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Il ceto medio. Noi più poveri e confusi |
L'Eurispes
ci ha detto che siamo poveri, depressi e confusi. Grazie tante. Ma
chi siamo e come siamo e come ci sentiamo, quanto poveri e quanto
confusi e quanto depressi, forse l'Eurispes non lo sa abbastanza.
Perché per dire come le cose stanno dovremmo usare
terminologie non comprese nelle eventualità dei loro
questionari. La verità è che siamo incazzati, incazzati
neri. Dico noi, e noi siamo il ceto medio, i privilegiati, i
tranquilli e speranzosi, il nerbo progressivo del Paese. Gli ex di
tutto questo.
Naturalmente meglio non spingersi a dare un'occhiata
al ceto basso: non aprite quella porta, per carità. Quelli
sono carne bruciata, gente che non dovrebbe nemmeno comparire nelle
statistiche, malignamente predisposta com'è a dare un'immagine
distorta del paese. Gliene importa davvero a qualcuno del ceto basso?
No, senza dubbio alcuno: fa talmente schifo il ceto da 800 euro al
mese, che c'è da sporcarsi solo ad ammettere che ha qualche
problema. Figuriamoci che senso può avere perdere del tempo a
inventarsi il modo per risolverlo. Il fatto è che ora il ceto
medio sta andando incontro a quello basso. All'appuntamento ci sta
andando in picchiata. E l'elegante, charmant e beneducato ceto medio
si sta scoprendo vicino di casa degli sporchi, brutti e cattivi del
piano di sotto. E infatti il nostro stato d'animo non è molto
diverso dal loro. All'Eurispes possono anche non poterlo scrivere, ma
se vogliono sapere come ci sentiamo, ecco: siamo incazzati neri. Come
quelli di sotto. E stiamo imparando a vederci sporchi e brutti come
loro. Cominciamo ad andare in giro con un dente sì e uno no,
perché i soldi per tutti - oplà!- all'improvviso non li
abbiamo più. Per via della nostra scarsa sorveglianza
sull'andamento della moneta unica, come dice il nostro ricco
presidente. Già, avremmo dovuto prendere per il collo
l'odontotecnico e costringerlo all'equa tariffa. Non ci
dimenticheremo di farlo la prossima volta. Sempre più come
quelli di sotto, stiamo diventando ignoranti; perché -ma
guarda!- i soldi per l'altro dente li abbiamo sottratti al conto in
libreria. Ma la povertà nostra è anche più nera
del nero, vuoto portafogli, ed è quella che ci fa cattivi più
che mai. È pestilente del senso di colpa di chi ha perso
l'abitudine a pensare al bisogno come a un fatto della vita reale,
vera e concreta, di chi si è abituato a vederlo col binocolo,
incartato nelle brutte notizie qualunque, assieme al maltempo e la
SARS. Basta chiuderci in casa finché non passa. Siamo
incazzati neri anche con noi stessi, gli intelligentoni del Paese,
che non avevamo capito bene, che ci siamo un attimino distratti. Che
pensavamo di assomigliare così tanto al ceto alto da poter
passare inosservati sotto la sua falciatrice. Naturalmente i ricchi
sono più ricchi, visto che il denaro non è che ha la
proprietà metafisica di svanire nel nulla, e non si ha notizie
di incendi votivi di pecunia. La Fiat diminuisce la produzione delle
sue macchinette, la BMW aumenta quella delle sue fuoristrada da
100.000 euretti. Non tutto va male nell'industria, non in quella del
sollazzo d'alto bordo. Chissà se ci piacerà la
compagnia di quelli di sotto, chissà se ci sapremo adattare.
Speriamo di no, soprattutto per loro. Perché se quelli hanno
una qualche possibilità di un miglioramento della loro infame
condizione, possono sperare solo in noi. Loro sono ormai invisibili,
noi ancora no. Loro se ne stanno a Begato e a Quezzi, noi in centro.
Noi siamo il centro, o almeno lo eravamo fino a ieri. Il leggendario
centro, in mancanza del quale non si vincono le elezioni. Questa
storiella del centro mi suona tanto come circonvenzione di incapace,
ma facciamoglielo pure credere agli incapaci. Che sappiamo che siamo
incazzati neri e non abbiamo più nessuna intenzione di
sopportare lo stato delle cose. Ci renderemo utili a noi stessi e,
soprattutto, daremo una mano ai nostri nuovi vicini. Che meritano più
di noi - un po' di senso delle proporzioni, prego - e patiscono più
di noi, noi con la pretesa del privilegio di "pensare".
Loro che continuano a pulire le strade, a infilare le lettere nelle
cassette, a mungere le vacche, a tornire bulloni, con la certezza di
non potersene mettere nemmeno la metà di denti, senza la
speranza di potersi fare una risonanza al fegato in tempo per non
lasciarci la pelle. Senza la forza contrattuale di poter prendere a
schiaffi chi gli dice: fammi ancora un po' più ricco, amico,
che poi quello che mi avanza è tutto per te. Mentre noi,
orgoglio del paese, abbiamo smesso da tempo di fare quello che
dovevamo: almeno studiare, almeno inventare, almeno saper trovare
qualche buona idea. Tanto buona da poterci governare un paese, farne
felice un popolo.
Maurizio Maggiani - IL SECOLO XIX -
01/02/2004
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