui erano dotate, queste mine anziché cadere a grappolo in un unico punto si disperdevano come volantini su un’ampia superficie. I militari sovietici affermavano che quelle mine erano fatte in quel modo per sole ragioni tecniche e non perché dovessero assomigliare a un giocattolo. Cioè, precisavano indignati i progettisti, non erano fatte apposta per attirare i bambini. Però li attiravano. E i bambini se le portavano a casa, se le scambiano come fossero figurine, finché sulle "ali" veniva esercitata un po’ di pressione e si verificava l’esplosione. Strategia di guerra: più bambini muoiono o rimangono ciechi o monchi o sfigurati, più la popolazione civile terrorizzata cesserà ogni resistenza. A partire dalla metà del secolo, il 90% delle vittime dei conflitti erano civili estranei ai combattimenti; in Afghanistan il 34% di queste erano bambini.

Cosa è che ha portato Strada a essere l’opposto di un barone universitario o di un chirurgo dai guadagni miliardari? Certo, la passione per il lavoro e la fortuna di essere pagato per fare ciò che piace (in contesti, peraltro, allucinanti). Ma anche e soprattutto quelle "idee di solidarietà, di consapevolezza di essere in qualche modo in debito verso i più sventurati della terra". Scrive Strada: "Molti di loro non sopravvivono. Non riescono a sopportare il lungo viaggio sulle montagne, a dorso di mulo, qualche volta stesi su un carretto. Arrivano sporchi e sfiniti al nostro ospedale, con il turbante e la barba pieni di terra, i vestiti stracciati e incrostati di sangue. E’ giusto che ci sia qualcuno ad aspettarli, è umano".

Se dovessimo scegliere alcuni dei momenti essenziali di questo diario, prenderemmo quelli in cui Gino Strada sfoga la sua indignazione e il suo disprezzo nei confronti di coloro che dopo aver subito lutti e tormenti senza fine ad opera del potere centrale o di una potenza occupante, non appena "liberi" hanno iniziato a combattere tra di loro. Strada si è trovato nel Kurdistan iracheno e nella capitale afghana, Kabul, in momenti del genere. E, resistendo alla tentazione di maledire tutti quanti e tornarsene a Milano, ha cercato di ritagliare almeno per il proprio ospedale una zona neutrale, in cui poter soccorrere i feriti di una parte e dell’altra.

E a proposito di ospedali, concludiamo ricordando che Strada ha lavorato anche al Koshevo di Sarajevo, dove il dottor Karadzic era un l’insigne psichiatra. Un giorno l’insigne psichiatra, i tecnici, gli infermieri e i portantini della sua etnia non si presentano più in ospedale. Una settimana dopo saranno tutti sulle colline intorno a Sarajevo, a bombardare il loro reparto e i loro stessi colleghi.

 Riccardo Noury

 Gino Strada, Pappagalli verdi, pagg. 156, Feltrinelli 1999, lire 22.000

Gino Strada

arriva quando tutti scappano, quando la guerra esplode nella sua lucida follia. Guerre che per lo più hanno un lungo strascico di sangue dopo la fine ufficiale dei conflitti: quando pastori e donne vengono dilaniati dalle tante mine antiuomo disseminate per le rotte della transumanza, o quando i bambini raccolgono strani oggetti lanciati dagli elicotteri: pappagalli verdi, li chiamano i vecchi afgani... In questo libro Strada mette a nudo le immagini più vivide, talvolta i ricordi più strazianti, le amarezze continue della sua esperienza, profondamente etica, in una fase storica che alcuni definiscono senza più valori".[dalla Prefazione di Moni Ovadia a "Pappagalli verdi"]


In questo scorcio di fine secolo e di fine millennio antiche e nuove schiavitù persistono ed anzi insistono in modo vergognoso su ogni parte del pianeta.

Schiavitù perpetrate in nome di ogni sorta di fedi: religiose, economiche e politiche che costringono una parte dell’umanità a vivere assoggettata all’altra parte.

Una fra tutte, ci pare, possa evidenziare in modo inequivocabile l’immutata condizione delle donne, dall’alba della vita fino ai nostri giorni, costrette, per mano e soprattutto fede religiosa, a coprire il proprio corpo ed a vivere guardando il mondo attraverso veli, maschere e armature che torturano e ammalano fisico e mente..


