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L'inganno super partes |
Una delle parole più cariche di ipocrisia, più inutili e apatiche di senso che si è inventato l'apparato politico di questo paese per sigillare sotto vuoto spinto la propria inettitudine, è: super partes. L'hanno fabbricata in un afflato bipartisan - altra straordinaria pillolina semantica che in un paio di generazioni, non di più, ci farà tutti più buoni - per proclamare al popolo che c'è dentro la politica un luogo nobile e alto, mondo dalla spazzatura che il volgo subodora ovunque.
Un luogo nobile
dove al supremo bene del paese e dell'Universo intero tutto si piega
e si conforma. Intendendo che le parti sono ignobili e sopra di esse
è necessario ergersi per purificarle e domarle alla ragione
suprema. Naturalmente è una presa per i fondelli, anche se
fondelli è una parola scialba e desueta che poco rende della
forza dell'altra, al momento impronunciabile, parola. Una comunità,
qualunque comunità, è fatta di parti che solidarizzano
e si contendono. Lo possono fare in modo civile, e la comunità
prospera, o incivile e delittuoso e la comunità tracolla e si
estingue. Le parti di una comunità sono la sua essenza e
ragione. È così dal sesto giorno della Creazione. Chi
si erge super partes o si esclude dalle parti, e dunque dalla
comunità, o mente. Mente perché il suo disegno è
quello di creare una parte, una gilda, una casta, un potere
superiore. Da questo punto di vista "super partes" è
un concetto squisitamente fascista. Infatti il cavalier Benito
Mussolini abrogò le libertà civili in nome di un
interesse nazionale super partes. Qui e ora sono i ragionevoli, i
moderati, a sviolinarla con il super partes. Non hanno pulsioni
orgasmiche fasciste, ma, semplicemente, decretano la loro estraneità
dalla comunità. Qualunque sia la vostra opinione sulle ragioni
dello sciopero generale di venerdì, è bene accettare il
fatto che ha avuto un notevole successo. Ve lo dice uno che ha
cercato, inutilmente, di attraversare mezza Italia. Quello sciopero è
stato organizzato dalle parti, da alcune assai significative parti
della comunità. In contesa, civile, con altre. I lavoratori
che hanno scioperato sono stati milioni, tra loro le opinioni sulla
politica e su ogni altra cosa della vita sono molteplici. Uniti nello
sciopero si divideranno altre volte; ciò che conta, per loro e
per la storia, è che hanno saputo trovarsi insieme al momento
giusto per cose che ritengono giuste. Questa volta, altre volte in
passato e altre in futuro. Il milione di persone che era alla
manifestazione contro la guerra di Roma era composto da parti, anche
queste assai significative, della comunità. Qualunque sia la
vostra opinione in merito alla guerra, non serve negare il successo
di quella manifestazione, nemmeno annegandolo nel mesto sguardo di
Fassino. Il milione di Roma è composto di molte parti e vale
per loro quello che vale per gli scioperanti. Gli uni e gli altri si
sono uniti su temi che ritengono fondamentali - c'è qualcosa
di più importante della pace e della tutela del lavoro?- e su
questi conducono la loro battaglia. Civile. Succederà ancora
per altri fondamentali temi della vita comunitaria. Una settimana fa
-chi se lo ricorda?- c'è stata una manifestazione a Roma
coronata da un tragico colossale insuccesso. Quella contro il
terrorismo, organizzata super partes dall'associazione dei comuni
d'Italia, la bella associazione super partes universalmente
conosciuta e stimata dai cittadini. Quello straordinario insuccesso
deve dirci che il paese si sente estraneo alla lotta al terrorismo?
No, si sente estraneo alla logica super partes, perché quella
logica è estranea alla comunità e alle sue parti. In
altri tempi in questo paese si sono tenute molte manifestazioni
contro il terrorismo, tutte di grande partecipazione. Ma a
organizzarle e dirigerle sono sempre, sempre, state le parti. Le
parti più significative, almeno nell'opinione allora
universale della società: i sindacati. I sindacati invitavano
tutta la comunità a farsi carico del problema del terrorismo e
a manifestare, e la comunità ha sempre accettato. Il
fallimento dell'ultima manifestazione è il fallimento di
un'idea della politica e della comunità e sancisce
l'estraneità dell'una dall'altra. Non fossero bastate le loro
altre prove, basterebbe questa a costringere all'esilio dalla vita
politica gli astuti organizzatori. Che in esilio non andranno perché
si sono proclamati esenti dal giudizio del popolo, convinti che la
loro missione sia quella di piegarlo alle loro superiori idee circa
la vita e la morte e tutto il resto. E non mi sfugge che questa sia
soprattutto roba della sinistra, dei suoi alti strateghi, che inter
partes non riescono più a sentirsi a loro agio, abbacinati
dall'inesprimibile piacere di un paio di anni di potere e di governo
che hanno a suo tempo proclamato super partes. Ma di quello nessuno
ne ha bisogno: la comunità ha invece bisogno di riconoscersi,
di accordarsi se è possibile e di governare le contese, di
rendere giusta la convivenza. Ha bisogno che siano innalzate le sue
parti migliori e progressive, depresse le peggiori. Questo che la
guardiate da sinistra o da destra, ma non sopra le parti.
Maurizio Maggiani- Il Secolo XIX - 28/03/2004
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