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TEATRO

Conversazione con Judith Malina e Hanon Reznikov

Il Porto Ritrovato è andato nella sede italiana del Living Theatre, a Rocchetta Ligure (AL), ad intervistare Judith Malina e Hanon Reznikov. Di seguito la trascrizione dell'intervista, con la foto di Palazzo Spinola e i “diari” di Hanon Reznikov delle esperienze in Libano e al G8 di Genova.

Come mai avete scelto Rocchetta Ligure come sede italiana del Living?

(Judith Malina): Noi abbiamo scelto l'Italia, e Rocchetta Ligure ha scelto noi. Abbiamo fatto un'appello, dopo aver girato per trent'anni in Italia e in più di 400 città diverse, per avere una sede. Tra tutte le città ed i paesi, nei quali abbiamo ancora amici, Rocchetta Ligure, con il suo sindaco Albino Corana, ha deciso di utilizzare questo bel palazzo per la costituzione di un centro per l'arte, per il teatro, per dare un ambiente a questo piccolo paese dove, tranne per le feste, non succede molto. Per aggiungere uno spirito diverso, per avere una compagnia di 15 persone, che possa divenire un'attrazione per turisti e i visitatori e per coloro che vogliono partecipare ai seminari. Hanno creato uno spazio molto bello e perfetto per noi da utilizzare, per aiutare i nostri bisogni e noi siamo molto contenti per questo.

Da quanto siete a Rocchetta Ligure?

(J.M): Da due anni, ma è un progetto che ha bisogno di tempo per potersi realizzare. In due anni abbiamo creato nuovi pezzi, abbiamo fatto seminari, abbiamo anche una bella esposizione della storia di cinquant'anni nell'atrio del palazzo. In conclusione ci sono molte attività.

Avete partecipato alle manifestazioni No Global a Genova in occasione del G8...

(J.M.): Noi siamo una compagnia che fa teatro politico, è un nostro impegno. Io sono l'allieva del più grande regista tedesco politico, di cui pochi conoscono il nome, Erwin Piscator, ma lo scrittore con cui lui ha lavorato tutti lo conoscono ed è Bertolt Brecht. Brecht e Piscator hanno creato insieme il teatro politico. Oggi cosa significa teatro politico? Io credo che i partecipanti al G8 erano teatro politico, erano tutti teatranti, erano una manifestazione dei nostri messaggi, tutti erano là per quello tranne pochi che vogliono fare la guerra, loro credo che fossero in minoranza ma naturalmente un conflitto fa più rumore, crea più attenzione da parte dei media piuttosto che tutti i buoni sentimenti. Io credo che fossero 150.000 persone nel corteo finale. Durante gli scontri (noi che abbiamo fatto teatro, canzoni, danza e costume con volontà di affermare “No, noi vogliamo mostrare che siamo per un altra forma di organizzazione da quella”) eravamo in questo grande marea e il corteo si è fermato e noi abbiamo saputo esattamente cosa stava succedendo all'inizio della fila negli scontri. Perché? Perché tutti avevano i cellulari e tutto il corteo ha saputo: abbiamo sentito “La polizia sta attaccando, adesso”. E abbiamo ballato, costruito scene, fatto teatro e attività dentro tutto ciò (anche se so che era una tragedia e non voglio certo ignorare la morte di Carlo Giuliani e tutti quelli che erano feriti, la colpa della polizia è quella di usare troppa violenza), ma per me, dal nostro punto di vista, erano meravigliosi perché, a parte naturalmente questa tragedia, c'era un spirito di giovani, un spirito di cambiamento del mondo molto molto positivo ed è molto bello vedere centinaia di giovani che vogliono cambiare il mondo in meglio ed è molto più importante di quello che vogliono fare i violenti (ci sono sempre quelli che vogliono fare i violenti). Ma come possiamo confrontarci senza violenza? Ecco un grande problema. I violenti sono un grande problema politico universale, non solamente specifico, ma dagli avvenimenti specifici possiamo imparare cosa possiamo fare contro la violenza.

Secondo lei quale può essere una risposta? Cosa si può fare contro la violenza?

