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CARLO LUCARELLI

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Italia, i misteri infiniti

Sovraintendente Coliandro, lei legge troppi gialli”. “Non è vero. Io non leggo quasi mai e comunque non leggerei un libro giallo neanche se mi pagassero. Sono tutte cazzate, quelle dei gialli”. Sarà pure così per “l'ispettore Callaghan, ma l'ideatore di questo personaggio, Carlo Lucarelli, non sembra condividere le sue opinioni. Tant'è vero che non solo scrive romanzi noir, ma li arricchisce di continui rimandi alla realtà: fatti veri, pezzi di cronaca italiana, piccole pagine di storia. Lo scrittore parmense torna in libreria con un leggendario del 1993: Falange armata (Einaudi Sile libero, pp. 142, € 8,00). “E' un libro scritto a cavallo tra il '92 e il '93 – ricorda Lucarelli – ed era sparito da un po' di tempo. Essendo già uscito per Einaudi Stile libero Il giorno del lupo, che è il seguito di questo romanzo, mi sembrava giusto ristampare Falange armata, E poi è un romanzo sempre attuale: parla di intrighi, di metà oscure, di eroi e anche di personaggi negativi che fanno parte della polizia”.

E' anche un libro che ha anticipato la vicenda della Banda della Uno bianca...

Sì, è vero, l'ha anticipata, ma senza volerlo. Nel '92 seguivo la vicenda della Uno bianca per Sabato sera, un settimanale di Imola. All'improvviso questa storia è sparita dai giornali e a me, da cittadino, è rimasta una curiosità: ma alla fine chi erano questi della banda? E tra le tante voci che circolavano ce n'era una che mi intrigava: “forse sono poliziotti”. Però era solo una voce e a me sembrava la più incredibile di tutte. Mi pareva perfetta per il finale di un libro giallo. E così ho scritto Falange armata. Quella della Uno bianca, poi, è stata una vicenda particolare, ha fornito lo spunto a molti di noi scrittori noir dell'area bolognese. E' stata una specie di spartiacque per la città di Bologna e per noi scrittori, che all'improvviso ci siamo ritrovati in una città piena di carabinieri, extracomunitari, nomadi e con agguati, rapine e bombe nelle banche...Ad un tratto Bologna si è scoperta una città noir, e questo sicuramente ha traumatizzato molti di noi: come mai la mia città è così? Molti di noi hanno iniziato a scrivere proprio a partire da questa storia. Che poi io ci abbia azzeccato, questo è un caso. Non sapevo nulla di particolare. La realtà è fatta così: quando pensi male ci azzecchi sempre, no?

In realtà il libro fa pensare anche a tante altre storie italiane attuali, per esempio alla vicenda della caserma Raniero di Napoli e soprattutto a certi poliziotti...

Sì, è vero. Quando io l'ho scritto facevo il collaboratore ed è stato allora che ho scoperto la vera figura del poliziotto e del criminale, insomma la realtà delle cose. Quello che conoscevo prima era il tipico poliziotto del giallo, mentre la realtà è molto più complessa, contraddittoria. Ecco, io volevo un poliziotto, che avesse tutti i difetti della polizia. Poi, qualcosa di positivo ce l'ha anche Coliandro, e infatti alla fine si riscatta, ma tutti i piccoli e grossi difetti come l'arroganza e il razzismo sono cose che ci sono ed io le ho messe tutte in Coliandro. Comunque, esistono dei problemi all'interno della polizia, è inutile che si faccia finta di non vedere. Per questo il mio romanzo rimane attuale.

Che cosa avrebbe fatto Coliandro al G8 di Genova?

Sarebbe andato a Genova con l'idea di tornare con la maglietta e la scritta “Io c'ero”. Di solito Coliandro è uno che dice: “Gioventù di merda, li sbatterei tutti dentro”. La prima cosa che avrebbe fatto una volta arrivato lì si sarebbe intossicato col gas e sarebbe svenuto alla vista del sangue. Lo avrebbero portato via senza che lui avesse dato neanche una bastonata. Poi se ne sarebbe andato in giro con la scritta “Io c'ero”. Però Coliandro a pensare a tutto quel sangue ci sarebbe rimasto proprio male. Anche perché io probabilmente gli avrei messo Nikita dall'altra parte con la testa rotta e vedendola Coliandro avrebbe detto qualcosa tipo: “Dio bono, così no però!”. Ecco, per me Coliandro è un grimaldello per entrare nelle mille anime della polizia, che sono contraddittorie, perché io conosco poliziotti che si sono rifiutati di andare a Genova e che rischiano perché stanno denunciando certi fatti; contemporaneamente conosco poliziotti con la maglietta con su scritto “Io c'ero”. Sono le due anime che Coliandro cerca di raccontare in chiave caricaturale.

E' l'enorme quantità di vicende italiane di cronaca nera a ispirare i suoi libri?

Purtroppo sì, l'Italia è piena di misteri che non si concludono mai, per tanti motivi. Non c'è mai un caso in cui si possa affermare che la verità c'è ed è finita lì. Abbiamo sempre vicende, anche le più piccole, che rimandano ad una divisione tra innocentisti e colpevolisti. Alla parola verità dobbiamo sempre mettere vicino un aggettivo, come dice Massimo Carlotto. Dobbiamo dire verità giudiziaria, che significa quello che è nel processo. Non è detto che sia vero, però convenzionalmente diciamo che sia vero. Allora è chiaro che questo meccanismo produce una zona grigia che è sempre enorme, dalla quale il giallista può attingere qualunque cosa.

Il Blu notte, per esempio, racconta molti di questi misteri italiani. In base a quale criterio viene fatta la scelta?