La pulce per non dormire tranquilli Novembre '99 – Numero 6
Non c’è pace con le mine
Ci sono ancora 15 Paesi che producono mine antiuomo, ci sono 30 milioni di mine da bonificare e stati che ancora le disseminano. é urgente lo sminamento e la bonifica dei territori dove in vent'anni la produzione italiana è riuscita a collocare trenta milioni di mine.

Valmara 69, Type 72, M-14, Pmn, Sb-33. Sono alcune delle sigle dei centodiciannove milioni di mine antiuomo disseminate in 70 paesi di aree prevalentemente sottosviluppate.

Mushen, Kawa, Aran, Yassin, Narim, Barzan, Farad, Jamal, Soran, Felah, Ashad. Sono alcuni nomi dei bambini che, per aver calpestato, sfiorato o raccolto quello che sembrava un giocattolo, sono rimasti feriti, mutilati, dilaniati. Un bambino disabile, nel mondo occidentale ha grandi difficoltà a raggiungere una buona qualità della vita. Un bambino disabile, in un paese appena uscito o ancora in guerra, ha di fronte a sé una vita con una speranza ridotta al minimo.

Quelle sigle rappresentano il terrore e la paura. Rappresentano la follia umana e la freddezza con la quale la ricerca, le tecnologie, la produzione sono messe al servizio di obiettivi inconciliabili con la vita.

"Le mine sono armi a vocazione terroristica, congegnate per ferire e mutilare anziché uccidere. Sono usate per rendere inutilizzabili interi territori sottraendoli all'agricoltura e alla pastorizia. Le mine impediscono lo sviluppo dei popoli e rendono impossibile la pace". Questa è una parte del testo di uno dei tanti volantini che la Campagna Italiana per la messa al bando delle mine ha distribuito dall'anno di lancio 1993 e continuerà a distribuire.

Sin dall'inizio gli obiettivi erano di rinunciare alle mine per legge, distruggere gli arsenali italiani, rafforzare l'impegno a favore dello sminamento e della riabilitazione delle vittime, riconvertire le aziende produttrici. La campagna Italiana fa parte della Campagna Internazionale che ha ricevuto nel 1997 il premio Nobel per la Pace. "I risultati raggiunti non sono pochi. Sono stati distrutti circa quindici milioni di mine negli arsenali; solo quindici dei cinquantacinque paesi che producevano mine non hanno ancora interrotto la produzione; l'esportazione di mine è quasi cessata; solo tre paesi non hanno ancora annunciato una moratoria; sono stati attivati molti programmi di sminamento. Ma resta ancora molto da fare..."dice Padre Marcello Storgati di Missione Oggi, uno degli animatori della campagna della quale fanno parte circa cinquanta associazioni, duecento tra comuni e province, gruppi locali, parrocchie, scuole.

Il primo marzo di quest'anno è entrato in vigore il trattato internazionale di Ottawa* contro la produzione, l'utilizzo, lo stoccaggio e il trasferimento delle mine antipersona firmato da 135 nazioni, ratificato, ad oggi, da 67 paesi compresa l'Italia. "Il Senato ha approvato la legge di ratifica l'11 marzo, dopo l'approvazione della Camera del 10 febbraio. Il Senato ha percepito le lacunosità della legge di ratifica, ma non ha voluto modificarla "perché non c'era più tempo", volendo depositare lo strumento di ratifica in tempo utile affinché l'Italia potesse partecipare a pieno titolo alla prima Conferenza di revisione del Trattato, che si è tenuta a Maputo dal 2 al 5 maggio 1999. Sono però stati approvati otto ordini del giorno che impegnano il governo su alcuni temi".

I rilievi erano stati espressi puntualmente dai coordinatori della campagna per non far stravolgere lo spirito del trattato e della legge italiana.

"In particolare non è previsto né quantificato alcun coinvolgimento finanziario né nella ricerca tecnologica né nella bonifica rapida e sistematica dei vasti territori infestati da mine anche di fabbricazione italiana. Inoltre è legittima la partecipazione delle Forze Armate Italiane negli interventi multinazionali all'estero con stati che non hanno firmato il trattato."

