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In Iran, il mio cinema può servire a porre delle domande |
Un film che fa incontrare tre grandi registi come Ermanno Olmi, Abbas Kiarostami e Ken Loach. Presentato fuori concorso alla 55a Berlinale e prodotto da Fandango, Tickets, da oggi nelle sale italiane, segue il viaggio di un treno dall'Europa centrale fino a Roma, mentre, nei vagoni, si intrecciano storie, incontri, amori. I sogni di un anziano che conosce una giovane donna, per Olmi, l'incontro tra un gruppo di tifosi scozzesi e una famiglia albanese per Loach e, infine, il gioco sottile e ironico che si instaura tra un ragazzo e una donna matura che viaggiano vicini, per Kiarostami. Tre modi per "mettersi" in viaggio, ma anche per riflettere sulle forme e la necessità dell'incontro. Di questo e della situazione iraniana abbiamo parlato ieri a Roma con Abbas Kiarostami.
Non so se in questo è celato qualche significato simbolico, quello che so è che i vagoni del treno come le automobili sono in realtà stanze in movimento. C'è qualcosa di simile al cinema in questo: dai finestrini del treno, come nel buio di una sala cinematografica, non si sa bene cosa si sta per vedere, cosa ci si può aspettare. Se c'è un elemento simbolico, risiede forse nel fatto che questo modo di incontrare la realtà assomiglia molto alla vita stessa: incrociamo persone che ci scrutano, ci osservano, ci studiano e poi se ne vanno, non sapevamo nulla di loro prima, né niente, di più, sapremo dopo. Quanto alla situazione iraniana, non credo che un film ne possa illustrare al meglio la realtà, tanto più indicare una via per il cambiamento. Quello che può fare, è far si che le persone si pongano dei dubbi, si chiedano qualcosa di più su ciò che li circonda. Lei ha descritto il suo rapporto con l'Iran come quello con una madre, talvolta conflittuale, ma difficile da risolvere. Vale a dire? E' esattamente così, si tratta di una mamma ammalata che però resta in ogni caso la mamma. Credo che il problema in Iran non sia però, come si è spesso soliti pensare, solo il governo, quanto piuttosto la cultura generale del paese. Un paese che è tenuto nell'arretratezza culturale, tenuto indietro nella conoscenza. Cambiare questo stato di cose, far crescere la consapevolezza e la cultura delle persone, è un percorso lungo e difficile. Un percorso lungo secoli. Che rapporto ha un intellettuale noto in tutto il mondo come lei, con i giovani del suo paese, protagonisti in questi anni di un forte movimento riformatore? Mi piacerebbe sapere cosa pensano dei miei film, anche se sono consapevole del fatto che un regista non può influenzare in alcun modo un cambiamento così profondo che ha bisogno di tanto tempo. In Iran le persone adorano i film-melodramma che sono poi quelli che circolano di più nelle sale, mentre i miei sono più difficili da trovare. Però credo che quando questi ragazzi scelgono di andarne a vedere uno, poi si misurano con qualche quesito in più, con qualche punto di domanda nuovo. Tornando a "Tickets", come è stata concretamente l'esperienza di lavoro con Ermanno Olmi e Ken Loach, quali spazi vi siete concessi reciprocamente? In realtà abbiamo lavorato quasi separatamente, perché ciascuno di noi faceva fatica a lasciare davvero spazio all'altro, a concedersi in una condivisione più profonda. Questo non vuol dire che non abbiamo cercato in tutti i modi di lavorare insieme, di muoverci con cura in questa sorta di spazio comune che si è creato in ogni caso. Intervista di Guido Caldiron LIBERAZIONE 11/03/2005 |
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