La trasmissione, che ormai va avanti da cinque anni, è diventata quasi un programma storico. Ci occupiamo soprattutto di grandi misteri, di fatti che abbiano un risvolto storico. Prima venivano privilegiati gli argomenti di cronaca, ora l'importante è che siano fatti particolarmente misteriosi, vicende che riescano a raccontare un po' più di quello che si sapeva già: un ambiente, un carattere, una città, o, come nei casi di adesso, un pezzo di storia. E poi devono essere fattibili: è necessario per noi consultare tutte le carte, tutte le verità, tutte le prove, gli atti che ci possono essere. Quando non c'era questa possibilità abbiamo lasciato perdere.

La settimana scorsa, per esempio, avete trattato il caso Sergio Castellari: siete riusciti a svelare qualche particolare?

Il nostro scopo non è scoprire qualcosa in più sulla vicenda. Semplicemente mettiamo in fila quello che è stato scritto. L'unica novità può essere l'intervista o la psicologia di una persona; nel caso Castellari, per esempio, la cosa nuova è la testimonianza del perito Manlio Averna. Per noi questo era un tipico caso misterioso (la pistola e tanti altri particolari poco chiari...). Ma a parte questo, ci ha permesso di raccontare Mani pulite in Italia, di parlare di quel particolare periodo storico.

A proposito di pezzi di storia italiana, avete dedicato una puntata della trasmissione anche alla P2, a Calvi e Pisanu. Affrontare questi temi non vi ha creato dei problemi?

No, forse perché andiamo in onda la sera tardi. E comunque ce ne stupiamo un po'. La puntata su Calvi, che noi abbiamo realizzato sei mesi fa (in tempi non sospetti), riguardava anche Pisanu, perché anche lui è implicato nella vicenda. Ma non ne abbiamo parlato in maniera faziosa. Lo abbiamo collocato nella casella in cui gli atti giudiziari ci dicono che sta. Che poi la puntata sia andata in onda il giorno stesso in cui è stato eletto ministro dell'interno...non lo abbiamo fatto apposta. Comunque, nessuno ci ha detto nulla. Abbiamo avuto dei problemi da un altro punto di vista: subiamo un controllo strettissimo e rigorosissimo su tutto quello che diciamo, ma è un controllo di tipo legale. Una censura politica non l'abbiamo ancora avuta. Per ora non mi pare ci sia questo pericolo. Andando in onda tardi siamo sicuramente meno noti di Santoro o Biagi. Comunque, finora, noi siamo stati nominati.

Che differenza c'è tra o scrivere per la televisione e per la carta?

Come stile nessuna, perché io non faccio niente di diverso. L'unico adattamento al linguaggio televisivo sta nella linearità del racconto: mentre nel libro posso scrivere in un certo modo perché se il lettore non capisce può sempre tornare indietro, in tv non succede. Poi so che mentre in un libro certe ripetizioni non vanno fatte, in tv ripetere la stessa parola due o tre volte funziona. Ma sono pochi adattamenti. La cosa divertente in televisione è il fatto di poter utilizzare le immagini. Avere Licio Gelli che con la sua faccia e con le sue parole dice “Non mi ricordo chi mi ha presentato Sindona, mi ricordo solo che è una persona molto molto onorevole” è bellissimo. Se lo scrivessi non avrei lo stesso effetto.

Le piacerebbe fare una puntata sul caso Biagi?

Mi piacerebbe molto, ma non adesso. Perché la nostra logica è proprio quella di arrivare e dire tutto quello che c'è di certo fino a quel momento e di mettere insieme materiale concreto. Farei il caso Biagi tra un anno. Ora sarebbe ripetere quello che dicono i giornali. Avrei bisogno delle perizie, delle intercettazioni, dovrei leggere gli atti, sentire una serie di testimonianze e intervistare persone. I miei collaboratori – che sono giornalisti e tra questi c'è anche Vincenzo Vasile dell'Unità – sono bravissimi. Loro riuscirebbero a ricavare tanti particolari; però un conto è un'inchiesta giornalistica, un conto è arrivare su atti già concreti. E' troppo presto per casi come questo o per fatti di cronaca come Cogne.

E un libro sul caso Biagi lo scriverebbe?

Sì, anche quello però un po' più avanti. Adesso potrei raccontare una serie di misteri e ispirarmi a questa vicenda come feci con la banda della Uno bianca. Anzi, sarebbe una bella idea. Ma non ce l'ho per adesso, non ancora. Sarà che sono misteri talmente forti emotivamente che è difficile astrarsi e dire “ora invento una storia dentro questo mistero”. Però questo è un pezzo d'Italia che va raccontato e che tra l'altro fa pensare a cose già viste, a vecchie trame. Anche per Genova, è ancora tutto in corso, siamo di fronte a nodi da risolvere.

Preferisce occuparsi di delitti politici?

Adesso sì, sembrano i più importanti ora. Viviamo in un periodo talmente strano che sembra sia arrivato il momento di risolverli questi grandi misteri, altrimenti non si riesce ad andare avanti. Sono diventati urgenti.

Sta già pensando ad un nuovo libro?

Per adesso no. Mi prendo l'estate per pensare e poi mi metto a scrivere. Ho varie idee, qualcosa potrebbe essere legata ai fatti attuali, ma sono suggestioni.

Da dove prende l'ispirazione per i suoi romanzi?

Aspetto, prendo spunto dalla cronaca, dalle persone che mi raccontano un pezzettino di storia. Poi tutto ruota attorno ad un personaggio e da lì inizia il romanzo.

Intervista di Francesca De Sanctis – L'UNITA' – 16/07/2002

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