| BIBLIOTECA | EDICOLA |TEATRO | CINEMA | IL MUSEO | Il BAR DI MOE | LA CASA DELLA MUSICA | LA CASA DELLE TERRE LONTANE |
|
LA STANZA DELLE MANIFESTAZIONI | NOSTRI LUOGHI | ARSENALE | L'OSTERIA | IL PORTO DEI RAGAZZI | LA GATTERIA |



MUSICA

Cerco di comunicare il disagio del vivere quotidiano

La faccia da Apache, le braccia muscolose, la grande abbuffata d'Inter e rock'n'roll, le parole che si spiegano come ali in nove album e due film, più un libro, non li capisci se non sali sin qua. Che poi salire, in questa landa piatta e colorata di giallo mais, è tutta una prospettiva. Con le case linde, la ruvida concretezza, il clima infame, le zanzare e le lucciole, il lavoro come abitudine e il risparmio come dono dell'intelletto.

Ligabue, da dove riparte?

Da 30 canzoni che mi sono portato da casa, e che poi sono scese a dodici. Ma senza un tema conduttore. In questi anni, ho affrontato il dilemma fra sogno e realtà, poi la resistenza umana, il rapporto con iconografia e mitologia del rock, la crisi d'identità. Questa volta mi affido a 53 anni minuti di musica, che sono tanti per come la gente la ascolta adesso.

Eppure, dall'iniziale “Nato per me”, spunti e provocazioni non mancano.

Ma non sono legati insieme. “Nato per me” parla di un'insoddisfazione cronica che aggredisce anche chi fa beneficenza: si è preoccupati di non aver mai fatto abbastanza. C'è un bel libro, “Fight Club” di Chuck Palahniuk dal quale hanno tratto il film con Brad Pitt, che lo spiega. Anche chi ha intenti più nobili è travolto da una domanda: dove porta la tua identità? Credo che capiti anche ai missionari. Ma è un disagio pericoloso.

Lo è anche sgomitare per imporsi.

Sì, è la sindrome “in prima classe ci vado io”.

Tutto l'opposto di un sentimento religioso.

Evidente. L'ho affrontato in “Tu che conosci il cielo”. Io sono stato catto-comunista, e per la verità non so bene cosa sono adesso. Però ho maturato un certo distacco dalla religione. Ho sempre sofferto l'idea di un rapporto con Dio dominato dal timore, dal senso di sacrificio e di colpa. Entrare in chiesa e avvertire dolore e afflizione: mi sento schiacciato e troppo piccolo per essere sereno nel mio rapporto con Dio. Così immagino di raggiungerlo attraverso una persona che lo conosce meglio di me.

E del comunista cos'è rimasto?

Continuo ad essere di sinistra, ma penso di essere rimasto fregato da certi valori che, per tutta la vita, sono una compilation di sensi di colpa e dovere. Io cerco di trasmettere il disagio del nostro vivere quotidiano, dello spiazzamento sociale: non credo che la gente possa dirsi felice. Voglio ancora credere a soluzioni più giuste per tutti. Certo, a volte sono riflessioni impopolari. Quando ho dedicato un intero album, “Miss Mondo”, ai valori effimeri del successo, che ti risolve molti problemi ma te ne crea altrettanti, molta gente non ha capito: avrai anche ragione, ma prima fallo provare anche a me.

Certe canzoni, però, possono far pensare a inni girotondini.

Lo escluderei. Anche nei miei percorsi di ricerca politica, sono sempre stato molto solitario. Non frequento l'ambiente. Mai stato testimonial di nessuno. Quando non ho cantato per il Papa, con il Vaticano è quasi scoppiato un incidente. Ho sempre parlato a nome mio, e se una canzone raggiunge tante persone penso ch'è stata pura fortuna.

Però la tentazione di tirarla da una parte c'è.

Le mie simpatie politiche ma, anche quando c'erano i presupposti per una passione ideologica più forte, ho sempre trovato pericolosi i dogmi, le certezze che vanno bene per tutti. Ho sempre preferito lavorare sulle differenze. Il vero pericolo non è il razzismo su pelle o religione, ma quello di carattere culturale. Non accettare che un altro la pensi diversamente da te. E poi ho sempre parlato di simpatie, non di appartenenza politica.

Come le piacerebbe vivere?

Al presente, invece, siamo troppo preoccupati del futuro o di fare i conti con il passato. John Lennon diceva: la vita è quella cosa che ti scappa dalle mani, mentre la progetti.

Quindi coltiva delle speranze?

Certo, mi va di pensare che non ci si lasci tutto alle spalle, e spero in un tempo migliore per realizzare ciò che vengono alla luce nell'emergenza. Dopo l'11 settembre, New York ha scoperto la solidarietà. E' un esempio estremo, ma è andata così. Per fortuna, noi italiani lo sappiamo benissimo. Avremo tanti difetti, ma almeno questo possiamo concedercelo.

Nei suoi film, c'è sempre un manifesto esistenziale, recitato dal protagonista. Nelle canzoni, quasi mai.

Perché un film deve farti riflettere. La canzone, invece, è già democratica: così vigliacca da infilarsi nella cabina della doccia del muratore come dell'intellettuale. Che sia di un cantautore o del Festival di andremo: dice cose apparentemente banali, dipende da come l'avvicini. Le canzoni sanno chi sai meglio di te.

Di cosa parlano i suoi film?

Dell'oltrepassare la linea d'ombra che tutti viviamo da giovani: in “Radiofreccia” è doloroso, in “Da zero a dieci” è più traumatico perché è un superamento forzato dalla strage di Bologna, dove rimane ucciso uno dei protagonisti.

A suo figlio che valori trasmette?

Certe cose non si programmano. Mi sento sereno, se lo vedo sereno. Io e mia moglie non abbiamo mai fatto progetti in questo senso: un bambino assorbe 24 ore al giorno, e non solo gli insegnamenti di un'ora. Impara ciò che respira.

Quando lo ha chiamato Lorenzo Lenny pensava a Lenny Bruce?

Credo che mia moglie avesse più in mente Lenny Kravitz.

Lei che ci suona, va a San Siro a tifare Inter?

Non posso, ho troppo rispetto per il mio sistema cardiocircolatorio, e punto ad avere una vita più lunga possibile. Allo stadio soffro da cani: essere tifoso interista è incompatibile con qualsiasi forma di cardiopatia perché ti puoi aspettare di tutto, non ti dà mai certezze.

Intervista di Renato Tortarolo – IL SECOLO XIX – 24/04/2002






| MOTORI DI RICERCA | UFFICIO INFORMAZIONI | LA POSTA | CHAT | SMS gratis | LINK TO LINK!
| LA CAPITANERIA DEL PORTO | Mailing List | Forum | Newsletter | Il libro degli ospiti | ARCHIVIO | LA POESIA DEL FARO|