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CARLO LUCARELLI

BIBLIOTECA
MicroMega – 02/2002

Carlo Lucarelli per “La primavera dei movimenti”


A volte cerco di immaginare cosa penserebbe mio nonno di questi tempi, se fosse ancora vivo. Mio nonno era stato sottosegretario del fascio di Figline. Non era un gran fascista ma solo un uomo d'ordine, tutto d'un pezzo, che quando i partigiani rubarono un camion di scarpe che era sotto la sua responsabilità di direttore della locale azienda del gas, andò fino in montagna per farsi fare una ricevuta (e ci riuscì). Quando morì mio nonno i comunisti erano ancora i comunisti, e anche se lui non era un viscerale ma un riflessivo, so che non gli piacevano. Quando morì mio nonno Berlusconi era ancora “soltanto” il Signor Tv, ma sono sicuro che se fosse sceso in campo allora, con le sue idee di basta con i comunisti e rimbocchiamoci le maniche e iniziamo a lavorare, mio nonno l'avrebbe votato, o se non lui almeno fini che con lui stava (e sta ancora).

Il nonno di Beppe, invece, era un vecchio comunista che quando vedeva passare in tv la faccia di Nenni tirava le ciabatte sullo schermo perché ch'è viglicc ed Pirì, quel vigliacco di Pietrino, aveva fatto l'accordo con i democristiani. Non so se sia stato partigiano, ma avrebbe potuto esserlo e comunque credo si sia fatto tutti gli scioperi, tutti i cortei sindacali e tutti i 25 Aprile finché non è morto, anche lui serenamente dopo una vita intensa da italiano del tempo di guerra, come mio nonno.

Credo di non sbagliare a pensare che li avrei visti tutti e due al Palavobis, se l'età e la salute glielo avessero consentito. Più facile pensarlo per il nonno di Beppe, meno per il mio, ma possibile, anzi, probabile. Come fascista mio nonno cominciò ad entrare in crisi con le leggi razziali del'38. Neanche la guerra gli suonava molto bene, e i tedeschi non gli erano mica così simpatici. Diceva: “Va bene fascista, ma fino a un certo punto”. Alla fine non ce la fece più, e coerente con se stesso come più tardi con il camion delle scarpe, andò alla sede del partito e restituì la tessera. Me lo vedo, appoggiato alla transenna sotto il palco dove stavo appoggiato io, tra il padre di una mia amica, di sinistra molto e da sempre, e il sindaco Formentini, ex leghista, che pensa: “Berlusconiano sì, ma fino a un certo punto”, mentre ripensa al falso in bilancio, il conflitto di interessi, i processi, Previti e Dell'Utri e Bossi che con la bandiera ci si pulisce il culo.

Credo però di non sbagliare a pensare che il voto più importante lì dentro, più importante di quello quasi scontato del nonno di Beppe e di quello più sofferto di mio nonno (probabilmente avrebbe votato Di Pietro), fosse quello ancora vergine della figlia della Wilma.

La Wilma è la parrucchiera di mia madre e sua figlia ha più o meno diciotto anni. Anche se il mio paese è piccolo, non l'avevo mai vista prima e di lei sapevo solo, per averlo sentito dalla Wilma terrorizzata, che era andata a Genova, da dove era tornata con quella faccia un po' così e quell'espressione un po' così che hanno quelli che sono stati a Genova durante il G8, cioè rossa e gonfia per gli urticanti. “Anche lei è qui?”, mi ha detto la figlia della Wilma, e a parte la brutta sensazione di sentirsi dare del lei da una di diciotto anni, mi sono sentito ancora peggio quando le ho chiesto: “E tu cosa ci fai” e lei mi ha guardato come se fossi scemo. La figlia della Wilma si era ritrovata a Genova assieme a cattolici e rifondaroli perché le sembrava giusto andare là, come le sembrava giusto essere lì e come so che le è sembrato giusto essere a Ravenna, al girotondo che ha circondato la Prefettura, a Bologna al corteo contro il campo di concentramento per i clandestini, e a Roma con la Cgil, da cui mi teneva informato con gli sms del telefonino (quello che dice “3 MILIONI!” ce l'ho ancora). La figlia della Wilma si era ritrovata in tutte quelle situazioni non in base ad alleanze, percorsi storici, trasformazioni e derive ideologiche, credo neppure più giusto delle proposte degli altri, che, come diceva lei, “non solo non sono giuste, ma non funzionano neanche”.

La figlia della Wilma non ha idee precise su come risolvere le cose. E' abbastanza concreta, come parecchi della sua età, da non lasciarsi ingannare da soluzioni utopistiche, però ha un'idea molto precisa di quelli che sono i suoi valori. Una giustizia uguale per tutti è un valore. La democrazia e il pluralismo (anche se lei non userebbe questa parola), sono un valore. L'etica, l'altruismo, la solidarietà, la non violenza, l'ecologia, sono un valore. La giustizia sociale è un valore. Non so per chi voti la figlia della Wilma, non l'ha ancora fatto, ma credo di non sbagliare se penso che voterà per quel partito e quello schieramento che porta avanti quei valori, e non viceversa. Ma non è detto. Non lo voterà se quello schieramento su quei valori si dimostra tiepido, confuso e contraddittorio. Se le presenta un candidato riciclato in base ad un accordo elettorale, seduto su una poltrona in quota inciucio, incompetente e magari anche già condannato. Se avrà l'impressione che a richiedere la firma per un referendum sarà la stessa persona che solo poco tempo prima sosteneva quelle cose che adesso vuole abrogare. Se chi le parla non le darà la netta sensazione di non avere paura degli scheletri negli armadi.

La figlia della Wilma non è una che si tura il naso per votare.

Carlo Lucarelli – MicroMega – 02/2002

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