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Quel che basta a uccidere un teatro |
L'altra
sera sono andato al Carlo Felice, a sentirmi la Lucia. Nel porticato
una signora molto carina mi ha con grazia porto un volantino. L'ho
letto, ed ora è riprodotto a pagina 16. Per intero, perché
secondo me si tratta di un reperto a suo modo eccezionale. La gentile
signora me lo ha dato per parlarmi, per comunicarmi qualcosa che a
lei suonava così importante da sentire la necessità di
metterlo nero su bianco. Io ho avuto tra le mani un esempio di
totale, insondabile incomunicabilità. Sarebbe stata una
lettura angosciante se la signora fosse stata vittima di un delirio
paranoico, è stata invece una lettura drammatica, perché
quello era un comunicato sindacale: lavoratori che vogliono spiegare
delle cose ai cittadini; in particolare ai cittadini che soffrono
disagi provocati dalle agitazioni di quei lavoratori. Leggetelo
lettori e provate a credere ai vostri occhi, chiedetevi se ora avete
maggiore simpatia per quei lavoratori, se avete capito qualcosa di
più delle nobiltà della loro battaglia, e se possedete
maggiori informazioni circa lo stato del teatro della vostra città.
Oppure se vi è presa la sottile sensazione di un giramento di
testa, come di una congestione sintattica. Trovatevi un pubblico e
provate a leggerlo a voce alta, con l'enfasi e la convinzione
necessari a convincere anche solo la persona amata.
Controllate i risultati. Cosa fa il vostro pubblico? Ride? Vi manda a quel paese? Plaude ai giusti diritti dei lavoratori? Sappiatemi dire. Io sono andato a teatro avendo assai meno simpatia di attimo prima, per i coristi, gli orchestrali e i tecnici.
Loro stanno con i dibattimenti e le vertenze trascendenti, gli abboccamenti e i fraintendimenti opposti con odiosa sicumera, restando in essere e sospendendo le manifestazioni, io sto in una poltrona a vedere se questa Lucia vale i soldi che chiedono. Vado raramente a teatro perché non ho né il reddito né i privilegi bastanti a fare di me un habitué, e quando lo faccio sono giustamente pieno di aspettative. Mi piace la musica, mi piace la lirica. Al Carlo Felice ho sentito cose belle e cose brutte, né più né meno di quando vado al cinema o in una galleria d'arte, salvo che spendo molto di meno. Salvo che anche se non ci mettessi piede una sola volta nella vita, così come la stragrande maggioranza dei cittadini, me lo pago lo stesso, visto che sono le tasse dei contribuenti, dei contocorrentisti e dei clienti delle pompe di benzina che lo tengono in piedi. Ad essere onesto, ammetto che mi dà leggero fastidio sapere che lo spettacolo che non mi posso permettere se lo gode un altro con i miei soldi. Ma così è la vita.
Mi sono beato di opere e concerti splendidamente allestiti, diretti ed eseguiti, come ho patito coristi far finta di cantare e magari era anche un bene e professori orchestrali trascinarsi verso la fine di un concerto con l'unica idea fissa di arrivare a casa il più presto possibile e mettersi a dormire in n ambiente più comodo. Non importa, quello che conta è che c'è un teatro e che questo teatro può migliorare, perché in questa città in movimento anche la musica può muoversi. Così ho sempre pensato. Ora non saprei. E' facile uccidere un teatro, è facile anche che si suicidi. Fellini in Prova d'orchestra ha raccontato qualcosa in proposito, tragicamente divertente. Perché muoia il teatro della città basta che alla comunità non gliene freghi niente del teatro. Ed è anche facile che accada questo. Basta che il teatro non dia niente, o troppo poco, alla parte più curiosa, attenta, intelligente della comunità. Basta che la generazione di chi ci potrà andare domani e fra dieci anni, non ci trovi niente di interessante per sé, o che non abbia il denaro per andarci. Perché un teatro si suicidi, basta che sia incapace di far crescere la voglia, il bisogno di buona musica nella città; e l'orgoglio della città per il suo teatro. Per ammazzare il teatro bastano dieci lavativi in orchestra, uno in amministrazione e un paio in consiglio, non di più. Perché il lavoro sia fatto bene, basta la collusione di chi, tra ci fa politica, professa il credo dell'arte e della cultura come branchie dell'attività commerciale cittadina e di chi, tra chi lavora, non vuole distinguere tra privilegi e diritti. Vorrei chiedere alla signora del volantino e ai suoi collegi: ha uno stipendio dignitoso, un orario di lavoro tollerabile, è brava a fare il suo mestiere ed è bravo a farlo chi la dirige? Cosa le manca che io possa darle? Vorrei chiedere al sovraintendente, ai direttori, agli assistenti, ai consiglieri, ai consiglieri dei consiglieri: avete idee, progetti, capacità da offrire alla città per le sue, o non solo vostre, sorti progressive? E avete bastanti a rendere giustizia degli stipendi, dei benefici, dei voti che la città vi ha offerto? Cosa vi manca che io possa darvi? Potete per caso rispondermi tutti, in coro e a solo, in canone e a cappella, nella lingua dei nostri padri e dei nostri figli?
Maurizio Maggiani IL SECOLO XIX 29/06/2003
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