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Nel 996
Ottone III di Sassonia venne in Italia, sollecitato da papa
Giovanni XV per liberarlo dalle vessazioni del tiranno
Crescenzio.
Giunto a Milano fu incoronato Re d'Italia e,
successivamente fu, da papa Gregorio V, incoronato Imperatore.
In
occasione dell'incoronazione il vescovo di Acqui, Primo, rappresentò
a Ottone III le difficoltà in cui si veniva a trovare il
vescovado e, grazie all'interessamento della sorella dell'Imperatore,
Sofia, riuscì ad ottenere il 20 aprile 996, a Cremona,
un diploma
che, confermando, peraltro, quanto già concesso ai
suoi predecessori, gli dava il dominio signorile sui Comuni di
Cavatore, Terzo, Strevi, Cassine e sulle Pievi in esse esistenti.
I nomi di
Cavatore e Terzo compaiono
per la prima volta nel documento del 996.
Cavatore
compare ora nella storia, sul percorso verso la
riviera ligure occidentale in posizione riservata totalmente
all'episcopato, classificato come castello e borgo
appartenenti alla Chiesa d'Acqui.
Il castello ed il borgo di
Cavatore rivestivano un
ruolo di indubbia importanza nel sistema di controllo del territorio
edificato dai vescovi nel corso del tempo ed il castello, in
particolare, doveva essere una delle rocche più salde in mano
al potere episcopale, in quanto, insieme a quello di Bistagno,
costituì uno dei luoghi di rifugio dei vescovi nei momenti in
cui la loro permanenza si fece difficile.
Con il diploma di Ottone III, il vescovo di Acqui acquisisce per donazione la donazione la potestà di governo sul centro abitato e sul territorio circostante per un raggio di tre miglia, nonché su tutti gli abitati in loco, ma nel diploma non risulta chiaro se Cavatore sia un borgo o un castello. Questo dubbio viene dissolto con il diploma di Enrico II di Franconia del 30 dicembre 1039, con il quale si conferma a Guido, vescovo di Acqui, quanto già stabilito da Ottone III: nel diploma si cita: castellum quod dicitur Cavatorium.
Con la concessione di diplomi di conferma o donazione di beni e diritti a Chiese da parte degli Ottoni, nella seconda metà del secolo X, è chiaro che la facoltà di incastellare è tacitamente riconosciuta ai vescovi ed alle famiglie signorili discendenti da funzionari pubblici e, più avanti, a tutti i grandi e medi proprietari terrieri che avevano la possibilità economica e politica di farlo.
In altre parole, anche gli enti ecclesiastici non vescovili ed i signori fondiari privi di tradizione familiare di funzionario pubblico, ma che riuscivano a prevalere localmente sugli altri proprietari, giungevano, talvolta, ad organizzare le difese di una località, magari partendo dalla sola fortificazione del nucleo insediativo di una corte, cioè di un'azienda agricola signorile.
Una
fortificazione più o meno rudimentale, ad esempio costituita
dalla presenza di una palizzata o di un terrapieno, può essere
definita nel secolo X castrum.
Incastellamento, allora può
voler dire: fortificazione di un villaggio, oppure creazione di un
ricetto per difendere i beni di un'azienda agricola oppure
costruzione di una dimora signorile fortificata ed, infine,
costruzione di un castello urbano in prossimità o meno di una
cinta muraria preesistente.
Il modello caratterizzante l'incastellamento piemontese dopo il secolo X sembra essere quello della fortezza signorile posta accanto al villaggio, fatta salva la possibilità di una fortificazione peculiare anche per il villaggio. Questo binomio di castrum e villa, di castello signorile e villaggio contiguo, è presente anche a Cavatore. Sembra, nel caso specifico, che fin dalle origini castello signorile e villaggio siano distinti, a differenza di altri centri.
Cavatore viene confermato alla Chiesa di Acqui dal diploma di Enrico III dell'8 luglio 1052, mentre papa Adriano IV, il 12 novembre 1156, conferma ai canonici di Acqui ciò che essi hanno in Cavatore.
Le sede di Cavatore riveste particolare importanza per la chiesa acquese: infatti proprio nel castro Cavatori il 13 febbraio 1205 si riuniscono il vescovo di Acqui, Ugo Tornielli, l'abate di San Pietro d'Acqui, Tebaldo, in rappresentanza del Capitolo acquese, i consoli cittadini acquesi, i testimoni giudici Benzone e maestro Enrico ed altri. Tutti sono convenuti per assistere ad un atto di grande rilevanza: il ricorso della Chiesa d'Acqui, a nome del vescovo, presso la Sede Apostolica contro il decreto di unione dell'episcopato acquese alla sede di Alessandria. Probabilmente Cavatore fu scelta quale sede, affinché l'atto di appello contro Alessandria risultasse interposto da un luogo che non fosse parte in causa.
La situazione
giuridica risulta chiara nei primi decenni del 1300.
Cavatore
consta di un castello e di una villa,
entrambi spettanti alla Chiesa di Acqui.
Il castello è
governato da un castellano, di nomina vescovile, al quale si ritiene
competessero l'organizzazione militare ed il potere giudiziario. Sul
castello di Cavatore il
vescovo può porre la propria bandiera e disporre a suo
piacimento di uomini, case ed i primi sono tenuti a fare exercitum
et cavalcatum pro domino episcopo.
Nella prima
metà del 1300 gli uomini del castello e della villa
risultano organizzati in Comune, retto da tre consoli e da un
Consiglio di 14 membri.