(J.M.): Il fatto è che la gente nel mondo non è fondamentalmente violenta, anche in posti dove succedono cose terribili...Noi torniamo adesso dal Libano dove c'è stato un periodo di orrori terribili. Abbiamo fatto un seminario con quaranta giovani contro la violenza, non erano amareggiati, erano stanchi della guerra, vogliono qualcos'altro. La risposta è che la gente, i giovani, non vogliono vivere in un mondo totalmente dedicato ai conflitti, all'odio, alla guerra, vogliono fare qualcos'altro: in questo consiste la speranza. Peccato non avere la formula per sostituire la pace alla violenza...

Penso che non ce l'abbia nessuno, purtroppo...

(J.M.): Sì, ma abbiamo l' esempio di migliaia di persone che non vogliono questo, dobbiamo utilizzare tutte queste risorse umane per la pace, tutto questo spirito, per inventare una risposta importante alla tua domanda.

Cambiamo argomento, quali sono i progetti futuri del Living Theatre?

(J.M.): Per rispondere a questa domanda lascio la parola a Hanon...

(Hanon Reznikov): Lei ti ha già parlato del progetto della “Resistenza” che stiamo facendo, perché questa operazione che abbiamo fatto per il G8 rappresenta in fondo la seconda parte di un progetto circa il tema della “Resistenza”, perché arrivati qua tre anni fa abbiamo scoperto che tutta la gente di questa zona era molto coinvolta in quella lotta (come in tutti i piccoli paesi i giovani se ne sono andati e sono rimasti in questo paesino solo i pensionati), e sono rimasti molto soddisfatti del fatto che noi abbiamo realizzato questa cosa. C'è tra di loro anche uno storico rivoluzionario molto bravo che è Giovan Battista Lazagna, non so se lo conosci...

Sì, lo conosco...

(H.R.): Con lui e con altri abbiamo parlato per due anni e abbiamo capito la storia di questa lotta e abbiamo creato uno spettacolo chiamato appunto “Resistenza”, che abbiamo completato l'anno scorso e che abbiamo presentato a loro solo una volta qui al Palazzo, per vedere se potevano accettare il nostro modo di rappresentare questa cosa tanto personale per loro, ed ha funzionato. Poi andremo nel prossimo inverno a New York, abbiamo fatto uno spettacolo per due settimane a Cantsworth. Poi siamo stati in Libano dove abbiamo presentato questo progetto di “Resistenza” che ha avuto uno spazio particolare. A noi non piace fare il lavoro solo sulla storia, abbiamo deciso di preparare questo spettacolo che riguarda l'esperienza degli anni 1943-1945, anche se questo spettacolo finisce riportando la storia al giorno d'oggi per vedere quale senso può avere oggi questo concetto di “resistere”. E poi con questa seconda parte “resist now!”, che abbiamo creato per il G8, che è uno spettacolo di piazza e che affronta specificatamente questo argomento (cosa significa oggi resistere). Ci sembra che il movimento antiglobalizzazione comprenda tante cose per rispondere a questa domanda. Per l'anno prossimo cercheremo di fare tante rappresentazioni: l'assessorato alla cultura della Provincia di Alessandria ci ha chiesto di rappresentare questo spettacolo nelle scuole; poi abbiamo in programma di portarlo in tutta Italia e poi in Germania ad ottobre. E affrontiamo, ora, un grande “mistero”: dopo questo, quale sarà il prossimo? Non riusciamo ancora a capire...anche se c'è il progetto per il futuro di uno spettacolo, ma non crediamo che siamo pronti a realizzarlo adesso, però è interessante perché è una storia tipica di rivolta poco conosciuta: si chiama Korah, dal Vecchio Testamento, avvenuta durante l'esodo: ci fu una ribellione contro l'autorità di Mosè e Aronne da parte di una tribù tra quelle di Israele con un capo che si chiamava Korah. E quindi questo è uno dei prossimi progetti.

Quale pensate sia il ruolo del Living Theatre nella storia complessiva del teatro?