Padre Marcello Storgato vive a Brescia. A Castenedolo, pochi chilometri più in là ha sede la Valsella, una delle più grandi aziende, fino a poco tempo fa, produttrici di mine antiuomo. L'Italia insieme alla Russia, agli Stati Uniti e alla Cina è stata uno dei paesi chiave nella produzione e nel commercio di queste armi di distruzione. "Dopo l'approvazione nell'ottobre del '97 della legge per la messa al bando delle mine antiuomo, doveva iniziare un processo di vera riconversione delle aziende italiane e di bonifica dei depositi di mine, compresi quelle delle Forze Armate Italiane. In realtà le aziende italiane avevano stipulato contratti di produzione su licenza con varie fabbriche all'estero."

Se alcuni dei paesi con i quali erano stati stipulati contratti hanno firmato il trattato, altri, come Singapore ed Egitto, non lo hanno ancora fatto e si sono dichiarati espressamente contrari alla messa al bando delle mine. In sostanza è avvenuta una delocalizzazione della produzione italiana, processo comune ad altre produzioni nazionali (ad esempio l'abbigliamento e i prodotti di pelle). La particolarità, se così vogliamo chiamarla, è l'oggetto della produzione: le mine.

Ma ci sono problemi ancora più urgenti. "Esistono stati che continuano a fare uso di mine quali l'Angola, la ex Yugoslavia (Kossovo), lo Sri Lanka, la Colombia, la Somalia, l'Etiopia, l'Eritrea e stati che continuano a produrre mine quali l'Egitto, l'Iran, l'Iraq, il Vietnam, gli Stati Uniti, la Cina e la Russia. è recente la richiesta di cinquanta milioni di dollari, espressa dal Pentagono al Congresso, per mettere a punto un nuovo sistema di mine antipersona denominato Radam. Gli Stati Uniti avrebbero espresso la volontà di aderire al trattato nel 2006, ma intanto agiscono in un'altra direzione."

Ma la questione che continua a rimanere urgente e prioritaria è lo sminamento e la bonifica dei territori dove in 20 anni la produzione italiana è riuscita a "collocare" 30 milioni di mine.

"In Afghanistan si calcola ci siano 860 km2 infestati dalle mine. Ne sono stati sminati circa centocinquanta dall' M.c.p.a.(Mine Clearance Planning Agency). Il costo per lo sminamento di un metro è di 1.300 lire. Resta ancora molto da fare e abbiamo bisogno di fondi" dice Denise della segreteria nazionale della campagna presso Mani Tese a Roma.

L’ONU ha promosso un progetto "School demining School" (Le scuole sminano le scuole) che consente di raccogliere fondi tra gli studenti e gli insegnanti delle scuole dei paesi "non infestati" per aiutare le squadre di sminamento che lavorano nelle aree intorno a scuole infestate in Mozambico e in Afghanistan. Un dialogo fra gli studenti e gli sminatori, via posta elettronica, contribuisce a far crescere la consapevolezza del problema delle mine.

Altra attività importante a livello internazionale è quella del Landmine Monitor Group, che svolgerà un'attività di ricerca e monitoraggio sull'attuazione e il rispetto del trattato di Ottawa. In Italia il monitoraggio si concentra sulla effettiva distruzione delle mine in dotazione o consegnate all'esercito, sulla riconversione industriale, sulla presenza o utilizzo all'estero dei brevetti o tecnologie italiane, sui progetti di sminamento e di assistenza alle vittime.

I dati, le attività, i problemi legati alle mine antipersona potrebbero sembrare freddi o inutili. Ma, forse, basta leggere qualche pagina dei racconti del chirurgo di Emergency Gino Strada o vedere le foto dei bambini mutilati per provare a cambiare idea.

 * La Conferenza strategica di Ottawa.(Canada). Si è svolta dal 3 al 5 ottobre 1996. è stato il governo canadese a organizzarla e convocarla; vi hanno preso parte 50 stati che sono in favore di mettere al bando le mine antipersona, oltre a 8 organizzazioni non governative, tra cui la Campagna Internazionale. è così iniziato un processo nuovo che prende sul serio le ragioni umanitarie e mette a punto le strategie per la messa al bando, la sensibilizzazione, lo sminamento e la riabilitazione delle vittime. 122 stati si sono ritrovati a dicembre 1997 per firmare il trattato di messa al bando. Il 1° marzo 1999 questo trattato è entrato in vigore.


lastmodify16/02/2002