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Natalino Bruzzone – IL SECOLO XIX' 05/09/2001

Le Carrè: io accuso

Con il suo ultimo romanzo “Il giardiniere tenace”, John le Carrè scende in campo contro “Big Pharma”, il cartello delle multinazionali farmaceutiche. Un vero e clamoroso atto d'accusa contro di esse che lo stesso le Carrè ribadisce in questa intervista.

Mister le Carrè “Il giardiniere tenace è uno spietato atto d'accusa contro le speculazioni delle multinazionali dei farmaci. Perché ha scelto questo tema?

Il potere sconsiderato delle grandi società sta ormai diventando la maledizione del XXI secolo. Cento multinazionali controllano un quinto dell'intera ricchezza del mondo. Delle cento economie più grandi del pianeta 51 sono società e 49 stati nazionali. Le mie ricerche mi hanno convinto che, fra tutte le industrie transnazionali, “Big Pharma” fosse proprio quella con i più alti profitti e anche la più cinica. Usando cittadini del terzo Mondo per i suoi test clinici – persone che mai avrebbero potuto permettersi i farmaci per i quali servivano da cavia – l'industria farmaceutica incarna una metafora perfetta per lo sfruttamento dei diseredati da parte dei ricchi.

Lo scandalo Bayer suggerisce che le sperimentazioni assassine non avvengono solo nel Terzo Mondo.

Lo scandalo Bayer è, al momento, di enormi proporzioni. Nel mio romanzo si può trovare il riferimento a un altro scandalo in cui la Bayer fu coinvolta. Il riferimento nel “Giardiniere tenace” è semplicemente un estratto pubblicato dal Times, ma sono certo che si può individuare una serie infinita di altri scandali, da rendere quello attuale un piccolo sussulto.

Il libro pone sotto accusa anche il processo di globalizzazione.

Il fatto che a Genova abbiano spaccato vetri e teste, non fa della causa dell'antiglobalizzazione una causa sbagliata, nello stesso modo in cui la morte di qualcuno non la rende per forza giusta. Che Berlusconi liquidi queste persone come un branco di anarchici teppisti è piuttosto volgare. C'è qualcuno che parla mai dei capitalisti che hanno provocato la morte di Ken Saro Wiwa e dei suoi nove compagni in Nigeria?

“Il giardiniere tenace” segna una svolta nella sua carriera di narratore in fatto di personaggi e di argomenti dominanti?

Ho sempre scritto quello che sentivo. La situazione di stallo tra comunisti e capitalisti è stata l'argomento di molti dei miei romanzi precedenti. Il mio interesse era puntato sulla sopravvivenza dell'integrità umana di fronte all'impasse ideologico. C'è immobilità e qualche volta anche stasi. Adesso quella immobilità ha ceduto il passo a un mondo sempre più instabile nel quale l'ingordigia armata di un capitalismo esasperato si annuncia chiaramente come il nemico numero uno dell'umanità.

Per lei, la caduta del muro di Berlino non ha segnato affatto una data d'inaridimento ispirativo.

Mi ha interessato come scrittore e, nonostante l'assurda pubblicità fatta all'epoca, non mi ha lasciato in alcun modo né orfano né derelitto. Una volta per tutte, quel evento ha messo fine allo stallo ideologico di cui parlavo, e ha sollevato un grande punto interrogativo sul futuro. Forse l'unico aspetto negativo del crollo del Muro è che non esiste più una piattaforma, per quanto degradata, che denunci i limiti del capitalismo. Lei ricorderà che ho scritto romanzi che non sono in alcun modo debitori della Guerra Fredda – “Il direttore di notte” e “La tamburina”, per citare soltanto due titoli – e altri come “casa Russia”, che annunciavano la conclusione della Guerra Fredda ben prima della sua fine ufficiale. Così, per rispondere alla sua domanda, mi sono sentito liberato e sfidato, e, allo stesso tempo, affascinato dal futuro, ancora non scritto, del dopo Guerra Fredda.

La religione documentaria contenuta negli archivi sembra affascinare lei e i suoi personaggi. Perché?

“Il giardiniere tenace”, come “La talpa”, attingono in larga misura proprio dagli archivi. Come pure sostanzialmente fa “La passione del suo tempo”. Penso di avere sempre ritenuto che prestiamo troppa poca attenzione al passato quando cerchiamo di spiegare il presente. E' anche vero che il primo dipartimento di “intelligence” per il quale ho lavorato viveva interamente dei suoi archivi. Come bravi storici e accademici prestavamo una grandissima attenzione alla genesi di ogni singolo caso.

La figura del suo vecchio eroe George Smiley pare incarnare il genitore ideale. E' d'accordo?

E' corretto dire che George Smiley per me è stato una sorta di figura paterna. I due uomini che hanno maggiormente contribuito alla sua creazione erano entrambi abbastanza vecchi da essere miei padri. Da bambino sono cresciuto senza madre e sotto l'influenza di un uomo, mio padre, dal carattere mercuriale e pieno di difetti. Guardando al passato era inevitabile che il primo personaggio in assoluto di cui abbia mai scritto, come George Smiley, fosse una figura paterna sostitutiva. Per la stessa ragione ho incontrato qualche difficoltà agli inizi della mia carriera di scrittore quando si trattava di creare dei personaggi femminili. Significativamente, Ann, la moglie di Smiley, non faceva altro che scappare via, e quando lui l'aveva, non riusciva a tenerla.

Intervista di Natalino Bruzzone – IL SECOLO XIX – 05/09/2001

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