In occasione di una riunione del 13
dicembre 1324, si conoscono i nomi di tutti: Stefano Giovanni è
il castellano, Ugacio de Seraymo, Francesco di Verdesio,
Guglielmo de Buria sono i consoli; Giovanni di Verdesio,
Belengo di Verdesio, Giacomo Marenco, Giacomo Oriolo, Giovanni
Giordano, Xandra Scuro, Percivale Auricola, Francesco Aquey,
Giacomo de Vineis, Enrico Donda, Enrico de Buria,
Giovanni Campario, Pietro de Vineis, Montano Campario sono i
consiglieri. La casa comunale, in cui si fanno le riunioni del
Consiglio, si trova nel castello e le convocazioni vengono effettuate
voce preconis.
In una
riunione del 13 dicembre 1324 partecipano il castellano e tre
testimoni (Manuele de Loxili, Facino Scuro, Pietro
Odono) che non prendono parte alle deliberazioni, le quali competono
solamente al console ed ai consiglieri, che nominano un procuratore
nella persona di Giovanni More detto Cerretus, per prendere in
affitto, dietro corresponsione di 110 lire genovesi pagabili in due
rate (55 lire il 1° gennaio e 55 lire a Pasqua) e per un periodo
di dieci anni, dal vescovo di Acqui, Oddone Bellingeri, le
prerogative e le esazioni vescovili, costituenti un reddito sicuro.
Cavatore aspira, così,
ad ottenere una più spiccata situazione di autonomia,
probabilmente a liberarsi della tutela episcopale.
Fino da
allora appare chiaro come le autorità del Comune fossero
soggette ad uno stretto controllo da parte dei vescovi e dei loro
rappresentanti, in quanto tutti i loro atti, compresa la riunione del
consiglio, si verificavano alla presenza del castellano vescovile e
di alcuni boni homines, i quali chiaramente godevano della
fiducia del vescovo e ne curavano gli interessi locali.
Tale
dipendenza si evidenzia dal tenore del bando emanato dal
vescovo nel 1345, con il quale veniva proibito a qualsiasi
abitante di Cavatore di
vendere case e terreni ad alcuno senza il permesso del vescovo o del
suo castellano, sotto pena di una multa di 50 lire genovesi e del
sequestro del fondo venduto.
Tale bando venne rinnovato e
definitivamente confermato a richiesta delle autorità locali
nel maggio 1351, con la sanzione vescovile al suo inserimento negli
statuti.
Nel 1342 si vengono ad apprendere altri particolari su Cavatore: in un atto notarile del 17 novembre 1342 risulta rogato nel castellarium di Cavatore, dove si trovano riuniti Guido d'Incisa, vescovo di Acqui, Bonifacio, Raimondino, Oddone e Teodoro, marchesi di Ponzone, l'abate del monastero di Tiglieto ed altri, per la cerimonia con la quale il vescovo rinnova ai marchesi l'investitura delle decime di Denice, Ponzone, di vari introiti gravanti su Melazzo e di un quartiere di Cavatore, insieme ad un prestito di 420 fiorini. Il motivo per il quale l'atto del 1342 viene rogato, notaio Giovanni di Castello di Trisobbio, non nel castello ma nel castellarium, cioè non più abitato dal castellano ma adibito ad abitazione dei sottoposti, appare evidente in quanto i marchesi di Ponzone sono i detentori del potere in Cavatore: compiere un atto di vassallaggio al vescovo nel castello o anche nel borgo avrebbe potuto rafforzare l'immagine del vescovo in assoluto. Da questo documentato risulta, inoltre, che Cavatore è diviso in quartieri, almeno per quanto riguarda il pagamento delle decime. In realtà i marchesi di Ponzone sottrassero il castello e la villa alla Chiesa d'Acqui e con il sistema d'affitto, messo in atto dal Comune di Cavatore per conseguire una propria autonomia, di fatto si impadronirono del luogo, non pagando quanto dovuto.
Il primo
febbraio 1364, a Praga, l'Imperatore Carlo IV conferma a
Guido d'Incisa, vescovo di Acqui, i diritti, i beni ed i
possedimenti, incluso Cavatore.
In questo diploma
venivano puntigliosamente riprese tutte le concessioni operate a
favore dell'episcopato acquese da re ed imperatori, a partire da
Guido da Spoleto, con tutti i diritti ad esse connessi.
Con
l'accordo stipulato dal vescovo Enrico Scarampi con il procuratore
del marchese Teodoro II Paleologo, il 29 giugno 1383, finiva
il potere temporale dell'episcopale acquese e gli ultimi castelli
rimasti, fra i quali Cavatore, passarono senza colpo ferire nelle
mani dei poteri laici, tra i quali i Malaspina.
A cura di E. Mignone
Bibliografia
Guido Biorci Antichità e prerogative d'Acqui Staziella Forni Editore, Bologna, 1967
AA.VV. (a cura di Laura Balletto) - Chiesa d'Acqui e Monferrato dal tema storico di Cavatore Atti del convegno Internazionale, Cavatore 27/10/1996 Università degli Studi di Genova, Sede di Acqui Terme Collana Fonti e Studi, 1997
Dal volume sopracitato, sono stati consultati:
Geo Pistarino Cavatore nel diploma di Ottone III di Sassonia del 996 per il vescovo di Acqui
Enrico Basso Cavatore e il potere temporale dei vescovi di Acqui
Francesco Panero Castelli e borghi nuovi nel Piemonte meridionale: i casi di Cavatore e Bistagno. Note preliminari
Eleonora Sàita Le torre nel paesaggio e nell'immaginario medievale
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