(J.M.): Ah, questa risposta la devono dare gli altri, è per gli studiosi del teatro; c'è già qualche libro che riguarda la nostra attività. Noi guardiamo sempre a quale potrà essere il prossimo passo per noi, facciamo una grande analisi della situazione politica e culturale, ma quale può essere la nostra collocazione nella storia del teatro deve essere decisa da altri. Ciò che vogliamo è essere l'avanguardia (che peccato usare un termine militaristico), essere quelli che esplorano nuove possibilità, avanguardia, quindi, in questo senso: da dove viene il teatro? Da dove viene la cultura? Cosa possiamo aggiungere al flusso della storia per fare più pacifica, più non violenta, più umana la situazione sociale?

Quale pensa sia il ruolo di Internet ora, che cosa può dare di più, che cosa toglie?

(J.M.): Credo che sia una grande rivoluzione che da maggiori possibilità di comunicare con ognuno, con tutti, con qualcuno in particolare, con un gruppo, utilizzando una nuova forma di comunicazione che non abbiamo ancora esplorato. Io credo che sia una cosa molto positiva, utile, bella, in senso quasi spirituale perché il contatto umano è allargato e questa è una cosa fantastica, quasi trascendente.

Voi frequentate l'Italia da parecchi anni, ricordo di aver visto un vostro spettacolo a metà degli anni '70 a Genova (c'era ancora Julian Beck), che cosa pensate dell'Italia? Avete notato dei cambiamenti in peggio, in meglio, nel corso di tutti questi anni?

(J.M.): L'Italia è forse il “nodo” del mondo, perché culturalmente è il “nodo” della civiltà, da Dante a Caravaggio, un grande arco di sviluppo umano che continua forse perché il paese è così bello che ha ispirato una forma più alta di pensiero...

(H.R): Io ho una personale teoria per cercare di spiegare perché l'Italia è il paese che accoglie più calorosamente le persone. Io vedo due possibili spiegazioni: la prima è che esiste questo terreno molto ben preparato su tutta l'intera cultura politica, Gramsci e tanti come lui che hanno capito bene che parte può avere la cultura, tutto ciò gli italiani lo capiscono molto bene . Peraltro trovo che l'Italia, per quanto bella, sia un paese tremendamente conformista, noi l'abbiamo notato anche qua (noi esercitiamo un certo fascino come tipi strani).

Cosa pensa della situazione politica degli Stati Uniti?

(J.M.) E' triste, Bush fa cose orribili, come è possibile non firmare contro le mine antiuomo? Come è possibile non essere sensibili ai problemi dell'ecologia? E' un momento brutto per la storia degli Stati Uniti, anche se credo che i giovani non siano così, come quando incontriamo i giovani di qui e ci accorgiamo che hanno uno spirito diverso dal governo attuale. Credo che Bush e Berlusconi abbiano qualcosa in comune. Tutti e due dicono apertamente che si deve pensare prima alla situazione economica del paese e passare in secondo piano i problemi dell'ecologia, delle guerre, ecc. E' un atteggiamento terribile, credo che Bush e Berlusconi non siano molto distanti su questi argomenti, che sono argomenti importanti, perché sono atteggiamenti fondamentali per un governo, e credo che tutti e due non parlino veramente per le nuove generazioni. Speriamo solamente che per il futuro ci possa essere una nuova “ondata” progressista e liberale.

Come è la vita culturale a New York, oggi?

(J.M.) E' un po' confusa, c'è poco sostegno economico da parte delle istituzioni per gli artisti, gli attori sono tutti camerieri (bisogna pur mangiare)...C'è una differenza molto grande nell'atteggiamento di sostegno alle attività culturali in Italia e negli Stati Uniti. Anche in Italia nelle piccole e medie città ci possono essere delle difficoltà per gli artisti, ricevono molto poco da parte delle istituzioni, ma qualcosa ricevono, abbastanza per permettere la formazione di una compagnia e purtroppo non è così negli Stati Uniti. A New York ci sono giovani che provano a formare una compagnia, ma non trovano abbastanza sostegno e lo scoraggiamento è tremendo. Quando noi siamo là proviamo a dare nuovi impulsi per cercare di cambiare questa situazione. Il problema dell'arte negli Stati Uniti è legato principalmente agli aspetti economici. L'arte in sé gode buona salute, ma la gente è già condizionata a considerare l'arte come una cosa non importante. Naturalmente non si può porre l'arte sullo stesso piano dello sfamare le persone, è vero, ma in Italia, ad esempio, si capisce che se si ha una certa cultura è possibile poi cercare di pensare a come dare il cibo alle persone, perché è l'atteggiamento culturale che determina e favorisce la crescita umana da un punto di vista più profondo. La stima che si ha dell'arte negli Stati Uniti non coincide affatto con quella che si ha in Italia, e questo è una differenza per me tragica.

C'è differenza nel modo di considerare la cultura tra le due “coast” degli Stati Uniti, cioè tra New York e Los Angeles?

(J.M.) Sì, io sono newyorchese ma penso che New York e Los Angeles siano più vicine di quanto possa essere vicino New York a Cleveland o Cincinnati e altre città. Ci sono posti dove c'è una certa cultura a Los Angeles, anche se la cosa più importante rimane il cinema.

(H.R.) C'è il fatto che l'Est, cioè New York, è la parte più vecchia degli Stati Uniti e quindi è più vicina all'Europa, nel senso di vita culturale: Invece in California, nell'Ovest, c'è più questo spirito autenticamente americano, che a noi piace anche in quanto complementare, perché gli europei hanno il peso della storia sulle spalle e hanno un grande amore e comprensione della cultura, invece gli americani se ne fregano della cultura, per loro esiste solo l'industria del divertimento, ma dall'altra parte non hanno questo peso della storia, non hanno questi problemi, e pensano, quindi, che tutto sia possibile e questo è bello. E' fantastico, è una religione, questa.

Dei germi ideologici che avete messo nella vostra attività in tutti questi anni, quali vi sembra che, irreversibilmente, siano presenti nella società di oggi (e che per voi, quindi, è motivo di soddisfazione vedere che la società, in generale, ha acquisito anche quello che è il vostro lavoro) ?

(H.R.) Più di tutto, forse, il diverso atteggiamento riguardo all'autorità in generale, più per quanto concerne il rapporto tra maestro e allievo, che quello tra donna e uomo, non si accetta più una forma di autorità arbitraria e fissa, si capisce che è tutto da negoziare.

Io sono molto d'accordo con l'affermazione che avevi fatto prima e che, cioè, l'Italia è molto conformista. In questo, secondo voi, l'Italia è un po' più indietro in questo percorso rispetto ad altre realtà, ad esempio gli Stati Uniti? Il problema dell'autorità, secondo la vostra esperienza personale, in Italia è vissuto in maniera pesante ed esiste più conformismo in questo senso?

(H.R.) In questo l'Italia è aiutata anche dalla sua tradizione di “ribellione”, in quanto per molti secoli è mancata l'unità con conseguente rifiuto dell'autorità...

(J.M) Gli italiani hanno grande capacità di adattamento più degli altri popoli, e lo si vede anche nelle piccole cose, nelle situazioni quotidiane. Questa predisposizione all'adattamento, però, può avere dei risvolti molti negativi, per cui si può verificare che gli italiani, così amanti della cultura e del bello, possono diventare fascisti, e questo per puro spirito di “adattamento”. Esiste quindi, in un certo qual senso, un conflitto con questo spirito “ribelle, che pure è presente nell'indole degli italiani. Parimenti si possono, però, adattare a tutto ciò che è positivo e questo mi sembra una cosa bella (naturalmente quando diventa fascismo è terribile, è orribile), ma hanno una grande qualità: quella di dare posto ad ognuno, di dare posto alla diversità, c'è molto spazio per le diversità in Italia. Esiste molto spazio, in Italia, per una “cultura della carità”, a livello culturale e politico.

Intervista di Emanuele Mignone – Rocchetta Ligure (AL) – 21/08/2001


Palazzo Spinola di Rocchetta Ligure (AL), sede italiana del Living Theatre

© foto di Emanuele Mignone

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